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Questo blog ha compiuto di recente un anno di vita e mi ha accompagnato nell’ultimo periodo in riflessioni e nella raccolta di spunti che hanno riguardato principalmente il tema del Social Learning e dell’evoluzione degli scenari formativi e di apprendimento all’interno delle organizzazioni più o meno complesse.

Con questo post mi piacerebbe cercare di ricollegare e tenere assieme un po’ di discussioni fatte nell’ultimo periodo e di provare a declinare all’atto pratico il Social Learning cercando di fornire anche un’ipotesi progettuale e alcune linee guida per poterlo effettivamente metterlo in pratica.

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L’idea alla base
Abbiamo visto diverse volte come il Social Learning non abbia una definizione univoca né semplice. Riprendendo le riflessioni condivise un anno fa con George Siemens possiamo dire che si tratta di un ritorno più naturale al nostro relazionarci con le informazioni e con le modalità di apprendere che oggi vengono facilitate dalle tecnologie sociali. Come il Social Media Marketing è la declinazione del Social Business a livello di customer engagemnt possiamo dire che il Social Learning sia la declinazione del Social Business a livello di pratiche HR e formative dentro l’azienda. In generale il Social Learning riguarda le modalità di apprendimento all’interno dell’azienda (e dell’azienda) che sono collocate in un ambiente più collaborativo, partecipato e emergente. In un parola in un ambiente più Social. 
Non si tratta quindi della semplice applicazione dei Social Media nel campo della formazione e della gestione della conoscenza, ma di un rivedere in modo radicale il knowledge management delle aziende.

Il contesto nel quale ci si muove
In questo caso è necessario distinguere due contesti, o meglio un contesto e un orizzonte. L’orizzonte come già citato è quello del Social Business con le tecnologie, le metodologie e gli scenari che gli sono propri. Il contesto – invece – è quello tipico organizzativo in cui le metodologie classiche dell’e-learning tradizionale vengono avvertite come obsolete e non più adatte alle risposte e alle sollecitazioni che vengono dall’esterno.
Questo ci permette di fare alcune riflessioni sulle esigenze specifiche di formazione che un’azienda ha. Molto spesso quello che capita è lo scontrarsi con realtà che faticano a cambiare e a evolvere le loro soluzioni più per problemi legati a specifici corsi che sono erogati in modalità “tradizionale” più che per mancato interesse o cultura in questo senso.

Un classico esempio in questo senso può essere fatto prendendo in esame una tipologia di corso che viene spesso erogato in formato di pacchetto WBT: un corso su un decreto legge (es 626) i cui contenuti devono essere immagazzinati per legge e che tutti i dipendenti di una data azienda devono memorizzare in una modalità che non differisce troppo da quella dell’imparare in modo mnemonico i contenuti di un manuale cartaceo. Sempre su questo livello si innestano le tematiche legate alla reportistica che devono essere garantite per legge e che quindi si scontrano – inevitabilmente – con i meccanismi dell’informale e del non pianificato che invece maggiormente vengono messi in luce dal Social Learning.

E’ possibile tenere assieme i due mondi apparentemente antitetici? Come?

Il tool e l’ambiente di apprendimento
Come sappiamo la tecnologia è un “di cui” per questo infatti credo sia opportuno più che di tecnologia parlare di “ambiente di apprendimento” in questo caso “social learning environment”. Perché? Perché come abbiamo visto in post precedenti la tecnologia in grado di creare il Social Learning NON esiste. Allo stato attuale sul mercato non è presente nessuna soluzione che sia in grado di rispondere a tutte le esigenze formative che abbiamo espresso in questa sede e che sia in grado di tenere insieme la dimensione di formazione pianificata e dinamiche informali.

 

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Lo schema proposto analizza i tre differenti livelli presenti all’interno di un ambiente di Social Learning. Tre livelli che possono essere resi da tool differenti nella costruzione di un ambiente che sia il più possibile sartoriale rispetto alle esigenze della specifica azienda e organizzazione.
Va da sé che l’ambiente che si va a creare sarà integrato e gli utenti non dovranno avere la percezione di essere in ambienti differtenti ma in un unico ambiente in cui – di volta in volta – si “accendono” nuove funzioni e si attivano nuovi percorsi a seconda delle esigenze di chi deve apprendere.  

La valutazione e gli esiti
Della valutazione del Social Learning abbiamo già parlato in questa seda (qui per approfondire http://www.sociallearning.it/comprendere-realizzare-e-valutare-processi-di ). In questa occasione vorrei solo sottolineare come non basti implementare una serie di tool per dare via a quello che chiamiamo Social Learning ma sia necessaria un’attenta attività di progettazione, come abbiamo visto: ritagliata sulle esigenze di chi sta esprimendo il bisogno formativo. E’ opportuno poi mettere in luce anche come entrino in gioco tutta una serie di dinamiche e di fattori che richiedono un costante mantenimento e una costante coltivazione dell’ambiente e della comunità di apprendimento che si vanno a creare. Progettare, realizzare e utilizzare un ambiente di questo tipo non equivale al semplice schiacciare un bottone e sperare che tutto vada da sé.

Cosa ne pensate?

In OpenKnowledge con alcuni dei nostri clienti stiamo provando a intraprendere questa strada adottando soluzioni e tool che siano in grado di replicare un ambiente di apprendimento che vada in una direzione di quel genere. Nelle prossime settimane scriverò qualcosa a riguardo.

Ripubblico qui la mia intervista fatta per Nova 100 del Sole 24 Ore. 
Ringrazio ancora moltissimo Diomira per l’occasione. Qui trovate la versione originale: http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2012/02/social-learning-come-az…

Stefano Besana, giovane ricercatore e consulente aziendale, è stato il primo in Italia a parlare di Social Learning e ad aprire un blog specializzato sull’argomento.

Se l’utilizzo dei social media nella comunicazione esterna delle aziende si può ormai definire una moda consolidata (soprattutto per le grandi realtà), occorre iniziare a riconoscere che la vera azienda 2.0 è quella che utilizza anche al proprio interno strumenti di collaborazione come espressione di una cultura aziendale aperta al dialogo con dipendenti e portatori di interesse, allo scopo di diventare più sostenibile e, nei casi migliori, anche più produttiva. Per questo occorre uno Humanistic Management 2.0 che favorisca un contesto organizzativo in cui l’apprendimento di tutti gli attori in gioco sia ritenuto fondamentale per la crescita. Ovvero una Formazione 2.0 in grado di interagire con i nuovi strumenti e le nuove logiche del social networking.

La tematica è relativamente nuova per l’Italia e ne parliamo oggi con Stefano Besana, il giovane esperto e ricercatore che l’ha introdotta nel nostro paese. Sociallearning.it, blog da lui fondato, è il primo in Italia specializzato in questo ambito.

Quando è partita la tua ricerca nel settore e a quali cambiamenti hai assistito, in generale e in particolare in Italia, da allora?

Quando ho iniziato a occuparmi di questi temi (con la mia tesi triennale nel 2008 che poi mi ha portato a vincere Working Capital nel 2010) i social network in Italia si stavano cominciando ad affermare ed erano una realtà non ancora diffusa massivamente come oggi. Facebook ha – di recente – oltrepassato gli 850 milioni di utenti e, da allora, di ‘bit’ sotto i ponti ne sono passati parecchi!
A livello italiano ci troviamo comunque molto spesso a dover rincorrere i trend e gli esempi che arrivano da oltreoceano. Per quanto riguarda il Social Learning, non solo in Italia ma a livello globale, l’argomento è ancora molto nuovo e sono parecchie le sperimentazioni e le piattaforme che stanno nascendo e che sono nate nell’ultimo anno. Di sicuro si tratta di uno scenario molto interessante e affascinante che è in forte crescita e che le organizzazioni dovrebbero cominciare a monitorare seriamente, anche per migliorare la propria resilienza e la capacità di rispondere meglio alle sfide proposte dall’economia e dalla società.

Che cosa si intende in particolare per social business e come ne vedi l’evoluzione?

Riprendo la definizione del mio amico e collega Emanuele Quintarelli: un social business è “un’organizzazione che ha messo in campo le strategie, le tecnologie ed i processi atti a coinvolgere sistematicamente tutti gli individui che compongono il proprio ecosistema (dipendenti, clienti, partner, fornitori) nella massimizzazione del valore scambiato”. In fondo, un social business non è altro che un’azienda centrata sulle persone, capace di evolvere in modo dinamico, di rispondere in modo attivo alle sfide proposte dal mercato, di innovare in modo partecipato e in cui le classiche distinzioni tra interno ed esterno dell’organizzazione cessano di avere importanza in favore di un continuum di esperienza che riguarda processi che coinvolgono sia i consumatori finali sia i dipendenti.
Prima di parlare della sua evoluzione, però, al social business sarebbe importante arrivarci. Mentre molte delle strategie messe in atto dalle aziende oggi – anche quelle maggiormente ‘social’ – si rivolgono solo verso uno dei molteplici aspetti del social business.
La sfida del social business sta proprio nell’utilizzare le dinamiche e i paradigmi propri del mondo social in chiave strategica ai fini di migliorare efficienza ed efficacia organizzativa. Il cammino è lungo, ma la strada è ben tracciata. Per approfondire questi temi consiglio sempre di seguire il Social Business Forum, l’annuale conferenza che organizziamo in OpenKnowledge, giunta quest’anno alla quarta edizione, e che raccoglie ogni anno oltre 50 keynote speaker e oltre 1200 delegati da tutto il mondo: proprio in questi giorni stiamo lavorando alla prossima edizione dell’evento.

Cosa rappresenta il social learning all’interno di un’azienda? Qual è il valore che apporta al contesto aziendale?

Il social learning rappresenta la declinazione dei principi del social business a livello di politiche HR e processi di apprendimento. In questo senso si pone come una evoluzione del tradizionale e-learning e delle modalità di apprendimento blended che vengono incorporate in un’ottica maggiormente condivisa, collaborativa e sociale, ricalcando le logiche proprie delle community. In questo senso ho avuto modo, qualche mese fa, di discutere con George Siemens (massimo esperto mondiale del settore) delle sinergie tra social learning e connettivismo, discussione in cui sono emerse riflessioni interessanti su come questi due modelli rappresentino, in realtà, nient’altro che un ritorno più naturale al nostro modo di pensare e di comportarci nella vita di tutti i giorni.
La lezione che arriva alle aziende è quella di fare tesoro di questi nuovi insegnamenti ed evolvere verso modelli maggiormente reattivi e partecipativi proprio per facilitare processi che altrimenti non troverebbero reale sviluppo. Per spiegarlo meglio cito proprio Siemens che sottolinea l’importanza della connessione più che di ogni altro fenomeno nel processo di costruzione della conoscenza: “Conoscere oggi significa essere connessi. La conoscenza si muove troppo velocemente perché l’apprendimento possa essere solo un prodotto. Eravamo abituati ad acquisire conoscenza avvicinandola a noi stessi. Ci veniva detto di ‘possederla’, di farla esistere nelle nostre teste. Ma non possiamo più cercare di possedere tutta la conoscenza necessaria personalmente. Dobbiamo custodirla nei nostri amici o all’interno della tecnologia”.

Da osservatore, quali saranno, secondo te, le principali tendenze nell’adozione degli strumenti social da parte delle aziende nel 2012?

Credo che sia il social learning sia il social business sia la gamification saranno trend interessanti per le aziende del 2012, in Italia e all’estero. Si tratta di tre scenari che stanno crescendo in fretta e sono profondamente collegati tra loro.
Le aziende e i consulenti di oggi e domani credo debbano guardarli con rinnovato interesse. Altri temi importa
nti penso sia la gestione dei dati, dei flussi informativi che oggi con metodologie come la Organisational Network Analysis è più facile comprendere e mappare. L’innovazione partecipata penso poi possa essere una leva strategica davvero interessante per aiutare il nostro paese ad uscire dalla crisi e dall’impasse in cui si trova.

Hai accennato alla Gamification. Ci spieghi, in sintesi, di cosa si tratta?

La Gamification – per citare il report di Bunchball da cui il termine ha tratto origine – consiste nell’applicazione e nell’integrazione delle dinamiche e delle meccaniche ludiche all’interno di un sito o di una community al fine di aumentare partecipazione e coinvolgimento degli utenti. In realtà – come ho più volte sottolineato nel mio blog e in alcune presentazioni che ho fatto negli ultimi mesi – il fenomeno è un po’ più complesso.
È bene non considerare la Gamification come l’ultimo trend passeggero ma come una vera e propria industria che muove miliardi di dollari e che ci riguarda da molto vicino.
A livello di apprendimento la storia ci insegna che il gioco è sempre stato una delle modalità maggiormente esplorate e riconosciute e l’applicazione dei serious game ai contesti formativi vanta una storia consolidata. Con la Gamification (sarebbe meglio dire il Gameful Design, come vogliono i puristi) si tenta di evolvere il tutto verso modalità maggiormente partecipative e ‘ingaggianti’ per gli utenti.
Sono parecchi gli esempi di casi di successo e di ottime realizzazioni che hanno portato risultati significativi. Tanto per citare qualche esempio interessante:

  • Nitro + Jive che hanno integrato in una intranet 2.0 una serie di missioni in cui gli utenti vengono premiati con punti e badge finalizzati ad aumentare la competizione;
  • Gifgaff spread/recruiting: un meccanismo che incentiva i dipendenti a ricercare nuovi clienti e a promuovere l’azienda. I migliori sono premiati con denaro reale e punti virtuali
  • Plantville di Siemens, che mira a formare la prossima generazione di Plant Manager

O ancora:

  • MyStarbucksIdea che valorizza la collaborazione e la partecipazione di tutti (dipendenti e consumatori) all’innovazione e alla generazione di idee, le migliori vengono adottate dal brand e realizzate.

E in Italia?

Abbiamo il caso della Fiat, che ha avviato in Brasile un progetto di co-design con lo scopo di raccogliere idee e feedback da utenti di tutto il mondo per la realizzazione dell’automobile del futuro. La compagnia di Torino ha già realizzato un primo prototipo basato proprio sulle idee più votate e selezionate. In generale, comunque, sono convinto che le cose più interessanti in questo ambito nel nostro paese le vedremo nei prossimi mesi. 

E’ ormai quasi un anno che ho aperto questo spazio e che mi dedico alla riflessione sui temi del Social Learning e della sua concreta efficacia.
Una delle cose che mi capita maggiormente è però quella di scontrarmi con una discrepanza tra teoria e prassi, tra idee innovative e concetti assolutamente affascinanti e casi concreti che spesso mancano o che si perdono tra sperimentazioni che non riescono a tradurre nel concreto quello che vorrebbero realmente ottenere.

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Jane Hart – che si occupa, come me, di ricercare questo fenomeno da qualche anno – ha recentemente scritto un post interessante (http://c4lpt.co.uk/social-learning-handbook/social-learning-examples-in-the-workplace/)
Cerchiamo di analizzare alcuni dei casi studio (i più interessanti) e delle storie di successo che sono presentate nel post.

IBM e il Social Learning Tecnologico
http://clomedia.com/articles/view/4304
IBM è da sempre uno dei player fondamentali nello sviluppo di tecnologie per la collaborazione e per portare il “Social” all’interno delle aziende. La soluzione Lotus Connections, estremamente complessa e articolata prevede anche differenti funzioni per la gestione dell’apprendimento e per l’erogazione di formazione online.
La cosa comunque interessante che emerge dall’articolo riportato è il grosso investimento che la compagnia sta facendo in termini di revisione delle proprie strategie e dei propri assett organizzativi.
Come si legge:

[…]

Increasingly, IBM is leveraging social learning to meet this first element of learning strategy. Rather than develop centrally related content, experts throughout the company find, build, publish, share and comment on assets to enhance skills development and productivity. IBM has created tools such as online learning communities and socially generated tags on key knowledge assets to make relevant knowledge more searchable. It also has reduced search time and costs, accelerated onboarding and, recognizing that more than 40 percent of its workforce is global, enabled delivery of job-relevant information to networked mobile devices. 

[…]

B.C. Government e il valore della Intranet collaborativa
http://www.ragan.com/Main/Articles/42471.aspx
Altro articolo molto interessante che sottolinea il potere delle Intranet collaborative e come queste possono migliorare i processi organizzativi, lavorativi e gestionali a 360°.
Le Intranet rappresentano uno dei core business di cui ci occupiamo in OpenKnowledge e non posso – in questa sede – fare a meno di riproporre lo speech – molto interessante – di una delle più grandi esperti di Intranet al mondo.
Jane McConnell all’International Forum on Enterprise 2.0 del 2010.

TELUS e il knowledge sharing che passa dal social
http://www.microsoft.com/casestudies/Case_Study_Detail.aspx?CaseStudyID=40000…
Altro caso interessante di una compagnia di telecomunicazioni che utilizza gli approcci e le leve gestionali del social (nello specifico utilizzando le soluzioni Microsoft)

NASAsphere
http://socialcast.s3.amazonaws.com/corporate/downloads/NASAsphereReportPublic…
Anche la NASA si è lanciata in una sperimentazione impiegando i social all’interno della gestione della conoscenza di questo progetto pilota. Consiglio la lettura del report – estramamente approfondito e dettagliato che fornisce anche utili indicazioni di operatività che sono applicabili in altri contesti.

Questi casi sicuramente fanno ben sperare rispetto al futuro del Social Learning, anche se sono dell’idea che i tempi non siano ancora del tutto maturi per l’affermazione completa di questo paradigma.

Ecco le mie ragioni:

  • in primo luogo la cultura organizzativa tradizionale, purtroppo ancora molto diffusa specie nel nostro paese, già restia molto spesso, nell’applicazione del Social Business non vede di buon occhio sperimentazioni di questo tipo.
  • La tecnologia non è ancora completamente matura per la gestione di processi di apprendimento completamente informali e basati sulle relazioni più che sui contenuti.
  • I sistemi di valutazione del Social Learning (penso alla SNA e alla ONA di cui più volte abbiamo parlato) non sono ancora largamente diffusi e compresi come dovrebbero essere.

Dati questi presupposti non significa comunque che il lavoro non possa continuare. Sono convinto che le cose siano cambiate molto nell’ultimo anno e la situazione – sia a livello di cambiamento culturale sia tecnologico – si sia molto evoluta.
Sicuramente quello che è necessario fare è mantenere quell’idea e quello spirito di ricerca attiva in un tentativo sempre più insistente di conciliare quella che è la teoria con la prassi. dobbiamo cercare di sposare sempre di più le lezioni che ci arrivano dal Social Business e provare a fare le medesime riflessioni in ambito di apprendimento.

Credo che si possa considerare un buon proposito per il 2012.

Post pubblicato originariamente sul blog di Working Capital (Telecom Italia). http://www.workingcapital.telecomitalia.it/2011/12/social-network-learning-i-…

Working Capital 2010: un’altra storia di successo, la storia di ricerca di Stefano Besana, esperto di “Social Learning” e protagonista della passata edizione del nostro progetto. Oggi Stefano, in questo post, ci racconta come è andata la sua ricerca, quali passi avanti ha fatto nell’ultimo anno e quali sono le prospettive per il futuro.

Chi segue il mio blog e chi mi ha seguito negli ultimi due anni in rete sa che il mio interesse principale di ricerca è stato focalizzato sui Social Network e su come questi potessero essere utilizzati all’interno dei processi di apprendimento.

Ho iniziato a interessarmene alla fine del 2008 nel mio percorso di tesi triennale e ho proseguito fino al 2010 – iniziando la mia collaborazione con OpenKnowledge e vincendo l’edizione bolognese del Working Capital di Telecom Italia.

Da fenomeno praticamente sconosciuto in Italia i SNS sono divenuti una realtà pervasiva – e forse invasiva – nelle nostre vite: gli studi di settore si sono moltiplicati, come anche le ricerche e i contributi di letteratura nel campo.
L’apprendimento – il cosiddetto Social Learning – è comunque un trend emergente che non ha ancora assunto la portata riflessiva che meriterebbe.

Nell’ultimo anno ho raccolto alcune riflessioni personali e di ricerca all’interno del progetto che ho seguito per Working Capital.
La mia ricerca si è concentrata – forse è bene ripeterlo – sull’impiego dei Social Network Sites all’interno delle organizzazioni come strumenti di gestione della conoscenza delle organizzazioni complesse. Niente di nuovo apparentemente se non fosse che, come anticipato, le riflessioni hanno cominciato a muoversi nel 2008.

Di seguito alcune riflessioni maturate e il link all’executive summary che ho realizzato per presentare la ricerca al “mondo esterno”.

Il primo dato da comunicare è di che cosa si è trattato.
La ricerca ha coinvolto due studi principali in due anni differenti. Un primo studio (2009) svolto su 320 soggetti, con questi obiettivi: indagare se e in quale misura la comunità dei fruitori di SNS si auto-attribuisca delle caratteristiche specifiche, sia in ambito cognitivo che sociale;  se sia possibile identificare delle linee di tendenza nell’impiego del mezzo;  se sia verosimile – nelle rappresentazioni dei fruitori di tali mezzi – trasformare tali reti virtuali in strumenti per veicolare esperienze formative.
Un secondo studio (2010) svolto su 926 partecipanti. Con lo scopo di: (1) proseguire le analisi e gli approfondimenti rispetto ai temi indagati nella prima fase (Studio 2009) allargando il campione con soggetti maggiormente legati al mondo business. (2) Indagare se – e in che modo – le intranet aziendali potessero essere riconfigurate in ottica collaborativa come ambienti adatti per la collaborazione, la gestione dei processi informali e – più o meno direttamente – i processi di apprendimento (formali e non formali). (3) Ottenere dagli utilizzatori dei SNS indicazioni circa il possibile impiego di piattaforme sociali all’interno dei contesti di apprendimento, rilevandone (come nel caso del precedente studio) concezioni e rappresentazioni più o meno esplicite.

A partire da queste riflessioni ci si è mossi considerando alcuni assunti fondamentali della letteratura e alcuni modelli particolarmente interessanti che sottolineano l’importanza di allargare il proprio framework di riferimento.
Da questi modelli la ricerca è poi proseguita comprendendo quali fossero le logiche alla base del Social Business in primis e – secondariamente – ispirandosi ai principi del Connettivismo enucleati da George Siemens.

Le slide successive dell’executive summary mostrano alcuni dei risultati e delle scoperte effettuate durante la ricerca condotta che evidenziano l’importanza di una riflessione culturale ancor prima che tecnologica e come sia fondamentale considerare prima di tutto la dimensione sociale e di adattamento ai nuovi comportamenti.

In chiusura della ricerca si è provato anche a definire un modello di valutazione del social learning e della conoscenza condivisa che partisse da un’analisi di rete e dagli indicatori propri della Social Network Analysis. Attraverso lo sviluppo e l’ampliamento di un modello classico di valutazione dell’apprendimento si è provato a trovare alcuni punti di riferimento per misurare il ritorno di efficacia ed efficienza di sperimentazioni in questa direzione.

Sviluppi futuri?

Non resta che cominciare a sperimentare seriamente questi principi all’interno di organizzazioni che abbiano compreso l’importanza dei social media al loro interno (e non solo all’esterno dell’azienda) e che valorizzino sempre di più gli approcci partecipativi, informali, collaborativi che hanno fatto il successo di sistemi dinamici ed evoluti, in grado di generare vero valore per l’intero ecosistema aziendale.

Chi segue questo blog sa che due temi maggiormente discussi dalla sua apertura sono la Gamification e – come ovvio – il Social Learning.

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Nel corso di alcune riflessioni maturate dopo lo scorso Young digital Lab ho provato a ipotizzare di unire le due aree di interesse.
Detto in altri termini: l’applicazione della Gamification – che abbiamo visto essere estramemente funzionale in alcuni contesti ( si veda la presentazione dell’YDL appunto qui: http://www.sociallearning.it/gamify-your-business-migliorare-i-processi-di ) può essere giocata con successo anche nell’ambito dell’apprendimento? E in che modo i processi di apprendimento possono essere migliorati dalla Gamification?
E ancora: il Social Learning in che modo può essere collegato con successo alla Gamification e ai suoi principi per fare in modo di generare apprendimenti e scambi di valore davvero significativi?

Ho scoperto, in queste mie riflessioni (forse un po’ “strampalate”) di non essere solo. A tal proposito vorrei condividere con voi il contributo di uno dei maggiori esperti in ambito Gamification.

Ecco un video del TEDx di Bruxells di Gabe Zichermann autore anche del Blog Gamification (appunto – http://gamification.co/)

Alcuni punti da mettere in chiaro:

  • I videogame sono ormai un media maturo e rappresentano – come mostrano le ricerche della McGonigal e lo speech di Zichermann come di molti altri – una vera e propria esistenza “parallella” che le nuove generazioni stanno vivendo ogni giorno.
  • La loro diffusione non permette più che siano sottovalutati o considerati come intrattenimento fine a se stesso.
  • L’applicazione della Gamification ha visto risultati concreti e l’incremento reale e tangibile di processi di apprendimento, di coinvolgimento degli utenti e di processi di innovazione laddove si è applicata (di nuovo si veda la presentazione della Speed Lottery o il Caso Scottish Water di cui abbiamo parlato in un precedente post).
  • L’apprendimento – oggi più che mai – è un fattore sociale e passa dalla condivisione, dallo scambio tra pari e dalle relazioni. Come ha sostenuto George Siemens nell’intervista che gli abbiamo fatto lo scorso Maggio ( http://www.sociallearning.it/la-rete-e-lapprendimento-a-tu-per-tu-con-geor ): da che mondo e mondo tutto l’apprendimento è sempre stato socializzazione di processi e processi sociali, quella che stiamo vivendo oggi è una riscoperta delle prospettive social di aspetti che sono insiti nella nostra natura.
  • La tecnologia rappresenta il driver fondamentale per attivare e innescare questi processi.

Non si tratta chiaramente di riflessioni nuove e l’ambito dei Serious Game e dell’Edutainment in questo ha già tracciato una strada molto ben definita.
Tuttavia…

 

Partendo dall’idea che il Social Learning sia la creazione di valore e di apprendimento significativo a partire dagli scambi informali e formali che si costituiscono all’interno di una rete; possiamo considerare la Gamification come la leva di coinvolgimento chiave per innescare e favorire i processi di apprendimento che vadano in questa direzione.
Detto altrimenti: la Gamifcation può migliorare il coinvolgimento e aiutare le persone in apprendimento a porsi in un contesto che sia sempre migliore per la generazione di apprendiemnti significativi.

L’unione delle due aree di analisi rappresenta dunque una sfida molto interessante che ho intenzione di analizzare e monitorare costantemente perché penso che si possa davvero far evolvere il sistema di apprendimento verso una modalità maggiormente a misura d’uomo, efficace e coinvolgente.

E chiudo con una citazione di Joseph Chilton Pearce:

Play is the only way the highest intelligence of humankind can unfold.

Cover photo Credit – http://www.flickr.com/photos/epsos/4886087851/ on Flickr.com

In questo blog abbiamo più volte affrontato il tema della conoscenza condivisa e di come fosse possibile valutare il Social Learning.
Il tema della valutazione informale della conoscenza risulta importante e di primaria rilevanza soprattutto in quei contesti in cui la certificazione delle competenze diventa cruciale per la determinazione dei risultati e per il riconoscimento del percorso di apprendimento sia esso individuale o condiviso.

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Una interessante presentazione realizzata da un gruppo di ricerca della OpenUniversity è dedicata proprio a mettere in luce le possibili metriche di analisi dell’apprendimento social.
Ecco qui la presentazione realizzata qualche tempo fa:

Ad emergere in modo interessante sono alcuni punti chiave:

  • il ruolo – estremamente importante – della Social Network Analysis e della Organisational Network Analysis nella valutazione e nella mappatura degli apprendimenti informali e della conoscenza condivisa nelle organizzazioni. Ne avevamo già parlato in occasione del Social Business Forum, a Milano lo scorso giugno – http://www.sociallearning.it/la-social-network-analysis-per-comprendere-e
  • L’importanza dell’utilizzo di strumenti e metriche differenti per l’analisi dell’apprendimento da molteplici punti di vista e con parametri di valutazione quali-quantitativi in modo da restituire sempre un quadro che sia il più completo possibile.Nel documento riportato si fa riferimento oltre alla SNA a una serie di misurazioni come l’analisi delle conversazioni e delle interazioni tra utenti (non solo la frequenza del contatto quindi, ma anche la qualità di questo)
  • Altro punto molto interessante – come messo in luce nel precedente punto – è l’analisi delle conversazioni con metodologie che ricordano più quelle dell’etnografia digitale e che siano in grado di restituire valore alla misurazione delle interazioni non basandosi semplicemente su una visione – classica e obsoleta – di scambio delle informazioni 1 a 1.

Sono dell’opinione che le tecniche di SNA e ONA siano sempre più adatte alla misurazione di questi flussi informali ma che – come del resto sempre evidenziato in questo blog e come messo in luce anche dalla presentazione della OpenUniversity – la vera sfida sia nell’integrare le “vecchie” e consolidate metriche di valutazione dei processi di apprendimento nei nuovi contesti provando a sperimentare soluzioni sempre più innovative.

Un ulteriore punto su cui riflettere dovrebbe essere quello di non limitarsi a utilizzare nuove metriche o strumenti innovativi ma di fornire anche le giuste chiavi di lettura dei fenomeni che vengono osservati.
Il ruolo del valutatore penso resti sempre fondamentale perché in grado di porre in giusta relazione i fenomeni osservati, le metriche utilizzate con un quadro concettuale di riferimento e, inoltre, in grado di aiutare i committenti a comprendere l’andamento dell’organizzazione, della community o del processo di apprendimento in generale.

In questo senso ecco alcune delle domande a cui si potrebbe dare risposta con queste metodologie:

  • come si spostano i contenuti e la conoscenza all’interno della tua rete aziendale?
  • Come è gestita la conoscenza nella tua organizzazione?
  • Come viene modificata la conoscenza a seconda di ciò che viene erogato all’interno di un corso di formazione o della creazione di una comunità di apprendimento?
  • Quali gruppi si creano all’interno di un contesto di apprendimento organizzativo?
  • In base a quali logiche sono strutturate le conoscenze del gruppo in formazione?
  • Quali sono gli impatti e il ROI sul livello più ampio dell’organizzazione?
  • Chi si trova ai margini dell’interazione e dell’apprendimento rischiando di non riuscire a trasferire correttamente le conoscenze apprese?

Lo avevamo intervistato a Maggio prima dell’inizio del Social Business Forum (qui il post http://www.sociallearning.it/la-rete-e-lapprendimento-a-tu-per-tu-con-geor) e ci aveva fornito interessanti spunti per riflettere sui temi di questo blog, a partire dai processi di apprendimento e di gestione della conoscenza all’interno di un mondo interconnesso.
Stiamo parlando di George Siemens che in occasione appunto del Forum del 2011 ha fornito interessanti riflessioni circa l’utilizzo di possibili tecniche analitiche per comprendere e valutare la conoscenza nelle organizzazioni.

Ecco il video del suo speech:

Ecco alcuni dei punti che Siemens ha bene messo in luce nel video e sui quali vale la pena spendere qualche riflessione:

  • Comprendere realmente l’organizzazione significa comprenderne i flussi informativi, di conoscenza e gli scambi formali e informali che avvengono al suo interno. Come aveva già detto nell’intervista del mese scorso, le nostre società sono società basate sull’informazione, e l’informazione è ciò che più di ogni altra cosa caratterizza l’essere umano.
  • I dati stanno assumendo un’importanza fondamentale: rappresentano la moneta di scambio del presente e del futuro e ciò attorno al quale si caratterizza e costruisce la nostra società. I dati sono ovunque: li abbiamo nelle nostre tasche, nei nostri telefoni, ce li portiamo costantemente dietro e non possiamo fare a meno di utilizzarli, di interagire con loro. “Everything is data”.
  • La tecnologia denominata Internet of Things sta crescendo e ci obbliga a pensare ai dati in modo differente e a dar loro l’importanza che non sempre hanno ricevuto. L’Università della California (San Diego) in una recente ricerca ha analizzato come le persone in america consumino quotidianamente una quantità di dati pari a circa 45Gb.
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  • Il sistema sanitario – giusto per fare un esempio – potrebbe trarre un beneficio enorme dall’analisi dei dati e sarebbe in grado di prevenire le epidemie, i virus e comprendere chi siano le persone a rischio di malattia, semplicemente dall’analisi dei social media. Attraverso l’analisi dello stream di Twitter sarebbero – infatti –  in grado di stabilire l’attività fisica di una persona, la sua dieta e tracciare un profilo più o meno complesso del soggetto. Questo tipo di attività permetterebbe di risparmiare milioni di dollari al sistema sanitario americano semplicemente attraverso un’analsi automatizzata dei dati.
  • Il tema della privacy è molto sentito, e rappresenta sempre un punto di discussione molto importante, ma tutte queste sperimentazioni si basano sulla condivisione di dati pubblici che le persone sono consapevoli essere alla portata di tutti. Nessuna violazione viene commessa per l’accesso a questi dati.
  • Twitter è un metodo – secondo una recente ricerca – per determinare, con un’accuratezza di circa l’80%, l’andamento dei titoli in borsa. I nostri dati pubblici, i nostri post, i nostri tweet rivelano le nostre intenzioni più di ogni altra cosa e ci dicono – sapendoli analizzare – molto più di quanto non si possa pensare ad una prima occhiata.
  • All’interno delle reti sociali non è importante la quantità delle informazioni che inseriamo (su Facebook per esempio non conta se non mettiamo tutte le ifnormazioni che ci vengono richieste) perché sono le persone con cui ci connettiamo che rivelano chi siamo. E’ la qualità e la quantità di relazioni che intratteniamo con gli altri soggetti all’interno delle reti sociali che definisce il nostro profilo.
  • La SNA – per quanto sia una metodologia non recentissima – ha un’importanza fondamentale nell’analisi dell’organizzazione per comprendere lo scambio dei flussi di conoscenza e la gestione delle relazioni. Ma il vero lavoro è dare un significato alle informazioni che vengono mostrate dalla SNA.

Queste le slide utilizzate durante l’intervento: