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L’ottima The Community Roundtable ha rilasciato – come ogni anno – il report dedicato allo stato del Community Management nel mondo. I dati aggiornati si riferiscono all’impatto e ai trend che governano le community di business sul mercato.

Chi segue questo blog da qualche tempo sicuramente si ricorderà delle riflessioni condivise negli anni precedenti sul medesimo tema (qui il post riferito all’anno scorso https://sociallearning.it/2014/05/09/lo-stato-del-community-management/) e l’importanza che le community hanno acquisito negli anni da un punto di vista del business e dell’operatività delle aziende. In un’ottica di sempre crescente prestigio e importanza le community rappresentano oggi uno dei nodi cruciali delle aziende e delle organizzazioni che si orientano attorno a criteri molto ben precisi di efficienza, agilità, trasparenza e collaborazione coinvolgendo in senso esteso tutti gli attori che partecipano alla creazione di valore all’interno di un’organizzazione: clienti, dipendenti, fornitori, partner…

Ma analizziamo con maggiore precisione i messaggi che emergono dal report che trovate nella sua versione completa qui:

Il report comincia con l’identificazione di alcuni punti chiave per comprendere il contesto nel quale ci muoviamo e sottolinea alcune importanti sfide per il mondo delle community al giorno d’oggi:

  • Una mancanza di strategia su come utilizzare, creare e comprendere appieno il ROI delle community, un tema molto delicato che è molto sentito specie nelle organizzazioni finanziare. Se i ritorni sull’investimento non sono ancora chiari, come possiamo pensare di realizzare correttamente una community? E come possiamo pensare che questa funzioni in modo corretto aiutandoci a raggiungere i nostri obiettivi professionali?
  • Una incapacità di allineare la strategia di alto livello con le azioni tattiche più modeste. Assistiamo a una totale divergenza tra le due: progetti collaborativi troppo “alti” e poco calati nella realtà dei fatti e progetti troppo concreti che perdono di vista una dimensione di trasformazione più strategica e profonda con impatti di maggiore profondità e importanza
  • Un enorme gap tra le elevatissime aspettative in termini di risultati che si attendono dalle community e gli investimenti che effettivamente vengono effettuati in questo senso. Il risultato è che molto spesso ci si trova di fronte a progetti che non sono in grado di rispondere efficacemente al modello proposto e che falliscono proprio per questo motivo
  • Elevate difficoltà anche nell’assunzione delle persone giuste per i ruoli più senior. Il tema delle competenze nelle community e dei ruoli specifici che ne fanno parte sono ancora qualcosa di molto “misterioso” e complesso da recuperare. L’esperienza di business connessa a questi ruoli necessità ancora di una crescita elevata per essere al pari con altri settori. Questa sfida rende estremamente difficile riconoscere i modelli e cambiare le attuali modalità di lavoro
  • Mancanza di coinvolgimento e di comprensione dei nuovi modelli di business da parte degli executive che faticano a calare a terra le logiche della collaboration e delle community

Queste sfide rappresentano dei punti saldi che devono essere gestiti in modo corretto. Come fare quindi? La ricerca di TCR suggerisce alcune aree di sviluppo da prendere in considerazione per raggiungere gli obiettivi di business che le community possono aiutarci a raggiungere.

  • Provvedere uno sviluppo professionale per i community manager e percorsi di carriera che consentano la crescita in questa direzione e permettano di lavorare in modo più efficiente ed efficace. I top player del settore in questo senso si sono già ampiamente mossi e hanno capito l’importanza di rafforzare le competenze dei team e di puntare sulle competenze che le persone hanno acquisito o su quelle che ancora devono sviluppare
  • Prevedere un corretto staffing delle risorse in modo da destinare il giusto tempo ai progetti di questo tipo senza che vengano sacrificati in nome di qualcosa di maggiormente importante
  • Investire nell’integrazione degli approcci di community e di collaboration con le funzioni esistenti del business in modo che i risultati non solo siano immediatamente tangibili ma anche che si comprenda meglio la modalità e la connessione con quelli che sono gli obiettivi principali dell’impresa e dell’organizzazione. Anche nella mia esperienza progettuale questo è l’unico modo per poter ottenere dei risultati significativi che consentano da un lato di far comprendere l’importanza del lavoro sulle community e dall’altro di cambiare in modo radicale l’organizzazione e il nostro modo di fare impresa
  • Ripensare la formazione: a livello complessivo è importante valorizzare il ruolo della formazione sia nel processo di onboarding di nuove risorse sia in quello di mantenimento di un alto livello di competenza esteso a tutta l’organizzazione. In questo senso la formazione rappresenta un importantissimo elemento ad alto valore aggiunto per permettere il sedimentare di competenze e la diffusione di un nuovo modello culturale all’interno dell’ecosistema azienda
  • Ripensare i sistemi di incentivazione e di riconoscimento. Non è pensabile gestire queste community e questi nuovi modelli di lavoro attraverso modalità e logiche antiquate. Le HR devono riconoscere e premiare comportamenti e modalità di lavoro nuove che consentano di valorizzare i contributi individuali all’interno della community e all’interno dei meccanismi e delle logiche di collaboration. I sistemi di riconoscimento in questo senso devono essere sia di natura formale sia di natura informale in modo da motivare al massimo le persone a dare il meglio e contribuire fattivamente alla relaizzazione della community e al raggiungimento degli obiettivi di business sia individuali sia di gruppo

The Community Roundtable propone poi un framework articolato che consente di posizionarsi a diversi livelli di maturità rispetto agli obiettivi identificati. Lavorare su questi livelli consente davvero di comprendere appieno la portata delle community e di effettuare un percorso di evoluzione complessivo che permetta di raggiungere gli obiettivi di business preposti

Community Roundtable model

Il lavoro di TCR rappresenta un prezioso punto di partenza per tutti coloro che intendono intraprendere un percorso di evoluzione verso nuovi modelli organizzativi o che si trovano in difficoltà nei confronti di un’adozione che non arriva e di risultati che non si riescono a ottenere.

La strada è tracciata, sta ai più coraggiosi e saggi intraprendere il percorso corretto e migliorare il modo di fare impresa di oggi

Qualche mese fa è uscito un report molto interessante del MIT Sloan in collaborazione con Deloitte University Press che analizza attorno a quali assett si muovano le organizzazioni realmente digitali.

Come facilmente intuibile il report (che trovate liberamente scaricabile a questo indirizzo: http://sloanreview.mit.edu/projects/strategy-drives-digital-transformation/) si concentra su una dimensione di cambiamento legata all’importanza che una corretta direzione di impostazione strategica è in grado di fornire. Per chi segue questo blog e per chi segue il cambiamento organizzativo da vicino non si tratta certo di una novità: la tecnologia – digitale e non –  ha da sempre rappresentato un fattore abilitante e mai il motore del cambiamento vero e proprio. Per cambiare concretamente le organizzazioni è necessario agire su altre leve, molto più delicate e complesse: nessuna trasformazione digitale è solamente tecnologica e i progetti che ci concentrano solo su questa dimensione sono destinati al fallimento immediato.

Come si legge anche nel report:

Digital strategy drives digital maturity. Only 15% of respondents from companies at the early stages of what we call digital maturity — an organization where digital has transformed processes, talent engagement and business models — say that their organizations have a clear and coherent digital strategy. Among the digitally maturing, more than 80% do.

Alcuni messaggi chiave che emergono nell’immediato:

  • Le organizzazioni maggiormente mature sono quelle che hanno una strategia ad ampio respiro che coinvolga tutta l’organizzazione e che sia in grado di massimizzare i risultati ottenibili. Il cambiamento non può essere imposto dall’alto, ma nemmeno organizzato solo dal basso
  • La forza della trasformazione digitale corretta risiede in una corretta definizione degli obiettivi e del punto d’arrivo. Come nel famoso adagio di Seneca: “non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare”
  • La trasformazione richiede competenze verticali che non è possibile delegare: è necessario mettere assieme il team corretto in grado di supportare l’organizzazione nel percorso di cambiamento
  • La digitalizzazione attira i talenti, i dipendenti intendono lavorare per i cosiddetti “digital leader” che ottengono punteggi più elevati all’interno dei desideri degli utenti
  • Assumersi rischi è diventata la cultura dominante all’interno delle migliori organizzazioni. I leader sono quelli che non hanno paura di sbagliare e che si muovono in contesti anche molto complessi senza volerne necessariamente mantenere il controllo
  • I leader sono sempre coinvolti in prima persona. Lo abbiamo visto e detto molte volte: senza un coinvolgimento della testa dell’organizzazione il cambiamento non può avvenire e nessuna trasformazione può essere efficace

La seguente figura mostra le barriere che le organizzazioni si trovano a dover affrontare a seconda del loro differente livello di maturità rispetto ai temi della digital transformation.

Barriers

Un altro dato interessante che emerge dall’analisi condotta  è – a mio avviso – quello che riguarda la differente penetrazione dei servizi digitali a seconda dei differenti settori di mercato. Non per tutti la trasformazione digitale sta avendo il medesimo impatto e non per tutti il cambiamento sta avvenendo con la medesima velocità.
Il digitale tocca comunque tutti i settori cambiandone le logiche di base e rendendo alcune organizzazioni più o meno restie ad accettare il processo di cambiamento

Levels

Un altro punto di fondamentale importanza è quello legato allo storytelling e al raccontare una storia, le aziende che stanno avendo il successo maggiore sono proprio quelle in grado di muoversi anche su questo versante coinvolgendo, in senso ampio, l’intera organizzazione nel processo di cambiamento e nel processo di trasformazione. Nessuno deve sentirsi escluso e il modo migliore per  raggiungere questo obiettivo sembra proprio essere quello di dare ai dipendenti una storia nella quale identificarsi.
Come si legge nel report:

In our interviews, we found that storytelling is becoming a popular means of gaining employee buy-in and organizational traction for digital transformation.
Disney is a prime example. To capture the hearts and minds of its employees, Disney carefully crafts internal messages so that they are highly relevant.
“We develop stories all day long at Disney,” says Disney senior vice president Milovich. “A great story is  a key element in getting funding for a pilot for our TV shows, and we apply this same storytelling capability to allocate capital for our employee digital initiatives.”

Il legame tra cultura e tecnologia è tutt’ora annoso e complesso. Da quello che emerge dall’analisi sembrerebbe chiaro il ruolo preponderante della prima sulla seconda e il fatto che senza una adeguata cultura di cambiamento non si possa effettivamente trasformare il mondo organizzativo nel quale si vive.

In ogni caso i leader della trasformazione digitale restano coloro che sono in grado di innovare e di trasformarsi su differenti livelli e differenti aspetti: barriere, strategia, cultura, sviluppo e gestione dei talenti, tecnologia, leadership…

Table

E’ uscito un recente articolo molto interessante di McKinsey che mette in luce alcuni dati e statistiche molto utili per comprendere l’impatto che la trasformazione digitale ha avuto sull’impresa di oggi. Si tratta di una rivoluzione che ormai da qualche anno ha cambiato il nostro modo di lavorare e di fare azienda. Una rivoluzione che ha impattato su differenti settori e che non è più reversibile.

Potete trovarlo qui nella sua versione completa: http://www.mckinsey.com/Insights/High_Tech_Telecoms_Internet/Transforming_the_business_through_social_tools?cid=other-eml-alt-mip-mck-oth-1501

L’articolo risulta interessante perché fornisce alcune metriche di livello sull’impatto all’interno delle organizzazioni di differenti industry. A distanza di qualche anno dall’introduzione del concetto di Enterprise 2.0 nelle organizzazioni è giunto il momento di tirare qualche somma sui risultati effettivi di questo cambiamento.

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Il primo dato che emerge dall’analisi è quello relativo all’impatto che le social technologies hanno avuto sull’impresa. I processi maggiormente toccati da questo tipo di trasformazione digitale sono – come ben sappiamo ormai – quelli relativi all’esterno dell’organizzazione: marketing, PR, gestione del cliente e via dicendo.
Interessanti impatti si notano anche sui processi interni maggiormente strutturati e maggiormente consolidati all’interno dell’organizzazione. Un trend interessante che comunque mostra alcune aree di miglioramento a segnalare che la social enterprise non è ancora un ambito completamente esplorato e applicato dalle aziende.

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Altri dati interessanti che emergono riguardano l’influenza che l’adozione ha sulle aziende. Le organizzazioni che sono state in grado di implementare in modo massivo le tecnologie digitali sono anche quelle che ne hanno riscontrato i maggiori benefici in termini di risultati ottenibili: come a dire che chi ci prova riesce effettivamente a raggiungere i risultati sperati.
Questo vale sia sui processi esterni sia su quelli interni: ad una maggiore adozione, sostenuta da chiare strategie di digital transformation, corrispondono anche effetti maggiori. Le strategie mal applicate – invece – portano spesso a risultati trascurabili e non sono in grado di impattare in modo significativo sui cambiamenti auspicati dall’azienda.

Chi è in grado di lavorare sull’esterno come anche sull’interno, al contrario, riesce a ottenere i migliori risultati possibili a testimonianza del fatto che il digitale non è un canale ma un nuovo modello di lavoro che ha effetto sull’intera organizzazione e non soltanto sui touchpoint che caratterizzano la strategia di comunicazione dell’azienda.

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L’evoluzione verso il social business è una strada concreta. Le organizzazioni che coinvolgono all’interno dei propri processi chiave non solo i consumatori, ma anche i clienti, i dipendenti e tutti i business partner e gli stakeholder che ruotano attorno all’azienda sono in grado di massimizzare ancora di più i risultati ottenibili allargando la catena del valore e contribuendo in maniera molto più efficace a raggiungere i risultati di business dell’organizzazione.

Come si legge:

On the other hand, the companies that do interact with business partners, suppliers, and experts through social technologies are seeing growing benefits. Just 41 percent of respondents say their companies interact with these groups at all through social technologies. But of those that do, 66 percent say their companies have benefited from increased speed to access knowledge, up from 53 percent last year.

Altro dato interessante che emerge dall’analisi è che l’attitudine verso il social continuerà a crescere nei prossimi anni e – di conseguenza – anche l’investimento in termini di risorse e tempo da dedicargli. 
Le organizzazioni che hanno visto negli ultimi anni / mesi i benefici ottenibili sono motivate ad amplificarli investendo sempre più budget all’interno dei canali digitali e rendendo il social una delle leve strategiche del prossimo, immediato, futuro.

Una rivoluzione – quindi – foraggiata e sostenuta anche dai numeri imponenti che è stata in grado di spostare negli ultimi anni. Ancora una volta: i risultati si hanno se si investe correttamente in risorse e modelli di successo.

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In conclusione l’articolo mette in luce molti dei benefici che i social media e le tecnologie digitali stanno portano all’interno dell’impresa. La strada é ormai spianata per le aziende che vogliono coglierla. Molte hanno già avviato il processo arrivando ai risultati che abbiamo visto: l’unico modo per arrivare a un risultato concreto e consolidato è quello di seguire una strategia seria e strutturata.

Una delle maggiori sfide che le aziende di oggi si sono trovate a dover fronteggiare è quella che riguarda la motivazione e il coinvolgimento dei dipendenti.
In alcuni precedenti articoli abbiamo sondato come il terreno in questa direzione sia piuttosto impervio e i risultati che le aziende ottengono spesso faticosi e incerti. Il tema è però sicuramente caldo e l’interesse attorno ad esso sta continuando a crescere.

Evitando di nascondere la testa sotto la sabbia e affrontando di petto il problema senza troppi mezzi termini: i dipendenti di oggi sono demotivati, non si sentono parte della missione dell’azienda per cui lavorano, sono disingaggiati e molto spesso non solo non remano nella direzione condivisa ma osteggiano – più o meno apertamente – il modello in auge.

Inutile dire che, per le aziende, questa mancanza di coinvolgimento si traduce in un impatto economico estremamente significativo ed è in grado di compromettere seriamente le prestazioni complessive con impatti ingenti in termini economici. Altimiter Group ha recentemente dedicato una ricerca proprio a questi temi mostrando l’importanza del coinvolgimento dei dipendenti all’interno di una strategia di cambiamento organizzativo complessiva (qui trovate il report completo se siete interessati all’approfondimento: http://www.altimetergroup.com/2014/12/strengthening-employee-relationships-in-the-digital-era/).

A new generation of enterprise social networks and employee advocacy platforms promised a new approach, but to date they still struggle to connect activities to the creation of business value.

Inizia tutto con la promessa del digitale, quante volte abbiamo sentito che piattaforme collaborative e approcci mutuati dai social network, se introdotti all’interno delle organizzazioni sarebbero stati in grado di migliorare le cose e rendere le persone più motivate e ingaggiate?

Cerchiamo di analizzare insieme le dimensioni principali che emergono dall’ottima analisi di Altimiter:

  • Un report di Gallup mostra come solo il 13% dei dipendenti sono motivati e ingaggiati rispetto al loro lavoro. Un numero davvero preoccupante se consideriamo l’intera forza lavoro mondiale. Le persone non sono contente di quello che fanno e non amano il proprio lavoro, dedicando ad esso poca attenzione e investendoci veramente poco.
  • La maggior parte delle organizzazioni non possiede un approccio coerente che sia in grado di legare la strategia digitale al coinvolgimento dei dipendenti.

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  • Le piattaforme digitali che – a livello teorico – avrebbero dovuto risolvere tutti i problemi (come una misteriosa bacchetta magica o la pietra filosofale della motivazione) hanno fallito e stanno fallendo. Falliscono perché non sono state collegate alle esigenze di business e ai bisogni degli utenti e, di conseguenza, esaurita la spinta e l’entusiasmo iniziali crollano sotto il peso delle domande sul valore che abbia l’utilizzarle o meno.
    In sostanza le persone non ne percepiscono il valore perché le strategie di implementazione sono state spesso calate dall’alto e non progettate a più mani con gli utilizzatori finali: i veri stakeholder delle iniziative di trasformazione digitale.
    In questo senso il tema dell’adoption è ancora delicato: ci si ritrova con soluzioni e strategia all’avanguardia che – però – non sono in grado si scaricare a terra nessun valore per il semplice fatto che nessuno le utilizza effettivamente.

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  • La mancanza di misurazione e di metriche rappresenta ancora un tema caldo e centrale. Le aziende non misurano: non sono capaci di comprendere il valore di business perché non utilizzano strumenti e strategie volte a misurare i risultati di quello che hanno intenzione di ottenere. Senza direzione è chiaro che non è possibile raggiungere una meta precisa. Come recita il famoso adagio di Seneca: “non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare“. Sperare di ottenere dei risultati significativi senza misurazione e con il semplice “colpo di fortuna” è un approccio che chiaramente non può funzionare e non è in grado di generare nessun valore né per l’azienda né per i dipendenti finali.

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Lo schema sopra riportato mostra in modo molto efficace il contributo che la digital transformation può fornire alla motivazione e al coinvolgimento dei dipendenti. Come già sottolineato le cose funzionano se – e solo se – affianco alla dimensione tecnologica è presente un forte cambiamento organizzativo in grado di sostenere il percorso di maturità dell’azienda. Non si tratta di un interruttore che accendiamo e spegniamo a nostro piacimento, ma piuttosto di un albero che dobbiamo coltivare. Il cambiamento non avviene magicamente ma va pensato, ideato, costruito passo dopo passo.

Un altro tema fondamentale che viene analizzato molto bene dal report è la connessione tra interno ed esterno dell’azienda, l’evoluzione verso un vero e proprio social business, la tendenza a valorizzare a 360° le persone, poco importa che esse siano dipendenti o clienti dell’azienda. E’ proprio la relazione tra il dipendente e il cliente a rafforzare l’esperienza dell’utente. Le aziende maggiormente mature e che sono in grado di soddisfare al massimo i clienti e di avere un alto livello di soddisfazione dei dipendenti al loro interno sono proprio quelle che riescono a ragionare su questa dinamica e di lavorare in modo sinergico.

Altimiter si concentra poi sul dare alcuni consigli alle aziende che sono ancora ferme in porto e che intendano seriamente intraprendere il percorso di cambiamento e di maturazione verso uno scenario più collaborativo, aperto e trasparente, in grado di migliorare davvero il coinvolgimento dei loro dipendenti e di massimizzare i risultati di business che è possibile ottenere.

  • Diventare organizzazioni estroverse: può sembrare uan barzelletta ma è – invece – cosa molto seria. A partire dagli Executive e dai livelli più alti dell’azienda il modello deve cambiare, il coinvolgimento dell’esterno deve diventare più intensivo e maggiormente di valore. Nel momento in cui consideriamo i nostri clienti e i nostri dipendenti come un tutt’uno nella relazione osmotica dell’organizzazione, il successo e l’efficacia di quello che facciamo è garantita.
  • Valorizzare l’importanza del contenuto. Un vecchio adagio presente nel web di qualche anno fa recitava “content is the king“. Questo è ancora vero specie se si considera che il contenuto, il valore, deve essere sempre molto ben presente. Avere un valore da dare ai propri clienti e ai propri dipendenti e senza dubbio il primo punto per evitare di vendere una “scatola vuota”.
  • Recuperare il ruolo dell’HR: quando si parla di coinvolgimento dei dipendenti è sempre stata una funzione protagonista all’interno della trasformazione e del cambiamento organizzativo che – però – con la rivoluzione digitale ha assunto un ruolo maggiormente marginale passando da attore protagonista a semplice spettatore. Recuperare questo ruolo significa – ancora una volta – rimettere le persone al centro della trasformazione e del cambiamento dell’intera organizzazione. 
  • Colmare i gap con la formazione. Un altro punto fondamentale a cui prestare attenzione è quello dell’onboarding  e del training delle risorse sugli specifici progetti di trasformazione (digitale e non ). In questo senso la formazione rappresenta una leva fondamentale in grado di cambioare le cose e di permettere a tutti

Ancora una volta – e casomai ci fosse bisogno di sottolinearlo – il tema non è tecnologico, è culturale e organizzativo. Per cambiare il modo di lavorare per lavorare meglio e per fare davvero la differenza che vogliamo fare nel mondo del lavoro che viviamo tutti i giorni, dobbiamo davvero cambiare il nostro modo di vedere le cose. Cambiare riguarda prima di tutto le persone, fino a che gli approcci non saranno disegnati dalle persone, per le persone e con le persone, le cose non potranno funzionare. 

E’ uscito di recente un nuovo report realizzato da Charlene Li e Ed Terpening di Altimiter (lo trovate qui se siete interessati a un approfondimento di dettaglio: http://pages.altimetergroup.com/social-business-governance-report.html?utm_source=carousel&utm_medium=website&utm_campaign=SBG).

Cerchiamo di analizzare insieme le dimensioni principali del loro lavoro e gli indicatori chiave che emergono dall’analisi svolta.

Il primo – estremamente significativo – dato che emerge è che sono ancora pochissime le organizzazione che hanno intrapreso una seria digital transformation guardando all’interno dell’organizzazione, sistematizzando processi, tecnologia e cultura, investendo più su una dimensione di gestione interna che non su una di tecnologia o comunicazione. L’attenzione è ancora troppo focalizzata su quello che accade all’esterno dell’impresa, quando sappiamo perfettamente che la sfida principale si gioca – oggi – al suo interno.
La mancanza di processi interni e di una corretta governance atta a gestire la trasformazione digitale si riflette in scarsi risultati ottenibili attraverso questi strumenti. L’ottenimento di migliorie e di efficientamento d’impresa è possibile – infatti – solo se utilizziamo correttamente le due dimensioni organizzative (interna vs. esterna) e lavoriamo in modo sinergico cambiando prima di tutto la cultura di chi lavora all’interno dell’azienda. 

E’ comunque un buon numero di aziende (il 53% come mostra il grafico qui sotto) ad avere – perlomeno sulla carta – un approccio sinergico che unisca una social business strategy con la propria governance.

Social media governance

Ma quali sono i driver che portano alla costruzione della corretta governance e alla realizzazione delle policy interne per la gestione e la realizzazione della trasformazione digitale?
Il grafico che viene riportato qui di seguito mostra gli aspetti chiave di questo approccio strategico.
Al primo posto la necessità di scalare e di scaricare a terra il valore aggiunto che i media digitali sono in grado di generare per l’impresa, l’attenzione al cliente da un lato (verso l’esterno con la customer experience) e l’attenzione al dipendente dall’altro (verso l’interno con l’empowerment degli employees).

Social media governance 2

All’interno del report sono poi identificate le dimensioni chiave per realizzare una corretta governance dei social media all’interno dell’azienda.

  • Persone: la policy e la governance partono da qui, perché non è possibile rimpiazzare o rivedere i ruoli organizzativi senza passare dalle persone, il percorso di trasformazione deve partire da loro e essere funzionale alle loro necessità. A livello di dipartimenti coinvolti si tratta ancora di funzioni legate al mondo esterno dell’azienda, molto spesso nel marketing (25%), in un team dedicato e verticale sui social media (15%) o nelle PR/comunicazione esterna (10%).
    All’interno di questa dimensione è necessario definire al meglio alcuni punti: l’allineamento della leadership interna per generare sponsorship e committment dall’alto e da parte del top management; una partecipazione cross-funzione e cross-dipartimento per coinvolgere l’intera organizzazione; la definizione di ruoli precisi e compiti strutturati; delle metriche di misurazione dell’efficacia e del ritorno sui progetti; una mappa di progetto che evolva durante il tempo.
    Al centro della governance devono esserci le definizioni dei ruoli e delle responsabilità individuali sui singoli processi e task.
  • Policy: solo il 7% delle organizzazioni intervistate ha una policy onnicomprensiva in atto, il 60% delle organizzazioni ha socializzato le best practice e il 25% sta lavorando per farlo. Per svilupparla correttamente è necessario – anche in questo caso – tenere presenti alcuni aspetti fondamentali del processo di cogenerazione delle linee guida: definirla in modo corretto sulla cultura, le caratteristiche e i bisogni specifici dell’azienda; far lavorare le persone che contano e quelli che sono realmente motivati a vedere un cambiamento nell’organizzazione, valorizzare cioè quelli che davvero possono giocare un ruolo fondamentale; assicurarsi che si innesti all’interno del contesto aziendale in modo corretto e funzionale in allineamento alle altre policy dell’organizzazione e in sinergia con gli altri stream di processo; realizzarla in modo pragmatico in modo che generi davvero del valore e sia collegata ai flussi necessari al business.
  • Processi: pochissime aziende sono/sarebbero in grado di far fronte e di rispondere in modo corretto a una crisi, se le procedure e le policy rimangono su carta e non sono legate ai processi il senso del lavoro rimane poco e il valore che si riesce a generare è nullo.
  • Pratica: serve concretezza, si devono misurare i risultati e i bisogni dell’azienda e dell’organizzazione, partire dai problemi e lavorare per risolverli in modo efficace, in questo senso la strategia deve partire dai bisogni e dai problemi concreti ai quali l’azienda ha urgenza di rispondere.

La struttura organizzativa a supporto può essere di differenti tipologie, senza preferirne nessuna, il modello migliore è quello che viene generato e costruito in modo sartoriale sugli specifici bisogni dell’utente e sulle caratteristiche organizzative.

Social media governance 3

Esistono alcune best practice da seguire e errori da evitare per la realizzazione di una governance corretta:

  • Evolvere durante il tempo: non considerare questi modelli come qualcosa di scolpito nella pietra è funzionale al raggiungimento dei migliori risultati, muoversi in contesti fluidi richiede adattamento e costante miglioramento
  • Ricercare sponsor nei livelli alti che credano nel progetto e che lo supportino ai vertici dell’organizzazione
  • Assicurarsi che il progetto rispecchi le caratteristiche specifiche dell’organizzazione e sia in grado di mantenere intatte le specificità dell’azienda
  • Assemblare un team cross funzione e cross dipartimento che garantisca una visione a 360° su quello che stiamo facendo e su quello che è necessario fare. La contaminazione delle competenze è un’aspetto chiave
  • Evitare il coinvolgimento del solo team social e digital: la rivoluzione digitale e la trasformazione dell’azienda riguarda tutta l’organizzazione

La costruzione e l’implementazione di un progetto di questo tipo non è un interruttore che accendiamo e spegniamo in azienda e che fa automaticamente funzionare bene le cose.
Si tratta piuttosto di un percorso che deve essere costruito per gradi e per fasi specifiche.

Roadmap

Il report è di per sé interessante ma credo che faccia un po’ di confusione con i termini in gioco considerando la policy e la governance legata ai social media come un qualcosa dell’azienda per i dipendenti e per i clienti, dimenticando un po’ quello che è l’aspetto chiave della trasformazione digitale e dell’evoluzione verso un social business.

Parliamo – in questo senso – di un’organizzazione più matura, più attenta, più centrata sui bisogni delle persone, senza troppe distinzioni tra interno ed esterno dell’impresa; un’organizzazione in grado di generare valore per tutti coloro che ci lavorano e per tutti coloro che ci entrano in contatto.
“Trasformarsi digitalmente” vuol dire – prima di tutto – partire dalla cultura, dalle persone e dai loro desideri e dalle loro aspettative: senza questo tipo di riflessione le cose semplicemente non funzionano. Questi temi di importanza cruciale per l’azienda non sono sfiorati dal documento che – a mio modesto avviso – pecca un po’ di superficialità in questa direzione. Governance e Policy sono sicuramente aspetti chiave e fondamentali ma rappresentano azioni tattiche necessarie all’interno di un quadro di evoluzione strategica molto più ampio nel quale devono essere inserite.

Il cambiamento non si può imporre, va costruito in modo collaborativo e in modo sinergico con i protagonisti della storia che vogliamo raccontare. 

E’ uscito da qualche giorno il nuovo e aggiornato report di Altimiter sullo stato dell’arte della Digital Transformation (se siete interessati a una lettura completa del report lo trovate in forma gratuita a questo indirizzo: http://www.altimetergroup.com/2014/07/the-2014-state-of-digital-transformation/), l’analisi risulta interessante perché consente di mettere molto bene a fuoco quelle che sono le tendenze principali del mercato e la direzione che le aziende hanno intrapreso ormai da qualche anno a questa parte.

Ben lontana dall’essere una semplice moda, la trasformazione che negli ultimi mesi e anni ha riguardato le imprese e le organizzazioni di tutte le industry, ha profondamente modificato processi e modalità di lavoro alle quali eravamo abituati, sia all’interno dell’impresa (dipendenti), sia all’esterno dell’organizzazione (consumatori, clienti…).

A fronte di uno scenario mutato e maggiormente evoluto rispetto all’anno precedente restano comunque ancora molti punti in sospeso e da definire, che riguardano le modalità attraverso le quali le aziende interagiscono e si relazionano rispetto a questo fenomeno. Non una novità quindi, ma un percorso in cui la strada da fare è ancora molta e lo spazio di apprendimento ancora ampio. Il cammino comincia dalla comprensione dei termini in gioco, se è vero che l’88% delle imprese intervistate ha in atto iniziative di digitalizzazione è solo il 25% ad avere una chiara comprensione dei canali digitali e dei flussi di definizione dei percorsi utente.

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Uno degli aspetti a mio avviso molto interessanti che emergono dall’analisi è che moltissimi strategist ed executive considerano la digitalizzazione dell’impresa come uno spostamento di risorse e budget nella dimensione tecnologica, ignorando molto spesso la parte di change management e maggiormente centrata sulle persone, sui loro bisogni e sulla loro esigenza.
Le implicazioni della digital transformation – come ben sappiamo – trascendono la mera dimensione tecnologica coinvolgendo l’organizzazione su dimensioni di: leadership. cambiamento culturale, cambiamento organizzativo, impatto sui processi e sui modelli di business e sull’operatività, oltreché sulla dimensione infrastrutturale. 
Si tratta di un nuovo modo di intendere l’impresa.

L’analisi si focalizza poi sul dare evidenza di quali siano le attività digitali considerate maggiormente strategiche dalle imprese di oggi.
Tra i soggetti intervistate emerge la chiara centralità dell’esperienza utente (tema di cui abbiamo già discusso in questa sede). La customer experience, il disegno di un flusso lineare che consenta ai consumatori di entrare in contatto in modo significativo con l’organizzazione è una priorità chiave per oltre l’80% delle aziende.

Seguono altre dimensioni legate maggiormente alle vendite e all’integrazione verso strategie multicanali.

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Guardando le statistiche emerge un punto fondamentale trasversale a tutte le industry e a tutte le aziende: nessuno sta guardando la parte interna dell’impresa. Il cammino di evoluzione verso una social enterprise sappiamo che passa (necessariamente e inevitabilmente)  anche da lì e sappiamo che deve necessariamente coinvolgere anche le funzioni interne, se è vero come è vero che le organizzazioni non possono essere social a metà, è altrettanto vero che la consapevolezza in questo settore (rispetto alle sfide, alle opportunità e agli ostacoli della trasformazione digitale) deve ancora crescere molto. 

Un ulteriore dato che sembra confermare questa tendenza riguarda i CoE (Centre of Excellence) in essere presso le aziende maggiormente mature dal punto di vista digitale.
Il 71% è focalizzato sui social media, il 63% sul mobile, il 59% sul search, il 56% sull’online display e il 49% sull’email marketing.
Tutte dimensioni – ancora una volta – focalizzate sull’esterno dell’azienda. Per ignoranza o difficoltà moltissimi sembrano non voler “prendere il toro per le corna”.

Un altro dato molto interessante emerge dalle figure professionali che accompagnano la trasformazione digitale e che si fanno promotori di questo tipo di iniziative.
E’ solo il 15% delle imprese ad avere un Chief Digital Officer, una figura professionale dedicata, cioè, che si faccia carico di intraprendere una trasformazione digitale dell’organizzazione. Il 54% delle iniziative digitali sono guidate da Chief Marketing officer e molte organizzazioni hanno tra gli sponsor direttamente il CEO (42%). Il CIO/CTO guida solo nel 29% dei casi.

Le problematiche della trasformazione sono però presenti e molto ben note a chi si occupa di questi temi:

  • La cultura organizzativa molto spesso rappresenta il vincolo principale: una mancata prontezza e corretta configurazione del cambiamento
  • Una mentalità troppo legata ad azioni tattiche e poco strategiche limitate nel tempo e non volte a un cambiamento organizzativo vero e proprio
  • Le barriere interne all’organizzazione e i silos di comunicazione tra i differenti dipartimenti
  • La mancanza di risorse
  • La mancata comprensione di quelli che sono gli obiettivi e i benefici (il ROI) delle iniziative

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Interessante notare come i dati d’oltreoceano confermano quelli della nostra Social Collaboration Survey dello scorso Novembre sul panorama italiano.
Temi come il cambio di cultura, lo sponsor dall’alto e il coinvolgimento dal basso, una strategia di introduzione ibrida, importanza del dato e della misurazione degli outcome, le risorse dedicate e staffate, sono cruciali per definire il successo delle iniziative e per decretare il cambiamento del modello verso uno di successo e non decretare il fallimento dell’impresa.

La strada è quindi molto ben tracciata e confermata non solo dai numeri di numerose ricerche e da esperienze progettuali ma anche da visioni strategiche molto ben definite che non lasciano molto spazio all’interpretazione ma che invitano a mettersi in gioco in prima persona e a fare.

Un report di Forbes in collaborazione con Ernst & Young analizza la dimensione sempre più preponderante che la customer experience sta assumendo nella definizione del business delle nostre organizzazioni.
Vediamo quali sono le informazioni principali che emergono dall’analisi del report.

  • il 69% dei Chief Marketing Officer intervistati crede che la customer experience sia di vitale importanza per riuscire a generare valore e profitti all’interno dell’azienda.
  • il 66% delle aziende ritiene anche che il ruolo del coordinamento interno (quindi sul versante della collaboration) sia di importanza altrettanto fondamentale per garantire il successo delle iniziative e per fare in modo di differenziarsi rispetto ai competitor, incrementando la qualità del servizio offerto.
  • E’ solo il 12% delle organizzazioni a utilizzare in modo efficace gli analytics e la business intelligence per orientare la strategia di marketing
  • Le organizzazioni maggiormente evolute e i best-in-class hanno capito che la sfida del futuro si gioca sulla definizione il più possibile perfetta dell’esperienza utente.
  • Più si è in grado di realizzare e disegnare esperienze integrate e significative e più si è efficaci sul mercato e in termini di generazione di valore.

The ultimate goal of marketing is to create a personalized experience and a relevant experience—that is kind of nirvana. As a brand, we need to demonstrate, even though we have tens of millions of visitors to our website, that we know them.

— ANN LEWNES, ADOBE

  • A sorpresa non sono poche le aziende che hanno compreso che non si può essere social a metà. In questo senso per molti  il Social Business è già una realtà affermata, la connessione tra processi di comunicazione, di marketing e di progettazione di ecosistemi esterni per i consumatori e la collaborazione all’interno dell’impresa sembra essere un punto di attenzione fondamentale.
    Le organizzazioni che performano meglio sono quelle che hanno capito l’importanza di lavorare su entrambi i versanti e vedono nella collaborazione interna all’impresa un sicuro driver per migliorare e catalizzare le possibilità di successo.

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  • Le sfide maggiori sembrano essere quelle che conosciamo molto bene: la barriera culturale, la mancata comprensione della priorità di queste iniziative e il ragionare ancora per silos. Per molti – ancora per troppi – le barriere di adozione con le quali ci si scontra e che impediscono il successo sono sempre le solite.
    Tanti ancora non sanno ragionare in modo integrato e i dipartimenti aziendali, le linee di business che dovrebbero partecipare alla tavola decisionale restano ancora ai margini. L’organizzazione ha ancora dei muri al suo interno che impediscono: socializzazione dei processi, circolazione della conoscenza e efficacia strategica in grado di portare risultati di business concreti e misurabili (ma anche apprezzabili). Abbattere queste barriere è – oggi più che mai – di fondamentale importanza per avere successo e riuscire dove molti hanno fallito o si sono – semplicemente – arenati.
  • Il tema della dimensione IT è ancora forte: non dobbiamo dimenticare l’IT che gioca un ruolo ancora chiave sia nel processo di adozione delle tecnologie e degli approcci digitali sia nel ruolo di ostacolo e di barriera nel momento in cui le cose vanno male.
    Si tratta di una leva molto importante che non va sottovalutata e deve essere sempre tenuta presente.

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  • Pochissime aziende stanno utilizzando il social listening e un approccio agli analytics intelligente. La enorme molte di informazioni in tempo reale che i digital media mettono a nostra disposizione è capitalizzata ancora da un numero troppo modesto di organizzazioni, solo in pochi ascoltano in modo attivo quello che fanno i consumatori e solo pochi utilizzano queste informazioni per essere efficaci sul mercato e per deliverare valore
    Sul tema date un’occhiata a questo video e provate a chiedervi: quante organizzazioni fanno quello che fanno loro?

  • Anche le aree di investimento dei CMO rappresentano un punto interessante sul quale riflettere. Le torte sotto-riportate mostrano molto bene quello che stiamo dicendo. Le strategie digitali di successo nel prossimo futuro saranno quelle in grado di integrare il più possibile i canali e gli ambienti digitali che un brand ha a disposizione nella realizzazione di una esperienza utente che sia davvero integrata e multicanale.

Schermata 2014-05-02 alle 23.27.15Cosa dovrebbero fare – dunque – le organizzazioni che intendono avere successo in questo settore e che hanno intenzione di fare del digitale la leva strategica per il successo nel breve e nel lungo periodo?

  • Partire dal social media listening. L’ascolto delle conversazioni e l’analisi dei comportamenti dei consumatori è il primo punto per l’impostazione di una strategia digitale integrata ed efficace che sia in grado di poggiarsi su solide basi.
  • Valorizzare il consumatore e dare ai clienti la possibilità di far sentire la propria voce e di partecipare attivamente alla generazione di valore del brand.
    Oggi i clienti e i consumatori sempre più digital e sempre più social, vogliono partecipare in modo attivo e creativo a tutte quelle che sono le iniziative e le attività del brand. E’ importante dar loro la possibilità di farlo.
  • La customer experience non è un percorso lineare ma un continuum, l’esperienza si realizza all’esterno dell’organizzazione così come anche all’interno dell’azienda. Chi l’ha capito e sta avendo successo ha digitalizzato completamente i processi.
  • Le organizzazioni devono abbattere le barriere interne e devono collaborare per avere successo.
  • Le strategie che hanno successo si poggiano su un’integrazione di strumenti e di approcci.
    Non più solo social o mobile, ma tutti i canali i touchpoint e le properties del brand si devono coordinare per muoversi in sincronia e raggiungere gli obiettivi strategici che si sono prefissati, con azioni tattiche anche diverse ma con la consapevolezza di dover realizzare un unico percorso utente.
  • Gli analytics giocheranno un ruolo sempre più fondamentale, le aziende dovranno in modo sempre più significativo darsi obiettivi e misurare. Il digital non è più moda o sperimentazione: servono obiettivi misurabili e tangibili che devono essere raggiunti attraverso precise roadmap di progetto.