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Di recente mi sono imbattuto in un articolo molto interessante del Professor Pier Cesare Rivoltella dell’Università Cattolica del Sacro Cuore su come ripensare e immaginare l’educazione a distanza alla luce dei recenti fatti che stiamo vivendo.

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Sono presenti un paio di concetti all’interno dell’articolo che – a mio avviso – è bene sottolineare. Questi medesimi concetti possono essere applicati al mondo delle organizzazioni ed estesi a tutti quei professionisti che si interessano – a vario titolo – al mondo del futuro del lavoro / future of work.

Il primo dei messaggi che sono condivisi è nihil sub sole novi: le pratiche di smart schooling, di FAD (formazione a distanza), ma – aggiungo io – di smart e remote working o di “telelavoro” come l’hanno chiamato alcuni non sono una novità. Il momento storico che stiamo vivendo e le reazioni che le persone stanno mettendo in campo, non sono frutto del caso, né episodi isolati che sorgono come spontanea e immediata risposta a una crisi.

Queste trasformazioni sono – infatti – figlie di un lungo e articolato percorso di preparazione che ci ha resi in grado di rispondere in modo più o meno adeguato.

Occorre ricordare questi passaggi per capire che quel che di positivo sta succedendo oggi tra classi di scuola e aule universitarie non è frutto del caso ma di un lungo percorso di preparazione. Anche se poi, nell’opinione diffusa, alla formazione a distanza si è finito per associare l’idea di qualcosa che ha meno valore rispetto alla formazione fatta in aula, in presenza.

L’altro passaggio fondamentale che questa trasformazione sta accelerando è che le persone si stanno rendendo conto che non si tratta quasi mai e sempre di un problema solamente tecnologico. Non basta una regia e o un tool che funzioni per far accadere le cose.

Occorre che tutto questo si inserisca all’interno di una progettazione didattica, si avvalga di una regia metodologica. L’apprendimento on line richiede un’attenzione particolare allo studente, ne vanno gestite la motivazione e l’attenzione. Non basta ‘mandare in onda’ la lezione e continuare a parlare come si sarebbe fatto in aula. Va studiata una sceneggiatura: materiali da mettere a disposizione prima, indicazioni di lavoro precise, ricorso alla comunicazione sincrona (chat e videocomunicazione) per chiarire i dubbi, discutere i problemi. E poi si tratta di favorire la cooperazione tra gli studenti: il vero valore aggiunto della tecnologia è la possibilità della condivisione, di lavorare in gruppo. 

Un punto ulteriore è quello dell’alfabetizzazione. Ci stiamo rendendo conto che non tutti sono pronti, che molti vanno aiutati e che – spesso e volentieri – molte delle azioni da fare prima della formazione con la tecnologia è la formazione alla tecnologia, per tutti coloro che avvertono un divario. Serve porsi il problema, eliminarlo, significa chiedersi come fare inclusione nei confronti di chi fa più fatica e di come allestire delle tecnologie che siano tecnologie di comunità. Strumenti che consentano davvero l’emersione di modelli di lavoro nuovi e di collaborazione tra i diversi istituti scolastici, ma anche tra le differenti organizzazioni.

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Ma cosa dobbiamo evitare? A cosa dobbiamo prestare attenzione una volta che saremo tornati alla nostra routine? Come dobbiamo impedire una volta che torneremo alla normalità?

Dobbiamo recuperare – e forse costruire – un senso diverso: è importante che a valle di tutto quello che viviamo ci sia una #resilienza attiva, per ripristinare qualcosa di meglio rispetto a quello che c’era prima.

Non è un qualcosa che accade in modo naturale.

Dobbiamo lavorare per fare in modo che non avvenga un ritorno a un chiacchiericcio e a una svalutazione di quanto abbiamo vissuto. E’ necessario imparare velocemente un modello differente di gestire i nostri processi formativi e le nostre modalità di relazione con gli altri, sia in ambito educativo sia in ambito organizzativo.
E’ il solo modo che abbiamo per reagire in modo corretto alla trasformazione in atto.

La relazione educativa, come ogni relazione umana e qualunque processo di trasformazione è frutto dell’intenzionalità.

Uno dei temi di cui questo blog si è sempre occupato è quello legato al mondo della formazione e dell’apprendimento organizzativo.

Bersin ha recentemente pubblicato un’ottima presentazione su SlideShare in cui – in sintesi – si affrontano i temi principali dell’evoluzione del digital e social learning nel 2017, vediamo insieme quali sono i messaggi principali che emergono dall’eccellente analisi.

  • Il modo di concepire le organizzazioni è cambiato radicalmente, il nostro modo di lavorare, il nostro modo di apprendere e il nostro modo di organizzare il lavoro hanno avuto un pesante impatto su come le organizzazioni sono in grado di gestire la propria operatività quotidiana
  • Il tema del learning and development è determinante: il 45% degli americani è convinto che le proprie skill saranno del tutto inadeguate da qui a tre anni. I Millenials che si affacciano sul mercato richiedono lo sviluppo di competenze diversificate che non sempre le aziende sono in grado di garantire
  • C’è una difficoltà crescente da parte dei sistemi di apprendimento efficaci. Come mostra il grafico: solo l’8% delle aziende intervistate eccelle in questo. Non ci sono miglioramenti dal 2016 e solo il 17% delle organizzazioni ha una corretta comprensione e valutazione della prontezza digitale dei propri dipendenti

Decline of Learning

  • I sistemi di apprendimento si stanno evolvendo verso modelli sempre più complessi che però non riescono a tenere il passo con le richieste delle organizzazioni
  • I dipendenti oggi risultano sommersi da un overload informativo e difficilmente sostengono di poter tenere il passo con un ritmo non solo stressante ma anche lesivo per l’efficienza dell’organizzazione: il 25% della giornata è buttato solo per leggere le mail. Lo smartphone viene controllato 150 volte durante l’arco della giornata lavorativa, il 40% della popolazione americana pensa che sia impossibile avere successo al lavoro e avere una vita soddisfacente a livello familiare. Il 20% lavora oltre 60 ore a settimana, il 49% oltre le 50: come è possibile quindi che non si produca abbastanza? E’ chiaro che il modello non funziona come dovrebbe
  • Solo 24 minuti a settimana sono dedicati all’apprendimento: in un contesto come quello nel quale ci muoviamo va da sé che i problemi di un approccio di questo tipo non sono da considerare secondari
  • Nuovi formati di micro learning (poco tempo e necessità immediata di spendere quello che imparo) si stanno affermando e stanno diventando la norma rispetto a quanto richiesto dai dipendenti nelle aziende
  • I modelli stessi di HR e gestione delle risorse umane e della carriera stanno subendo una pesante rivoluzione: l’83% delle aziende prevede di rivedere il proprio modello entro 3/5 anni, il 67% delle organizzazioni sta promuovendo modelli di carriera orizzontale

Learning Made simple

  • I dipendenti richiedono costantemente di essere aggiornati e di imparare nuovi concetti nel 71% dei casi
  • Solo il 48% crede nelle proprie capacità e nel fatto che queste siano adatte a garantirgli uno step di carriera adeguato
  • Le piattaforme di LMS sono – al momento e salvo rare eccezioni – ancora inadatte a gestire la complessità richiesta dalle organizzazioni e le sfide che abbiamo presentato poc’anzi
  • Il Digital Learning si presenta esattamente nel momento in cui il discente ha bisogno delle informazioni necessarie e nel formato maggiormente adatto alle sue esigenze (in questo senso le riflessioni fatte qualche settimana fa sul tema Augmented Reality risultano interessanti)
  • Progettare ambienti di apprendimento per il futuro significa tenere presente in maniera sempre più rilevante le esigenze dei clienti e degli utenti finali, il supporto della tecnologia deve essere finalizzato alla capacità di fornire una risposta a questi interrogativi

Come concludere quindi ?

Il tema del social e digital learning rappresenta uno dei temi che impatteranno in modo maggiormente significativo sulle organizzazioni del prossimo – immediato – futuro. Investire in questa direzione più seriamente rispetto a quanto non si è fatto in passato risulta cruciale per sottolineare l’importanza di una cultura del cambiamento che le organizzazioni devono mettere in atto per poter sopravvivere e rispondere in modo adeguato alle sfide imposte dal mercato.

Post pubblicato originariamente sul blog di Working Capital (Telecom Italia). http://www.workingcapital.telecomitalia.it/2011/12/social-network-learning-i-…

Working Capital 2010: un’altra storia di successo, la storia di ricerca di Stefano Besana, esperto di “Social Learning” e protagonista della passata edizione del nostro progetto. Oggi Stefano, in questo post, ci racconta come è andata la sua ricerca, quali passi avanti ha fatto nell’ultimo anno e quali sono le prospettive per il futuro.

Chi segue il mio blog e chi mi ha seguito negli ultimi due anni in rete sa che il mio interesse principale di ricerca è stato focalizzato sui Social Network e su come questi potessero essere utilizzati all’interno dei processi di apprendimento.

Ho iniziato a interessarmene alla fine del 2008 nel mio percorso di tesi triennale e ho proseguito fino al 2010 – iniziando la mia collaborazione con OpenKnowledge e vincendo l’edizione bolognese del Working Capital di Telecom Italia.

Da fenomeno praticamente sconosciuto in Italia i SNS sono divenuti una realtà pervasiva – e forse invasiva – nelle nostre vite: gli studi di settore si sono moltiplicati, come anche le ricerche e i contributi di letteratura nel campo.
L’apprendimento – il cosiddetto Social Learning – è comunque un trend emergente che non ha ancora assunto la portata riflessiva che meriterebbe.

Nell’ultimo anno ho raccolto alcune riflessioni personali e di ricerca all’interno del progetto che ho seguito per Working Capital.
La mia ricerca si è concentrata – forse è bene ripeterlo – sull’impiego dei Social Network Sites all’interno delle organizzazioni come strumenti di gestione della conoscenza delle organizzazioni complesse. Niente di nuovo apparentemente se non fosse che, come anticipato, le riflessioni hanno cominciato a muoversi nel 2008.

Di seguito alcune riflessioni maturate e il link all’executive summary che ho realizzato per presentare la ricerca al “mondo esterno”.

Il primo dato da comunicare è di che cosa si è trattato.
La ricerca ha coinvolto due studi principali in due anni differenti. Un primo studio (2009) svolto su 320 soggetti, con questi obiettivi: indagare se e in quale misura la comunità dei fruitori di SNS si auto-attribuisca delle caratteristiche specifiche, sia in ambito cognitivo che sociale;  se sia possibile identificare delle linee di tendenza nell’impiego del mezzo;  se sia verosimile – nelle rappresentazioni dei fruitori di tali mezzi – trasformare tali reti virtuali in strumenti per veicolare esperienze formative.
Un secondo studio (2010) svolto su 926 partecipanti. Con lo scopo di: (1) proseguire le analisi e gli approfondimenti rispetto ai temi indagati nella prima fase (Studio 2009) allargando il campione con soggetti maggiormente legati al mondo business. (2) Indagare se – e in che modo – le intranet aziendali potessero essere riconfigurate in ottica collaborativa come ambienti adatti per la collaborazione, la gestione dei processi informali e – più o meno direttamente – i processi di apprendimento (formali e non formali). (3) Ottenere dagli utilizzatori dei SNS indicazioni circa il possibile impiego di piattaforme sociali all’interno dei contesti di apprendimento, rilevandone (come nel caso del precedente studio) concezioni e rappresentazioni più o meno esplicite.

A partire da queste riflessioni ci si è mossi considerando alcuni assunti fondamentali della letteratura e alcuni modelli particolarmente interessanti che sottolineano l’importanza di allargare il proprio framework di riferimento.
Da questi modelli la ricerca è poi proseguita comprendendo quali fossero le logiche alla base del Social Business in primis e – secondariamente – ispirandosi ai principi del Connettivismo enucleati da George Siemens.

Le slide successive dell’executive summary mostrano alcuni dei risultati e delle scoperte effettuate durante la ricerca condotta che evidenziano l’importanza di una riflessione culturale ancor prima che tecnologica e come sia fondamentale considerare prima di tutto la dimensione sociale e di adattamento ai nuovi comportamenti.

In chiusura della ricerca si è provato anche a definire un modello di valutazione del social learning e della conoscenza condivisa che partisse da un’analisi di rete e dagli indicatori propri della Social Network Analysis. Attraverso lo sviluppo e l’ampliamento di un modello classico di valutazione dell’apprendimento si è provato a trovare alcuni punti di riferimento per misurare il ritorno di efficacia ed efficienza di sperimentazioni in questa direzione.

Sviluppi futuri?

Non resta che cominciare a sperimentare seriamente questi principi all’interno di organizzazioni che abbiano compreso l’importanza dei social media al loro interno (e non solo all’esterno dell’azienda) e che valorizzino sempre di più gli approcci partecipativi, informali, collaborativi che hanno fatto il successo di sistemi dinamici ed evoluti, in grado di generare vero valore per l’intero ecosistema aziendale.