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Da qualche tempo ho il piacere di collaborare con TAGInnovation School (https://innovationschool.talentgarden.org/) una delle realtà maggiormente significative e valide a livello italiano sulla formazione in ambito digitale.

TAG Innovation School non è solo un’eccezionale punto di ritrovo per la formazione digitale nel nostro paese, ma rappresenta un vero e proprio hub per la ricerca e la condivisione di informazioni che riguardano questo mondo.
E’ su questa scia che è stato recentemente pubblicato il primo rapporto sullo stato della Digital Transformation nelle PMI italiane (2017). Si tratta di una ricerca estremamente interessante che mette in luce in che modo i trend digitali stiano effettivamente modellando il mondo che ci circonda e il nostro modo di fare impresa in Italia. Molti sono i dati raccolti dalle oltre 500 aziende che sono state intervistate e ad emergere è un quadro di rilievo davvero interessante

Vi consiglio la lettura completa della ricerca, che potete scaricare gratuitamente qui. Cerchiamo però di vedere insieme quali siano i punti principali che sono emersi dall’indagine.

Le PMI italiane si trovano di fronte a un bivio fondamentale: continuare con le soluzioni che hanno funzionato fino a ieri in modo apparentemente efficace ma che rischiano di non sopravvivere alla trasformazione in atto, oppure abbracciare finalmente il cambiamento e permettere al proprio business di svilupparsi, evolversi e internazionalizzarsi con l’aiuto dell’innovazione digitale.

Per prima cosa l’impatto del digitale in Italia.

La digitalizzazione – nella percezione delle oltre 500 aziende intervistate – sembra essere un driver fondamentale di trasformazione per garantirsi: (1) aumento della produttività dell’impresa; (2) riduzione dei costi e (3) aumento del fatturato.

Un altro dato davvero interessante che emerge dall’analisi riguarda la definizione che le persone intervistate tendono a dare di “Digital Transformation” sembra chiaro a tutti (78%) che si tratta di un processo completo di ridefinizione dei modelli di business. Ancora una volta – casomai ce ne fosse ancora bisogno – si sottolinea quindi l’importanza che la trasformazione digitale sta avendo nella definizione di un modello di lavoro completamente nuovo e in soluzione di continuità con quanto è stato fatto (e visto) in passato. E’ un ripensamento totale dei modelli e delle strategie di lavoro che fino a qualche hanno fa hanno accompagnato il nostro modo di fare business.

A livello complessivo possiamo affermare che le aree di impatto della digitalizzazione sulle aziende italiane sono ancora in gran parte da esplorare e – solo in parte – hanno già capitalizzato i risultati di un cambiamento strutturale che questi modelli impongono. Più nel dettaglio:

  • Marketing: c’è ancora un accostamento del marketing a una dimensione troppo legata al mondo del web e al sito web in generale, quando sappiamo perfettamente che lo spazio di manovra in questo ambito è enorme. Non solo marketing comunque: chi segue questo blog sa che l’investimento sui processi esterni è sempre stato uno dei principali ma è anche richiesta – ormai – una presa di posizione seria che riguardi una completa trasformazione dei processi interni.
  • Vendite e customer care: il reparto commerciale e quello di assistenza clienti sono un nodo fondamentale. Negli ultimi anni non sono poche le aziende che si sono distinte per progetti di social CRM che hanno coinvolto proprio questo ambito di intervento. Le PMI italiane sono ancora indietro nell’integrazione via social media (solo il 25%) di questo tipo di servizi
  • Gestione delle risorse umane: nihil sub sole novi in questo settore. La digitalizzazione è ancora in stato embrionale e non è un caso che il 29% delle PMI non abbia introdotto nessun meccanismo di innovazione su questo versante dell’azienda. Per maggiori riferimenti su questo settore vi consiglio anche di dare un’occhiata ad un altro articolo scritto di recente che mostra come a livello globale il trend sia il medesimo: la funzione HR non è tra quelle maggiormente supportive dal punto di vista del cambiamento digitale.
  • Ciclo produttivo: nel 46% dei casi la digitalizzazione ha impattato il settore di Ricerca & Sviluppo. E’ solo nel 40% dei casi che ha raggiunto la produzione, altre aree di fase di creazione di un prodotto o di un servizio sono toccate solo a livello marginale. E’ in questa direzione che devono concentrarsi gli sforzi di evoluzione verso una maggiore socializzazione dei processi di business
  • IT e infrastrutture tecnologiche: la tendenza a sovrapporre questo dipartimento con l’intera trasformazione digitale è in parte confermata. Il 61% delle aziende utilizza tecnologie in cloud, il 43% ha implementato una intranet e oltre il 70% si appoggia a un server remoto.

Queste risposte mostrano una buona sensibilità da parte delle PMI rispetto ai temi della trasformazione digitale, dal momento che il ruolo del Digital Officer è quello di coordinare tutte le iniziative innovative in azienda e promuovere una cultura del cambiamento che tocchi gli aspetti strategici, organizzativi e umani.

 

Nulla racconta la situazione italiana meglio delle parole di Alessandro Rimassa (direttore e cofondatore della TAG Innovation School):

È opportuno sottolineare questo concetto per spiegare che la Digital Transformation è trasformazione a livello di modelli di business, di organizzazione e processi, di cultura, di modalità di produzione. La tecnologia abilita il cambiamento, ma il cambiamento non è tecnologia fine a se stessa e la Digital Transformation non coincide con il digital marketing, due concetti che a leggere i dati non sono ancora chiari. Sembrano dettagli, ma dare importanza alle parole è fondamentale per capire la portata della rivoluzione che stiamo vivendo: la necessità di cambiamento culturale, sottolineata dal 65% degli intervistati, è un buon punto di partenza (ma attenzione: un’azienda su tre non sente ancora il bisogno di uno shift che è invece urgente) e si somma alla necessità di assumere un Digital Officer, già percepita da un terzo delle aziende

La strada da fare quindi è ancora tanta, ma arrivano alcuni positivi segnali da parte di chi ha già iniziato con successo il percorso di trasformazione e di cambiamento verso il digitale. In questo senso, risulta importante confermare la direzione e lavorare maggiormente su una dimensione pervasiva di trasformazione digitale che riguardi a 360° i meccanismi che coinvolgono le imprese italiane, cambiare dal punto di vista della cultura, del marketing, dei processi interni e dei percorsi di carriera.

Un’azienda davvero digitale è un’azienda che è stata in grado di vincere inerzie e paure e ripensare completamente se stessa proiettandosi verso le sfide del prossimo – immediato – futuro.

L’ottima The Community Roundtable ha rilasciato – come ogni anno – il report dedicato allo stato del Community Management nel mondo. I dati aggiornati si riferiscono all’impatto e ai trend che governano le community di business sul mercato.

Chi segue questo blog da qualche tempo sicuramente si ricorderà delle riflessioni condivise negli anni precedenti sul medesimo tema (qui il post riferito all’anno scorso https://sociallearning.it/2014/05/09/lo-stato-del-community-management/) e l’importanza che le community hanno acquisito negli anni da un punto di vista del business e dell’operatività delle aziende. In un’ottica di sempre crescente prestigio e importanza le community rappresentano oggi uno dei nodi cruciali delle aziende e delle organizzazioni che si orientano attorno a criteri molto ben precisi di efficienza, agilità, trasparenza e collaborazione coinvolgendo in senso esteso tutti gli attori che partecipano alla creazione di valore all’interno di un’organizzazione: clienti, dipendenti, fornitori, partner…

Ma analizziamo con maggiore precisione i messaggi che emergono dal report che trovate nella sua versione completa qui:

Il report comincia con l’identificazione di alcuni punti chiave per comprendere il contesto nel quale ci muoviamo e sottolinea alcune importanti sfide per il mondo delle community al giorno d’oggi:

  • Una mancanza di strategia su come utilizzare, creare e comprendere appieno il ROI delle community, un tema molto delicato che è molto sentito specie nelle organizzazioni finanziare. Se i ritorni sull’investimento non sono ancora chiari, come possiamo pensare di realizzare correttamente una community? E come possiamo pensare che questa funzioni in modo corretto aiutandoci a raggiungere i nostri obiettivi professionali?
  • Una incapacità di allineare la strategia di alto livello con le azioni tattiche più modeste. Assistiamo a una totale divergenza tra le due: progetti collaborativi troppo “alti” e poco calati nella realtà dei fatti e progetti troppo concreti che perdono di vista una dimensione di trasformazione più strategica e profonda con impatti di maggiore profondità e importanza
  • Un enorme gap tra le elevatissime aspettative in termini di risultati che si attendono dalle community e gli investimenti che effettivamente vengono effettuati in questo senso. Il risultato è che molto spesso ci si trova di fronte a progetti che non sono in grado di rispondere efficacemente al modello proposto e che falliscono proprio per questo motivo
  • Elevate difficoltà anche nell’assunzione delle persone giuste per i ruoli più senior. Il tema delle competenze nelle community e dei ruoli specifici che ne fanno parte sono ancora qualcosa di molto “misterioso” e complesso da recuperare. L’esperienza di business connessa a questi ruoli necessità ancora di una crescita elevata per essere al pari con altri settori. Questa sfida rende estremamente difficile riconoscere i modelli e cambiare le attuali modalità di lavoro
  • Mancanza di coinvolgimento e di comprensione dei nuovi modelli di business da parte degli executive che faticano a calare a terra le logiche della collaboration e delle community

Queste sfide rappresentano dei punti saldi che devono essere gestiti in modo corretto. Come fare quindi? La ricerca di TCR suggerisce alcune aree di sviluppo da prendere in considerazione per raggiungere gli obiettivi di business che le community possono aiutarci a raggiungere.

  • Provvedere uno sviluppo professionale per i community manager e percorsi di carriera che consentano la crescita in questa direzione e permettano di lavorare in modo più efficiente ed efficace. I top player del settore in questo senso si sono già ampiamente mossi e hanno capito l’importanza di rafforzare le competenze dei team e di puntare sulle competenze che le persone hanno acquisito o su quelle che ancora devono sviluppare
  • Prevedere un corretto staffing delle risorse in modo da destinare il giusto tempo ai progetti di questo tipo senza che vengano sacrificati in nome di qualcosa di maggiormente importante
  • Investire nell’integrazione degli approcci di community e di collaboration con le funzioni esistenti del business in modo che i risultati non solo siano immediatamente tangibili ma anche che si comprenda meglio la modalità e la connessione con quelli che sono gli obiettivi principali dell’impresa e dell’organizzazione. Anche nella mia esperienza progettuale questo è l’unico modo per poter ottenere dei risultati significativi che consentano da un lato di far comprendere l’importanza del lavoro sulle community e dall’altro di cambiare in modo radicale l’organizzazione e il nostro modo di fare impresa
  • Ripensare la formazione: a livello complessivo è importante valorizzare il ruolo della formazione sia nel processo di onboarding di nuove risorse sia in quello di mantenimento di un alto livello di competenza esteso a tutta l’organizzazione. In questo senso la formazione rappresenta un importantissimo elemento ad alto valore aggiunto per permettere il sedimentare di competenze e la diffusione di un nuovo modello culturale all’interno dell’ecosistema azienda
  • Ripensare i sistemi di incentivazione e di riconoscimento. Non è pensabile gestire queste community e questi nuovi modelli di lavoro attraverso modalità e logiche antiquate. Le HR devono riconoscere e premiare comportamenti e modalità di lavoro nuove che consentano di valorizzare i contributi individuali all’interno della community e all’interno dei meccanismi e delle logiche di collaboration. I sistemi di riconoscimento in questo senso devono essere sia di natura formale sia di natura informale in modo da motivare al massimo le persone a dare il meglio e contribuire fattivamente alla relaizzazione della community e al raggiungimento degli obiettivi di business sia individuali sia di gruppo

The Community Roundtable propone poi un framework articolato che consente di posizionarsi a diversi livelli di maturità rispetto agli obiettivi identificati. Lavorare su questi livelli consente davvero di comprendere appieno la portata delle community e di effettuare un percorso di evoluzione complessivo che permetta di raggiungere gli obiettivi di business preposti

Community Roundtable model

Il lavoro di TCR rappresenta un prezioso punto di partenza per tutti coloro che intendono intraprendere un percorso di evoluzione verso nuovi modelli organizzativi o che si trovano in difficoltà nei confronti di un’adozione che non arriva e di risultati che non si riescono a ottenere.

La strada è tracciata, sta ai più coraggiosi e saggi intraprendere il percorso corretto e migliorare il modo di fare impresa di oggi

Qualche mese fa è uscito un report molto interessante del MIT Sloan in collaborazione con Deloitte University Press che analizza attorno a quali assett si muovano le organizzazioni realmente digitali.

Come facilmente intuibile il report (che trovate liberamente scaricabile a questo indirizzo: http://sloanreview.mit.edu/projects/strategy-drives-digital-transformation/) si concentra su una dimensione di cambiamento legata all’importanza che una corretta direzione di impostazione strategica è in grado di fornire. Per chi segue questo blog e per chi segue il cambiamento organizzativo da vicino non si tratta certo di una novità: la tecnologia – digitale e non –  ha da sempre rappresentato un fattore abilitante e mai il motore del cambiamento vero e proprio. Per cambiare concretamente le organizzazioni è necessario agire su altre leve, molto più delicate e complesse: nessuna trasformazione digitale è solamente tecnologica e i progetti che ci concentrano solo su questa dimensione sono destinati al fallimento immediato.

Come si legge anche nel report:

Digital strategy drives digital maturity. Only 15% of respondents from companies at the early stages of what we call digital maturity — an organization where digital has transformed processes, talent engagement and business models — say that their organizations have a clear and coherent digital strategy. Among the digitally maturing, more than 80% do.

Alcuni messaggi chiave che emergono nell’immediato:

  • Le organizzazioni maggiormente mature sono quelle che hanno una strategia ad ampio respiro che coinvolga tutta l’organizzazione e che sia in grado di massimizzare i risultati ottenibili. Il cambiamento non può essere imposto dall’alto, ma nemmeno organizzato solo dal basso
  • La forza della trasformazione digitale corretta risiede in una corretta definizione degli obiettivi e del punto d’arrivo. Come nel famoso adagio di Seneca: “non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare”
  • La trasformazione richiede competenze verticali che non è possibile delegare: è necessario mettere assieme il team corretto in grado di supportare l’organizzazione nel percorso di cambiamento
  • La digitalizzazione attira i talenti, i dipendenti intendono lavorare per i cosiddetti “digital leader” che ottengono punteggi più elevati all’interno dei desideri degli utenti
  • Assumersi rischi è diventata la cultura dominante all’interno delle migliori organizzazioni. I leader sono quelli che non hanno paura di sbagliare e che si muovono in contesti anche molto complessi senza volerne necessariamente mantenere il controllo
  • I leader sono sempre coinvolti in prima persona. Lo abbiamo visto e detto molte volte: senza un coinvolgimento della testa dell’organizzazione il cambiamento non può avvenire e nessuna trasformazione può essere efficace

La seguente figura mostra le barriere che le organizzazioni si trovano a dover affrontare a seconda del loro differente livello di maturità rispetto ai temi della digital transformation.

Barriers

Un altro dato interessante che emerge dall’analisi condotta  è – a mio avviso – quello che riguarda la differente penetrazione dei servizi digitali a seconda dei differenti settori di mercato. Non per tutti la trasformazione digitale sta avendo il medesimo impatto e non per tutti il cambiamento sta avvenendo con la medesima velocità.
Il digitale tocca comunque tutti i settori cambiandone le logiche di base e rendendo alcune organizzazioni più o meno restie ad accettare il processo di cambiamento

Levels

Un altro punto di fondamentale importanza è quello legato allo storytelling e al raccontare una storia, le aziende che stanno avendo il successo maggiore sono proprio quelle in grado di muoversi anche su questo versante coinvolgendo, in senso ampio, l’intera organizzazione nel processo di cambiamento e nel processo di trasformazione. Nessuno deve sentirsi escluso e il modo migliore per  raggiungere questo obiettivo sembra proprio essere quello di dare ai dipendenti una storia nella quale identificarsi.
Come si legge nel report:

In our interviews, we found that storytelling is becoming a popular means of gaining employee buy-in and organizational traction for digital transformation.
Disney is a prime example. To capture the hearts and minds of its employees, Disney carefully crafts internal messages so that they are highly relevant.
“We develop stories all day long at Disney,” says Disney senior vice president Milovich. “A great story is  a key element in getting funding for a pilot for our TV shows, and we apply this same storytelling capability to allocate capital for our employee digital initiatives.”

Il legame tra cultura e tecnologia è tutt’ora annoso e complesso. Da quello che emerge dall’analisi sembrerebbe chiaro il ruolo preponderante della prima sulla seconda e il fatto che senza una adeguata cultura di cambiamento non si possa effettivamente trasformare il mondo organizzativo nel quale si vive.

In ogni caso i leader della trasformazione digitale restano coloro che sono in grado di innovare e di trasformarsi su differenti livelli e differenti aspetti: barriere, strategia, cultura, sviluppo e gestione dei talenti, tecnologia, leadership…

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E’ uscito un recente articolo molto interessante di McKinsey che mette in luce alcuni dati e statistiche molto utili per comprendere l’impatto che la trasformazione digitale ha avuto sull’impresa di oggi. Si tratta di una rivoluzione che ormai da qualche anno ha cambiato il nostro modo di lavorare e di fare azienda. Una rivoluzione che ha impattato su differenti settori e che non è più reversibile.

Potete trovarlo qui nella sua versione completa: http://www.mckinsey.com/Insights/High_Tech_Telecoms_Internet/Transforming_the_business_through_social_tools?cid=other-eml-alt-mip-mck-oth-1501

L’articolo risulta interessante perché fornisce alcune metriche di livello sull’impatto all’interno delle organizzazioni di differenti industry. A distanza di qualche anno dall’introduzione del concetto di Enterprise 2.0 nelle organizzazioni è giunto il momento di tirare qualche somma sui risultati effettivi di questo cambiamento.

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Il primo dato che emerge dall’analisi è quello relativo all’impatto che le social technologies hanno avuto sull’impresa. I processi maggiormente toccati da questo tipo di trasformazione digitale sono – come ben sappiamo ormai – quelli relativi all’esterno dell’organizzazione: marketing, PR, gestione del cliente e via dicendo.
Interessanti impatti si notano anche sui processi interni maggiormente strutturati e maggiormente consolidati all’interno dell’organizzazione. Un trend interessante che comunque mostra alcune aree di miglioramento a segnalare che la social enterprise non è ancora un ambito completamente esplorato e applicato dalle aziende.

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Altri dati interessanti che emergono riguardano l’influenza che l’adozione ha sulle aziende. Le organizzazioni che sono state in grado di implementare in modo massivo le tecnologie digitali sono anche quelle che ne hanno riscontrato i maggiori benefici in termini di risultati ottenibili: come a dire che chi ci prova riesce effettivamente a raggiungere i risultati sperati.
Questo vale sia sui processi esterni sia su quelli interni: ad una maggiore adozione, sostenuta da chiare strategie di digital transformation, corrispondono anche effetti maggiori. Le strategie mal applicate – invece – portano spesso a risultati trascurabili e non sono in grado di impattare in modo significativo sui cambiamenti auspicati dall’azienda.

Chi è in grado di lavorare sull’esterno come anche sull’interno, al contrario, riesce a ottenere i migliori risultati possibili a testimonianza del fatto che il digitale non è un canale ma un nuovo modello di lavoro che ha effetto sull’intera organizzazione e non soltanto sui touchpoint che caratterizzano la strategia di comunicazione dell’azienda.

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L’evoluzione verso il social business è una strada concreta. Le organizzazioni che coinvolgono all’interno dei propri processi chiave non solo i consumatori, ma anche i clienti, i dipendenti e tutti i business partner e gli stakeholder che ruotano attorno all’azienda sono in grado di massimizzare ancora di più i risultati ottenibili allargando la catena del valore e contribuendo in maniera molto più efficace a raggiungere i risultati di business dell’organizzazione.

Come si legge:

On the other hand, the companies that do interact with business partners, suppliers, and experts through social technologies are seeing growing benefits. Just 41 percent of respondents say their companies interact with these groups at all through social technologies. But of those that do, 66 percent say their companies have benefited from increased speed to access knowledge, up from 53 percent last year.

Altro dato interessante che emerge dall’analisi è che l’attitudine verso il social continuerà a crescere nei prossimi anni e – di conseguenza – anche l’investimento in termini di risorse e tempo da dedicargli. 
Le organizzazioni che hanno visto negli ultimi anni / mesi i benefici ottenibili sono motivate ad amplificarli investendo sempre più budget all’interno dei canali digitali e rendendo il social una delle leve strategiche del prossimo, immediato, futuro.

Una rivoluzione – quindi – foraggiata e sostenuta anche dai numeri imponenti che è stata in grado di spostare negli ultimi anni. Ancora una volta: i risultati si hanno se si investe correttamente in risorse e modelli di successo.

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In conclusione l’articolo mette in luce molti dei benefici che i social media e le tecnologie digitali stanno portano all’interno dell’impresa. La strada é ormai spianata per le aziende che vogliono coglierla. Molte hanno già avviato il processo arrivando ai risultati che abbiamo visto: l’unico modo per arrivare a un risultato concreto e consolidato è quello di seguire una strategia seria e strutturata.

Di recente mi è capitato di interessarmi più da vicino a un trend che reputo molto interessante per le aziende di oggi e che promette di essere in forte crescita nei prossimi anni.

Le organizzazioni – oggi molto più che in passato – si trovano a gestire sfide sempre più complesse e sempre più articolate legate, tra i tanti motivi che si possono elencare, all’inadeguatezza degli strumenti che hanno a disposizione. Molta della crisi che stiamo vivendo – io credo – è figlia anche di questa inettitudine di fronte al cambiamento.

Cambia il contesto, cambia il mercato, cambiano le persone e i meccanismi di gestione della conoscenza: strategie di HR, di management (e di KM soprattutto) risultano non più all’altezza di questo mutato scenario.

Ma quali sono – dunque – le sfide che si pongono di fronte alle organizzazioni – più o meno complesse – di oggi?

La prima sfida è quella della conoscenza  

  • Le aziende hanno ottimizzato – negli ultimi 40 anni – soprattutto l’attitudine a eseguire lavori ripetitivi, prevedibili in maniera semplice e concettualmente leggeri. L’efficientamento delle pratiche si è svolto sopratutto a questo livello. Routine, processi strutturati, adozioni di schemi che rafforzano e perpetrano uno status quo.
  • Non siamo attrezzati e non siamo in grado di gestire la conoscenza.
  • Studi di McKinsey mostrano come la forza lavoro degli Stati Uniti sia per il 50% in mano ai knowledge workers
  • L’incapacità che abbiamo nel gestire e nell’organizzare la conoscenza informale genera grandi inefficienza e perdite (anche economiche) nelle organizzazioni. Sempre McKinsey sottolinea come dal 20 al 50% della collaboration all’interno delle aziende sia inutile, sprecata o non efficace.
  • La maggior parte di progetti di Social Business fallirà. Come riassunto molto bene in questo articolo: http://www.socialenterprise.it/index.php/2013/02/11/80_socialbusiness_fallira/ le sfide restano elevate e significative.

Non ultimo: lo scoglio culturale rappresenta un ostacolo spesso molto grosso (forse il più grosso) che le aziende – e i consulenti – si trovano a fronteggiare.

La seconda sfida è quella del cambiamento

  • Illustrato molto bene nel volume “The Power of Pull” di John Hagel le nostre organizzazioni sono strutturate per consolidare processi di cambiamento che sono più lenti della velocità in cui cambiano le condizioni di partenza e il sistema esterno all’organizzazione
  • Non siamo attrezzati per gestire le eccezioni ai processi. Tutto ciò che non è anticipatamente pianificato, processato, categorizzato rappresenta un rischio per le organizzazioni che si trovano, più che a cavalcare un’onda a tentare – ancora spesso e in molti casi – di arginarla.
  • L’evoluzione del mercato e l’affermazione di trend nuovi e di comportamenti innovativi (Social Customer – http://www.sociallearning.it/lo-scenario-del-retail-e-il-social-media-mark ) richiede l’evoluzione e il passaggio verso un’organizzazione pull, top-down, non gerarchizzata e in grado di far fronte alle esigenze nuove ogni qual volta esse si presentino
  • L’organizzazione deve diventare un’organizzazione resiliente ( http://www.amazon.com/Reorganize-Resilience-Putting-Customers-Business/dp/1422117219 ): in grado di apprendere in modo dinamico, di poter fare innovazione, di sfruttare l’intero ecosistema per poter massimizzare il valore (partner, dipendenti, stakeholder, clienti finali…) co-creato, mettendo al centro dei propri processi le persone: siano essi dipendenti interni all’azienda o clienti finali (esterni)

La terza sfida è quella legata alle persone

  • Le organizzazioni di oggi non sanno cosa motiva le persone: modelli basati su incentivi economici e MBO stanno rapidamente perdendo di significato e mostrando la loro inadeguatezza
  • Studi di Deloitte sottolineano come l’80% delle persone sul posto di lavoro non si senta motivato, ingaggiato e non stia attualmente partecipando alla missione dell’azienda. Lo studio sottolinea poi anche come molti di questi considerino il posto di lavoro come un riempimento della giornata, senza nessun tipo di fidelizzazione o di investimento di risorse che non siano quelle essenziali.
  • Ancora una volta: non si tratta di incentivi economici o di modelli di retribuzione ma piuttosto di organizzare le aziende in modo più aperto, collaborativo, efficace. In una parola: più a misura d’uomo. 
  • E’ chiaro che non stiamo solo facendo bei discorsi, ma la motivazione, il livello di coinvolgimento gioca risvolti pesanti anche in termini di efficacia aziendale, di utili e di capacità di attrarre e di trattenere talenti. Ma non solo: non sono poche le ricerche che dimostrano come a fronte di un maggiore coinvolgimento e una maggiore integrazione dei processi i primi benefici siano appunto quelli che arrivano all’azienda.

Qual è quindi la soluzione? Quale può essere la chiave di volta?

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Un report di Deloitte ( http://www.deloitte.com/assets/Dcom-SouthAfrica/Local%20Assets/Documents/the_digital_workplace.pdf ) sottolinea alcuni trend interessanti rispetto a questo tipo di argomento e propone l’evoluzione verso il Digital Workplace (niente di particolarmente innovativo, ma sicuramente qualcosa che merita una riflessione).

Di che cosa si tratta?

The digital workplace can best be considered the natural evolution of the workplace. Comprised of your employees technology working environment. The digital workplace encompasses all the technologies people use to get work done in today’s workplace – both the ones in operation and the ones yet to be implemented. It ranges from your HR applications and core business applications to email, instant messaging and enterprise social media tools and virtual meeting tools.

Ma in che modo ci può essere utile?

  • Migliorare la comunicazione interna e ridurre i costi
  • Supportare il talent management, la crescita e la cross-fertilization intern all’azienda
  • Supportare lo sviluppo di competenze organizzative
  • Supportare il decision making
  • Facilitare l’on-boarding e l’induction de
    i nuovi collaboratori
  • Avere maggiorai informazioni sul lavoro dei propri colleghi e su quello che accade all’interno dell’organizzazione (knowledge sharing)
  • Identificare Subject Matter Expert

E con quali strumenti?

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Ma non si tratta certo di uno scenario già maturo e strutturato, anzi è in continua definizione e ristrutturazione – come proprio di questo mondo.

Un recente e interessante post di Jane McConnell – esperta mondiale di Intranet 2.0 – evidenzia alcuni dei prossimi trend che si affermeranno nell’ambito del digital workplace ( http://www.netjmc.com/future-trends/digital-workplace-trends-2013-executive-summary/  ).

Nello specifico alcuni dei punti più interessanti:

  • Nel 2013 il mercato del mobile – anche rispetto a questo tema – sarà in forte evoluzione e impatterà anche questo tipo di settore. Le organizzazioni che si stano muovendo in questo seriore sono sempre di più.
  • L’adozione di tecnologie social all’interno delle imprese sta continuando ad aumentare ma il potenziale (come dimostrato anche dal recente report di McKinsey – http://www.sociallearning.it/il-valore-e-il-mercato-del-social-business ) è ancora non del tutto sbloccato. La strada da fare è ancora lunga e lo spazio per crescere ancora tanto.
  • Coordinazione, Governance e Strategie sono uno dei punti più deboli: più tecnologico il problema è culturale, gestionale e organizzativo: sono necessarie nuove logiche e nuovi approcci, ma non solo: il punto di vista tecnologico è solo uno degli aspetti da tenere in considerazione.
  • La resistenza al cambiamento è – altresì – uno degli ostacoli che impediscono maggiormente la capacità di innovazione delle aziende e la possibilità di adottare processi che migliorino le organizzazioni

E’ chiaro che non si tratta della soluzione al problema, ma – piuttosto – di parte della soluzione. Di un pezzo di strada che le aziende che vogliono cominciare a lavorare su questi temi devono fare per intraprendere la strada del cambiamento.

Strumenti come questi possono – infatti – essere dei catalizzatori molto potenti.

Quali consigli strategici quindi è necessario seguire per poter trarre il massimo da questo processo?

  • E’ necessario ripensare gli strumenti collaborativi all’interno delle organizzazioni in modo che le esigenze delle persone siano messe al centro del processo di cambiamento.
  • La tecnologia è un di cui: il cambiamento, l’investimento sulle persone, il ruolo della formazione – anche – devono essere prioritari rispetto alla scelta di una tecnologia
  • Perché il processo di cambiamento abbia successo è necessario coinvolgere tutti gli attori. Un’azione top down del management deve essere fatta ma il supporto non deve essere solo “di facciata”. L’intera azienda deve essere coinvolta. Dai massimi vertici (che devono sponsorizzare, sostenere e promuovere il processo) all’ultimo anello della catena che è altrettanto importate
  • Scalare: ragionare nel piccolo per poi muoversi sul grande. Progetti come questi devono essere testati, richiedono fasi di co-design, di pilot, di azioni puntuali e pianificate che coinvolgano piccoli gruppi di “champions” per poi estendere modelli all’intera organizzazione
  • Ascoltare, capire, provare: come in tutte le cose è sempre necessaria una costante valutazione di quello che accade per poter costantemente aggiustare il tiro, riformulare e rivedere. E’ l’unico modo per essere sicuri di limitare i danni in caso di problemi o di massimizzare il risultato in caso di azioni positive.
  • Lavorare sulla cultura e sul cambiamento: come abbiamo visto si tratta dello scoglio maggiore e più grande che richiede investimento e risorse per poter essere sormontato e per poter essere usato per poter cambiare le aziende. E’ impossibile che un progetto di trasformazione e di socializzazione dell’organizzazione abbia successo se non si lavora su questo livello
  • Infine – ma non meno importante – la connessione con precisi obiettivi organizzativi e di business. Senza connettere il processo di cambiamento e di trasformazione al cosa si vuole ottenere non ha senso nemmeno iniziare. Ogni strategia, social, digital, qualunque essa sia deve – necessariamente – per poter avere senso, essere connessa a obiettivi molto ben precisi.

Mi è capitato di recente di sfogliare il “Little Blue Book of Social Transformation” realizzato da Salesforce in collaborazione con Brian Solis e Altimiter – https://www.salesforce.com/form/pdf/social-enterprise-bluebook.jsp?d=70130000000sPz2. Il piccolo manuale – di taglio estremamente divulgativo – riassume sinteticamente alcuni principi (20) guida per un’organizzazione del futuro.

In questo post li riassumo e li commento inserendo anche riferimenti ulteriori per approfondire un discorso che mi è da tempo caro: quello legato al Social Business e a come questi strumenti modifichino le organizzazioni in cui ci muoviamo quotidianamente.

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1 – Definire una vision
In ogni progetto organizzativo che si rispetti, in ogni strategia, la definizione degli obiettivi di alto livello è sempre il primo punto. Ho compreso l’importanza dei social media all’interno dell’organizzazione? Ho capito che il Social Business può portarmi un reale vantaggio competitivo? In questo senso serve dunque dettare degli obiettivi, delle vision strategiche che siano in grado di orientare comportamenti, azioni e “tattiche” successive. Legato a questo concetto c’è anche il recente ottimo post di Jeremiah Owyang – http://www.web-strategist.com/blog/2013/01/14/the-difference-between-strategy-and-tactics/ in cui è presente una bellissima differenziazione tra strategia e tattica. In una frase?

The difference between strategy and tactics: strategy is done above the shoulders, tactics are done below the shoulders.

2 – Fissare degli obiettivi chiari
Esattamente come visto sopra nella citazione, una volta definita la meta da raggiungere è necessario stabilire una rotta da seguire. Sebbene il 70% delle aziende raggiungano o vogliano raggiungere obiettivi di business definiti, solo il 43% di queste ha formalizzato una roadmap adatta al raggiungimento di questi obiettivi. Partire dagli obiettivi di business di una azienda, da quello che è necessario è il primo step fondamentale per impostare una strategia di Social Business e di presenza digitale di un brand. 

3 – Dare uno scopo
Dare ai dipendenti, ai clienti qualcosa in cui credere. Una missione. Non è una questione di remunerazione o di crescita professionale, ma di uno scopo condiviso, della creazione di valore all’interno dell’ecosistema organizzativo. Tutto molto ben spiegato da Daniel Pink anche nel suo ultimo libro “Drive”, legato appunto alla scienza della motivazione: http://www.ted.com/talks/dan_pink_on_motivation.html

4 – Creare una Social Taskforce
Creare un team di persone che condividano quanto sopra, ma che siano anche competenti e in grado di definire una policy sui social media e un processo strutturato da seguire. E’ necessario che il team sia connesso all’organizzazione. Quando parliamo di una Social Taskforce non dobbiamo pensare a “social media freak” che seguano l’organizzazione dall’esterno e che si occupino solo dei canali social in maniera più o meno sporadica, ma piuttosto a professionisti inseriti nel conteso e ne tessuto aziendale che sono in grado di comunicare con i vari dipartimenti e senza distinzioni in business unti, silos e via dicendo…
Scopo di questa taskforce è fare in modo che le gli obiettivi di business siano collegati alla strategia e all’execution.

5 – Metti il consumatore al centro del tuo business
Il Social Customer, il consumatore che è molto più consapevole rispetto al passato del prodotto che sta acquistando o del servizio di cui sta usufruendo, che si fida molto di più dei propri pari rispetto a quello che dicono i brand, che tende a connettersi con utenti che gli somigliano all’interno di community (poco importa se del brand o spontanee) è un trend crescente.
Basti pensare che secondo un’indagine ClickFox il 97% dei consumatori si dice influenzata nei suoi comportamenti di acquisto da quello che dicono gli altri consumatori del prodotto. Per le organizzazioni diviene oggi molto più importante ascoltare i consumatori: il che non vuol dire essere accondiscendenti con tutti e accontentare ogni lamentela ma mettere i consumatori, i clienti, i dipendenti: le persone, in generale, al centro del proprio business.

6 – Utilizzare le informazioni sui nostri consumatori.
Le aziende devono capitalizzare quanto imparato, devono utilizzare le informazioni che hanno a disposizione sui consumatori per deliverare soluzioni sempre migliori. Nel giro di dieci anni le organizzazioni che si muoveranno in questo senso rappresenteranno l’80% del mercato.

7 – Impiegare le social technology come contesto per sviluppare i propri dipendenti
Una citazione molto bella di Ted Schadler recita:

“You must empower employees to solve the problems of empowered customers.”

Studi dimostrano che i dipendenti che usano e impiegano soluzioni di social software sul posto di lavoro sono in grado di aumentare la loro produttività fino al 50%

8 – Abbattere i Silos organizzativi
Quando si parla di social business si intende un’organizzazione più connessa, maggiormente collaborativa, in grado di rispondere in maniera molto più reattiva alle sfide proposte dal mercato.
Cio’ che è veramente importante comprendere è che – a fronte di cambiamenti nei confronti dei propri consumatori sull’esterno – devono corrispondere cambiamenti effettivi all’interno dell’organizzazione. I dipartimenti devono poter comunicare tra loro e diventare social significa – a conti fatti – abbattere le barriere all’interno dell’azienda.

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9 – Valorizzare i legami deboli
Grazie alle social tecnologies e agli strumenti digitali è possibile strutturare reti aziendali in grado di abilitare l’accesso a pratice, idee, risorse e competenze in maniera molto più dinamica e efficiente. Interessanti riflessioni possono essere fatte anche sul come circolano le informazioni in rete e come si muovono conoscenza e apprendimento organizzativo ( http://wearesocial.it/blog/2012/01/da-chi-lo-hai-saputo-circolano-le-informazioni-sui-social-network/ ).

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10 – Costruire uno spazio di lavoro orientato ai risultati
Motivare e costruire un ambiente di lavoro in cui vengono stabiliti social goal, in cui si fornisce un riconoscimento basato sul merito, in cui le persone sono in grado di lavorare in modo più efficace, più efficiente e con maggiore resilienza.

11- Socializzare tutti i processi di business.
Assumere un guru dei social media non è sufficiente per modificare l’intera azienda. Socializzare tutti i processi di business richiede una strategia precisa, una roadmap e l’investimento mirato di risorse, tempo e competenze. 
E’ possibile leggere qualcosa di più su questo punto facendo riferimento a questo articolo pubblicato su Harvard Business Review all’interno del Social Business Manifesto: http://socialbusinessmanifesto.com/social-business-process-reengineering/

12 – Tratta i tuoi prospect come partner di lunga data
Quando si parla di Social Business si intende un’organizzazione che abbia messo in atto determinate strategie e soluzioni atte a massimizzare il valore scambiato all’interno di tutto l’ecosistema aziendale: tra partner, fornitori clienti, dipendenti e via dicendo.
Il trattamento non deve quindi variare in funzione del nostro interlocutore.

13 – Creare “Fan for Life”: verso l’ingaggio continuo
L’ascolto non è più sufficiente
. Il monitoraggio costante delle conversazioni non può più essere l’unica strada che viene praticata dai brand. E’ necessario che l’ascolto delle conversazioni sul proprio brand e sulla propria industry non sia più solamente fine a se stesso ma sia intimamente connesso a una dimensione proattiva di coinvolgimento a una voglia di fare e di mettere in atto quello che i consumatori ci chiedono. In due parole? Social CRM!

14 – Sfruttare il potere della Crowd-Source innovation che deriva dalla tua Community
Investire all’interno delle community – mostra una ricerca IDC – ci permetterà di avere nel 2020 oltre il 75% delle idee necessarie a migliorare il nostro prodotto o il nostro servizio. I dipartimenti R&D dovranno rivedere le loro logiche top-down verso logiche più partecipative di collaborazione e di scambio botto-up, in cui dipendenti e consumatori finali contribuiscono a creare un servizio migliore. Un esempio su tutti? Il più noto e classico: la community My Starbucks Idea: http://mystarbucksidea.force.com/

15 – Muoversi alla velocità del mercato
Forse una delle sfide maggiori e più importanti rispetto a quello che stiamo dicendo. I consumatori si muovono a una velocità elevatissima ed è necessario fare altrettanto. Come scrive Dave Gray nel suo The Connected Company citando il CEO di GE: “If change is happening on the outside faster than on the inside the end is in sight” – Jack Welch.
Muoversi come una Social Enterprise significa anche capire e anticipare il cambiamento molto prima di tanti altri

16 – Creare un Social Listening Center
Anche in questo caso un ottimo esempio ci arriva dai casi come Gatorade e come Dell.

A cosa serve? A tenere insieme tutti i pezzi che abbiamo citato sopra, ma anche a molto di più. Un Listening Center deve rappresentare il punto di partenza per i brand e non un punto di arrivo. Ancora una volta l’ascolto attivo delle conversazioni non deve essere finalizzato solo alla percezione della propria brand reputation ma – piuttosto – legato alla pianificazione di un’intera strategia digitale di presenza sulla rete.

17 – Stabilire regole di coinvolgimento
Costruire una strategia di presenza digitale, una social media strategy, una social business roadmap. Applicare i concetti che abbiamo visto sulla propria azienda. Passare dall’ascolto alla reazione e – infine – al coinvolgimento proattivo. Essere trasparenti, ingaggiare in tempo reale le persone, dare feedback, risolvere i problemi dei consumatori, dei social customer.
Anche in questo senso quello che diciamo lo mostra molto bene una storia di successo come quella di Kimberly Clark.

18 – Costruire esperienze Social sempre nuove
Creare storie di successo, applicazione e progettare esperienze per i propri consumatori che siano sempre uniche che siano in grado di metterli al centro del nostro business.

19 – Allargare la propria rete di Evangelist
Un Social Business mette in prima linea ed espone i professional che lavorano all’interno di un’azienda da loro visibilità e massima vetrina. Secondo alcune ricerche di Erik Qualman il 90% dei consumatori si fida degli utenti conosciuti (dei cosiddetti influencer), il 70% si fida di quelli sconosciuti e l’8% – solamente – delle celebrità. Mettere al centro i propri dipendenti e i propri clienti maggiormente influenti e in vista significa dare spazio massimo alla creazione e all’incremento di valore. 

20 – Portare i prodotti all’interno della conversazione
Lo step finale e’ quello di portare i prodotti all’interno della conversazione e all’interno degli strumenti digitali. Prodotti e servizi, consapevoli di come i social media non rappresentino né la soluzione a tutti i nostri problemi, nè la bacchetta magica in grado di migliorare la nostra azienda, ma solo uno strumento. Un semplice catalizzatore che può aumentare in modo esponenziale la nostra capacità di fare business, di migliorare l’innovazione e il servizio al cliente. La nostra capacità – in sintesi – di diventare una Social Enterprise. Un’organizzazione che ha il suo centro nelle persone e nella generazione del valore scambiato. 

Quando nel 2012 abbiamo organizzato – assieme al team di OpenKnowledge ed Emanuele Quintarelli – il Social Business Forum: http://www.socialbusinessforum.com portando in Italia speaker internazionali ai massimi vertici su questi temi (John Hagel, Steve Denning, Ray Wang, solo per citarne alcuni) e attirato con un unico evento oltre 1200 persone nell’arco di due giorni realizzando il più grande evento sul Social Business in Europa, abbiamo voluto dargli un claim, una frase he racchiudesse il tema chiave delle due giornate, un fil rouge che tenesse insieme tutti i pezzi.

Abbiamo scelto di usare “From Social To Business”. 

In un recente mio articolo ho già sottolineato alcuni temi legati cambiamento della industry del Social Business e del Digital che in questi ultimi mesi hanno preso sempre più piede affermandosi in maniera consistente: http://www.sociallearning.it/dal-parlare-al-fare-il-social-in-azione

Un report di IBM intitolato proprio “The Business of Social Business” (maggiori informazioni qui: http://www-935.ibm.com/services/us/gbs/thoughtleadership/ibv-social-business.html ) parla proprio di questo: quale ROI dietro le iniziative di Social Business e di Digital Transformation? A cosa serve accumulare fan? Come posso applicare gli strumenti digitali all’ecosistema della mia azienda massimizzando il risultato prodotto dalla catena del valore? Come metto al centro le persone dei miei processi?

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Alcuni dati di contesto generale che vengono sottolineati dal report.

  • Un elevato numero di aziende dimostrano che gli investimenti nell’ambito del social business stanno crescendo e cresceranno ancora di più nei prossimi anni. Delle 1100 aziende intervistate nel report di IBM il 46% ha aumentato i propri investimenti nel ramo del social business nel 2012. Il 62% indica che farà crescere notevolmente questo investimento nell’arco dei prossimi tre anni. 
  • La maggior parte dell’investimento e delle azioni di Social Business e di applicazione delle Digital Technologies è ancora – purtroppo – legato ad azioni verso l’esterno dell’azienda. E’ – infatti – ben il 67% delle aziende che applica questi principi nell’ambito del marketing e nell’ambito del customer care: si passerà dal 38% di quest’anno al 54% dei prossimi due anni.
  • Stesso discorso per il settore delle vendite che salirà dal 46% di oggi al 60% nei prossimi due anni. 
  • A fronte di questi dati emerge un’altro aspetto assolutamente significativo: i 2/3 delle organizzazioni sono assolutamente impreparate a sostenere questo cambiamento dal punto di vita culturale e organizzativo

Creare esperienze di valore con (e tra) i consumatori
Ormai tutte le aziende hanno compreso l’importanza di interagire con clienti, consumatori e persone all’interno degli spazi social e dei canali informali presenti in rete. Il 60% delle aziende lo sta facendo e il 78% pensa di farlo nei prossimi due anni. Un numero sempre più consistente – il 55% – sta poi portando ad un altro livello questo tipo di interazione stimolando recensioni e revisioni di prodotti e servizi da parte dei consumatori.

La costruzione di community è poi un altro versante molto interessante: le community dei consumatori, per sempre un numero crescente di aziende, stanno diventando la parte integrante dei processi aziendali e organizzativi. Ma le semplici aperture di canali non servono a nulla: il meccanismo e i principi alla base del Social Business son più simili a un albero da coltivare che non a un interuttore acceso/spento.
Nel report vengono identificati 4 punti chiave attorno a cui le aziende devono lavorare:

  1. Un processo di governance molto ben definito che supervisioni le operation della community
  2. Il recruiting, training e lo sviluppo di figure professionali adeguate che si occupino di fare i community manager: come sappiamo una community senza community manager non ha senso né può esistere
  3. Lo sviluppo di una massa critica di partecipanti per fare in modo che il valore della community sia generabile, significativo e applicabile.
  4. L’abilità di reagire in retta alle sfide poste dai consumatori e dalle aziende nel momento in cui si presentano nuove opportunità di business, in una frase: fare in modo che queste community siano connesse alla dimensione organizzativa e non semplicemente fini a se stesse. 
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Migliorare l’efficacia, la produttività degli spazi di lavoro
Sebbene l’esterno dell’azienda sia la parte maggiormente stressata e maggiormente soggetta a sperimentazioni e a investimenti non dobbiamo dimenticare – come per altro già sottolineato in altri recenti articoli la parte all’interno dell’impresa che può sicuramente svilupparsi altrettanto bene.

Nel report si evidenziano tre modalità fondamentali di utilizzare il Social Business all’interno dell’organizzazione:

  • Aumentare la visibilità, la trasparenza e la condivisione di conoscenza
  • Trovare e costruire expertise
  • Collaborare con l’esterno dell’organizzazione
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Infine, viene sottolineata l’importanza degli strumenti social per migliorare la possibilità di fare innovazione partecipata e di offrire un vero servizio ai consumatori e ai clienti. In che modo ? Costruendo – per esempio – community dedicate all’innovazione a alla collaborazione tra consumatori, clienti e dipendenti.

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Ma come possono le aziende integrare il social all’interno delle loro organizzazioni?
In primo luogo l’analisi va fatta per capire in che modo sia possibile evolvere i processi interni già in atto attraverso il social.
In secondo luogo è necessario capire come gestire i rischi di un approccio che va in questa direzione.
In terzo luogo il change management rimane sicuramente un punto fondamentale da smarcare e sui cui riflettere moltissimo. Il Social Business, in questo senso, richiede l’applicazione dei classici principi del change management per fare in modo che possa avere significativi impatti sul modo di percepire l’organizzazione e su come si possono modificare e influenzare cultura e performance.

Tutto il resto altrimenti – come già sottolineato a più riprese e visto nei post precedenti – rimane solo una bella filosofia.

Il report conclude poi con alcuni suggerimenti che penso sia interessante riportare:

First, develop social methods and tools to create consistent and valued customer experiences. Ask yourself, “What approaches is my organization using to listen to and engage with customers?” Another question to ask: “How do my marketing, sales and customer service functions coordinate around social initiatives?”

Second, embed social capabilities to drive workforce produc- tivity and effectiveness. To help stimulate your thinking, consider, “What areas of opportunity exist within our organiza- tion to improve collaboration through social initiatives?” Also: “How could we use social approaches to better connect with key stakeholders outside the organization?”

Third, use social approaches to accelerate innovation. Consider, “How can improved generation of ideas have the most impact across our organization?” Ask: “How could we better involve individuals outside the organization in our innovation efforts?”