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Uno dei temi di cui questo blog si è sempre occupato è quello legato al mondo della formazione e dell’apprendimento organizzativo.

Bersin ha recentemente pubblicato un’ottima presentazione su SlideShare in cui – in sintesi – si affrontano i temi principali dell’evoluzione del digital e social learning nel 2017, vediamo insieme quali sono i messaggi principali che emergono dall’eccellente analisi.

  • Il modo di concepire le organizzazioni è cambiato radicalmente, il nostro modo di lavorare, il nostro modo di apprendere e il nostro modo di organizzare il lavoro hanno avuto un pesante impatto su come le organizzazioni sono in grado di gestire la propria operatività quotidiana
  • Il tema del learning and development è determinante: il 45% degli americani è convinto che le proprie skill saranno del tutto inadeguate da qui a tre anni. I Millenials che si affacciano sul mercato richiedono lo sviluppo di competenze diversificate che non sempre le aziende sono in grado di garantire
  • C’è una difficoltà crescente da parte dei sistemi di apprendimento efficaci. Come mostra il grafico: solo l’8% delle aziende intervistate eccelle in questo. Non ci sono miglioramenti dal 2016 e solo il 17% delle organizzazioni ha una corretta comprensione e valutazione della prontezza digitale dei propri dipendenti

Decline of Learning

  • I sistemi di apprendimento si stanno evolvendo verso modelli sempre più complessi che però non riescono a tenere il passo con le richieste delle organizzazioni
  • I dipendenti oggi risultano sommersi da un overload informativo e difficilmente sostengono di poter tenere il passo con un ritmo non solo stressante ma anche lesivo per l’efficienza dell’organizzazione: il 25% della giornata è buttato solo per leggere le mail. Lo smartphone viene controllato 150 volte durante l’arco della giornata lavorativa, il 40% della popolazione americana pensa che sia impossibile avere successo al lavoro e avere una vita soddisfacente a livello familiare. Il 20% lavora oltre 60 ore a settimana, il 49% oltre le 50: come è possibile quindi che non si produca abbastanza? E’ chiaro che il modello non funziona come dovrebbe
  • Solo 24 minuti a settimana sono dedicati all’apprendimento: in un contesto come quello nel quale ci muoviamo va da sé che i problemi di un approccio di questo tipo non sono da considerare secondari
  • Nuovi formati di micro learning (poco tempo e necessità immediata di spendere quello che imparo) si stanno affermando e stanno diventando la norma rispetto a quanto richiesto dai dipendenti nelle aziende
  • I modelli stessi di HR e gestione delle risorse umane e della carriera stanno subendo una pesante rivoluzione: l’83% delle aziende prevede di rivedere il proprio modello entro 3/5 anni, il 67% delle organizzazioni sta promuovendo modelli di carriera orizzontale

Learning Made simple

  • I dipendenti richiedono costantemente di essere aggiornati e di imparare nuovi concetti nel 71% dei casi
  • Solo il 48% crede nelle proprie capacità e nel fatto che queste siano adatte a garantirgli uno step di carriera adeguato
  • Le piattaforme di LMS sono – al momento e salvo rare eccezioni – ancora inadatte a gestire la complessità richiesta dalle organizzazioni e le sfide che abbiamo presentato poc’anzi
  • Il Digital Learning si presenta esattamente nel momento in cui il discente ha bisogno delle informazioni necessarie e nel formato maggiormente adatto alle sue esigenze (in questo senso le riflessioni fatte qualche settimana fa sul tema Augmented Reality risultano interessanti)
  • Progettare ambienti di apprendimento per il futuro significa tenere presente in maniera sempre più rilevante le esigenze dei clienti e degli utenti finali, il supporto della tecnologia deve essere finalizzato alla capacità di fornire una risposta a questi interrogativi

Come concludere quindi ?

Il tema del social e digital learning rappresenta uno dei temi che impatteranno in modo maggiormente significativo sulle organizzazioni del prossimo – immediato – futuro. Investire in questa direzione più seriamente rispetto a quanto non si è fatto in passato risulta cruciale per sottolineare l’importanza di una cultura del cambiamento che le organizzazioni devono mettere in atto per poter sopravvivere e rispondere in modo adeguato alle sfide imposte dal mercato.

E’ recentemente uscito un nuovo approfondimento di Altimeter relativo allo stato dell’arte del mondo digitale. Il numero si concentra in particolar modo sulla creazione e sulla definizione dei principi guida che dovrebbero fornire il punto di partenza per una strategia digitale (qui trovate il report se siete interessati a una lettura completa – http://www2.prophet.com/crafting-a-digital-strategy)

Analizziamo i principali messaggi che emergono dal documento.

In primo luogo – e casomai ce ne fosse ancora bisogno – sono sottolineate le motivazioni che portano le aziende di tutto il mondo a intraprendere un serio cammino verso la trasformazione digitale. A conti fatti le ragioni sottese sono molto semplici e sono state evidenziate più volte in questa e in altre sedi: presenza sul mercato, necessità di incontrare le esigenze dei consumatori, definizione di nuovi modelli di business…
Siamo però arrivati al punto in cui le aziende si stanno diversificando tra coloro che impiegano i servizi digitali (e sono la maggior parte delle organizzazioni presenti ad oggi sul mercato) e coloro che sono effettivamente in grado di fare la differenza all’interno di questo tipo di servizi.

Detto in altri termini siamo giunti al bivio in cui il digitale diviene parte naturale e integrante della strategia di business dell’azienda o rimane semplicemente un canale da utilizzare per attività e iniziative generiche 

Altimiter mette subito in luce una distinzione con la quale personalmente non concordo moltissimo:

Digital Transformation:

The realignment of or new investment in technology, business models, and processes to more effectively compete in an everchanging digital economy.

Digital Strategy: 

A plan of action to achieve business objectives using digital technologies

Al di là delle definizioni e delle etichette di sorta ciò che mi sembra importante sottolineare è che – ad oggi – la trasformazione digitale deve riguardare tutti i processi e i meccanismi che contribuiscono alla stessa struttura dell’impresa. Senza un approccio complessivo, olistico e completo non è possibile ottenere nessun risultato.

All’interno del percorso di costruzione di una strategia digitale (che coinvolga sia l’interno sia l’esterno dell’impresa) le organizzazioni incontrano notevoli difficoltà e barriere che devono essere correttamente affrontate per poter avere successo.

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Cerchiamo di capire meglio quali sono queste barriere:

  • Allineamento: riguarda la capacità di agire come un unico organismo a livello organizzativo. Il digital deve essere considerato a livello cross dai diversi dipartimenti e dalle diverse service line dell’azienda consentendo al massimo il ritorno dei risultati per tutta l’organizzazione. Allineamento significa anche coinvolgimento esteso di tutta l’organizzazione dai livelli più alti di senior leadership e top management (senza i quali è impossibile cambiare le modalità di lavoro) e dei livelli “più bassi” dell’organizzazione che rappresentano di fatto gli utenti finali del processo di trasformazione aziendale
  • Competenze: il ruolo delle competenze è fondamentale. Nel mondo del digitale ci troviamo di fronte a clienti e consumatori che sono molto più rapidi, informati, veloci e – spesso – competenti di noi. L’unico modo per far fronte a queste nuove sfide e per insegnare all’organizzazione a muoversi di conseguenza è dotarsi di strumenti e di capacità nuove che sian in grado di rispondere alle sollecitazioni e alle sfide imposte dal mercato. Il ruolo della formazione e dell’educazione, in questo senso, risulta – ancora una volta – fondamentale.
  • Silos e barriere interne: le organizzazioni sono sempre state abituate a ragionare organizzandosi in compartimenti stagni. Questa logica oggi è assolutamente inadatta a gestire le eccezioni ai processi organizzativi che siamo chiamati a fronteggiare.

As Bennet Harvey, Director of U.S. West Coast Digital Strategy at Wipro Digital, told us, “Many companies are realizing that top-down
organizations can’t drive significant improvements in customer experience,” but then again, completely breaking silos — as Zappos attempted with its shift to a holocracy — isn’t easy either

  • Metriche: le aziende con cui mi confronto quotidianamente molto spesso non impiegano né sono consapevoli dell’importanza delle (ne ho parlato anche in un articolo per Centodieci qui – http://www.centodieci.it/2016/06/per-migliorare-il-business-con-il-digital-devi-puntare-sui-tuoi-dipendenti/). Molto spesso si “naviga” a vista, senza avere una chiara idea della direzione da intraprendere e dei modelli da seguire. Sono solo le aziende più mature a conoscere approfonditamente i modelli di valutazione e ad impiegare metriche che non si limitino a valutare solamente una dimensione di engagement (like, commenti, share…) ma che includano anche una dimensione maggiormente connessa al business e al fare impresa (efficienza, capacità di innovazione, vendite, miglioramento della soddisfazione interna…)
  • Risorse: anche il tema delle risorse è un tema molto molto delicato e richiede seri investimenti. Senza la presenza di agenti di cambiamento, community manager, strategist di livello che siano in grado di scaricare a terra il valore aggiunto di quanto il digitale è in grado di fare, le cose semplicemente… non funzionano!
  • Cultura: da Schein in poi le Culture d’Impresa hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nella definizione di un’organizzazione. L’unico modo per ottenere risultati significativi in termini di trasformazione digitale è cambiare il modus operandi e la cultura organizzativa evolvendola verso un modello completamente nuovo che sia in grado di imparare dalle lezioni del digitale
  • Governance e regolamentazione: è importante definire principi e linee guida che supportino i processi e i cambiamenti in atto. Anche in questo caso sono molto poche le aziende e le organizzazioni che si sono dotate negli anni di una governance e di policy adeguate all’uso dei media digitali. E’ un passaggio importante intimamente connesso con la struttura stessa del fare azienda

Oltre alle barriere Altimeter identifica una serie di principi da seguire per poter evolvere la propria situazione luno il continuum della trasformazione digitale.

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Un percorso tracciato quindi che le organizzazioni di tutto il mondo dovrebbero avere la forza di intraprendere in modo significativo per poter fare la differenza in termini di leadership digitale.

Ho avuto modo – sempre in occasione del Social Business Forum 2012 ( http://www.socialbusinessforum.com/?lang=it ) di fare quattro chiacchiere con un amico e collega: Fabrizio Martire (@betone) e abbiamo assieme discusso di quali siano i punti fondamentali per cotruire uan presenza sociale consapevole dei brand online.

Chi è Fabrizio?

Fabrizio è co-founder di Gummy Industries, team che si occupa di strumenti collaborativi, branding, marketing e social media. È stato docente di web marketing e social network presso il master “Nuovi Media Nuove Persone” di Accademia Santa Giulia. Co-organizza “Pane Web e Salame” evento dedicato alle case history di comunicazione di successo. Condivide esperienze e casi studio sul blog virtualeco.org.

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Di recente hai provato a spiegare ai tuoi genitori (vedi video su Wired – http://tv.wired.it/tech/2012/04/02/come-spiegare-ai-tuoi-genitori-che-lavoro-… ) quale lavoro fai. Prima di tutto mi sento di ringraziarti a nome di tutta la categoria per essere finalmente riuscito a spiegare a tutti quello che facciamo. Mi aggancio a questo per farti quindi una domanda. Non pensi che questo sia parte del nostro problema maggiore con i clienti? Mi riferisco alla mancanza di consapevolezza circa le potenzialità che hanno i social media. Cosa ne pensi ? Sono pessimista?

No, non sei pessimista, sono assolutamente d’accordo: comunicare le potenzialità di un brand sui social non è mai semplice.
La comunicazione attraverso i social network richiede alle aziende uno sforzo maggiore, un impegno che poche hanno mai affrontato prima.
I canali di comunicazione tradizionale (uno a molti) permettono all’impresa di decidere cosa comunicare, come e quando. Scelto il migliore partner e decisa la creatività, il messaggio veicolato (per radio o tv) bombarda direttamente il target. Al contrario i social media portano il rapporto tra azienda e clienti a un livello successivo, un livello in cui la comunicazione non basta più, dove ciò che conta è il dialogo. Oggi le leve del “come”, “quando” e “cosa” sono in mano ai clienti e ai nostri prospect. La vera sfida, per noi, è proprio questa: far percepire al mercato le potenzialità di canali molti a molti, delle community, dello storytelling, del social crm e di molto altro ancora.

In passato – ma ancora oggi in realtà – mi sono occupato di Web Reputation e di Social Media Monitoring per alcuni grossi brand italiani e internazionali. Sono convinto – e così lo sono i miei colleghi in OpenKnowledge – che qualunque azione sui social media non possa prescindere dall’ascolto e dall’attento monitoraggio delle conversazioni online. Tu cosa ne pensi? L’ascolto in rete è uno step fondamentale?

L’ascolto, il monitoring delle conversazioni è il punto di partenza. Per le ragioni esposte prima le aziende devono aspettarsi consumatori attivi, che trovano naturale condividere pareri, idee, critiche su prodotti e servizi. Ascoltare è un valore davvero importante: non agevola solo la presenza di un brand online, aiuta a sviluppare nuovi prodotti, nuovi mercati, nuovi business. Quando oggi parliamo di social business ci riferiamo proprio a questo: a un’azienda che sa ascoltare, sa dialogare e cogliere le occasioni che i propri “fan” e “follower” offrono all’interno delle community.

A tua avviso quali sono le cose che non possono assolutamente mancare nella realizzazione di una Social Media Strategy e quali consigli ti senti di dare a chi volesse realizzarne una?

Dipende molto dalle dimensioni aziendali e del tipo di brand. Sono convinto che i piccoli (PMI) abbiano molto da guadagnare anche semplicemente impegnandosi a raccontare la loro storia, la qualità e l’unicità del proprio prodotto in modo naturale e senza filtri (ne ho parlato l’anno scorso al Social Business Forum ). Al contrario per aziende nazionali/internazionali che già da anni investono in pubblicità e marketing forse l’elemento davvero necessario prima di qualsiasi scelta è proprio l’ascolto è un buon assessment del brand sul digital.

Che rapporto c’è a tuo avviso tra la Social Media Strategy, la Governance a la Policy che un’azienda deve realizzare per potersi proporre come Social Business? Sono tre pilastri fondamentali tutti connessi? O li vedi piuttosto come step differenti?

Il social business è forse la somma di tutte le possibilità e i vantaggi che i nuovi media offrono. Questo, però, richiede un totale cambio di mentalità e una capacità di adattamento non indifferente. Social Media Strategy, la Governance a la Policy sono, come dici, i pilastri di un business di questo tipo ma per esperienza ho capito che è difficile approcciare un progetto proponendo subito tutto il “trittico” :) Credo sia meglio disegnare un percorso che mostri il punto d’arrivo ma che introduca uno alla volta i tre elementi.

Di cosa ti stai occupando di recente? Raccontaci anche del tuo progetto con Gummy Industries che stai lanciando proprio in questi giorni.

Gummy industries http://gummyindustries.com/ è un progetto che mi vede coinvolto in prima persona assieme a Alessandro – https://twitter.com/#!/alekone e Xenesys – http://blog.xenesys.it/. Le industrie gommose (ci serviva un nome che connotasse la nostra provenienza: le grande industria pesante bresciana e che ci distaccasse dalla formalità di un’azienda di comunicazione classica) sono state aperte per aiutare le aziende a entrare sui social media, a strutturare i loro business e a valorizzare i propri brand. Oggi mi occupo di tutte queste cose oltre che di organizzare Pane Web e Salame – http://panewebesalame.com/, un evento alla sua terza edizione, che in modo semplice e diretto, intende far discutere di social media e business. A proposito, il 20 Giugno sarai dei nostri? 

E infine – ma non meno importante – di cosa parlerai al Social Business Forum 2012?

Questa è la domanda più difficile di tutte dato che il social business forum è uno degli eventi più importanti in Italia preparare un talk all’altezza è una bella sfida! Vorrei proporre un talk che evidenzi le nuove tendenze: i nuovi social network e come alcune aziende si stanno muovendo.

Ne parlano tutti i giornali: nazionali e internazionali.
Prima di tutto non posso che accodarmi al cordoglio e al dolore di coloro che hanno perso delle persone care, ma anche essere solidale nei confronti di chi ha vissuto quegli attimi di terrore e paura. Non posso nemmeno esimermi dal premettere che con questo post non voglio analizzare gli errori del capitano Francesco Schettino né i contorni legali, nautici e via dicendo che questa situazione sta – giustamente o meno – generando.

 

In questa sede – come proprio del tema di questo blog – vorrei analizzare la situazione dal punto di vista degli errori, dei punti di forza e di quanto è stato fatto di corretto o di completamente errato nella gestione di quella che possiamo definire “Social Media Crisis“.
Sappiamo ormai che i Social Media hanno assunto dimensioni preponderanti per i brand – specie se questi sono di grandi dimensioni e internazionali, come nel caso di Costa Crociere – e che siano tanto utili quanto rischiosi se non gestiti correttamente.

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Cerchiamo di riassumere quanto successo immediatamente dopo il tragico evento.
Roberta Milano – in un suo posto pubblicato il 14 Gennaio qui http://www.robertamilano.com/2012/01/costa-crociere-te-lo-rivelan-gli-occhi-e… – ha giustamente condiviso alcune riflessioni a caldo parlando di engagement e di quanto Costa Crociere si stesse comportando bene nell’utilizzo dei Social Media.
Devo dire di essermi trovato parzialmente d’accordo con quello che ha scritto fino a quello che è successo nei giorni scorsi che mi ha portato a ridimensionare i miei criteri di valutazione.
Ma per prima cosa vediamo di raccogliere qualche dato interessante. Ebbene: quello che emerge dai canali analizzati (Costa Crociere ha impiegato Twitter Youtube e Facebook per comunicare la crisi della Concordia) è un quadro come quello riportato in figura.

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Come facilmente intuibile il canale in cui si è concentrata la maggior parte dell’interazione è Facebook.
Ad integrazione segnalo come su Twitter basti fare una ricerca con un hashtag o sulle mention ( come qui – https://twitter.com/#!/search/@costacrociere ) per rendersi conto di quante richieste dirette stiano piovendo sul brand.
Dall’analisi dei canali social di Costa Crociere emerge un utilizzo come cassa di risonanza per i comunicati stampa e le notizie ufficiali dell’azienda sulla tragedia.
Un utilizzo sicuramente sensato ma che – comunque – utilizza solo parte delle grandi potenzialità che i social media hanno nella gestione delle emergenze e nel far circolare l’informazione in rete.

 

Ecco, poi, uno di quelli che considero uno dei più grandi degli errori commessi dal brand. L’aggiornamento delle immagini di sfondo a poche ore della tragedia.
Sono riuscito a cogliere lo screenshot proprio pochi secondi prima che le immagini venissero rimosse e l’aggiornamento cancellato in seguito a numerose polemiche.
Di per sé credo sia grave perché mostra un’attenzione a un dettaglio poco significativo e fa trasparire una mancanza di consapevolezza nei confronti delle reazioni che un gesto del genere – a poche ore dal disastro – possa generare.

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Interessante risulta poi essere anche l’analisi dei commenti che sono emersi su Facebook che – a mio avviso – forniscono uno spaccato dell’Italia. Sono presenti commenti di ogni genere e tipologia, da chi accusa a chi giustifica, da chi pontifica a chi analizza freddamente la situazione, insulti e lodi si mescolano allo stesso modo nel creare un quadro davvero “bizzarro”.
Qui di seguito una gallery dei commenti che gli utenti hanno postato sulla pagina ufficiale di Facebook del Brand Costa Crociere ( http://it-it.facebook.com/CostaCrociere )

Ecco una gallery delle “parodie” e dei meme che stanno cominciando a generarsi in rete sull’argomento. I gruppi e le fanpage dedicate alla questione si sprecano (ovviamente). Impattando a livello negativo sulla reputazione e sull’immagine generale del brand.

Cercando di riassumere quanto abbiamo visto:
  • i social media sono un veicolo fondamentale per la comunicazione e possono giocare un ruolo chiave nella gestione delle crisi, sia al momento della tragedia sia a posteriori per informare, aggiornare e richiedere aiuto.
  • l’utilizzo in chiave solo informativa è limitante. Di sicuro Costa Crociere ha avuto problemi ben più grandi che pensare alla gestione della pagina Facebook negli ultimi giorni, ma avere questi spazi significa anche doverli gestire durante i periodi di “tempesta”. Questo soprattutto perché è li che si concentra la grossa parte dell’interazione.
  • la disinformazione che può correre lungo i social media è pericolosa. Come si vede dai commenti riportati sulla pagina di Facebook sono parecchie le problematiche che sono emerse e che meriterebbero una moderazione o una risposta quantomeno ufficiale che chiarisca la situazione. La mancata gestione di alcuni di essi può amplificare il danno di immagine subito da un brand.
  • la gestione delle crisi può passare anche (attenzione: non SOLO) attraverso i social media, come mostra questo articolo http://www.socialmediaexaminer.com/how-to-use-social-media-for-crisis-managem… e sarebbe opportuno che lo facesse. E’ necessario – in questi casi più che mai – che questi strumenti meritano la stessa attenzione (se non superiore) di quella destinata ai media tradizionali.
  • In casi come questi, imprevedibili, è necessario essere “pronti prima”. La corretta gestione dei Social Media non può che derivare da una policy adeguatamente impostata. In un recente post sul suo blog, Stefano Mizzella parla di Social Media Triage (http://www.socialmediascape.org/social-media-triage/) per la gestione delle emergenze e per capire come gestire i commenti e le interazioni più complesse con gli utenti più difficili.

E’ vero: le tragedie non si prevedono, i problemi sono altri in casi come questi e le preoccupazioni ben più serie e approfondite di una gestione non proprio perfetta dei social media. Tuttavia sono dell’idea – ed è questo quello che volevo comunicare con il post – che forse una policy migliore in casi come questi avrebbe aiutato una maggiore chiarezza e trasparenza nelle informazioni e nel tranquillizzare chi era alla ricerca di informazioni e di notizie ufficiali evitando disinformazione e limitando i ritorni negativi per il brand.