Social Learning: l’organizzazione che impara ad apprendere

August 27, 2012 — Leave a comment

Stefano Besana, Rosario Sica, George Siemens
Pubblicato originalmente su Harvard Business Review Italia. Read more on http://socialbusinessmanifesto.com/ 

Social Learning: inquadramento teorico

Iniziamo con una premessa fondamentale: il Social Learning non è un nuovo trend. I modelli di apprendimento come quelli delle corporazioni, delle gilde e dell’apprendistato hanno invocato molto tempo fa quello che noi oggi chiamiamo Social Learning. Andando ancora più indietro nel tempo, i primi filosofi praticavano quasi esclusivamente il “Social Learning”, come ci ricordano molto bene le storie che ancora si raccontano su Socrate, Platone e Aristotele.

Ciò che c’è – oggi – di veramente innovativo è la scala sulla quale possiamo essere coinvolti in un processo di Social Learning. Le tecnologie basate sul web riducono moltissimo le barriere che i discenti erano costretti ad affrontare nel passato (tempo e geografia sono solo due delle molte possibili variabili che possiamo utilizzare come esempio): con lo sviluppo dei social network e di strumenti come Skype, Google Talk e i device mobili, il livello e la scala rispetto alla quale possiamo essere “social” sono aumentati in modo consistente e considerevole. In questo senso, il Social Learning è un ritorno più naturale al nostro modo di apprendere e di interagire con gli altri.

Per quanto riguarda il rapporto tra Connettivismo (1) e  Social Learning possiamo vedere le attività del Social Learning come parte del Connettivismo. Entrambi i concetti si riferiscono a come si distribuisce la conoscenza ed enfatizzano come problemi complessi possano essere risolti assumendo un’ottica reticolare e sistemica.

Il punto in cui il connettivismo differisce dal Social Learning è sull’accesso a risorse e fonti anche non-social. Per esempio: le nuove idee, molto spesso, non sono altro che rielaborazioni d’idee che si sono susseguite nei secoli passati. William Rosen nel suo libro The Most Powerful Idea in the World, mette in evidenza proprio questo: il modo, cioè, in cui le persone connettono tra loro le idee non è sempre sociale. Inoltre, il modo in cui le organizzazioni creano la loro struttura manageriale influenza il modo in cui l’informazione scorre all’interno dell’organizzazione stessa. Il Connettivismo è legato al come queste informazioni, tecniche e strutture sociali impattino e contribuiscano allo sviluppo d’innovazione, invenzione e adattamento dinamico dell’individuo e dell’azienda.

I maggiori sviluppi nel prossimo futuro – parlando di sistemi di apprendimento emergenti – saranno soprattutto nel dominio dell’analisi della conoscenza: produciamo, infatti, enormi flussi di dati in quasi tutto quello che facciamo (processo amplificato enormemente dalle tecnologie mobili). Le nostre idee, le nostre posizioni, quello che leggiamo, con chi interagiamo. Tutto è immortalato in Facebook, Foursquare, Twitter e sui nostri blog. Molte aziende brancolano nel buio in termini di conoscenza e apprendimento organizzativo. Riconoscere e utilizzare con intelligenza l’enorme quantità di dati e flussi d’informazioni che sono prodotti è il primo passo per muoversi verso un approccio analitico nei confronti degli scopi e degli obiettivi dell’azienda, oltreché un modo per costruire competenza. Attraverso l’analisi dei flussi d’informazione le aziende possono comprendere in che modo la conoscenza si muove nelle reti, come le persone collaborano, quali persone dovrebbero lavorare assieme secondo le attività che hanno in precedenza svolto e come fronteggiare efficacemente problemi complessi (come ad esempio l’ingresso in un nuovo mercato, l’acquisizione di una nuova azienda, o il lancio di un nuovo prodotto). Le analisi di questi dati – in sostanza – possono aiutare le aziende a comprendere meglio se stesse.

La maggior parte degli esperti e dei consulenti enfatizzano la dimensione sociale e il modo in cui le nuove tecnologie – Facebook, Twitter e i blog – contribuiscano a far divenire “social” le persone. Trattano l’aspetto sociale come il più critico all’interno del processo di apprendimento. Noi crediamo piuttosto che le persone siano mosse prima di tutto dalle informazioni. Processiamo l’informazione costantemente. Da quando siamo bambini, cerchiamo di dare un senso al mondo cercando di rifletterci sopra, di valutare, di connettere le informazioni che incontriamo. È un tratto evoluzionistico: siamo esseri viventi basati sulle informazioni. Ci sviluppiamo in relazione alle informazioni intorno a noi.

Tornando indietro all’epoca in cui l’uomo era un cacciatore-raccoglitore, quelli che sopravvivevano erano coloro che erano in grado di dare un senso alle informazioni presenti nel contesto in cui vivevano: quali piante raccogliere, quali animali evitare, di cosa cibarsi e via dicendo.

La nostra assunzione di partenza è che il tratto dominante dell’umanità sia l’acquisizione, la processazione e la creazione d’informazioni. Impieghiamo approcci sociali che ci consentono di gestire meglio le informazioni. Troppe persone che parlano di Social Learning vedono la dimensione sociale come il punto di arrivo. Vediamo piuttosto nella ricerca di senso e di una via lo scopo primario che ci fa utilizzare gli approcci sociali per assisterci in un’evoluzione personale e nella sopravvivenza.

Già Wenger e Lave, nei primi anni ’90, avevano intuito il ruolo fondamentale delle comunità di pratica e degli scambi informali tra persone nelle organizzazioni. A distanza di oltre vent’anni dai loro primi lavori il panorama organizzativo si è evoluto in maniera considerevole, ma l’importanza del ruolo delle comunità informali nella costruzione di conoscenza, non solo è rimasto immutato, ma ha anche beneficiato, rafforzandosi, della grande evoluzione – tecnologica e culturale – di tutto quel mare magnum che può rientrare sotto l’etichetta Enterprise 2.0, in cui il ruolo delle community è diventato dominante e di primaria importanza.

In questo senso il Social Learning si colloca in quella dimensione organizzativa legata all’apprendimento, allo scambio di conoscenza, alla formazione e alla gestione delle risorse umane che risulta essere fondamentale in tutte le aziende, siano esse più o meno complesse.

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Lo schema riportato in Fig. 1 ben sintetizza l’evoluzione che dagli anni ‘90 ad oggi le concezioni della formazione attraverso le tecnologie hanno avuto, passando da sistemi e approcci di semplice formazione a distanza sino a giungere a modalità di blended learning e di costruzione di ambienti che permettono un livello di interazione e un numero di funzioni sempre maggiore.

Cercando però di dare una definizione concreta di Social Learning potremmo sostenere che esso sia un fenomeno emergente (non predeterminato o pianificato) che origina a partire dalle reti di conoscenza (knowledge networks) e dai flussi di informazione, siano essi formali e informali, all’interno delle organizzazioni. Il Social Learning è, altresì, l’appoggiarsi a reti sociali e interazioni per avere assistenza nella propria ricerca di attribuzione di un senso alle informazioni presenti nel nostro contesto. Conoscere – oggi – significa essere connessi:
la conoscenza si muove troppo velocemente perché l’apprendimento possa essere considerato semplicemente un prodotto che giunge alla fine di un processo puntuale. Abbiamo bisogno di connetterci ai network d’informazione e di “depositare” la conoscenza nelle relazioni più che nelle nostre teste o nei sistemi di knowledge management.

Non si tratta quindi della semplice applicazione di tecnologie sociali (o 2.0, secondo una ormai vecchia etichetta) all’ambito dell’apprendimento, provando a evolvere le classiche logiche degli LMS (Learning Management System) verso modelli più simili a quelli dei noti social network: si tratta, piuttosto, di ripensare alla formazione e allo sviluppo dell’apprendimento in una modalità più integrata con il fluire delle attività operative, pensando alla learning organization come un organismo vivente che si evolve continuamente.

Cerchiamo però di capire meglio il contesto di riferimento e i principi effettivi del Social Learning attraverso l’analisi di un caso di studio.

Applicare il Social Learning: un caso concreto

Cerchiamo di spiegare meglio i concetti alla base del Social Learning con un esempio pratico legato a un contesto in cui molte organizzazioni possono ritrovarsi: una grande multinazionale ha l’esigenza di rivedere il proprio Learning Management System causa obsolescenza. Il portale che eroga i contenuti formativi era basato su una piattaforma in rapido declino funzionale. Inoltre l’azienda avverte anche la necessità di evolvere verso un sistema che abbia costi di mantenimento e di gestione inferiori e che sia possibile manutenere in modo autonomo, senza la necessità di appoggiarsi a vendor esterni per qualsiasi esigenza, anche banale. Il progetto nasce quindi con lo scopo di effettuare un porting di tutti i dati storici e dei pacchetti SCORM/WBT in modo da poter continuare a offrire i moduli formativi a tutti i dipendenti della società (parliamo di una popolazione servita superiore alle 5000 persone). L’utilizzo che viene fatto di questa piattaforma è estremamente classico, basato su learning object precisi e concreti in cui la parte di e-learning viene fruita in modalità estremamente tradizionale, come semplice erogatore di contenuti statici e repository di file. In sostanza, la modalità di apprendimento sottesa alla piattaforma è basata su un concetto molto semplice: gli utenti in formazione iscritti alla piattaforma hanno accesso ai corsi a cui sono assegnati e ne fruiscono in modo passivo, limitandosi ad osservare la spiegazione mostrata a monitor e a compilare un test di comprensione alla fine del percorso.

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La sfida del progetto è stata dunque di fornire al cliente non solo un mero porting dei contenuti da una piattaforma all’altra, ma integrare le quattro dimensioni dell’apprendimento, dimensioni che riteniamo indispensabili all’interno della progettazione di un ambiente di Social Learning:

  • Training & LCMS (Learning Content Management System): un’azienda –  piccola, media o grande che sia – ha l’esigenza di erogare corsi per i quali è richiesto un tracciamento (pensiamo anche solo a quelli obbligatori per legge: 626, Privacy, ecc.) e un tool che faccia da LMS classico deve essere presente in un ambiente di Social Learning. Realizzare un progetto di Social Learning non significa buttare all’aria anni di esperienze e di apprendimenti sul mondo e-learning, piuttosto valorizzare queste esperienze alla luce di un contesto che è mutato. Altro tema da coprire è quello dell’assessment e della reportistica che – molto spesso – è necessario produrre e che non può essere lasciato scoperto. L’inserimento all’interno del contesto di una piattaforma che copra queste necessità è sicuramente utile e importante ai fini dell’erogazione di una formazione più tradizionale. Il Content Management System: riguarda la gestione dei contenuti e la presentazione degli stessi in modalità il più possibile user-friendly, graficamente accattivante e nel rispetto dei classici principi della user experience: non è un caso raro imbattersi in piattaforme aziendali di gestione della formazione e dei corsi di apprendimento che presentano un’interfaccia tutt’altro che in linea con queste riflessioni: ambienti difficili da utilizzare, macchinosi e con una pessima user experience sono purtroppo all’ordine del giorno. È bene non sottovalutare la modalità di presentazione dei contenuti, perché solo in un ambiente che presenta le giuste affordance cognitive l’apprendimento può essere efficace. Inoltre un CMS per l’idea progettuale che ne sta alla base è realizzato per permettere la facilità di caricamento e di condivisone di contenuti e – tema di non secondaria importanza – per supportare una varietà di formati estremamente elevata. Questo permette di facilitare notevolmente il compito di chi si occupa della formazione: la creazione di percorsi di apprendimento modulari e specifici.
  • Self Learning: i repository aziendali abbondano di contenuti che possono arricchire e integrare i percorsi formativi. Nella progettazione di nuove piattaforme per l’apprendimento bisogna prevedere l’integrazione di più sorgenti, sia interne che esterne, in modalità self service.???Inoltre, nel pieno rispetto di quelle che sono le lezioni del già menzionato 2.0: il ricorso a folksonomie, a percorsi modulari e personalizzabili e alla focalizzazione sulle esigenze del singolo utente rappresentano – oggi più che mai – la chiave vincente all’interno di un percorso di apprendimento.
  • Community & Social Network: le community, l’aspetto “social”,  sono la vera rivoluzione culturale, sociale e tecnologica che ci ha coinvolti in questi anni. Saper valorizzare le comunità di pratica e i network ad esse sottesi risulta oggi il vero fattore differenziante per la realizzazione di un ambiente di apprendimento in grado di generare del valore per tutto l’ecosistema aziendale.
  • Nuovi formati: wiki, social bookmarking, storytelling, gaming, micro-video sono solo alcuni dei tools che gli utenti devono avere a disposizione per generare contenuti per alimentare la piattaforma con contributi dal basso. Come obiettivo bisognerebbe alimentare un repository per costruirsi, ad esempio, uno YouTube, uno Slideshare aziendale o altro, e per fornire ai discenti tutti gli strumenti necessari a condividere in modo semplice e rapido i contenuti funzionali all’apprendimento. Per fare un parallelismo, l’ambiente dovrebbe essere quantomeno in grado di consentire il livello massimo di presenza (3) al suo interno. Solo in questo modo gli utenti saranno davvero liberi di sperimentare nuovi formati e di trarne un reale beneficio in termini di apprendimento significativo.

Per il progetto di cui parlavamo in apertura, ad esempio, sono state integrate le quattro dimensioni (Fig. 2) attraverso l’utilizzo di tecnologie OpenSource che coprissero i differenti temi e le diverse esigenze. Per quanto riguarda la gestione lato LCMS si è scelto di impiegare Moodle che, soprattutto negli ultimi anni, è diventato un punto di riferimento nell’ambito degli LCMS. Per rendersene conto basta dare
un’occhiata alle statistiche riportate sul sito ufficiale: http://moodle.org/stats/. Tuttavia Moodle è ancora ancorato – per scelta e necessità – a una visione dell’apprendimento classica e manca di molte delle funzioni che strumenti più social hanno (in questo senso basti anche solo pensare al tool per la gestione dell’apprendimento Schoology (https://www.schoology.com/home.php).

Come fare dunque per sopperire a questi limiti e come personalizzare in modo più efficace l’interfaccia di Moodle? E’ iniziato un processo di integrazione con componenti CMS e Social. A questo punto resta da definire un tema d’integrazione degli ambienti, che abbiamo scoperto essere già prevista in buona parte e implementabile attraverso  plugin. Resta scoperta la gestione degli aspetti informali, che abbiamo coperto anche in questo caso con un plugin ad hoc per la creazione di community interne a Joomla: il plugin in oggetto è JomSocial (http://www.jomsocial.com).

Con l’integrazione di questo plugin tutte le aree di sviluppo sono state coperte.

Il caso presentato vuole solo essere uno spunto per capire come sia possibile con pochi semplici strumenti realizzare un ambiente di apprendimento che sia il più ricco e stimolante possibile e che tenga conto di tutte le esigenze dei singoli attori coinvolti.

La difficoltà tecnica di realizzazione di un ambiente di questo tipo è modesta. La vera sfida oltrechè nella progettazione sta nel mantenimento e nel coinvolgimento dei soggetti in apprendimento.

In ogni caso resta sempre valida l’idea che un progetto di Social Learning, e più in generale un qualunque progetto di Social Business, debba essere studiato “sartorialmente” sulle basi delle esigenze, differenti e specifiche per ogni contesto e caso.

Sforzandosi di fare un esercizio di riflessione più ampio a partire dall’esempio visto, sottolineiamo come le tecnologie sociali possano garantire la possibilità di creare percorsi di formazione e di apprendimento vasti e articolati. L’applicazione delle tecnologie sociali alla formazione d’aula può poi evolvere le già mature considerazioni che sono state fatte sul blended learning portandolo a un nuovo livello che sappia valorizzare contenuti differenti.

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In questo senso riportiamo in Figura 3 lo schema presentato in Scotti e Sica (2007-2010: Community Management) che ben mette in luce come la formazione a catalogo e pianificata riesca a coprire solamente una parte del mare magnum in cui l’apprendimento ha luogo. In questo senso la creazione di comunità che supportano la conoscenza risulta un requisito fondamentale per facilitare quegli aspetti taciti che altrimenti non potrebbero essere valorizzati.

Valutare il Social Learning

Anche nella valutazione dell’apprendimento dobbiamo rivedere e ripensare metodologie e tecnologie: è chiaro che non possono essere utilizzate logiche vecchie applicate semplicemente a nuovi paradigmi, ma deve essere rivisto l’intero framework dei processi di apprendimento, dell’individuo e dell’organizzazione in generale. Molte ricerche stanno andando nella direzione dell’utilizzo della Social Network Analysis (SNA) per valutare la formazione e l’apprendimento.

Nei primi anni 2000, in un progetto di Social Network Analysis che ha coinvolto il dipartimento di una grande università negli Stati Uniti, abbiamo valutato oltre 100 persone e abbiamo cercato di comprendere in che modo essi collaborassero gli uni con gli altri, dove andassero per chiedere aiuto e come usassero le reti sociali a loro disposizione per risolvere i problemi di tutti i giorni.

Comprendere i nodi essenziali della rete del dipartimento è stato un importante primo passo per dare l’avvio a un cambiamento organizzativo.

In modo molto simile, le organizzazioni di oggi hanno bisogno di prendere in considerazioni analitiche nuove e modelli di valutazione innovativi per riconfigurare la loro struttura. La conoscenza che giace nella maggior parte delle organizzazioni non è connessa adeguatamente. Molto spesso certe persone lavorano su alcuni problemi senza sapere cosa fanno gli altri, senza consapevolezza.

Sul piano dell’analisi dei risultati dell’apprendimento, sia a livello individuale che organizzativo, abbiamo bisogno di ripensare il modo in cui individuiamo e analizziamo i risultati degli interventi formativi.

Gli strumenti di analisi giocano un ruolo importante nel mappare la conoscenza organizzativa. In questo senso, le analisi ci forniscono un modello dal quale partire per riconfigurare la nostra azienda. Nel passato i leader hanno preso le decisioni con angoli di visuale completamente ciechi. Per esempio, l’unione di due dipartimenti è stata condotta perché aveva senso dal punto di vista finanziario. Poca è sempre stata l’attenzione posta alla conoscenza e al come l’apprendimento e la costruzione di sapere potrebbero essere influenzati. Con questo tipo di analisi possiamo comprendere meglio questi ‘punti ciechi’ ed eliminare i rischi nella riconfigurazione dei reparti della nostra azienda.

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In questo senso è possibile rivisitare il modello – ben noto a chi si occupa di valutazione dell’apprendimento – di Kirkpatrick (basato su una valutazione individuale degli impatti della formazione) ed evolverlo verso un approccio più ampio della valutazione che estende i livelli di analisi a una dimensione più ampia e “di rete” in grado di valutare anche impatti organizzativi più diffusi che coinvolgono le comunità presenti all’interno dell’azienda (si veda Figura 4); nello specifico ci si domanda: in che modo emergono le reti collaborative? Alla fine del corso di formazione quali reti sono state migliorate e quali nuovi nuclei sono nati? Come si muove la conoscenza all’interno dell’organizzazione? Le affinità interne rispetto ai temi del corso si sono modificate? Come si dovrebbero organizzare i team di lavoro per migliorare efficacia ed efficienza aziendale?

È quindi possibile identificare altre quattro dimensioni da affiancare a quelle inizialmente previste dal modello, per meglio valutare gli impatti che il corso di formazione ha sulla rete lavorativa:

  • Affinità: al termine del corso è cambiato il grado di affinità dei partecipanti rispetto ai temi trattati e agli obiettivi più generali?
  • Social Knowledge: attraverso il corso di formazione è stata diffusa conoscenza all’interno dell’organizzazione sfruttando le reti informali?
  • Network Creation: sono stati creati gruppi collaborativi e nuovi legami all’interno del corso che poi siano estendibili al resto dell’organizzazione?
  • Network Development: abbiamo svilupp
    ato i nuclei creativi già presenti?

L’integrazione di queste “nuove” metodologie e processi di valutazione all’interno degli schemi classici e già noti a chi si occupa di formazione consente di avere un quadro valutativo completo dell’organizzazione e permette di comprendere appieno gli scambi formali e informali all’interno dell’azienda.

……………………….

(1) Per riferimenti all’approccio Connettivista è possibile consultare il volume di George Siemens: Knowing Knowledge

(2) Con SCORM (Sharable Content Object Reference Model) s’intende un modello di riferimento che consente lo scambio di contenuti in modo indipendente dalla piattaforma. Un WBT (Web Based Training) è un pacchetto formativo erogato, appunto, attraverso il web.

(3) A livello di psicologia dei nuovi media (Riva, 2008) definiamo il concetto di presenza come la sensazione di essere all’interno di un ambiente digitale data dalla possbilità di mettere in atto le proprie intenzioni. 

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