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Chi segue questo spazio sa che, oltre al digitale, uno dei temi a me più cari è quello che riguarda i nuovi modelli di lavoro e le modalità attraverso le quali è possibile disegnare un’impresa differente, maggiormente collaborativa, resiliente e capace di adattarsi ai cambiamenti che il mercato impone.
L’anno 2020, con la pandemia da Covid-19, è stato – in questo senso – maestro e ci ha mostrato in modo evidente quanto inadatte e inefficaci fossero le nostre organizzazioni ad attraversare scenari inediti. Ha rappresentato, a conti fatti, anche un’importante occasione per riflettere sul futuro che vogliamo disegnare.

E’ per questo che il volume edito da Hoepli Milano e che ho scritto in questo periodo: Future of Work: le Persone al Centro, costruire il lavoro e la società del futuro rappresenta un punto saldo di partenza per tutti quei professionisti e per quelle imprese che intendano seriamente mettersi in discussione e prendere in mano la direzione dei propri modelli organizzativi.
Il libro offre casi, spunti, riflessioni teoriche ed esempi pratici attraverso i quali ripensare quello che facciamo quotidianamente.

Come scrive Jacob Morgan nella postfazione del volume:

Che cos’è il futuro del lavoro? 

Questa è una domanda che mi viene spesso posta durante le conferenze, gli eventi, e anche online, dalla mia community.
Nessuno può predire il futuro, ma la verità è che, questa, è una domanda sbagliata.
Chiedersi “che cosa è il futuro del lavoro” dimostra un atteggiamento passivo; assume che il futuro sia un qualcosa che accade e che non ci sia niente che possiamo fare per modificarlo. Tutto quello che è in nostro potere è attendere e subire l’impatto del cambiamento. È un’attitudine sbagliata verso il ciò che deve arrivare: non dobbiamo pensarlo in questo modo. Il futuro è qualcosa che immaginiamo, costruiamo e definiamo noi stessi, come protagonisti del cambiamento: dobbiamo cambiare il nostro punto di vista, dobbiamo riformulare la domanda. È tempo di chiedersi: “quale futuro del lavoro vuoi vedere realizzato?” e pensare a cosa puoi fare per vederlo accadere.
Cambiare il modo in cui pensiamo al futuro del lavoro ci mette al posto di guida e rende ognuno di noi un protagonista attivo della narrazione. 
Le persone che prenderanno posizione e si spenderanno in prima persona per il futuro del lavoro giocheranno un ruolo chiave nella trasformazione e nel cambiare il mondo in cui viviamo. 

Quindi domandiamoci: qual è il futuro del lavoro che vogliamo vedere realizzato? 

È ora di renderlo reale. 

Il libro vanta preziosi contributi da parte di esperti di settore e di personalità di spicco nel mondo del lavoro. Oltre a rendermi molto orgoglioso, sono convinto possano rappresentare una efficace bussola per navigare il futuro del lavoro e il mondo delle nostre organizzazioni.

Tra i principali contributi che troverete all’interno del volume:

  • Carlo Bozzoli, CIO di ENEL Group, che ha curato la prefazione del volume
  • Jacob Morgan, autore di best seller e speaker di fama internazionale, che ha curato la postfazione del volume
  • Carlo Chiattelli, economista e Associate Partner EY
  • Alessandro Antonini, Senior Manager di EY
  • Manuela Cantoia, Professore di Psicologia Generale presso l’Università eCampus
  • Andrea Gaggioli, Professore di Psicologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore
  • Cosimo Accoto, MIT research affiliate e autore di “il mondo ex machina” e “il mondo dato”
  • Luigi Centenaro, autore del Personal Branding Canvas, consulente e autore di diversi volumi sul tema del personal branding
  • Paolo De Caro, Senior Manager di EY e responsabile del centro di innovazione e sviluppo (Brain)

Il volume si articola in diversi capitoli che comprendono analisi specifiche, casi d’uso ed esempi pratici per comprendere in che modo il mondo del lavoro sia cambiato e si modificherà nel prossimo – immediato – futuro.

Di seguito l’elenco dei capitoli:

  • Capitolo 1 – Resilienza, trasformazione e il futuro del lavoro
  • Capitolo 2 – Casi d’uso, modalità di approccio e contesti operativi per il lavoro del futuro
  • Capitolo 3 – Errori e ostacoli che impediscono la trasformazione delle organizzazioni
  • Capitolo 4 – Una roadmap per costruire organizzazioni resilienti
  • Capitolo 5 – Progettare e costruire il Future of Work: creare esperienze trasformative e Positive Innovation Network
  • Capitolo 6 – Automazione e intelligenza artificiale nel futuro del lavoro
  • Capitolo 7 – Skill e competenze: il ruolo delle persone
  • Capitolo 8 – Verso un ripensamento dei modelli educativi e di formazione
  • Capitolo 9 – Purposeful Organization e il ruolo della leadership nella trasformazione
  • Capitolo 10 – Agile, Holacracy e nuovi modelli di organizzazione
  • Capitolo 11 – Costruire valore per l’intero ecosistema

Il mondo che costruiamo – e che costruiremo – passerà dalla nostra capacità di organizzarci secondo comunità e modelli relazionali.

Come si legge nel volume:

In un’analisi famosa relativa alla natura della comprensione scientifica dei fenomeni, il fisico quantistico Werner Heisenberg ha avuto occasione di sottolineare come capire significhi in un’ultima istanza saper individuare il legame che riconduce fenomeni diversi allo stesso insieme coerente. La vera comprensione della realtà sa superare la complessità superficiale dei fenomeni e mettere in evidenza la struttura coerente che sta dietro di essi. 

Il futuro della società e del senso delle organizzazioni e del lavoro di ognuno di noi passa per le parole, visionarie e illuminate di Adriano Olivetti, che nella sua azienda e il territorio del Canavese sono diventati poi laboratorio e ispirazione per molte realtà nel mondo.
È facile riconoscere nelle sue parole quei concetti propri di collaborazione, di innovazione partecipata, ma anche di smart cities, di green valley, di sostenibilità dell’innovazione e del modo di lavorare delle persone, dei digital district periferic, ma che sono poi centri di eccellenza della nuova e futura società dell’informazione. Scrive Olivetti: “Comunità, io nome lo dice, e il programma lo afferma, è un movimento che tende a unire, non a dividere, tende a collaborare, desiderare, insegnare, mira a costruire […].
Tecnica e cultura conducono verso il decentramento, verso la federazione di piccole città dalla vita intensa, ove sia armonia, pace, silenzio, lontano dallo stato attuale delle metropoli sovraffollate come dall’isolamento e dallo sgomento dell’uomo solo.”

Non vi resta che procurarvene una copia e poi proseguire la discussione su questo spazio o sui miei canali social: fatemi sapere cosa ne pensate!

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Quando ho lanciato questo blog – ormai circa due anni fa – l’ho intitolato Social Learning, per due motivi: (1) il primo legato al tema di ricerca a me più caro – con il quale ho vinto anche il premio di Working Capital nel 2010 – e cioè quello dedicato all’utilizzo dei social network come strumenti per l’apprendimento e la gestione della conoscenza nelle organizzazioni complesse. Il secondo (2) è perché con la parola “learning” volevo raccogliere anche tutte le mie riflessioni e tutte le cose che imparavo strada facendo nel lavoro di tutti i giorni.

Mi piacerebbe quindi fare – con questo post – un po’ il punto nave del Social Learning e su cosa sta cambiando a livello di possibilità per l’apprendimento e per la gestione della conoscenza nelle aziende.

Un report di Aprile 2012 di McKinsey – http://mckinseyonsociety.com/transforming-learning-through-meducation/ – analizza la situazione del mobile learning nell’ambito dell’education e sottolinea alcuni trend interessanti del settore.

Di seguito alcune delle notizie e dei dati più interessanti che emergono dall’analisi:

  • L’aumento delle tecnologie mobili e dei device che consentono la connettività da ovunque e in qualunque modo aprono nuovi scenari per il mercato dell’apprendimento
  • Entro il 2020 questa industria legata al mobile learning e alle frontiere della mobile education smuoverà almeno 70 miliardi di dollari
  • Il mercato della mobile education è in forte crescita e i numeri permettono di comprendere che si tratterà di un mercato sempre più in forte sviluppo che merita di essere tenuto d’occhio
  • L’impatto della mobile education all’interno dei processi di apprendimento può essere molto ampio e vasto.

In questo senso – come già sottolineato in altri articoli condivisi in passato – gli elementi costitutivi di un ambiente di Social Learning sono almeno 3:

  • Componente LMS – una componente imprescindibile per la struttura delle aziende e per come – ad oggi – viene gestita la formazione e la conoscenza all’interno delle organizzazioni. Un LMS deve garantire la possibilità di erogare contenuti online e di tracciare i percorsi di apprendimento rispetto a obiettivi specifici, modelli di valutazione e reportistica e via dicendo
  • Componente Social – una componente che caratterizza il processo del Social Learning. Si tratta di prevedere strutture e funzionalità che prevedano l’interazione, la possibilità di comunicare in modo agevole, di collaborare in modo innovativo e di sfruttare le possibilità offerte da tecnologie informali ed emergenti
  • Componente CMS – uno strato che deve essere messo al di sopra di queste due componenti e garantire un tema di usabilità dell’interfaccia, di presentazione dei contenuti in modo efficace e di possibilità di personalizzazione lato utente.

Qualche riflessione personale
Provando a riassumere un po’ quello che emerge da alcune analisi e riflessioni condivise in questo e in altri post sul tema:

  • In ambito learning esiste ancora molto da esplorare. Le potenzialità del Social Learning sono ancora in divenire e non sono state ancora applicate con successi significativi.
  • L’ambito dell’educazione e delle scuole più che quello delle organizzazioni ha saputo guardare con maggiore interesse verso questa direzione. Questo è vero soprattutto in ambito internazionale
  • L’integrazione tra le diverse componenti che dovrebbe tenere insieme un ambiente di apprendimento basato sui principi del social learning è ancora complessa e a uno stato embrionale, non esistono progetti che integrino in modo completo tutte le modalità inserendole in un contesto organizzativo e di valutazione più ampia in grado di musicare un ROI effettivo degli impatti della formazione e della gestione della conoscenza in azienda. (Di questo se ne è parlato anche qui – http://www.sociallearning.it/social-learning-lorganizzazione-che-impara-ad e in occasione del Social Business Forum 2012 )
  • La formazione in azienda è per sua natura uno degli scogli maggiori da superare in ambito di processi di trasformazione. E’ avvertita con sempre maggiore necessità l’esigenza del controllo e la paura di perdere ciò che si è guadagnato (in questo senso si veda anche il post relativo al report di AIIM in cui si valutano le diverse funzioni aziendali rispetto alle tecnologie sociali – http://www.aiim.org/Research-and-Publications/Research/Industry-Watch/Social-Processes-2012 )
  • Il trend del mobile e la sua integrazione con il social learning risulta ancora quasi del tutto inesplorato se non in alcune sperimentazioni geniali che rimangono poche ed isolate come mosche bianche e sulle quali non viene fatta abbastanza ricerca e valutazione
  • I progetti e le ricerche, ma anche le sperimentazioni che vengono fatte nel settore della Media Education (si veda su tutte la Mac Arthur Foundation – http://digitallearning.macfound.org/site/c.enJLKQNlFiG/b.2029199/k.94AC/Latest_News.htm ) testimoniano un interesse crescente nei confronti di questi temi e nella volontà di testare con mano e provare nuove strade. All’interno delle aziende, vuoi per vincoli burocratici, vuoi per mancanza di cultura, vuoi per rischi troppo elevati da correre purtroppo il modello dell’apprendimento e gli strumenti utilizzati sono – ancora – quelli che risalgono all’E-Learning tradizionale e consolidato. L’innovazione in questo senso, è davvero pochissima. 
  • Sono molte le piattaforme che provano a proporre innovazione in questo senso e una gestione dell’apprendimento più snella più autonoma e diretta e coordinata direttamente dal discente. In questo caso si possono citare i casi di Coursera ( https://www.coursera.org/ ) che vanta la partnership di alcune grandi università internazionali, la Kahn Academy ( http://www.khanacademy.org/ ) che si muove su tutt’altro fronte o – in Italia – molto diverso anche in questo caso quello che è stato fatto da Oil Project ( http://www.oilproject.org/ ). Interessante anche – e chiudo con questa segnalazione – quello che sta facendo Google in questa direzione: http://www.openclass.com/open/home/index

Verrebbe da dire – quindi – almeno per quanto riguarda l’ambito delle aziende: nihil sub sole novi. Gli orizzonti per la sperimentazione e per avere buoni risultati io penso che ci siano poi sta ai singoli saperle cogliere. La strada da fare – sicuramente – è ancora molto lunga.  

Stefano Besana, Rosario Sica, George Siemens
Pubblicato originalmente su Harvard Business Review Italia. Read more on http://socialbusinessmanifesto.com/ 

Social Learning: inquadramento teorico

Iniziamo con una premessa fondamentale: il Social Learning non è un nuovo trend. I modelli di apprendimento come quelli delle corporazioni, delle gilde e dell’apprendistato hanno invocato molto tempo fa quello che noi oggi chiamiamo Social Learning. Andando ancora più indietro nel tempo, i primi filosofi praticavano quasi esclusivamente il “Social Learning”, come ci ricordano molto bene le storie che ancora si raccontano su Socrate, Platone e Aristotele.

Ciò che c’è – oggi – di veramente innovativo è la scala sulla quale possiamo essere coinvolti in un processo di Social Learning. Le tecnologie basate sul web riducono moltissimo le barriere che i discenti erano costretti ad affrontare nel passato (tempo e geografia sono solo due delle molte possibili variabili che possiamo utilizzare come esempio): con lo sviluppo dei social network e di strumenti come Skype, Google Talk e i device mobili, il livello e la scala rispetto alla quale possiamo essere “social” sono aumentati in modo consistente e considerevole. In questo senso, il Social Learning è un ritorno più naturale al nostro modo di apprendere e di interagire con gli altri.

Per quanto riguarda il rapporto tra Connettivismo (1) e  Social Learning possiamo vedere le attività del Social Learning come parte del Connettivismo. Entrambi i concetti si riferiscono a come si distribuisce la conoscenza ed enfatizzano come problemi complessi possano essere risolti assumendo un’ottica reticolare e sistemica.

Il punto in cui il connettivismo differisce dal Social Learning è sull’accesso a risorse e fonti anche non-social. Per esempio: le nuove idee, molto spesso, non sono altro che rielaborazioni d’idee che si sono susseguite nei secoli passati. William Rosen nel suo libro The Most Powerful Idea in the World, mette in evidenza proprio questo: il modo, cioè, in cui le persone connettono tra loro le idee non è sempre sociale. Inoltre, il modo in cui le organizzazioni creano la loro struttura manageriale influenza il modo in cui l’informazione scorre all’interno dell’organizzazione stessa. Il Connettivismo è legato al come queste informazioni, tecniche e strutture sociali impattino e contribuiscano allo sviluppo d’innovazione, invenzione e adattamento dinamico dell’individuo e dell’azienda.

I maggiori sviluppi nel prossimo futuro – parlando di sistemi di apprendimento emergenti – saranno soprattutto nel dominio dell’analisi della conoscenza: produciamo, infatti, enormi flussi di dati in quasi tutto quello che facciamo (processo amplificato enormemente dalle tecnologie mobili). Le nostre idee, le nostre posizioni, quello che leggiamo, con chi interagiamo. Tutto è immortalato in Facebook, Foursquare, Twitter e sui nostri blog. Molte aziende brancolano nel buio in termini di conoscenza e apprendimento organizzativo. Riconoscere e utilizzare con intelligenza l’enorme quantità di dati e flussi d’informazioni che sono prodotti è il primo passo per muoversi verso un approccio analitico nei confronti degli scopi e degli obiettivi dell’azienda, oltreché un modo per costruire competenza. Attraverso l’analisi dei flussi d’informazione le aziende possono comprendere in che modo la conoscenza si muove nelle reti, come le persone collaborano, quali persone dovrebbero lavorare assieme secondo le attività che hanno in precedenza svolto e come fronteggiare efficacemente problemi complessi (come ad esempio l’ingresso in un nuovo mercato, l’acquisizione di una nuova azienda, o il lancio di un nuovo prodotto). Le analisi di questi dati – in sostanza – possono aiutare le aziende a comprendere meglio se stesse.

La maggior parte degli esperti e dei consulenti enfatizzano la dimensione sociale e il modo in cui le nuove tecnologie – Facebook, Twitter e i blog – contribuiscano a far divenire “social” le persone. Trattano l’aspetto sociale come il più critico all’interno del processo di apprendimento. Noi crediamo piuttosto che le persone siano mosse prima di tutto dalle informazioni. Processiamo l’informazione costantemente. Da quando siamo bambini, cerchiamo di dare un senso al mondo cercando di rifletterci sopra, di valutare, di connettere le informazioni che incontriamo. È un tratto evoluzionistico: siamo esseri viventi basati sulle informazioni. Ci sviluppiamo in relazione alle informazioni intorno a noi.

Tornando indietro all’epoca in cui l’uomo era un cacciatore-raccoglitore, quelli che sopravvivevano erano coloro che erano in grado di dare un senso alle informazioni presenti nel contesto in cui vivevano: quali piante raccogliere, quali animali evitare, di cosa cibarsi e via dicendo.

La nostra assunzione di partenza è che il tratto dominante dell’umanità sia l’acquisizione, la processazione e la creazione d’informazioni. Impieghiamo approcci sociali che ci consentono di gestire meglio le informazioni. Troppe persone che parlano di Social Learning vedono la dimensione sociale come il punto di arrivo. Vediamo piuttosto nella ricerca di senso e di una via lo scopo primario che ci fa utilizzare gli approcci sociali per assisterci in un’evoluzione personale e nella sopravvivenza.

Già Wenger e Lave, nei primi anni ’90, avevano intuito il ruolo fondamentale delle comunità di pratica e degli scambi informali tra persone nelle organizzazioni. A distanza di oltre vent’anni dai loro primi lavori il panorama organizzativo si è evoluto in maniera considerevole, ma l’importanza del ruolo delle comunità informali nella costruzione di conoscenza, non solo è rimasto immutato, ma ha anche beneficiato, rafforzandosi, della grande evoluzione – tecnologica e culturale – di tutto quel mare magnum che può rientrare sotto l’etichetta Enterprise 2.0, in cui il ruolo delle community è diventato dominante e di primaria importanza.

In questo senso il Social Learning si colloca in quella dimensione organizzativa legata all’apprendimento, allo scambio di conoscenza, alla formazione e alla gestione delle risorse umane che risulta essere fondamentale in tutte le aziende, siano esse più o meno complesse.

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Lo schema riportato in Fig. 1 ben sintetizza l’evoluzione che dagli anni ‘90 ad oggi le concezioni della formazione attraverso le tecnologie hanno avuto, passando da sistemi e approcci di semplice formazione a distanza sino a giungere a modalità di blended learning e di costruzione di ambienti che permettono un livello di interazione e un numero di funzioni sempre maggiore.

Cercando però di dare una definizione concreta di Social Learning potremmo sostenere che esso sia un fenomeno emergente (non predeterminato o pianificato) che origina a partire dalle reti di conoscenza (knowledge networks) e dai flussi di informazione, siano essi formali e informali, all’interno delle organizzazioni. Il Social Learning è, altresì, l’appoggiarsi a reti sociali e interazioni per avere assistenza nella propria ricerca di attribuzione di un senso alle informazioni presenti nel nostro contesto. Conoscere – oggi – significa essere connessi:
la conoscenza si muove troppo velocemente perché l’apprendimento possa essere considerato semplicemente un prodotto che giunge alla fine di un processo puntuale. Abbiamo bisogno di connetterci ai network d’informazione e di “depositare” la conoscenza nelle relazioni più che nelle nostre teste o nei sistemi di knowledge management.

Non si tratta quindi della semplice applicazione di tecnologie sociali (o 2.0, secondo una ormai vecchia etichetta) all’ambito dell’apprendimento, provando a evolvere le classiche logiche degli LMS (Learning Management System) verso modelli più simili a quelli dei noti social network: si tratta, piuttosto, di ripensare alla formazione e allo sviluppo dell’apprendimento in una modalità più integrata con il fluire delle attività operative, pensando alla learning organization come un organismo vivente che si evolve continuamente.

Cerchiamo però di capire meglio il contesto di riferimento e i principi effettivi del Social Learning attraverso l’analisi di un caso di studio.

Applicare il Social Learning: un caso concreto

Cerchiamo di spiegare meglio i concetti alla base del Social Learning con un esempio pratico legato a un contesto in cui molte organizzazioni possono ritrovarsi: una grande multinazionale ha l’esigenza di rivedere il proprio Learning Management System causa obsolescenza. Il portale che eroga i contenuti formativi era basato su una piattaforma in rapido declino funzionale. Inoltre l’azienda avverte anche la necessità di evolvere verso un sistema che abbia costi di mantenimento e di gestione inferiori e che sia possibile manutenere in modo autonomo, senza la necessità di appoggiarsi a vendor esterni per qualsiasi esigenza, anche banale. Il progetto nasce quindi con lo scopo di effettuare un porting di tutti i dati storici e dei pacchetti SCORM/WBT in modo da poter continuare a offrire i moduli formativi a tutti i dipendenti della società (parliamo di una popolazione servita superiore alle 5000 persone). L’utilizzo che viene fatto di questa piattaforma è estremamente classico, basato su learning object precisi e concreti in cui la parte di e-learning viene fruita in modalità estremamente tradizionale, come semplice erogatore di contenuti statici e repository di file. In sostanza, la modalità di apprendimento sottesa alla piattaforma è basata su un concetto molto semplice: gli utenti in formazione iscritti alla piattaforma hanno accesso ai corsi a cui sono assegnati e ne fruiscono in modo passivo, limitandosi ad osservare la spiegazione mostrata a monitor e a compilare un test di comprensione alla fine del percorso.

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La sfida del progetto è stata dunque di fornire al cliente non solo un mero porting dei contenuti da una piattaforma all’altra, ma integrare le quattro dimensioni dell’apprendimento, dimensioni che riteniamo indispensabili all’interno della progettazione di un ambiente di Social Learning:

  • Training & LCMS (Learning Content Management System): un’azienda –  piccola, media o grande che sia – ha l’esigenza di erogare corsi per i quali è richiesto un tracciamento (pensiamo anche solo a quelli obbligatori per legge: 626, Privacy, ecc.) e un tool che faccia da LMS classico deve essere presente in un ambiente di Social Learning. Realizzare un progetto di Social Learning non significa buttare all’aria anni di esperienze e di apprendimenti sul mondo e-learning, piuttosto valorizzare queste esperienze alla luce di un contesto che è mutato. Altro tema da coprire è quello dell’assessment e della reportistica che – molto spesso – è necessario produrre e che non può essere lasciato scoperto. L’inserimento all’interno del contesto di una piattaforma che copra queste necessità è sicuramente utile e importante ai fini dell’erogazione di una formazione più tradizionale. Il Content Management System: riguarda la gestione dei contenuti e la presentazione degli stessi in modalità il più possibile user-friendly, graficamente accattivante e nel rispetto dei classici principi della user experience: non è un caso raro imbattersi in piattaforme aziendali di gestione della formazione e dei corsi di apprendimento che presentano un’interfaccia tutt’altro che in linea con queste riflessioni: ambienti difficili da utilizzare, macchinosi e con una pessima user experience sono purtroppo all’ordine del giorno. È bene non sottovalutare la modalità di presentazione dei contenuti, perché solo in un ambiente che presenta le giuste affordance cognitive l’apprendimento può essere efficace. Inoltre un CMS per l’idea progettuale che ne sta alla base è realizzato per permettere la facilità di caricamento e di condivisone di contenuti e – tema di non secondaria importanza – per supportare una varietà di formati estremamente elevata. Questo permette di facilitare notevolmente il compito di chi si occupa della formazione: la creazione di percorsi di apprendimento modulari e specifici.
  • Self Learning: i repository aziendali abbondano di contenuti che possono arricchire e integrare i percorsi formativi. Nella progettazione di nuove piattaforme per l’apprendimento bisogna prevedere l’integrazione di più sorgenti, sia interne che esterne, in modalità self service.???Inoltre, nel pieno rispetto di quelle che sono le lezioni del già menzionato 2.0: il ricorso a folksonomie, a percorsi modulari e personalizzabili e alla focalizzazione sulle esigenze del singolo utente rappresentano – oggi più che mai – la chiave vincente all’interno di un percorso di apprendimento.
  • Community & Social Network: le community, l’aspetto “social”,  sono la vera rivoluzione culturale, sociale e tecnologica che ci ha coinvolti in questi anni. Saper valorizzare le comunità di pratica e i network ad esse sottesi risulta oggi il vero fattore differenziante per la realizzazione di un ambiente di apprendimento in grado di generare del valore per tutto l’ecosistema aziendale.
  • Nuovi formati: wiki, social bookmarking, storytelling, gaming, micro-video sono solo alcuni dei tools che gli utenti devono avere a disposizione per generare contenuti per alimentare la piattaforma con contributi dal basso. Come obiettivo bisognerebbe alimentare un repository per costruirsi, ad esempio, uno YouTube, uno Slideshare aziendale o altro, e per fornire ai discenti tutti gli strumenti necessari a condividere in modo semplice e rapido i contenuti funzionali all’apprendimento. Per fare un parallelismo, l’ambiente dovrebbe essere quantomeno in grado di consentire il livello massimo di presenza (3) al suo interno. Solo in questo modo gli utenti saranno davvero liberi di sperimentare nuovi formati e di trarne un reale beneficio in termini di apprendimento significativo.

Per il progetto di cui parlavamo in apertura, ad esempio, sono state integrate le quattro dimensioni (Fig. 2) attraverso l’utilizzo di tecnologie OpenSource che coprissero i differenti temi e le diverse esigenze. Per quanto riguarda la gestione lato LCMS si è scelto di impiegare Moodle che, soprattutto negli ultimi anni, è diventato un punto di riferimento nell’ambito degli LCMS. Per rendersene conto basta dare
un’occhiata alle statistiche riportate sul sito ufficiale: http://moodle.org/stats/. Tuttavia Moodle è ancora ancorato – per scelta e necessità – a una visione dell’apprendimento classica e manca di molte delle funzioni che strumenti più social hanno (in questo senso basti anche solo pensare al tool per la gestione dell’apprendimento Schoology (https://www.schoology.com/home.php).

Come fare dunque per sopperire a questi limiti e come personalizzare in modo più efficace l’interfaccia di Moodle? E’ iniziato un processo di integrazione con componenti CMS e Social. A questo punto resta da definire un tema d’integrazione degli ambienti, che abbiamo scoperto essere già prevista in buona parte e implementabile attraverso  plugin. Resta scoperta la gestione degli aspetti informali, che abbiamo coperto anche in questo caso con un plugin ad hoc per la creazione di community interne a Joomla: il plugin in oggetto è JomSocial (http://www.jomsocial.com).

Con l’integrazione di questo plugin tutte le aree di sviluppo sono state coperte.

Il caso presentato vuole solo essere uno spunto per capire come sia possibile con pochi semplici strumenti realizzare un ambiente di apprendimento che sia il più ricco e stimolante possibile e che tenga conto di tutte le esigenze dei singoli attori coinvolti.

La difficoltà tecnica di realizzazione di un ambiente di questo tipo è modesta. La vera sfida oltrechè nella progettazione sta nel mantenimento e nel coinvolgimento dei soggetti in apprendimento.

In ogni caso resta sempre valida l’idea che un progetto di Social Learning, e più in generale un qualunque progetto di Social Business, debba essere studiato “sartorialmente” sulle basi delle esigenze, differenti e specifiche per ogni contesto e caso.

Sforzandosi di fare un esercizio di riflessione più ampio a partire dall’esempio visto, sottolineiamo come le tecnologie sociali possano garantire la possibilità di creare percorsi di formazione e di apprendimento vasti e articolati. L’applicazione delle tecnologie sociali alla formazione d’aula può poi evolvere le già mature considerazioni che sono state fatte sul blended learning portandolo a un nuovo livello che sappia valorizzare contenuti differenti.

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In questo senso riportiamo in Figura 3 lo schema presentato in Scotti e Sica (2007-2010: Community Management) che ben mette in luce come la formazione a catalogo e pianificata riesca a coprire solamente una parte del mare magnum in cui l’apprendimento ha luogo. In questo senso la creazione di comunità che supportano la conoscenza risulta un requisito fondamentale per facilitare quegli aspetti taciti che altrimenti non potrebbero essere valorizzati.

Valutare il Social Learning

Anche nella valutazione dell’apprendimento dobbiamo rivedere e ripensare metodologie e tecnologie: è chiaro che non possono essere utilizzate logiche vecchie applicate semplicemente a nuovi paradigmi, ma deve essere rivisto l’intero framework dei processi di apprendimento, dell’individuo e dell’organizzazione in generale. Molte ricerche stanno andando nella direzione dell’utilizzo della Social Network Analysis (SNA) per valutare la formazione e l’apprendimento.

Nei primi anni 2000, in un progetto di Social Network Analysis che ha coinvolto il dipartimento di una grande università negli Stati Uniti, abbiamo valutato oltre 100 persone e abbiamo cercato di comprendere in che modo essi collaborassero gli uni con gli altri, dove andassero per chiedere aiuto e come usassero le reti sociali a loro disposizione per risolvere i problemi di tutti i giorni.

Comprendere i nodi essenziali della rete del dipartimento è stato un importante primo passo per dare l’avvio a un cambiamento organizzativo.

In modo molto simile, le organizzazioni di oggi hanno bisogno di prendere in considerazioni analitiche nuove e modelli di valutazione innovativi per riconfigurare la loro struttura. La conoscenza che giace nella maggior parte delle organizzazioni non è connessa adeguatamente. Molto spesso certe persone lavorano su alcuni problemi senza sapere cosa fanno gli altri, senza consapevolezza.

Sul piano dell’analisi dei risultati dell’apprendimento, sia a livello individuale che organizzativo, abbiamo bisogno di ripensare il modo in cui individuiamo e analizziamo i risultati degli interventi formativi.

Gli strumenti di analisi giocano un ruolo importante nel mappare la conoscenza organizzativa. In questo senso, le analisi ci forniscono un modello dal quale partire per riconfigurare la nostra azienda. Nel passato i leader hanno preso le decisioni con angoli di visuale completamente ciechi. Per esempio, l’unione di due dipartimenti è stata condotta perché aveva senso dal punto di vista finanziario. Poca è sempre stata l’attenzione posta alla conoscenza e al come l’apprendimento e la costruzione di sapere potrebbero essere influenzati. Con questo tipo di analisi possiamo comprendere meglio questi ‘punti ciechi’ ed eliminare i rischi nella riconfigurazione dei reparti della nostra azienda.

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In questo senso è possibile rivisitare il modello – ben noto a chi si occupa di valutazione dell’apprendimento – di Kirkpatrick (basato su una valutazione individuale degli impatti della formazione) ed evolverlo verso un approccio più ampio della valutazione che estende i livelli di analisi a una dimensione più ampia e “di rete” in grado di valutare anche impatti organizzativi più diffusi che coinvolgono le comunità presenti all’interno dell’azienda (si veda Figura 4); nello specifico ci si domanda: in che modo emergono le reti collaborative? Alla fine del corso di formazione quali reti sono state migliorate e quali nuovi nuclei sono nati? Come si muove la conoscenza all’interno dell’organizzazione? Le affinità interne rispetto ai temi del corso si sono modificate? Come si dovrebbero organizzare i team di lavoro per migliorare efficacia ed efficienza aziendale?

È quindi possibile identificare altre quattro dimensioni da affiancare a quelle inizialmente previste dal modello, per meglio valutare gli impatti che il corso di formazione ha sulla rete lavorativa:

  • Affinità: al termine del corso è cambiato il grado di affinità dei partecipanti rispetto ai temi trattati e agli obiettivi più generali?
  • Social Knowledge: attraverso il corso di formazione è stata diffusa conoscenza all’interno dell’organizzazione sfruttando le reti informali?
  • Network Creation: sono stati creati gruppi collaborativi e nuovi legami all’interno del corso che poi siano estendibili al resto dell’organizzazione?
  • Network Development: abbiamo svilupp
    ato i nuclei creativi già presenti?

L’integrazione di queste “nuove” metodologie e processi di valutazione all’interno degli schemi classici e già noti a chi si occupa di formazione consente di avere un quadro valutativo completo dell’organizzazione e permette di comprendere appieno gli scambi formali e informali all’interno dell’azienda.

……………………….

(1) Per riferimenti all’approccio Connettivista è possibile consultare il volume di George Siemens: Knowing Knowledge

(2) Con SCORM (Sharable Content Object Reference Model) s’intende un modello di riferimento che consente lo scambio di contenuti in modo indipendente dalla piattaforma. Un WBT (Web Based Training) è un pacchetto formativo erogato, appunto, attraverso il web.

(3) A livello di psicologia dei nuovi media (Riva, 2008) definiamo il concetto di presenza come la sensazione di essere all’interno di un ambiente digitale data dalla possbilità di mettere in atto le proprie intenzioni. 

Emanuele Scotti, Rosario Sica, Emanuele Quintarelli

“Markets are conversations”
Cluetrain Manifesto, March 1999

Collaborative mechanisms are radically changing the way in which markets function and the way in which organizations create value. Consumer behaviour is becoming ever more conditioned by the reputation of companies among consumers and influence among peers, often leaving businesses themselves out of the conversation. How does marketing, advertising or CRM re-establish itself in the new millennium?

The method previously relied upon to organize work – born during the manufacturing industry era in order to segment and control industrial production, a method which has reached the present day almost intact – appears inadequate and clumsy in managing the need for reactivity, innovation and agility in today’s organizations. How can we regain efficiency and speed? How can we free the great potential of intelligence, creativity and energy that is exploding onto the business network but which is still trapped in the bureaucracy of modern organizations? These questions go beyond popular phenomena or trends and critically examine business and management practices and convictions in today’s society.

This is a reflection that dates far back and that has re-emerged over recent years in a devastating manner, taking the name of Social Business. Social Business is how a business operates in the era of interconnectivity. Social Business is a new way of organizing work and relationships with a business ecosystem.

Management disciplines have developed great capacities to make stable and repetitive processes efficient over time. Businesses are now being asked to be more agile, to continually redefine themselves, to provide a relevance to service and customer experience, and more. This makes those capacities no longer sufficient and, in some cases, even dangerous.

In this context, the emerging models of Social Business, both inside and outside an organization, are starting to show their value.

If we really want to create something entirely new, we need to start looking around in a new way, otherwise we will continue to behave as we always have. To create new things, we need to look at creating a newer version of ourselves. Let’s consider another period of great transformation, that of the transition from the medieval era to the modern day. The person who best represents this change is Christopher Columbus. Discovering America is in itself an intriguing story for those who study innovation. When we look at great moments of change, we often risk making the mistake of seeing things in a linear manner: some have thought that to do a certain thing, you need to plan the journey and then you will arrive at the destination. However, when you are on the journey of change it is nothing like this. It wasn’t like this in 1492. The story behind the discovery of America is full of errors; Christopher Columbus was convinced up until his death that he had shown the way to the West Indies and not that he had discovered a new continent. It took twenty years to correct this mistake. In order for people to understand that an unknown continent had indeed been discovered, Western Europeans had to change their own opinions and create new maps.

In times of great change things like this happen: you discover things which you never expected to discover. And in turn your convictions, identity, and cognitive processes change.

So why this introduction? Because today we find ourselves in a time very similar to the end of the medieval era, a time of great confusion. And for those of us who work in the world of organizations, it’s easy to see that in all of this confusion, traditional values and managerial models are heavily involved.

The first point to consider is that we need to change some of our convictions. The current management models for our companies no longer work. We have made management a science; we have tried to transform people into machines; we have divided work tasks into segments, taking significance away from the things we do whilst we work; we have depersonalized things in order to try to control the work place; we have tried to standardize work to guarantee the possibility of repeating services without unforeseen events.

This type of organization worked well when the theme of the business was repetition. It becomes a model that works far less well when the nature of the business is knowledge-based, striving for constant innovation, within an intangible environment.

We don’t have the organization and the appropriate technology for the era that we are living in.

Just as at the time of Christopher Columbus, even we need new maps, especially because it is very difficult to manage things that we are not capable of seeing. These new maps are obliged to work with a technological infrastructure that has only been created in the last few years – the Web, more specifically, Social Media – which is interesting not only in itself, but also for the social behaviour it allows.

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The dynamic that emerges by collaborating with other people online can be represented by a curve showing increasing marginal returns (Fig. 1): the overall growth corresponds to overall input. If we learn to harness the power of patrimonial intelligence and the energy of group work the value that is generated grows exponentially. For a long time we have been used to performance curves which in general have decreasing marginal returns, such as the typical curve of experience. (Fig. 2)

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This comparison is very interesting, as it opens up possibilities for us of radical innovation which we don’t even know how to see using our current cognitive processes. We are in a time of great changes, but we think of change in an old way, as something linear, where we have to say where we should go, what the expected ROI is, what the benchmark of reference is, and what the plan of action is in order to reach the goal. But we will never get anywhere if we do not change our way of observing things. We could discover, for example, that – as happens on the internet – if organisations also moved their attention from codifying content (archiving documents, procedures, rules) to protecting connections they would have improved efficiency spaces in front of them. Controlling communication flows among individuals is becoming more important today than controlling the content of the communication itself.

This adjustment must be made quickly, because the world is moving faster than ever. As the Queen of Hearts says in Alice in Wonderland, we must run, but we must run just to stay in the same place. There are emerging countries that are running much more than us; the phenomena that we have already mentioned are creating markets with different rules. The customer is now social (“social customer”) and much more efficient in making the most of the information on companies and products than the companies are themselves. The same thing is happening in some way within companies, with the birth and self-organization of communities and spontaneous networks favoured by technologies, often operating consistently with the organization’s project, but sometimes not.

This tendency has grown from a new generation of young people, who bring with them a completely different culture from that of the organisations that we have created. In this generation, there are completely new
concepts of belonging, of boundaries, of mine and yours, and of collaboration. Businesses must therefore act and act fast. Many of them are already doing so, while others are trying.

Many of them are aware that they have lost control of their own brand, which is passing into the hands of the people who are online – people who discuss their experiences, leave comments, and give criticism in more far-reaching, and more appreciated ways than traditional communication initiatives and campaigns. As Chris Anderson says, we are no longer what we say we are but what Google says we are. The voice of the consumer has gradually become more important in the creation of the image and the reputation of the brand.

A lot needs to be done to create an organisation and infrastructure which are more in line with today’s economy and social context.

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First and foremost, we must create infrastructures of emerging collaboration, i.e. infrastructures which have increasing returns. People have to be able to build trust and resources, they have to be able to organize themselves, they have to be able to solve their problems collaboratively (Fig. 3). This must be done through the integration of two worlds: that of traditional organization (which nevertheless remains necessary for defining responsibilities, plans and tasks) and that of new forms of organization and the emerging collaborative network, which are necessary for dealing with unforeseen circumstances. There is also a lot to be done on the external front – engaging with the client (fig 4).

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We need to talk to clients. We need to stop shouting; we have to listen and understand how they use products and what they want. Companies can carry out “social marketing” activities, letting enthusiastic clients “infect” others. They can use social networks to generate sales, and provide customer care and innovation together with clients. There are also plenty of examples of this.

We have to look at innovation from a new perspective, a less linear, less planned and exploratory perspective (Fig. 5). Networks are much more efficient at this than hierarchically organised groups, because when we explore something new we need to believe it, we need to have different points of view, we need to organize ourselves each time in line with the task at hand, and networks are much more efficient at this. Today is no longer about evangelization; that was the case years ago, when we started our project and launched the Enterprise 2.0 Forum in 2008. Today this has become mainstream. So what kind of company do we imagine? It’s an open, emerging and collaborative organisation, in which we need to talk to people outside the company with feedback flows precisely because we are organised inside the company with similar flows. The organisation can therefore do social media marketing, innovation/crowdsourcing, collaborative support with clients, and more.

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We need courage, energy and faith in order to make this journey. But above all, we need to wear the right glasses, and look at new phenomena with new eyes. Only at that point will we discover that we have reached a new land of opportunities.

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  1. Chaos is simplicity that we cannot  see yet
  2. Organisations are conversations
  3. Entropy is born from trying to use new tools to do old things, or from using old tools to do new things
  4. E-mail has been overtaken by more open and emerging exchange platforms. Organizations should abolish their internal use of e-mail
  5. When faced with ever more complex and inter-connected problems, decision-making architecture – represented by modern business and governance models anchored in a hierarchical command-control principle – shows all its inadequacy
  6. The road must be the culture of risk: new perspectives do not open up without risks
  7. Clients know the products much better than the companies that produce them
  8. Those who work expect in some way to be able to participate in the organizational project; malaise is generated by the impossibility of this participation
  9. In order to see new phenomena we need to build new tools of analysis and measurement
  10. Organisations are living organisms. Even before generating products they generate and transform knowledge
  11. The ability to generate and transform knowledge makes organizations emerge or decline in the knowledge economy
  12. Knowledge is generated and transformed in conversations among employees, among clients and between clients and employees
  13. Conversations go beyond walls and roles and favour relationships of trust that are difficult to condition
  14. The weak point of knowledge management is the management
  15. Collaboration is the challenge for modern organizations. We have only just begun to deal with this; the management tools currently available are inadequate for the purpose, as they were born in another era and for opposite objectives.
  16. Collaboration does not (only) mean coordination, planning, and role management. Collaboration means putting collective intelligence to good use
  17. Today we need to come together, create stories and common meanings, involve personal feelings, find ways to engage with people
  18. Organizations that are inflexible risk extinction
  19. High-performance organizations have disorganization and weak links as their strong point
  20. There is much more intelligence in our organizations than management is willing to recognize
  21. The intelligence in organizations today is trapped in procedures, customs and roles
  22. It is difficult to direct a conversation; it is easier to feed it or silence it for good
  23. An economic crisis is also a crisis of management models and work organization models
  24. Today, man’s great works are born from conversations, and often they don’t need governance
  25. The knowledge of organizations today lies more in connections than in company databases
  26. Teamwork, integration, collaboration: organizations are cramming themselves full of concepts that are ever further from their own practices
  27. The market today has a faster and more articulate intelligence than the intelligence of organizations
  28. Organizations react to stimuli in their market with a speed that is inversely
    proportional to their size
  29. HR’s plans hide the fear of freeing the energy and intelligence found within the organization
  30. Clients, like employees, are looking for a contact and a dialogue but instead find rubber walls with high-sounding names: call centres, customer care, direct lines
  31. Consultants strengthen the status quo: they try to bring complexity to the pre-established order but by doing this they increase entropy as they simply move the disorder to another level
  32. Disruptive innovation does not occur in  R&D departments: it occurs by mixing points of view and knowledge in new and open connections
  33. One-way intranets are useless; Social Intranets can today become the nervous system that allows an organism to feel and act as a unit: they allow the exchange of stimuli, the accumulation of memory, the formation of identity and the coordination of actions
  34. Today there is a need to come together: to connect the dots (vision) but also to connect people and create autopoietic (self-creation) systems
  35. Reputation is the key
  36. Centre and outskirts are concepts of the last century. Online, centrality is a function of authority and visibility
  37. Listen, listen, listen: it’s the client who tells you who you are
  38. In the knowledge economy you don’t have to know everything but you do have to be well connected
  39. From the knowledge economy to the gift economy…
  40. The business process emerges bottom up, learns constantly and adapts itself according to feedback from employees and clients
  41. Think in a new way: abandon slideshows and restructure work spaces.
  42. Listening to conversations is not enough. We need to draw meaning from them and direct change
  43. Your employees come first. Without their involvement your Marketing department will never be able to engage customers
  44. Consulting firms are not needed to build new organisations.
  45. Ideas from clients, employees and suppliers are just as good as those from management
  46. Social Business is not a new technology, it’s a new type of company
  47. Looking at the market through the eyes of the product and socio-demographic segments has lost its value. Let’s seek out passions, needs, tribes
  48. A company is centred on the client when it is able to look at itself from the outside, knocking down barriers both internally and externally
  49. Bottom-up innovation does not mean carrying out everything that the clients ask for. It means understanding the problem that the clients want solved and helping them to solve it
  50. Socializing processes does not mean creating new silos, even if they are social. It means breaking down traditional and social silos.
  51. Only working for a wage never makes the difference. People today are looking for a common mission
  52. Opening a Facebook page is easy. Opening the doors of a company and welcoming clients is difficult
  53. Companies hardly ever know what the client wants because they have always been afraid to listen
  54. Communities of people are not created and managed. Communities attract members and are cultivated by them
  55. The new management model is closer to cultivating a community than to leading a flock
  56. Change starts from the early adopters, but sustainable change reaches everyone else
  57. Customer service is the new marketing
  58. The only way to balance the excess of information in which we are drowning is by adding more information that acts as a filter
  59. A group of kids has created more innovation in the last 15 years than IBM, Microsoft and Oracle put together

Social Business Manifesto is proudly written by OpenKnowledge team. Learn more on – http://socialbusinessmanifesto.com/

George Siemens, Rosario Sica, Stefano Besana

A theoretical framework

We begin with a fundamental premise: Social Learning is not a new trend. Learning models such as those of corporations, guilds and apprenticeships invoked long ago what we now call Social Learning. Going back further in time, the first philosophers practised Social Learning almost exclusively, as the stories which are still told about Socrates, Plato and Aristotle remind us.

What is really innovative, today, is the scale on which we can be involved in a process of social learning. Web-based technologies greatly reduce the barriers that learners were forced to face in the past (time and geography are just two of many possible variables that can be used as an example): the development of social networks and tools such as Skype, Google Talk and mobile devices, the level and scale at which we can be “social” has increased consistently and substantially. In this sense, Social Learning is a return to our more natural way to learn and interact with others.

As regards the relationship between Connectivism1 and Social Learning activities we can see Social Learning as part of Connectivism. Both concepts refer to how knowledge is distributed and emphasize how complex problems can be solved by assuming a network and systemic perspective.

The point at which Connectivism differs from Social Learning is the access to resources and sources including non-social ones. For example, new ideas, very often, are simply reworkings of ideas that followed one another in past centuries. William Rosen in his bookThe Most Powerful Idea in the World, highlights exactly this point, i.e., the way in which people connect to each other’s ideas is not always Social.  Furthermore, the way in which organizations create their managerial structure influences the way in which information flows within the organization itself. Connectivism is linked to (the question of) how this information, these techniques and social structures have an effect on and contribute to innovation, invention and dynamic adaptation of the individual and the company. The biggest developments in the near future – in terms of emerging learning systems – will above all be in the domain of analysing knowledge: in fact, we produce huge flows of data in almost everything we do (a process amplified greatly by mobile technology). Our ideas, our positions, what we read, with whom we interact. Everything is captured forever on Facebook, Foursquare, Twitter and our blogs. Many companies are fumbling in the dark in terms of knowledge and organizational learning.

Recognizing and using wisely the huge amount of data and flows of information that are produced is the first step to moving towards an analytical approach as regards the goals and objectives of a company, as well as being a good way to build competence. Through the analysis of information flows companies can understand how knowledge moves in networks, how people work together, which people should be working together based on the activities they have previously performed and how to deal effectively with complex problems (such as entry into a new market, acquiring a new company, or launching a new product). Analyses of these data – in essence – can help companies better understand themselves.

Most experts and consultants emphasize the social dimension and the way new technologies – Facebook, Twitter and blogs – contribute to making people “social”. They deal with the social aspect as the most critical element within the internal process of learning. We instead believe that people are motivated primarily by information. We constantly process information. From childhood, we try to make sense of the world by attempting to think about it, to evaluate it, to connect the pieces of information we encounter. It is an evolutionary trait: we are living beings based on information. We develop in relation to the information around us.

Looking back at the time when man was a hunter-gatherer, those that survived were those who were able to make sense of the information in the context in which they lived: which plants to collect, which animals to avoid, what to eat and so on.

Our starting assumption is that the dominant trait of humanity is the acquisition, processing and creation of information. We employ social approaches that allow us to manage information better. Too many  people discussing  Social Learning see the social dimension as its final goal. We see it rather in the search for meaning and a way whose primary purpose is to use social approaches to assist us in personal evolution and survival.

In the early ‘90s Lave and Wenger had already intuited the pivotal role of communities of practice and informal exchanges between people in organizations. After more than twenty years from their early work, the organizational landscape has evolved considerably, but the importance of the role of informal communities in building knowledge has not only remained unchanged but also benefited and been strengthened by the great evolutions – both technical and cultural – of all that vast sea that may be labelled as Enterprise 2.0, where the role of the community has become dominant and paramount.

In this sense, Social Learning fits into the organizational dimension connected to learning, the exchange of knowledge, training and the management of human resources that has become fundamental important in all businesses, both more or less complex.

The diagram shown in Figure 1 summarizes well the evolution from the ‘90s to the present of the conceptions of training in terms of the technologies they employed, from simple systems and approaches to basic distance learning up to blended learning and building environments that allow a degree of interaction and an ever-increasing number of functions.

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In trying to give a concrete definition of Social Learning, however, we could argue that it is an emergent phenomenon (not predetermined or planned) that originates from knowledge networks and information flows, both formal and informal, within organizations. Social Learning is, moreover, the reliance on social networks and interactions for help in our own search to give meaning to the information around us. Today “knowing” means to be connected: knowledge is moving too quickly because learning can be considered simply a product that comes at the end of a process. We need to connect to networks of information and “deposit” knowledge in relationships rather than in our heads or in knowledge management systems.

We are not dealing, therefore, with the simple application of social technologies (or 2.0, according to by-now dated label) to the context of learning, trying to evolve the classic logic of LMSs (Learning Management Systems) towards models similar to those of well-known social networks. Rather, we need to rethink training and learning development in a way that integrates more with the flow of operating activities. We need to think of the learning organization as a living organism that is constantly evolving.

Let us understand better the context of referral and the principles of Social Learning through the analysis of a case study.

Applying Social Learning: a case study

We will try to explain the basic concepts of Social Learning with a practical example related to a situation in which many organizations may find themselves: a large multinational company needs to review
their Learning Management System, which is becoming obsolete. The portal that delivers training content was based on a platform whose functionality is rapidly declining. In addition, the company also needs to move towards a system with lower maintenance and management costs and that can be maintained independently, without relying on external vendors for every need, even a small one. The project, then, started with the aim of porting all the historical data and SCORM/WBT packets so as to be able to continue to offer the training program to all the company’s. (We are talking about a population / user base of more than 5,000 people).

This is a classic use of this platform, based on precise and concrete learning objects in which the e-learning part is used in a very traditional way, as a simple static content provider and file repository. In essence, the mode of learning underlying the platform is based on a very simple concept: users of the platform access training courses they are assigned to and training is performed in a passive manner, limited to observing the explanation shown on the monitor and completing a comprehension test at the end of the trail.

The challenge in this project was therefore to provide customers not only a mere porting content from one platform to another, but integrate the four dimensions of learning, which we consider indispensable in the design of a Social Learning environment:

Training & LCMS (Learning Content Management System): a company – small, medium or large – needs to provide courses for which tracking is required (we are only looking at those required by law: 626, Privacy, etc.) and a tool that will be a classic LMS must be present in a Social Learning environment.

Creating a Social Learning project doesn’t mean throwing away years of experience and knowledge about the e-learning world, but rather means to valorize these experiences in a changed context. Another topic to cover is assessment and reporting which very often need to be produced and cannot be left uncovered.  Introducing a platform which covers these needs within the context is certainly important and useful in order to deliver more traditional training.

The Content Management System: This deals with content management and its delivery/presentation in an as user-friendly way as possible, with appealing graphics and meeting the classic user-experience principles: it is not uncommon to find company training management platforms and learning courses provided with interfaces which are not in line with these considerations: user-unfriendly and complicated environments with a very bad user experience are unfortunately quite common. It’s better not to underestimate the way contents are delivered, because learning can only be effective in an environment provided with good cognitive affordance. Moreover – considering the basic project idea – a CSM is aimed at allowing an easy upload and sharing of contents and – secondary but equally important – at supporting an extremely wide range of formats. Here’s what makes things much easier for people dealing with training: creating modular and specific learning paths.

Self Learning: companies’ repositories abound with contents that can enrich and integrate training paths. When planning new learning platforms it is necessary to expect the integration of more sources – both internal and external – in a self-service way. Moreover, being fully consistent with the lessons of the previously mentioned 2.0: relying on folksonomies, on modular and customizable paths and focusing on the single user’s needs today more than ever form the winning keys in a learning process/path.

Community & Social Network: communities – the “social” aspect – are the real cultural, social and technological revolution that has involved us over these years. Being able to valorize practice communities and related networks is a distinguishing crucial point when it comes to creating a learning environment which can generate value for the whole business ecosystem.

New formats: wiki, social bookmarking, storytelling, gaming and micro-video are just some of the tools that users should use in order to generate contents to feed the platform in a bottom-up way. The goal should be to feed a repository to create a Youtube, a company Slideshare or something else, and provide learners with all the necessary tools to share learning-related contents quickly and easily.

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To make a comparison, the environment should be able to allow the maximum level of presence3 inside, at least. Only in this way will the users really be free to experiment with new formats and get a true benefit from them in terms of significant learning.

For example, for the project we talked about initially, the four dimensions (fig. 2) have been integrated by using OpenSource technologies which covered different themes and needs. With regard to LCMS management they chose to use Moodle which has become a point of reference, especially over recent years, in the LCMS field. It just takes a look at the statistics on the official website http://moodle.org/stats/ to realize that. Nevertheless Moodle is still bound – by choice and by necessity – to a classic view of learning and is missing most of the functions found in more social tools (just think about the tool that manages learning, Schoology (www.schoology.com/home.php)). So how can we meet these limits and customize the Moodle interface more effectively? An integration process with CSM and Social components has started. Now all that is needed is to define an environmental integration process, most of which we have discovered to be already provided for and implementable through a plug-in.

Yet we still haven’t dealt with the management of informal aspects, which we have covered also in this case by a special plug-in to create internal communities in Joomla: this plug-in is JomSocial (http://www.jomsocial.com). By integrating this plug-in all the development areas have been covered. The case above is meant to be a starting point to understand how to build up an as rich and stimulating learning environment as possible with a few simple tools, which could take into consideration all the needs of the actors involved.

The technical difficulty of creating an environment like this is modest. Besides the planning, the real challenge lies in the maintenance and involvement of learners. In any case the idea remains that a Social Learning project – and, generally speaking, every Social Business project – is to be planned as a tailor-made project based on the different and specific needs for each context and case.

By forcing ourselves to try to extend what we learned from the example above to a general context, we underline how social technologies can guarantee the possibility to create wide and articulate training and learning paths. The application of social technologies to training in classes can later evolve the mature considerations made about blended learning so far by taking it to a new level which can valorize different contents. In this sense in fig. 3 we have included the diagram shown in Scotti and Sica (Community Management, 2007-2010). It clearly shows how the planned and catalogue training is only able to cover a part of the mare magnum where learning takes place.

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In this sense the creation of communities that support knowledge is a fundamental requirement in order to facilitate those silent aspects that couldn’t be valorized otherwise.

Assessing Social Learning

Even when assessing learning it is necessary to review and rethink methodologies and technologies: it is clear that old logics cannot be used and applied to new paradigms, but the whole framework of learning processes, of the individual and – more in general – of the company, must be reviewed. A large amount of research is heading in the direction of using Social Network Analysis (SNA) to assess training and learning.

In the early 2000s, we used a Social Network Analysis project involving a department of a large University in the US to assess over 100 people. We tried to understand how these people collaborated with one another, where they would go to ask for help and how they used social networks to solve their everyday problems.

Understanding the essential nodes of the department network was an important starting point on the path to an organizational change. In a very similar way, today’s companies need to take in consideration new analytics and innovative assessment models to reconfigure their structure. The knowledge lying in most companies is not properly connected. Very often certain people work on some problems without knowing what others are doing, without any awareness. When analyzing the results of learning on both an individual and organizational level, we need to rethink the way in which we identify and analyze the results of the training interventions. Analysis tools play an important role in the mapping of organizational knowledge. In this sense, the analyses provide us with a model to start from to reconfigure our company. In the past, leaders have sometimes taken decisions blindly. For example, the joining of two departments was carried out because it made sense financially.

Very little attention has therefore ever been paid to knowledge and to how learning and the building of knowledge could be influenced. With this type of analysis we can better understand these “blind spots” and eliminate the risks in reconfiguring the departments in our company.

In this sense the Kirkpatrick model (based on an individual assessment of the impacts of training) – well-known to those in charge of assessing learning – can be revisited and evolved into a wider assessment approach extending the analysis levels to a larger and “network” dimension, also able to assess the most widespread organizational impacts that involve the communities found within the company (see fig. 4). Specifically we ask ourselves: in what way are collaborative networks emerging? At the end of the training course, which networks have been improved and what new cores have been born? How is knowledge moving inside the company? Have internal affinities towards the course themes changed? How should work teams be organized to improve company efficacy and efficiency?

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We can therefore identify four other dimensions to support those initially provided for by the model, in order to better assess the impacts that the training course has on the working network:

  • Affinities: at the end of the course has the level of affinity of the participants changed towards to the themes dealt with and the more general goals?
  • Social Knowledge: through the training course was knowledge spread inside the company by taking advantage of informal networks?
  • Network Creation: have collaborative groups and new links within the course been created that can then be extended to the rest of the company?
  • Network Development: have we developed the creative cores already present?

The integration of these “new” assessment methodologies and processes within the classic models that are already well-known to those in charge of training allows us to have a complete assessment framework of the company and fully understand the formal and informal exchanges within the company.

Notes

  1. For references to the Connectivist approach please consult the George Siemens volume: Knowing Knowledge
  2. SCORM (Sharable Content Object Reference Model) means a reference model which allows the independent exchange of contents on the platform. A WBT (Web Based Training) is a training package supplied on the web.
  3. At the level of psychology of new media (Riva, 2008) we define the concept of presence as the feeling of being inside a digital environment given by the possibility of putting into practice our own intentions.

Si è conclusa settimana scorsa la due giorni – estremamente interessante e ricca di spunti – del Social Business Forum 2012 – http://www.socialbusinessforum.com/ .
Personalmente, visto dal lato di chi lo ha organizzato, con non poca fatica e impegno, posso dire di ritenermi estremamente soddisfatto sia per la qualità dei contributi che sono stati messi in tavola sia per il livello mostrato e per l’immagine che ne è emersa.

Come si legge nel comunicato stampa di chiusura dell’evento:

Il grande successo dell’evento testimonia la crescente attenzione da parte di manager e aziende – hacommentato Rosario Sica, Amministratore Delegato di OpenKnowledge – verso modalità di lavoro piùaperte, trasparenti, flessibili, capaci al contempo di motivare i dipendenti a dare il massimo e diinnescare relazioni più durature e profittevoli con i clienti. Negli ultimi 5 anni, il Social Business Forum ha accompagnato e facilitato una presa di coscienza nelmercato europeo – ha commentato Emanuele Scotti, Amministratore Delegato di OpenKnowledge – sulla necessità di rifondare il modello prevalente di impresa facendo leva su nuovi costrutti di management,leadership, incentivazione, misurazione dei risultati necessari a costruire un vantaggio competitivo difronte ad un mercato sempre più turbolento, imprevedibile e competitivo.

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Il Social Business Forum è stato, in Italia, prima di tutto un’occasione formativa, un mezzo per arrivare a diffondere anche nel nostro paese una cultura del fare, dell’innovare e del rendere le nostre organizzazioni più preparate, resilienti, efficaci ed efficienti nell’affrontare i tempi che corrono.

In questo senso il Social Business è stato anche un’ottima occasione per presentare all’esterno il lavoro che ormai da 2 anni e mezzo porto avanti assieme ad OpenKnowledge e che – con passione e fatica – proviamo a trasmettere ai nostri clienti.

Offering di OpenKnowledge:

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I molti speaker che si sono alternati sul palco (qui trovate tutte le slide che è stato possibile condividere – http://www.slideshare.net/SocialBizForum/) hanno sottolineato alcuni temi di grande interesse:

  • Il cambiamento necessario di cultura e di modalità di lavorare ancor prima che di cambiamento tecnologico
  • La necessità, ormai non più secondaria, di evolversi verso un Social Business e di portare l’organizzazione verso un nuovo orizzonte
  • La consapevolezza di un nuovo potere che hanno in mano i nostri consumatori, dipendenti, partner e clienti
  • La necessità di utilizzare strumenti nuovi per comprendere nuovi fenomeni e nuove metodologie che siano in grado di rispondere agli scenari mutati
  • L’importanza e la centralità del coinvolgimento come leva strategica
  • L’efficacia e il ROI delle iniziative basate sul Social Business
  • La consapevolezza dell’importanza di una strategia di coinvolgimento dei consumatori come dei dipendenti: verso l’esterno dell’azienda come verso l’interno.
  • La necessità di utilizzare ed esplorare nuovi scenari (come la Gamification)

Queste e molte altre tematiche sono state approfondite nel Social Business Manifesto (un altro dei temi centrali di questo Forum) che trovate disponibile all’indirizzo: http://socialbusinessmanifesto.com/ in lingua inglese.
Alcune tesi rappresentate visualmente:

Personalmente ho sfruttato l’occasione del SBF di quest’anno per mettere assieme e presentare alcune riflessioni che ho condiviso nei mesi e negli anni passati proprio sul Social Learning. Qui la mia presentazione:

Concludo con un ultimo pensiero che riprende il tema di quest’anno del Social Business Forum (“From Social to Business”). E’ tempo di passare dal parlare al fare. Dalle teorie alla pratica. Dalla Strategia alla Tattica. Il mercato e le tecnologie sono pronte: noi lo siamo altrettanto?

Non molto tempo fa ho lanciato alcune idee per un’ipotesi progettuale che cercasse di andare nella direzione di una realizzazione concreta di un progetto di Social Learning. Nello stesso post ho promesso di raccontare qualcosa circa alcuni progetti che stiamo seguendo in OpenKnowledge proprio su questi temi specifici.

Cerchiamo di capire come ci siamo mossi per realizzare un ambiente di apprendimento complesso ma al tempo stesso semplice che fosse in grado di tenere assieme le riflessioni portate avanti da ormai due anni a questa parte.

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Il contesto di riferimento
Una grande multinazionale con un’esigenza ben precisa: rivedere il proprio Learning Management System causa obsolescenza. Il progetto è nato quindi da una necessità ben specifica del cliente di effettuare un porting di tutti i dati storici e dei pacchetti SCORM/WBT formativi in modo da poter continuare a offrire i moduli formativi a tutti i propri dipendenti (parliamo di una popolazione servita superiore alle 5000 persone).

La piattaforma impiegata
La vecchia piattaforma tramite cui erano gestiti i corsi era .LRN ( http://openacs.org/projects/dotlrn/ ) un progetto ormai vecchio e non più correttamente supportato.
L’utilizzo che viene fatto di questa piattaforma è un utilizzo molto classico, basato su learning object molto precisi e molto concreti in cui la parte di e-learning viene fruita in modalità estremamente tradizionale come semplice juke-box di contenuti e repository di file.

Detto questo la nostra sfida – e il campo in cui ci siamo giocati l’idea – è stato quello di offrire al cliente non solo un mero porting di dati ma una piattaforma che integrasse i tre assett fondamentali che riteniamo indispensabili all’interno della progettazione di un ambiente di Social Learning:

  1. CMS = gestione dei contenuti e presentazione degli stessi in modalità userfriendly, graficamente accattivante e nel rispetto dei classici principi della user experience: non è un caso raro che piattaforme aziendali di gestione della formazione e dei corsi di apprendimento presentino un’interfaccia tutt’altro che in linea con queste riflessioni. Ambienti difficili da utilizzare, macchinosi e dallo scarso appeal sono – infatti e purtroppo – all’ordine del giorno
  2. LMS = un’azienda ha esigenze ben specifiche di erogare corsi per i quali è richiesto un tracciamento (pensiamo solo anche a quelli obbligatori per legge) e un motore che faccia da LMS classico deve essere presente in un ambiente di Social Learning. Lo ricordiamo ancora una volta: realizzare un rpogetto di SL non significa buttare all’aria anni di esperienze e di apprendimento sul mondo e-learning ma piuttosto valorizzare queste esperienze alla luce di un contesto che è mutato.
  3. Community = le community, l’aspetto social: la vera rivoluzione che ci ha coinvolti in questi anni. Saper valorizzare le comunità di pratica con quelle che sono le lezioni apprese dai social media risulta oggi il vero fattore differenziante per la realizzazione di un ambiente di apprendimento significativo che sia realmente in grado di generare del valore per tutto l’ecosistema aziendale.

La soluzione ipotizzata
Come ci siamo dunque mossi per rispettare i principi di quanto detto?
Prima di tutto la scelta dell’LMS. Abbiamo voluto optare per un software open, la scelta è ricaduta su Moodle, piattaforma assai nota e considerata ai massimi livelli tra gli LMS.
Per rendersene conto basta dare un’occhiata alle statistiche riportate sul sito ufficiale di Moodle: http://moodle.org/stats/

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Tuttavia i limiti dell’integrazione sociale di Moodle sono ben noti: la piattaforma non presenta molte delle funzioni che strumenti votati più al Social hanno (in questo senso basti pensare anche solo a un’interfaccia come quella di Schoology di cui ho parlato ampiamente in passato – http://www.sociallearning.it/luso-dei-social-media-nella-formazione-e-il-l ).

Come fare dunque per sopperire a questi limiti e come personalizzare in modo molto più efficace l’interfaccia di Moodle?.
L’idea in questo caso è stata quella di utilizzare una soluzione come Joomla (noto CMS leader nel settore) – http://www.joomla.org/

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A questo punto resta da definire un tema di integrazione dei due ambienti che abbiamo scoperto essere già prevista e implementabile attraverso un semplice plugin: http://www.joomdle.com/en/

Arrivati a questo punto – i più attenti se ne saranno accorti – abbiamo implementato 2 delle tre funzioni ipotizzate per un ambiente di Social Learning.
Resta scoperta la gestione degli aspetti informali che abbiamo coperto anche in questo caso con un plugin ad hoc per la creazione di community interne a Joomla: il plugin in oggetto è JomSocial – http://www.jomsocial.com/

Qui sotto potete vedere alcune schermate di concept di realizzazione dell’applicazione.

Snodi Conclusivi
Il caso presentato vuole solo essere uno spunto per capire come sia possibile con pochi semplici strumenti realizzare un ambiente di apprendimento che sia il più ricco e stimolante possibile e che tenga conto di tutte le esigenze dei singoli attori coinvolti.
La difficoltà tecnica di realizzazione di un ambiente di questo tipo è modesta. La vera sfida oltreché nella progettazione sta nel mantenimento e nel coinvolgimento dei soggetti in apprendimento.
In ogni caso resta sempre anche valida l’idea che un progetto di Social Learning, ma come più in generale un qualunque progetto di Social Business debba essere studiato “sartorialmente” sulle basi delle specifiche esigenze: che sono differenti e specifiche per ogni situazione e caso.