Archives For November 30, 1999

PwC ha recentemente rilasciato una ricerca dedicata al Digital Retail e ai nuovi consumatori che stanno emergendo sul mercato italiano e internazionale (Qui trovate l’articolo di approfondimento di quella precedente – PwC Total Retail) che ormai giunge alla sua ottava edizione.

Anche quest’anno i risultati confermano un passaggio importante: il 60% degli italiani si può definire digitale, i social e digital media hanno un impatto ormai consistente sull’orientamento dei nostri comportamenti di acquisto e di consumo. Il dato conferma e accresce l’intuizione dell’anno precedente che vedeva il 50% dei consumatori influenzati dai media e dai canali online nella scelta e nei propri comportamenti di acquisto e di consumo.
Cerchiamo di riassumere i messaggi principali e i dati chiave che emergono dal report.

  • Il negozio acquista un nuovo un nuovo ruolo: ben lontano dall’essere un posto condannato al dimenticatoio, il negozio, lo store fisico rappresenta – per moltissimi consumatori italiani – ancora un luogo irrinunciabile per i propri acquisti. La ragione in questo senso va ricercata in motivazioni esperienziali: lo store fisico rappresenta – ancora oggi – il luogo migliore per entrare in contatto con l’esperienza (a 360°) che offre il brand. Il 70% dei consumatori globali ha cercato informazioni sui canali digitali, ma ha deciso di concludere l’acquisto in negozio.
    Lo schema riportato qui sotto mostra nel dettaglio il fenomeno di cui stiamo parlando con un focus verticale sul mercato italiano: nonostante il proliferare di canali digitali, il consumatore ritiene ancora che i canali fisici siano estremamente importanti nella relazione con il brand. Il trend apparente è che i negozi non verranno spazzati via ma resi sempre più digitali (in questo senso si veda l’esperienza di Burberry sulla digitalizzazione degli spazi fisici)

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  • Gli smartphone come fattore maggiormente influente. Tra tutte le possibilità offerte dal digitale, il ruolo degli smartphone sembra essere quello maggiormente incisivo nella definizione e nell’orientamento dei nostri comportamenti di acquisto. La penetrazione di questi device in Italia è cresciuta del 17% rispetto al 2013 e l’impatto è trasversale rispetto alle differenti fasi del processo di acquisto. I consumatori italiani (e globali) utilizzano – infatti – lo smartphone all’interno di differenti momenti della loro esperienza di contatto con il brand (in fase di prevendita, in fase di vendita e anche in fase di post vendita). Da non sottovalutare anche le esperienze e le strategia di marketing e di eLoyalty che passano dagli smartphone e che sono organizzate e gestite direttamente dai brand.
    Sebbene l’evoluzione non sia ancora velocissima in questo senso il trend è evidente e il processo inarrestabile: i brand maggiormente intelligenti dovranno saper sfruttare adeguatamente gli strumenti offerti dal digitale per evolvere i propri processi interni ed esterni di contatto con il consumatore.

La grande opportunità per gli operatori Retail & Consumer Goods è sfruttare il potere del mobile a proprio favore. Se oggi i consumatori lo usano come un semplice browser per ricercare informazioni su prodotto, negozio e brand… domani ha senso che diventi uno strumento intelligente, abile a consigliare cosa comprare, come farlo, e cosa i amici ne dicono sui social network.

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  • I social media influenzano in modo consistente gli acquisti. Per il 19% dei consumatori le interazioni sui social media hanno portato a un incremento significativo degli acquisti. Il 62% si è affidato ai consigli e alle discussioni emerse sui social media per orientare le proprie scelte di acquisto e di consumo. Per le aziende diventa significativo investire in modo sensato in questa direzione arrivando a fare – finalmente – il salto di livello necessario per capitalizzare il potere dei social, connettere, cioè, i social media a obiettivi dichiarati e concreti di business. 
    Impatti significativi e degni di nota si ritrovano anche in paesi emergenti dove molti consumatori sono altamente digitalizzati e molto più giovani: un trend che promette di crescere molto nei prossimi anni.
    Non solo giovani comunque, come mostra lo schema sotto riportato i social media hanno impatti differenti – come intuibile – a seconda delle età ma hanno comunque un impatto trasversale sulle differenti fasce anagrafiche coinvolgendo, in maniera interessante anche un pubblico di età maggiormente avanzata e meno avvezzo all’impiego di tecnologie digitali.

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  • Cambia il consumatore (a livello digitale e demografico): finalmente i digital natives. Ne abbiamo parlato moltissimo, spesso anche senza saperne moltissimo, ma finalmente siamo arrivati al momento della svolta. Le nuove generazioni (i cosiddetti “nativi digitali”) hanno maggiore confidenza con questi strumenti: il 38% di loro ha scoperto un marchio usando i social media contro il 26% dei digitalizzati. Il 66% è fortemente influenzato nell’acquisto dai social media. Anche in questo caso sebbene il fenomeno – al momento attuale – non sia ancora così diffuso e vasto, il futuro promette di essere sempre differente: parliamo di un trend irreversibile che vedrà entro il 2025% oltre il 20% della popolazione completamente digitalizzata

Accanto a questi 4 principali trend identificati dalla ricerca ci sono altri dati interessanti che emergono – in modo abbastanza significativo – dall’analisi.

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A far prediligere il canale online è – ancora una volta – un fattore di immediatezza e comodità assoluta per il consumatore e per il cliente. Si parla di acquisti 24/7, di facilità di accesso, di maggiore scelta e di possibilità di effettuare tutto senza muoversi da casa.

Concludendo credo che la ricerca mostri dati molto interessanti e ve ne consiglio l’approfondimento e la lettura completa. Per le aziende la strada è ormai delineata e i trend sono chiari. Oggi più che mai iniziare un percorso di digitalizzazione dell’impresa non appare più una scelta, ma un dovere necessario per rimanere sul mercato e instaurare relazioni significative con i consumatori.

E’ uscito un recente articolo molto interessante di McKinsey che mette in luce alcuni dati e statistiche molto utili per comprendere l’impatto che la trasformazione digitale ha avuto sull’impresa di oggi. Si tratta di una rivoluzione che ormai da qualche anno ha cambiato il nostro modo di lavorare e di fare azienda. Una rivoluzione che ha impattato su differenti settori e che non è più reversibile.

Potete trovarlo qui nella sua versione completa: http://www.mckinsey.com/Insights/High_Tech_Telecoms_Internet/Transforming_the_business_through_social_tools?cid=other-eml-alt-mip-mck-oth-1501

L’articolo risulta interessante perché fornisce alcune metriche di livello sull’impatto all’interno delle organizzazioni di differenti industry. A distanza di qualche anno dall’introduzione del concetto di Enterprise 2.0 nelle organizzazioni è giunto il momento di tirare qualche somma sui risultati effettivi di questo cambiamento.

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Il primo dato che emerge dall’analisi è quello relativo all’impatto che le social technologies hanno avuto sull’impresa. I processi maggiormente toccati da questo tipo di trasformazione digitale sono – come ben sappiamo ormai – quelli relativi all’esterno dell’organizzazione: marketing, PR, gestione del cliente e via dicendo.
Interessanti impatti si notano anche sui processi interni maggiormente strutturati e maggiormente consolidati all’interno dell’organizzazione. Un trend interessante che comunque mostra alcune aree di miglioramento a segnalare che la social enterprise non è ancora un ambito completamente esplorato e applicato dalle aziende.

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Altri dati interessanti che emergono riguardano l’influenza che l’adozione ha sulle aziende. Le organizzazioni che sono state in grado di implementare in modo massivo le tecnologie digitali sono anche quelle che ne hanno riscontrato i maggiori benefici in termini di risultati ottenibili: come a dire che chi ci prova riesce effettivamente a raggiungere i risultati sperati.
Questo vale sia sui processi esterni sia su quelli interni: ad una maggiore adozione, sostenuta da chiare strategie di digital transformation, corrispondono anche effetti maggiori. Le strategie mal applicate – invece – portano spesso a risultati trascurabili e non sono in grado di impattare in modo significativo sui cambiamenti auspicati dall’azienda.

Chi è in grado di lavorare sull’esterno come anche sull’interno, al contrario, riesce a ottenere i migliori risultati possibili a testimonianza del fatto che il digitale non è un canale ma un nuovo modello di lavoro che ha effetto sull’intera organizzazione e non soltanto sui touchpoint che caratterizzano la strategia di comunicazione dell’azienda.

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L’evoluzione verso il social business è una strada concreta. Le organizzazioni che coinvolgono all’interno dei propri processi chiave non solo i consumatori, ma anche i clienti, i dipendenti e tutti i business partner e gli stakeholder che ruotano attorno all’azienda sono in grado di massimizzare ancora di più i risultati ottenibili allargando la catena del valore e contribuendo in maniera molto più efficace a raggiungere i risultati di business dell’organizzazione.

Come si legge:

On the other hand, the companies that do interact with business partners, suppliers, and experts through social technologies are seeing growing benefits. Just 41 percent of respondents say their companies interact with these groups at all through social technologies. But of those that do, 66 percent say their companies have benefited from increased speed to access knowledge, up from 53 percent last year.

Altro dato interessante che emerge dall’analisi è che l’attitudine verso il social continuerà a crescere nei prossimi anni e – di conseguenza – anche l’investimento in termini di risorse e tempo da dedicargli. 
Le organizzazioni che hanno visto negli ultimi anni / mesi i benefici ottenibili sono motivate ad amplificarli investendo sempre più budget all’interno dei canali digitali e rendendo il social una delle leve strategiche del prossimo, immediato, futuro.

Una rivoluzione – quindi – foraggiata e sostenuta anche dai numeri imponenti che è stata in grado di spostare negli ultimi anni. Ancora una volta: i risultati si hanno se si investe correttamente in risorse e modelli di successo.

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In conclusione l’articolo mette in luce molti dei benefici che i social media e le tecnologie digitali stanno portano all’interno dell’impresa. La strada é ormai spianata per le aziende che vogliono coglierla. Molte hanno già avviato il processo arrivando ai risultati che abbiamo visto: l’unico modo per arrivare a un risultato concreto e consolidato è quello di seguire una strategia seria e strutturata.

Negli ultimi due anni (da quando ho avviato questo blog) mi sono occupato di seguire da vicino i fenomeni del Social Business e di provare a riflettere criticamente su ciò che sta alla base di questo fenomeno tanto importante.
In questo tempo molte sono state le evoluzioni e i progressi che sono stati fatti, non solo dal punto di vista tecnologico ma anche – e soprattutto – da quello sociale e culturale.

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In questa sede vorrei mostrarvi alcuni casi di successo internazionale che sono stati presentati da Salesforce e dalla collaborazione di questo software con alcuni dei più grandi brand a livello mondiale.
Brand che – molto più di altri – hanno saputo mettersi in gioco e provare a scommettere – con successo – sulle logiche e sui paradigmi del social evolvendo la loro organizzazione verso modelli più efficaci, più resilienti e maggiormente in grado di rispondere alle sfide e alle sollecitazioni che il mercato propone (oggi più che mai).

La prima di queste storie è quella di Burberry.

 

Come spiega la CEO Angela Arendth la missione di Burberry è stata quella di creare una social enteprise di essere completamente connessi con clienti, consumatori, partner e più in generale – come ci insegna il Social Business – con l’intero ecosistema aziendale esteso.
Credo che sia molto interessante analizzare questa storia. Un brand come Burberry – apparentemente e superficialmente – non dovrebbe avere la necessità di evolversi verso questo tipo di scenari e, invece, quello che sottolinea la Arendth in questo video è proprio la necessità di evolvere verso un social business per non essere in crisi, per riuscire a sopravvivere sul medio e sul lungo termine. Non si tratta più ormai di una scelta ma di una strada da intraprendere con forza e decisione.

La seconda storia è quella di HP. 

Come si vede dal video le barriere e i silos tradizionali sono stati abbattuti. Per poter rispondere al Social Customer, alle mutate necessità del mercato è stato necessario rivedere i processi interni per essere in grado di rispondere in modo più efficace a quello che i consumatori stavano chiedendo.
In questo senso credo che siano molto interessante la riflessioni sullo spirito del garage e su come sia stato possibile mantenere l’attitudine al problem solving e alla creatività pur con l’aumento delle dimensioni della società.

La terza storia è quella di CommBank

Ciò che è veramente importante cogliere in questa storia è il processo di ascolto e di Social CRM. L’ascolto delle conversazioni dei clienti come assett fondamentale da considerare per proporsi sul mercato oggi. Assistenza, Customer Care ma anche Servizio al Cliente possono essere enormemente arricchiti dall’ascolto delle conversazioni e dall’apertura di un canale di dialogo trasparente e sociale con i propri consumatori.

La quarta storia è quella di Kimberly Clarck

Anche in questo caso si parla di ascolto attivo e del processo di monitoraggio delle conversazioni dei clienti e dei consumatori come uno dei punti fondamentali per evolvere verso il business del futuro.
In questo senso il video con l’intervista al CEO mette ben in evidenza uno dei punti fondamentali (anche se non chiaramente l’unico) del monitoring e dell’ascolto delle conversazioni, quello legato alla ricerca di qualità e alla ricerca di mercato.
Le vecchie e complesse ricerche che un tempo erano demandate ai focus group o a sedute in presenza oggi possono essere facilmente evolute verso approcci di questo tipo.
Mai come oggi avere il polso della situazione sul proprio prodotto è stato così semplice e al tempo stesso così conversaizoni statisticamente significativo.
Le conversazioni in rete per i brand di tutto il mondo rappresentano la vera sostanza che li compone. E tracciare queste conversazioni è utile non solo per capire in che modo siamo visti dai nostri stessi clienti ma anche versi quali strade strade possiamo evolvere per andare nella direzione condivisa. Questo significa trasformarsi in un social business, in una social enterprise. Mettere al centro del business la massimizzazione del valore scambiato all’interno di tutto l’ecosistema aziendale, che si parli degli stakeholder o degli utenti finali.

La quinta storia è quella di NBC

La cosa interessante che sottolinea questa storia di successo è la possibilità di intendere i social media non solo verso l’esterno dell’impresa. Ma anche e soprattutto come mezzi di collaborazione per rafforzare l’efficienza e l’efficacia dei processi interni e del modus operandi di un’organizzazione.

La sesta storia è quella di O2

Anche in questo caso a emergere veramente è l’integrazione tra interno ed esterno dell’organizzazione e la possibilità di usare questi strumenti per abbattere le tradizionali barriere ed evolvere verso modelli più fluidi che mettano al centro le esigenze del consumatore.

Le settima e ultima storia è quella di Comcast

Comcast ha saputo comprendere – come pochi altri – l’importanza che l’ascolto e i social media possono avere nella gestione delle problematiche dei clienti e nell’evadere le loro richieste in tempi assolutamente record. Spostando il loro Comcast Care interamente su Twitter riescono a dare in un paio di minuti risposta a qualunque richiesta arrivi loro, arricchendo l’esperienza di dialogo con i clienti e massimizzando l’efficacia dei processi interni.

Nota a margine

I video mostrati – di ottimo ed eccellente livello – sono video “inspirational”, non rappresentano né delle guide all’uso né dei modelli da replicare in toto. Come tutti i casi studio e di successo servono a far riflettere. Chi si occupa di questo
lavoro sa che ogni strategia sui social media, come anche ogni strategia di social business è sartoriale, misurata e costruita rispetto agli specifici obiettivi di business e rispetto alle esigenze e alle necessità di ogni singolo brand. 
Inoltre vorrei sottolineare che i video in oggetto sono stati girati in partnership con Salesforce per raccontare – appunto – l’efficacia dello strumento.
A conti fatti il mio approccio con questo tipo di soluzioni è sempre agnostico. Il che significa che esattamente come non esiste la ricetta magica che vada bene per tutti non esiste nemmeno il tool perfetto che sia in grado sempre di rispondere alle necessità che abbiamo.
Il tool come la strategia devono essere sempre considerati come strumenti da utilizzare in relazioni agli obiettivi di business e a quello che vogliamo ottenere, con un focus specifico anche sui limiti e sul “terreno” sul quale ci stiamo muovendo.

Di solito non parlo direttamente dei progetti che mi coinvolgono, ma in questo caso ho deciso di fare un’eccezione sia perché credo sia interessante parlarne sia perché tengo molto al lavoro che è stato fatto negli ultimi anni in questa direzione.

Dal 2008, come forse alcuni di voi già sanno, mi occupo di seguire la comunicazione online di JazzAscona, un Festival che si tiene ogni anno, nel periodo di Giugno/Luglio in Ticino nella splendida località di Ascona per l’appunto.

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Ma che cos’è esattamente JazzAscona? Come si legge dall’editoriale sul sito:

10 giorni e 10 notti di festa, migliaia di spettatori attesi, circa 200 concerti che si tengono su sei palchi in riva al lago e in vari punti del centro storico. Ascona non è solo uno dei principali eventi mondiali dedicati al jazz classico e al New Orleans Beat, ma anche un festival di qualità, unico nel suo genere, che attira appassionati ed addetti ai lavori da tutta Europa. Il suo programma originale – quest’anno ampiamente dedicato alle donne nel jazz – include eventi speciali, nomi affermati, giovani emergenti e musica ad alto contenuto spettacolare che spazia dal New Orleans allo swing, dal blues al gospel, dall’R&B al funk. E tutto ciò in una location di rara bellezza e in una dimensione dove il contatto umano – in primis con gli stessi musicisti – è ancora possibile.  Bisogna insomma aver vissuto almeno una volta nella vita la magia di una serata a JazzAscona. Per poi tornarvi ogni anno. Buon festival a tutti, vi aspettiamo!

Si tratta quindi di una grandissima manifestazione culturale di grande rilievo e interesse per tutti gli appassionati di musica e di jazz classico. Un’atmosfera davvero unica in cui il contatto tra pubblico e artisti e’ magico, confidenziale e in cui è possibile respirare la tanto caratteristica aria di New Orleans immersi in un panorama di tutto rispetto.

Per approfondire l’atmosfera del Festival vi consiglio anche la visione di questo bellissimo documentario della RSI:

Ovviamente non scrivo questo post per decantare le bellezze di Ascona ma per analizzare il progetto che abbiamo portato avanti in questi anni e che stiamo provando a far evolvere giorno dopo giorno.
Il Festival ha – infatti – diversi canali social che stiamo tentando, nei limiti imposti di far funzionare al meglio. Nello specifico:

Sito Web di JazzAscona
Il sito web del Festival – http://www.jazzascona.ch – è l’aggregatore fondamentale di tutti contenuti in cui è presente anche un archivio storico delle precedenti edizioni e differenti sezioni multimediali per entrare appieno nell’atmosfera del Festival. Non mancano ovviamente informazioni dettagliate sugli artisti e notizie generali di contesto. Presenti anche i dettagli logistici per prendere parte all’evento.

YouTube
Sul canale ufficiale di YouTube – http://www.youtube.com/user/jazzascona?feature=watch – vengono caricati video delle performance degli artisti ma anche conferenze stampa, interviste e approfondimenti video che aiutino a cogliere dei momenti del festival. Inutile dire che molti di questi video sono delle vere e proprie perle rare e rappresentano un patrimonio culturale di livello.

Facebook
All’interno del noto Social Network si configurano principalmente dinamiche di discussione, di rilancio delle iniziative ma anche di promozione del Festival stesso.
Quello che si sta provando a fare è creare una community di appassionati non solo di Jazz ma di musica in generale. Lo trovate qui: http://www.facebook.com/JazzAscona
Sfruttando anche la funzione recente delle Timeline per le pagine è stato anche possibile costruire una cronistoria ad immagini del Festival valorizzandone anche la storia che vanta ben 28 anni di tradizione.

Flickr
Il noto repository di fotografie – http://www.flickr.com/photos/jazzascona – viene utilizzato sia in chiave promozionale sia come canale diretto con la stampa. Attraverso la piattaforma i giornalisti possono infatti scaricare e utilizzare liberamente (a patto di citarne il copyright si intende) le fotografie per utilizzarle nei loro articoli.

Twitter
Twitter viene utilizzato principalmente come cassa di risonanza per dare spazio alle attività svolte sul sito e sulla pagina Facebook – https://twitter.com/#!/jazzascona

Sebbene con i limiti di un’organizzazione non proprio 2.0 e con le difficoltà culturali e organizzative del coordinamento di canali social in cui l’investimento è minimo credo – al di là di tutto – che quello di JazzAscona sia un caso interessante e spero che abbia modo di crescere, con o senza il mio contributo, nei prossimi anni. Questo nel tentativo di
avvicinare al jazz anche quelle giovani generazioni che non ne sono a conoscenza. In questo senso sono convinto che il potenziamento dei canali social possa essere la via più efficace sia in termini di pubblicizzazione dell’evento sia in termini di diffusione della cultura, che in questo modo rimane nel tempo e si consolida nella rete.

Non mi resta che lasciarvi con l’augurio di vederci tutti alla prossima edizione. Dal 21 Giugno al 1 Luglio 2012.

Entro in contatto con questo post pubblicato su VirtualEco (http://www.virtualeco.org/2011/07/design-royale-il-social-learning-con-facebo… in cui si parla della realizzazione di un percorso formativo interamente su Facebook. Fino a qui sembrerebbe di poter dire nihl sub sole novi, ma quello che si analizza nel post è un approccio in parte nuovo e interessante che merita una riflessione sul come l’esperienza è stata – a tutti gli effetti – condotta.

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Ma partiamo dall’inizio. Che cos’è e come funziona Design Royale?
Come si legge nell’articolo lo scopo di questa sperimentazione è stato quello di offrire a giovani talenti del design mondiale volenterosi di imparare un’occasione unica per entrare in contatto con docenti di prim’ordine.

Il progetto Design Royale, però, si è posto (si pone) un obiettivo diverso e inedito: usare il web per insegnare il design e per trasmettere una conoscenza pratica e concreta, attraverso dei workshop completamente online.

Naturalmente esistono siti in cui si può imparare a fare delle “cose”: Instructables per esempio, il posto migliore dove cercare istruzioni pratiche online, per esempio “Come colorare la tua jeep in modo che sembri un veicolo d’assalto“. E altrettanto naturalmente esistono dei luoghi per apprendere conoscenze teoriche, online (innumerevoli, la Parallel School of Design è una).

Tuttavia, c’erano delle variabili che nessuno, imho, era ancora riuscito a produrre in ambiente online. O almeno, non tutte insieme – nè nel mondo del design.

  • il rapporto insegnante-studente
  • le interazioni d’aula (pubbliche, tra il docente e gli studenti, ma soprattutto tra gli studenti), ivi inclusi commenti, complimenti e critiche
  • la circolazione di idee, riferimenti visivi, materiali
  • l’assegnazione (online) e lo svolgimento di task (concreti e offline)

Quindi, (la prima edizione di) Design Royale è il tentativo di condurre quattro workshop, sul design, con studenti internazionali, completamente online

Agli studenti sono stati forniti dei brief davvero divertenti e innovativi che riporto qui perché credo che meritino, sui quali è stato chiesto di lavorare.

Nel post si sottolineano poi i numerosi vantaggi dell’utilizzo di Facebook all’interno della didattica, soprattutto in relazione ai “nuovi” gruppi. Un tema – come sappiamo – non nuovo nel quale ricorrono molte riflessioni che condivisi al convegno SIREM del 2010 e sul quale sono ritornato di recente con un post specifico (http://www.sociallearning.it/luso-dei-social-media-nella-formazione-e-il-l ).

Nel complesso, da quello che ho letto, credo che il caso di Design Royale sia un ottimo caso di social media applicati alla formazione e ai contesti dell’apprendimento in generale. La sfida non facile di impiegare Facebook all’interno di workshop di design, che di per sé poco si prestano a dinamiche formative online, è stata raggiunta e superata nelle aspettative. Un progetto interessante che però fa trasparire la sensazione che più che di Social Learning tout court si possa parlare di apprendimento mediato dai social media, nello specifico da Facebook.

In realtà credo sarebbe stata anche più interessante, a chiusura del periodo di workshop la creazione di una community di designer che fosse in grado di continuare gli stimoli e i processi che si sono innescati durante il corso.
Tuttavia credo che il progetto meriti una menzione particolare proprio per aver dimostrato – ancora una volta e casomai ce ne fosse ancora bisogno – l’utilità dei media sociali nell’ambito formativo e didattico. In Italia e nelle organizzazioni queste sperimentazioni sono – purtroppo – ancora delle mosche bianche.

Vi lascio con un video di Stefano Mirti che contestualizza e spiega meglio anche il contesto all’interno del quale è nata la sperimentazione

I miei complimenti quindi al team che ha seguito lo sviluppo del progetto contribuendo a mettere un altro tassello importante nella definizione dell’uso dei social media all’interno dei processi di apprendimento e una piccola nota a sottolineare che forse qualcosa in più poteva essere fatto.