Archives For November 30, 1999

Chi segue questo spazio sa che, oltre al digitale, uno dei temi a me più cari è quello che riguarda i nuovi modelli di lavoro e le modalità attraverso le quali è possibile disegnare un’impresa differente, maggiormente collaborativa, resiliente e capace di adattarsi ai cambiamenti che il mercato impone.
L’anno 2020, con la pandemia da Covid-19, è stato – in questo senso – maestro e ci ha mostrato in modo evidente quanto inadatte e inefficaci fossero le nostre organizzazioni ad attraversare scenari inediti. Ha rappresentato, a conti fatti, anche un’importante occasione per riflettere sul futuro che vogliamo disegnare.

E’ per questo che il volume edito da Hoepli Milano e che ho scritto in questo periodo: Future of Work: le Persone al Centro, costruire il lavoro e la società del futuro rappresenta un punto saldo di partenza per tutti quei professionisti e per quelle imprese che intendano seriamente mettersi in discussione e prendere in mano la direzione dei propri modelli organizzativi.
Il libro offre casi, spunti, riflessioni teoriche ed esempi pratici attraverso i quali ripensare quello che facciamo quotidianamente.

Come scrive Jacob Morgan nella postfazione del volume:

Che cos’è il futuro del lavoro? 

Questa è una domanda che mi viene spesso posta durante le conferenze, gli eventi, e anche online, dalla mia community.
Nessuno può predire il futuro, ma la verità è che, questa, è una domanda sbagliata.
Chiedersi “che cosa è il futuro del lavoro” dimostra un atteggiamento passivo; assume che il futuro sia un qualcosa che accade e che non ci sia niente che possiamo fare per modificarlo. Tutto quello che è in nostro potere è attendere e subire l’impatto del cambiamento. È un’attitudine sbagliata verso il ciò che deve arrivare: non dobbiamo pensarlo in questo modo. Il futuro è qualcosa che immaginiamo, costruiamo e definiamo noi stessi, come protagonisti del cambiamento: dobbiamo cambiare il nostro punto di vista, dobbiamo riformulare la domanda. È tempo di chiedersi: “quale futuro del lavoro vuoi vedere realizzato?” e pensare a cosa puoi fare per vederlo accadere.
Cambiare il modo in cui pensiamo al futuro del lavoro ci mette al posto di guida e rende ognuno di noi un protagonista attivo della narrazione. 
Le persone che prenderanno posizione e si spenderanno in prima persona per il futuro del lavoro giocheranno un ruolo chiave nella trasformazione e nel cambiare il mondo in cui viviamo. 

Quindi domandiamoci: qual è il futuro del lavoro che vogliamo vedere realizzato? 

È ora di renderlo reale. 

Il libro vanta preziosi contributi da parte di esperti di settore e di personalità di spicco nel mondo del lavoro. Oltre a rendermi molto orgoglioso, sono convinto possano rappresentare una efficace bussola per navigare il futuro del lavoro e il mondo delle nostre organizzazioni.

Tra i principali contributi che troverete all’interno del volume:

  • Carlo Bozzoli, CIO di ENEL Group, che ha curato la prefazione del volume
  • Jacob Morgan, autore di best seller e speaker di fama internazionale, che ha curato la postfazione del volume
  • Carlo Chiattelli, economista e Associate Partner EY
  • Alessandro Antonini, Senior Manager di EY
  • Manuela Cantoia, Professore di Psicologia Generale presso l’Università eCampus
  • Andrea Gaggioli, Professore di Psicologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore
  • Cosimo Accoto, MIT research affiliate e autore di “il mondo ex machina” e “il mondo dato”
  • Luigi Centenaro, autore del Personal Branding Canvas, consulente e autore di diversi volumi sul tema del personal branding
  • Paolo De Caro, Senior Manager di EY e responsabile del centro di innovazione e sviluppo (Brain)

Il volume si articola in diversi capitoli che comprendono analisi specifiche, casi d’uso ed esempi pratici per comprendere in che modo il mondo del lavoro sia cambiato e si modificherà nel prossimo – immediato – futuro.

Di seguito l’elenco dei capitoli:

  • Capitolo 1 – Resilienza, trasformazione e il futuro del lavoro
  • Capitolo 2 – Casi d’uso, modalità di approccio e contesti operativi per il lavoro del futuro
  • Capitolo 3 – Errori e ostacoli che impediscono la trasformazione delle organizzazioni
  • Capitolo 4 – Una roadmap per costruire organizzazioni resilienti
  • Capitolo 5 – Progettare e costruire il Future of Work: creare esperienze trasformative e Positive Innovation Network
  • Capitolo 6 – Automazione e intelligenza artificiale nel futuro del lavoro
  • Capitolo 7 – Skill e competenze: il ruolo delle persone
  • Capitolo 8 – Verso un ripensamento dei modelli educativi e di formazione
  • Capitolo 9 – Purposeful Organization e il ruolo della leadership nella trasformazione
  • Capitolo 10 – Agile, Holacracy e nuovi modelli di organizzazione
  • Capitolo 11 – Costruire valore per l’intero ecosistema

Il mondo che costruiamo – e che costruiremo – passerà dalla nostra capacità di organizzarci secondo comunità e modelli relazionali.

Come si legge nel volume:

In un’analisi famosa relativa alla natura della comprensione scientifica dei fenomeni, il fisico quantistico Werner Heisenberg ha avuto occasione di sottolineare come capire significhi in un’ultima istanza saper individuare il legame che riconduce fenomeni diversi allo stesso insieme coerente. La vera comprensione della realtà sa superare la complessità superficiale dei fenomeni e mettere in evidenza la struttura coerente che sta dietro di essi. 

Il futuro della società e del senso delle organizzazioni e del lavoro di ognuno di noi passa per le parole, visionarie e illuminate di Adriano Olivetti, che nella sua azienda e il territorio del Canavese sono diventati poi laboratorio e ispirazione per molte realtà nel mondo.
È facile riconoscere nelle sue parole quei concetti propri di collaborazione, di innovazione partecipata, ma anche di smart cities, di green valley, di sostenibilità dell’innovazione e del modo di lavorare delle persone, dei digital district periferic, ma che sono poi centri di eccellenza della nuova e futura società dell’informazione. Scrive Olivetti: “Comunità, io nome lo dice, e il programma lo afferma, è un movimento che tende a unire, non a dividere, tende a collaborare, desiderare, insegnare, mira a costruire […].
Tecnica e cultura conducono verso il decentramento, verso la federazione di piccole città dalla vita intensa, ove sia armonia, pace, silenzio, lontano dallo stato attuale delle metropoli sovraffollate come dall’isolamento e dallo sgomento dell’uomo solo.”

Non vi resta che procurarvene una copia e poi proseguire la discussione su questo spazio o sui miei canali social: fatemi sapere cosa ne pensate!

Per chi volesse acquistarlo: https://amzn.to/3mlIfwO

Chi mi segue da un po’ di tempo – sia su questo blog sia altrove – sa bene che mi sono sempre occupato di trasformazione digitale, iniziando a lavorare nell’ambito nell’ormai lontano 2008.
In questi anni ho avuto il piacere di aiutare moltissime organizzazioni italiane e internazionali nell’evoluzione dei loro modelli di business e di lavoro verso scenari maggiormente partecipati, inclusivi, collaborativi, efficaci e – per l’appunto – digitali. In questo spazio, e su tanti altri canali, abbiamo avuto modo di riflettere come il digitale, e ormai lo sappiamo con certezza, sia molto più legato a una trasformazione di modelli culturali, di mindset e di pratiche organizzative che non una mera implementazione tecnologica di piattaforme (per quanto importante e non trascurabile).

Grazie alla collaborazione con Ninja Academy / Ninja Marketing nasce un volume che vuole tentare di essere una sintesi di tutto quanto appreso negli ultimi anni di lavoro. Un manuale per disegnare il futuro delle nostre imprese che sia sempre più abilitato da piattaforme e tecnologie collaborative.

Digital Transfomer – Stefano Besana

Nel corso dell’opera saranno – infatti – affrontati tutti i temi che riguardano l’evoluzione dei nostri modelli di lavoro, prendendo in esame in che modo marketing, innovazione, governance, processi interni, collaborazione, educazione si modificano e cambiano su sollecitazione delle innovazioni tecnologiche.

Al libro, per chi fosse interessato, è associato anche un corso che prevede diverse ore di lezione e molte esercitazioni che costituiscono un percorso di apprendimento davvero verticale sul tema. Per coloro che volessero approfondire i temi e avere una formazione completa sull’argomento è assolutamente consigliato.

Tornando ai temi del volume è bene sottolineare come quello dell’evoluzione tecnologica e digitale sia un tema rilevante ed è da considerarsi parte integrante del nostro mondo e del modo attraverso cui ci relazioniamo con le persone che ci circondano.

Come sostiene anche Fritjof Capra ne La scienza della Vita, parlando della tecnologia:

«Le sue origini risalgono ai primordi della specie umana, quando il linguaggio, la coscienza riflessiva e la capacità di fabbricare utensili (la prima forma di tecnologia) si evolsero assieme. Di conseguenza, alla prima specie umana, fu dato il nome di Homo Habilis, proprio a indicare la sua abilità nel fabbricare sofisticati utensili. La tecnologia è quindi una caratteristica essenziale della natura umana: nella sua storia è racchiuso l’intero cammino dell’evoluzione umana.»

Come anticipato, il libro si compone di diversi capitoli che analizzano, approfondendole, le diverse tematiche relative al mondo digitale e a come questo abbia profondamente modificato il nostro modo di fare innovazione, marketing e – in senso più allargato – impresa.

E’ al tempo stesso un saggio e un manuale che vuole, da un lato, analizzare i profondi cambiamenti che la nostra società ha vissuto nel corso degli ultimi anni e – dall’altro – fornire uno strumento utile per interpretare i fenomeni organizzativi e per indirizzare nuovi modelli di lavoro all’interno delle imprese.

Le sezioni del volume sono:

  • Capitolo 1 – Digital trends. Essere digitali oggi
  • Capitolo 2 – Digital operating model.
  • Capitolo 3 – Digital customer. Ascoltare, attrarre e gestire i clienti grazie al digitale
  • Capitolo 4 – Digital marketing. Comunicare in modo integrato e digitale
  • Capitolo 5 – Digital Governance. Processi, organizzazione e strumenti per rendere concreta la trasformazione
  • Capitolo 6 – Digital Collaboration: abilitare il cambiamento organizzativo
  • Capitolo 7 – Digital Training ed Education. Cambiare i modelli di formazione
  • Capitolo 8 – Digital Innovation: ripensare il modo di fare innovazione
  • Capitolo 9 – Digital Analytics e misurazione
  • Capitolo 10 – Digital Society. Quali evoluzioni e prospettive ci aspettano?

Che dire? Se siete interessati al tema non vi resta che procurarvene una copia e discuterne qui o altrove per darmi la vostra opinione. Mi trovate su tutti i social o nei commenti qui sotto!

Per chiudere con una citazione di Antoine de Saint-Exupéry, l’autore de Il Piccolo Principe:

«La tecnologia non tiene lontano l’uomo dai grandi problemi della natura, ma lo costringe a studiarli più approfonditamente».

Qui il link diretto di Amazon per l’acquisto: https://amzn.to/3gmeSqG

E’ recentemente uscito un nuovo approfondimento di Altimeter relativo allo stato dell’arte del mondo digitale. Il numero si concentra in particolar modo sulla creazione e sulla definizione dei principi guida che dovrebbero fornire il punto di partenza per una strategia digitale (qui trovate il report se siete interessati a una lettura completa – http://www2.prophet.com/crafting-a-digital-strategy)

Analizziamo i principali messaggi che emergono dal documento.

In primo luogo – e casomai ce ne fosse ancora bisogno – sono sottolineate le motivazioni che portano le aziende di tutto il mondo a intraprendere un serio cammino verso la trasformazione digitale. A conti fatti le ragioni sottese sono molto semplici e sono state evidenziate più volte in questa e in altre sedi: presenza sul mercato, necessità di incontrare le esigenze dei consumatori, definizione di nuovi modelli di business…
Siamo però arrivati al punto in cui le aziende si stanno diversificando tra coloro che impiegano i servizi digitali (e sono la maggior parte delle organizzazioni presenti ad oggi sul mercato) e coloro che sono effettivamente in grado di fare la differenza all’interno di questo tipo di servizi.

Detto in altri termini siamo giunti al bivio in cui il digitale diviene parte naturale e integrante della strategia di business dell’azienda o rimane semplicemente un canale da utilizzare per attività e iniziative generiche 

Altimiter mette subito in luce una distinzione con la quale personalmente non concordo moltissimo:

Digital Transformation:

The realignment of or new investment in technology, business models, and processes to more effectively compete in an everchanging digital economy.

Digital Strategy: 

A plan of action to achieve business objectives using digital technologies

Al di là delle definizioni e delle etichette di sorta ciò che mi sembra importante sottolineare è che – ad oggi – la trasformazione digitale deve riguardare tutti i processi e i meccanismi che contribuiscono alla stessa struttura dell’impresa. Senza un approccio complessivo, olistico e completo non è possibile ottenere nessun risultato.

All’interno del percorso di costruzione di una strategia digitale (che coinvolga sia l’interno sia l’esterno dell’impresa) le organizzazioni incontrano notevoli difficoltà e barriere che devono essere correttamente affrontate per poter avere successo.

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Cerchiamo di capire meglio quali sono queste barriere:

  • Allineamento: riguarda la capacità di agire come un unico organismo a livello organizzativo. Il digital deve essere considerato a livello cross dai diversi dipartimenti e dalle diverse service line dell’azienda consentendo al massimo il ritorno dei risultati per tutta l’organizzazione. Allineamento significa anche coinvolgimento esteso di tutta l’organizzazione dai livelli più alti di senior leadership e top management (senza i quali è impossibile cambiare le modalità di lavoro) e dei livelli “più bassi” dell’organizzazione che rappresentano di fatto gli utenti finali del processo di trasformazione aziendale
  • Competenze: il ruolo delle competenze è fondamentale. Nel mondo del digitale ci troviamo di fronte a clienti e consumatori che sono molto più rapidi, informati, veloci e – spesso – competenti di noi. L’unico modo per far fronte a queste nuove sfide e per insegnare all’organizzazione a muoversi di conseguenza è dotarsi di strumenti e di capacità nuove che sian in grado di rispondere alle sollecitazioni e alle sfide imposte dal mercato. Il ruolo della formazione e dell’educazione, in questo senso, risulta – ancora una volta – fondamentale.
  • Silos e barriere interne: le organizzazioni sono sempre state abituate a ragionare organizzandosi in compartimenti stagni. Questa logica oggi è assolutamente inadatta a gestire le eccezioni ai processi organizzativi che siamo chiamati a fronteggiare.

As Bennet Harvey, Director of U.S. West Coast Digital Strategy at Wipro Digital, told us, “Many companies are realizing that top-down
organizations can’t drive significant improvements in customer experience,” but then again, completely breaking silos — as Zappos attempted with its shift to a holocracy — isn’t easy either

  • Metriche: le aziende con cui mi confronto quotidianamente molto spesso non impiegano né sono consapevoli dell’importanza delle (ne ho parlato anche in un articolo per Centodieci qui – http://www.centodieci.it/2016/06/per-migliorare-il-business-con-il-digital-devi-puntare-sui-tuoi-dipendenti/). Molto spesso si “naviga” a vista, senza avere una chiara idea della direzione da intraprendere e dei modelli da seguire. Sono solo le aziende più mature a conoscere approfonditamente i modelli di valutazione e ad impiegare metriche che non si limitino a valutare solamente una dimensione di engagement (like, commenti, share…) ma che includano anche una dimensione maggiormente connessa al business e al fare impresa (efficienza, capacità di innovazione, vendite, miglioramento della soddisfazione interna…)
  • Risorse: anche il tema delle risorse è un tema molto molto delicato e richiede seri investimenti. Senza la presenza di agenti di cambiamento, community manager, strategist di livello che siano in grado di scaricare a terra il valore aggiunto di quanto il digitale è in grado di fare, le cose semplicemente… non funzionano!
  • Cultura: da Schein in poi le Culture d’Impresa hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nella definizione di un’organizzazione. L’unico modo per ottenere risultati significativi in termini di trasformazione digitale è cambiare il modus operandi e la cultura organizzativa evolvendola verso un modello completamente nuovo che sia in grado di imparare dalle lezioni del digitale
  • Governance e regolamentazione: è importante definire principi e linee guida che supportino i processi e i cambiamenti in atto. Anche in questo caso sono molto poche le aziende e le organizzazioni che si sono dotate negli anni di una governance e di policy adeguate all’uso dei media digitali. E’ un passaggio importante intimamente connesso con la struttura stessa del fare azienda

Oltre alle barriere Altimeter identifica una serie di principi da seguire per poter evolvere la propria situazione luno il continuum della trasformazione digitale.

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Un percorso tracciato quindi che le organizzazioni di tutto il mondo dovrebbero avere la forza di intraprendere in modo significativo per poter fare la differenza in termini di leadership digitale.

L’ottima The Community Roundtable ha rilasciato – come ogni anno – il report dedicato allo stato del Community Management nel mondo. I dati aggiornati si riferiscono all’impatto e ai trend che governano le community di business sul mercato.

Chi segue questo blog da qualche tempo sicuramente si ricorderà delle riflessioni condivise negli anni precedenti sul medesimo tema (qui il post riferito all’anno scorso https://sociallearning.it/2014/05/09/lo-stato-del-community-management/) e l’importanza che le community hanno acquisito negli anni da un punto di vista del business e dell’operatività delle aziende. In un’ottica di sempre crescente prestigio e importanza le community rappresentano oggi uno dei nodi cruciali delle aziende e delle organizzazioni che si orientano attorno a criteri molto ben precisi di efficienza, agilità, trasparenza e collaborazione coinvolgendo in senso esteso tutti gli attori che partecipano alla creazione di valore all’interno di un’organizzazione: clienti, dipendenti, fornitori, partner…

Ma analizziamo con maggiore precisione i messaggi che emergono dal report che trovate nella sua versione completa qui:

http://www.slideshare.net/rhappe/the-state-of-community-managerment-2015?ref=http://www.communityroundtable.com/research/

Il report comincia con l’identificazione di alcuni punti chiave per comprendere il contesto nel quale ci muoviamo e sottolinea alcune importanti sfide per il mondo delle community al giorno d’oggi:

  • Una mancanza di strategia su come utilizzare, creare e comprendere appieno il ROI delle community, un tema molto delicato che è molto sentito specie nelle organizzazioni finanziare. Se i ritorni sull’investimento non sono ancora chiari, come possiamo pensare di realizzare correttamente una community? E come possiamo pensare che questa funzioni in modo corretto aiutandoci a raggiungere i nostri obiettivi professionali?
  • Una incapacità di allineare la strategia di alto livello con le azioni tattiche più modeste. Assistiamo a una totale divergenza tra le due: progetti collaborativi troppo “alti” e poco calati nella realtà dei fatti e progetti troppo concreti che perdono di vista una dimensione di trasformazione più strategica e profonda con impatti di maggiore profondità e importanza
  • Un enorme gap tra le elevatissime aspettative in termini di risultati che si attendono dalle community e gli investimenti che effettivamente vengono effettuati in questo senso. Il risultato è che molto spesso ci si trova di fronte a progetti che non sono in grado di rispondere efficacemente al modello proposto e che falliscono proprio per questo motivo
  • Elevate difficoltà anche nell’assunzione delle persone giuste per i ruoli più senior. Il tema delle competenze nelle community e dei ruoli specifici che ne fanno parte sono ancora qualcosa di molto “misterioso” e complesso da recuperare. L’esperienza di business connessa a questi ruoli necessità ancora di una crescita elevata per essere al pari con altri settori. Questa sfida rende estremamente difficile riconoscere i modelli e cambiare le attuali modalità di lavoro
  • Mancanza di coinvolgimento e di comprensione dei nuovi modelli di business da parte degli executive che faticano a calare a terra le logiche della collaboration e delle community

Queste sfide rappresentano dei punti saldi che devono essere gestiti in modo corretto. Come fare quindi? La ricerca di TCR suggerisce alcune aree di sviluppo da prendere in considerazione per raggiungere gli obiettivi di business che le community possono aiutarci a raggiungere.

  • Provvedere uno sviluppo professionale per i community manager e percorsi di carriera che consentano la crescita in questa direzione e permettano di lavorare in modo più efficiente ed efficace. I top player del settore in questo senso si sono già ampiamente mossi e hanno capito l’importanza di rafforzare le competenze dei team e di puntare sulle competenze che le persone hanno acquisito o su quelle che ancora devono sviluppare
  • Prevedere un corretto staffing delle risorse in modo da destinare il giusto tempo ai progetti di questo tipo senza che vengano sacrificati in nome di qualcosa di maggiormente importante
  • Investire nell’integrazione degli approcci di community e di collaboration con le funzioni esistenti del business in modo che i risultati non solo siano immediatamente tangibili ma anche che si comprenda meglio la modalità e la connessione con quelli che sono gli obiettivi principali dell’impresa e dell’organizzazione. Anche nella mia esperienza progettuale questo è l’unico modo per poter ottenere dei risultati significativi che consentano da un lato di far comprendere l’importanza del lavoro sulle community e dall’altro di cambiare in modo radicale l’organizzazione e il nostro modo di fare impresa
  • Ripensare la formazione: a livello complessivo è importante valorizzare il ruolo della formazione sia nel processo di onboarding di nuove risorse sia in quello di mantenimento di un alto livello di competenza esteso a tutta l’organizzazione. In questo senso la formazione rappresenta un importantissimo elemento ad alto valore aggiunto per permettere il sedimentare di competenze e la diffusione di un nuovo modello culturale all’interno dell’ecosistema azienda
  • Ripensare i sistemi di incentivazione e di riconoscimento. Non è pensabile gestire queste community e questi nuovi modelli di lavoro attraverso modalità e logiche antiquate. Le HR devono riconoscere e premiare comportamenti e modalità di lavoro nuove che consentano di valorizzare i contributi individuali all’interno della community e all’interno dei meccanismi e delle logiche di collaboration. I sistemi di riconoscimento in questo senso devono essere sia di natura formale sia di natura informale in modo da motivare al massimo le persone a dare il meglio e contribuire fattivamente alla relaizzazione della community e al raggiungimento degli obiettivi di business sia individuali sia di gruppo

The Community Roundtable propone poi un framework articolato che consente di posizionarsi a diversi livelli di maturità rispetto agli obiettivi identificati. Lavorare su questi livelli consente davvero di comprendere appieno la portata delle community e di effettuare un percorso di evoluzione complessivo che permetta di raggiungere gli obiettivi di business preposti

Community Roundtable model

Il lavoro di TCR rappresenta un prezioso punto di partenza per tutti coloro che intendono intraprendere un percorso di evoluzione verso nuovi modelli organizzativi o che si trovano in difficoltà nei confronti di un’adozione che non arriva e di risultati che non si riescono a ottenere.

La strada è tracciata, sta ai più coraggiosi e saggi intraprendere il percorso corretto e migliorare il modo di fare impresa di oggi

PwC ha recentemente rilasciato una ricerca dedicata al Digital Retail e ai nuovi consumatori che stanno emergendo sul mercato italiano e internazionale (Qui trovate l’articolo di approfondimento di quella precedente – PwC Total Retail) che ormai giunge alla sua ottava edizione.

Anche quest’anno i risultati confermano un passaggio importante: il 60% degli italiani si può definire digitale, i social e digital media hanno un impatto ormai consistente sull’orientamento dei nostri comportamenti di acquisto e di consumo. Il dato conferma e accresce l’intuizione dell’anno precedente che vedeva il 50% dei consumatori influenzati dai media e dai canali online nella scelta e nei propri comportamenti di acquisto e di consumo.
Cerchiamo di riassumere i messaggi principali e i dati chiave che emergono dal report.

  • Il negozio acquista un nuovo un nuovo ruolo: ben lontano dall’essere un posto condannato al dimenticatoio, il negozio, lo store fisico rappresenta – per moltissimi consumatori italiani – ancora un luogo irrinunciabile per i propri acquisti. La ragione in questo senso va ricercata in motivazioni esperienziali: lo store fisico rappresenta – ancora oggi – il luogo migliore per entrare in contatto con l’esperienza (a 360°) che offre il brand. Il 70% dei consumatori globali ha cercato informazioni sui canali digitali, ma ha deciso di concludere l’acquisto in negozio.
    Lo schema riportato qui sotto mostra nel dettaglio il fenomeno di cui stiamo parlando con un focus verticale sul mercato italiano: nonostante il proliferare di canali digitali, il consumatore ritiene ancora che i canali fisici siano estremamente importanti nella relazione con il brand. Il trend apparente è che i negozi non verranno spazzati via ma resi sempre più digitali (in questo senso si veda l’esperienza di Burberry sulla digitalizzazione degli spazi fisici)

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  • Gli smartphone come fattore maggiormente influente. Tra tutte le possibilità offerte dal digitale, il ruolo degli smartphone sembra essere quello maggiormente incisivo nella definizione e nell’orientamento dei nostri comportamenti di acquisto. La penetrazione di questi device in Italia è cresciuta del 17% rispetto al 2013 e l’impatto è trasversale rispetto alle differenti fasi del processo di acquisto. I consumatori italiani (e globali) utilizzano – infatti – lo smartphone all’interno di differenti momenti della loro esperienza di contatto con il brand (in fase di prevendita, in fase di vendita e anche in fase di post vendita). Da non sottovalutare anche le esperienze e le strategia di marketing e di eLoyalty che passano dagli smartphone e che sono organizzate e gestite direttamente dai brand.
    Sebbene l’evoluzione non sia ancora velocissima in questo senso il trend è evidente e il processo inarrestabile: i brand maggiormente intelligenti dovranno saper sfruttare adeguatamente gli strumenti offerti dal digitale per evolvere i propri processi interni ed esterni di contatto con il consumatore.

La grande opportunità per gli operatori Retail & Consumer Goods è sfruttare il potere del mobile a proprio favore. Se oggi i consumatori lo usano come un semplice browser per ricercare informazioni su prodotto, negozio e brand… domani ha senso che diventi uno strumento intelligente, abile a consigliare cosa comprare, come farlo, e cosa i amici ne dicono sui social network.

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  • I social media influenzano in modo consistente gli acquisti. Per il 19% dei consumatori le interazioni sui social media hanno portato a un incremento significativo degli acquisti. Il 62% si è affidato ai consigli e alle discussioni emerse sui social media per orientare le proprie scelte di acquisto e di consumo. Per le aziende diventa significativo investire in modo sensato in questa direzione arrivando a fare – finalmente – il salto di livello necessario per capitalizzare il potere dei social, connettere, cioè, i social media a obiettivi dichiarati e concreti di business. 
    Impatti significativi e degni di nota si ritrovano anche in paesi emergenti dove molti consumatori sono altamente digitalizzati e molto più giovani: un trend che promette di crescere molto nei prossimi anni.
    Non solo giovani comunque, come mostra lo schema sotto riportato i social media hanno impatti differenti – come intuibile – a seconda delle età ma hanno comunque un impatto trasversale sulle differenti fasce anagrafiche coinvolgendo, in maniera interessante anche un pubblico di età maggiormente avanzata e meno avvezzo all’impiego di tecnologie digitali.

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  • Cambia il consumatore (a livello digitale e demografico): finalmente i digital natives. Ne abbiamo parlato moltissimo, spesso anche senza saperne moltissimo, ma finalmente siamo arrivati al momento della svolta. Le nuove generazioni (i cosiddetti “nativi digitali”) hanno maggiore confidenza con questi strumenti: il 38% di loro ha scoperto un marchio usando i social media contro il 26% dei digitalizzati. Il 66% è fortemente influenzato nell’acquisto dai social media. Anche in questo caso sebbene il fenomeno – al momento attuale – non sia ancora così diffuso e vasto, il futuro promette di essere sempre differente: parliamo di un trend irreversibile che vedrà entro il 2025% oltre il 20% della popolazione completamente digitalizzata

Accanto a questi 4 principali trend identificati dalla ricerca ci sono altri dati interessanti che emergono – in modo abbastanza significativo – dall’analisi.

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A far prediligere il canale online è – ancora una volta – un fattore di immediatezza e comodità assoluta per il consumatore e per il cliente. Si parla di acquisti 24/7, di facilità di accesso, di maggiore scelta e di possibilità di effettuare tutto senza muoversi da casa.

Concludendo credo che la ricerca mostri dati molto interessanti e ve ne consiglio l’approfondimento e la lettura completa. Per le aziende la strada è ormai delineata e i trend sono chiari. Oggi più che mai iniziare un percorso di digitalizzazione dell’impresa non appare più una scelta, ma un dovere necessario per rimanere sul mercato e instaurare relazioni significative con i consumatori.

E’ uscito di recente un nuovo report realizzato da Charlene Li e Ed Terpening di Altimiter (lo trovate qui se siete interessati a un approfondimento di dettaglio: http://pages.altimetergroup.com/social-business-governance-report.html?utm_source=carousel&utm_medium=website&utm_campaign=SBG).

Cerchiamo di analizzare insieme le dimensioni principali del loro lavoro e gli indicatori chiave che emergono dall’analisi svolta.

Il primo – estremamente significativo – dato che emerge è che sono ancora pochissime le organizzazione che hanno intrapreso una seria digital transformation guardando all’interno dell’organizzazione, sistematizzando processi, tecnologia e cultura, investendo più su una dimensione di gestione interna che non su una di tecnologia o comunicazione. L’attenzione è ancora troppo focalizzata su quello che accade all’esterno dell’impresa, quando sappiamo perfettamente che la sfida principale si gioca – oggi – al suo interno.
La mancanza di processi interni e di una corretta governance atta a gestire la trasformazione digitale si riflette in scarsi risultati ottenibili attraverso questi strumenti. L’ottenimento di migliorie e di efficientamento d’impresa è possibile – infatti – solo se utilizziamo correttamente le due dimensioni organizzative (interna vs. esterna) e lavoriamo in modo sinergico cambiando prima di tutto la cultura di chi lavora all’interno dell’azienda. 

E’ comunque un buon numero di aziende (il 53% come mostra il grafico qui sotto) ad avere – perlomeno sulla carta – un approccio sinergico che unisca una social business strategy con la propria governance.

Social media governance

Ma quali sono i driver che portano alla costruzione della corretta governance e alla realizzazione delle policy interne per la gestione e la realizzazione della trasformazione digitale?
Il grafico che viene riportato qui di seguito mostra gli aspetti chiave di questo approccio strategico.
Al primo posto la necessità di scalare e di scaricare a terra il valore aggiunto che i media digitali sono in grado di generare per l’impresa, l’attenzione al cliente da un lato (verso l’esterno con la customer experience) e l’attenzione al dipendente dall’altro (verso l’interno con l’empowerment degli employees).

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All’interno del report sono poi identificate le dimensioni chiave per realizzare una corretta governance dei social media all’interno dell’azienda.

  • Persone: la policy e la governance partono da qui, perché non è possibile rimpiazzare o rivedere i ruoli organizzativi senza passare dalle persone, il percorso di trasformazione deve partire da loro e essere funzionale alle loro necessità. A livello di dipartimenti coinvolti si tratta ancora di funzioni legate al mondo esterno dell’azienda, molto spesso nel marketing (25%), in un team dedicato e verticale sui social media (15%) o nelle PR/comunicazione esterna (10%).
    All’interno di questa dimensione è necessario definire al meglio alcuni punti: l’allineamento della leadership interna per generare sponsorship e committment dall’alto e da parte del top management; una partecipazione cross-funzione e cross-dipartimento per coinvolgere l’intera organizzazione; la definizione di ruoli precisi e compiti strutturati; delle metriche di misurazione dell’efficacia e del ritorno sui progetti; una mappa di progetto che evolva durante il tempo.
    Al centro della governance devono esserci le definizioni dei ruoli e delle responsabilità individuali sui singoli processi e task.
  • Policy: solo il 7% delle organizzazioni intervistate ha una policy onnicomprensiva in atto, il 60% delle organizzazioni ha socializzato le best practice e il 25% sta lavorando per farlo. Per svilupparla correttamente è necessario – anche in questo caso – tenere presenti alcuni aspetti fondamentali del processo di cogenerazione delle linee guida: definirla in modo corretto sulla cultura, le caratteristiche e i bisogni specifici dell’azienda; far lavorare le persone che contano e quelli che sono realmente motivati a vedere un cambiamento nell’organizzazione, valorizzare cioè quelli che davvero possono giocare un ruolo fondamentale; assicurarsi che si innesti all’interno del contesto aziendale in modo corretto e funzionale in allineamento alle altre policy dell’organizzazione e in sinergia con gli altri stream di processo; realizzarla in modo pragmatico in modo che generi davvero del valore e sia collegata ai flussi necessari al business.
  • Processi: pochissime aziende sono/sarebbero in grado di far fronte e di rispondere in modo corretto a una crisi, se le procedure e le policy rimangono su carta e non sono legate ai processi il senso del lavoro rimane poco e il valore che si riesce a generare è nullo.
  • Pratica: serve concretezza, si devono misurare i risultati e i bisogni dell’azienda e dell’organizzazione, partire dai problemi e lavorare per risolverli in modo efficace, in questo senso la strategia deve partire dai bisogni e dai problemi concreti ai quali l’azienda ha urgenza di rispondere.

La struttura organizzativa a supporto può essere di differenti tipologie, senza preferirne nessuna, il modello migliore è quello che viene generato e costruito in modo sartoriale sugli specifici bisogni dell’utente e sulle caratteristiche organizzative.

Social media governance 3

Esistono alcune best practice da seguire e errori da evitare per la realizzazione di una governance corretta:

  • Evolvere durante il tempo: non considerare questi modelli come qualcosa di scolpito nella pietra è funzionale al raggiungimento dei migliori risultati, muoversi in contesti fluidi richiede adattamento e costante miglioramento
  • Ricercare sponsor nei livelli alti che credano nel progetto e che lo supportino ai vertici dell’organizzazione
  • Assicurarsi che il progetto rispecchi le caratteristiche specifiche dell’organizzazione e sia in grado di mantenere intatte le specificità dell’azienda
  • Assemblare un team cross funzione e cross dipartimento che garantisca una visione a 360° su quello che stiamo facendo e su quello che è necessario fare. La contaminazione delle competenze è un’aspetto chiave
  • Evitare il coinvolgimento del solo team social e digital: la rivoluzione digitale e la trasformazione dell’azienda riguarda tutta l’organizzazione

La costruzione e l’implementazione di un progetto di questo tipo non è un interruttore che accendiamo e spegniamo in azienda e che fa automaticamente funzionare bene le cose.
Si tratta piuttosto di un percorso che deve essere costruito per gradi e per fasi specifiche.

Roadmap

Il report è di per sé interessante ma credo che faccia un po’ di confusione con i termini in gioco considerando la policy e la governance legata ai social media come un qualcosa dell’azienda per i dipendenti e per i clienti, dimenticando un po’ quello che è l’aspetto chiave della trasformazione digitale e dell’evoluzione verso un social business.

Parliamo – in questo senso – di un’organizzazione più matura, più attenta, più centrata sui bisogni delle persone, senza troppe distinzioni tra interno ed esterno dell’impresa; un’organizzazione in grado di generare valore per tutti coloro che ci lavorano e per tutti coloro che ci entrano in contatto.
“Trasformarsi digitalmente” vuol dire – prima di tutto – partire dalla cultura, dalle persone e dai loro desideri e dalle loro aspettative: senza questo tipo di riflessione le cose semplicemente non funzionano. Questi temi di importanza cruciale per l’azienda non sono sfiorati dal documento che – a mio modesto avviso – pecca un po’ di superficialità in questa direzione. Governance e Policy sono sicuramente aspetti chiave e fondamentali ma rappresentano azioni tattiche necessarie all’interno di un quadro di evoluzione strategica molto più ampio nel quale devono essere inserite.

Il cambiamento non si può imporre, va costruito in modo collaborativo e in modo sinergico con i protagonisti della storia che vogliamo raccontare. 

Di recente ho avuto l’occasione di leggere l’ultimo report di Altimiter dedicato all’evoluzione del Social Business.
Lo trovate a questo indirizzo: http://www.altimetergroup.com/research/reports/evolution-social-business

Partiamo dalle basi. La definizione che Altimiter da di Social Business è

The deep integration of social media and social methodologies into the organization to drive business impact.

In realtà questa definizione – senza voler essere pignoli sul focus meramente tecnologico che include (limitato in realtà rispetto ai risvolti e agli impatti che questo nuovo paradigma ha sulle organizzazioni e sui consumatori) – evidenzia uno dei primi problemi di molte social media strategy e di tanti dei progetti che negli ultimi anni sono stati fatti sui social media.
Quando si parla di social business e di digital transformation, il focus deve essere inevitabilmente connesso a obiettivi aziendali misurabili.

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Il report sottolinea bene alcuni problemi di coerenza e di capacità di scalare che molte aziende hanno incontrato nell’approcciarsi a questi strumenti, il mercato è cambiato: il tempo delle startup è finito. Più nello specifico:

  • Solo il 34% delle aziende ha la sensazione che la sua strategia sui social media sia connessa agli obiettivi di business
  • La maggior parte dei C-Level, dei Top-Manager non è coinvolta e non è consapevole di quello che avviene in azienda: manca committment dall’alto, uno degli aspetti fondamentali
  • Buona parte dei manager non è consapevole e non è adeguatamente formata rispetto a queste tecnologie. Molti di loro sono addirittura restii nell’uso e nell’impiego – anche a livello personale – delle social technologies.
  • Il 92% delle aziende ha almeno una risorsa dedicata ai social media nell’area Marketing/Comunicazione, mentre è meno del 20% la percentuale di aziende che ha destinato una risorsa di questo profilo su altre aree (Innovation, R&D, HR, IT…)
  • Gli effort che le aziende stanno facendo in questa direzione sono spesso non coordinati, frammentari, caotici e non riescono a far ottenere gli scopi preposti.
  • L’investimento in questo tipo di direzione è ancora molto limitato. Molto spesso non viene compresa la grande potenzialità di questi strumenti e – di conseguenza, come spesso accade – non sono considerate attività prioritarie da parte delle aziende.

Realizzare una Social Business Strategy
Come fare dunque per massimizzare il valore scambiato e co-costruito all’interno dell’ecosistema aziendale? Come fare per strutturare una social business strategy che sia davvero efficace e che trasformi davvero il nostro modo di fare – e di intendere – l’impresa?

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Altimiter identifica una roadmap evolutiva delle aziende e del processo che porta a divenire un Social Business a 360°.
Vengono enucleate 6 fasi fondamentali ognuna delle quali rispetta precisi principi e precise metriche di business.
Nel dettaglio:

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Step 1 – Listen to Learn
Comprendere il consumatore

  • Ascoltare ascoltare ascoltare: è il consumatore che ci dice chi siamo e – a volte – anche dove dobbiamo andare. 
  • Partire dall’ascolto attivo – come dimostrano i grandi casi storici (Dell, 2006) è uno degli assett principali per la costruzione di una seria strategia di presenza sui social media.
  • Non solo verso l’esterno: pilot, audit e processi di ascolto applicati all’interno delle imprese possono far comprendere appieno verso quale direzione andare. E – non di minore importanza – andare nella direzione di definire e individuare ambassador, influencer, e key-people all’interno dell’organizzazione.
  • L’approccio e l’attitudine verso l’ascolto devono guidare i processi strategici.

Step 2 – Presence: Stake Our Claim
Il secondo step da intraprendere è quello che vede il passaggio dal pensiero, dalla pianificazione all’azione: stabilire delle metriche connesse – ancora una volta  – agli obiettivi di business. La presenza social deve quindi essere sensata, non deve rappresentare un placeholder e deve essere strutturata secondo precise indicazioni e linee guida. La prima fase deve essere quella della strutturazione di una presenza seria. L’engagement è un passo sucessivo, curare la forma è – infatti – importante tanto quanto il contenuto.

Step 3 – Costruire l’engagement – Partecipare al dialogo
Il passo del coinvolgimento deve essere costruito con attenzione:

  • Partecipare alle conversazioni tra brand e utenti, facilitare, creare contesti abilitanti e community che consentano di costruire valore attorno al dialogo che i consumatori naturalmente fanno nascere
  • Evolvere il Customer Support in ottica di socializzazione dei processi (Social CRM)
  • Agire nel piccolo prima di scalare nel grande 

Strutturare un percorso, un processo significa procedere per piccoli passi e piccoli step. Non bisogna essere ossessionati – da subito – dal – ROI dei Social Media o dal ritorno degli investimenti, ma concentrarsi piuttosto sulla creazione e sullo scambio di valore all’interno dell’ecosistema aziendale.

Step 4 – Formalizzare: Organizzarsi per Scalare
Il passaggio successivo è quello di concentrare tutti gli sforzi in un’unica direzione e focalizzare ancora di più i propri obiettivi di business. Ma come mettere in pratica una serie strategia di Social Business e fare in modo che questa venga accolta all’interno dell’organizzazione?
Ecco alcuni punti chiave che vengono identificati:

  • Trovare un executive sponsor: coinvolgere i vertici dell’azienda, come dicevamo anche in apertura, è assolutamente fondamentale per il successo e la riuscita di questo tipo di azioni e di attività. Coinvolgere i C-Level e i top manager all’interno di questo processo consente di aumentare l’efficacia dei processi di digital transformation all’intero delle organizzazioni. 
  • Creare HUB, Champions e gruppi di ambassador: muoversi con l’ottica della rete coinvolgendo prima piccoli gruppi e poi ampliando sempre di più il contesto di execution.
  • Stabilire una governance: stabilire un piano di lavoro, delle regole e degli assett fondamentali attorno cui costruire l’intera strategia. I passi da intraprendere per la costruzione di una governance sono anch’essi ben dettagliati all’interno del report di Altimiter.
  • Formalizzare un nuovo modello di organizzazione.
  • Stabilire ruoli, processi, azioni e ownership precise per i task.

Step 5 – Diventare un Social Business
Socializzare tutti i processi di Business e arrivare ad essere una social enterprise significa estendere questi concetti a tutte le aree aziendali. Come riportato in questo schema il valore che è possibile generare è parecchio: dall’HR all’innovation, dal marketing alla comunicazione interna, dalla collaborazione dei dipendenti all’IT.

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Step 6 – Business is Social
L’ultimo step a cui tendere è quello che consente di andare nella direzione di un approccio olistico che consenta la socializzazione dell’intera azienda, processi in cui social e digital siano integrati all’interno di un unico sistema con lo scopo preciso di migliorare il modo di fare organizzazione.
E’, pertanto, ridefinire interamente l’azienda e la sua vision per ri-orientarla nei confronti del nuovo paradigma.
In questo senso per raggiungere e massimizzare l’efficacia di un processo di questo tipo è necessario avere una visione di lungo termine e insistere sugli obiettivi di business. Una parentesi (finale) importante è opportuna anche sulla tecnologia. Il discorso sulla tecnologia deve partire dalla riflessione che essa rappresenti un di cui e che sia da collegare – in primo luogo – agli obiettivi di business e a ciò che si vuole ottenere.