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Di recente mi sono imbattuto in un articolo molto interessante del Professor Pier Cesare Rivoltella dell’Università Cattolica del Sacro Cuore su come ripensare e immaginare l’educazione a distanza alla luce dei recenti fatti che stiamo vivendo.

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Sono presenti un paio di concetti all’interno dell’articolo che – a mio avviso – è bene sottolineare. Questi medesimi concetti possono essere applicati al mondo delle organizzazioni ed estesi a tutti quei professionisti che si interessano – a vario titolo – al mondo del futuro del lavoro / future of work.

Il primo dei messaggi che sono condivisi è nihil sub sole novi: le pratiche di smart schooling, di FAD (formazione a distanza), ma – aggiungo io – di smart e remote working o di “telelavoro” come l’hanno chiamato alcuni non sono una novità. Il momento storico che stiamo vivendo e le reazioni che le persone stanno mettendo in campo, non sono frutto del caso, né episodi isolati che sorgono come spontanea e immediata risposta a una crisi.

Queste trasformazioni sono – infatti – figlie di un lungo e articolato percorso di preparazione che ci ha resi in grado di rispondere in modo più o meno adeguato.

Occorre ricordare questi passaggi per capire che quel che di positivo sta succedendo oggi tra classi di scuola e aule universitarie non è frutto del caso ma di un lungo percorso di preparazione. Anche se poi, nell’opinione diffusa, alla formazione a distanza si è finito per associare l’idea di qualcosa che ha meno valore rispetto alla formazione fatta in aula, in presenza.

L’altro passaggio fondamentale che questa trasformazione sta accelerando è che le persone si stanno rendendo conto che non si tratta quasi mai e sempre di un problema solamente tecnologico. Non basta una regia e o un tool che funzioni per far accadere le cose.

Occorre che tutto questo si inserisca all’interno di una progettazione didattica, si avvalga di una regia metodologica. L’apprendimento on line richiede un’attenzione particolare allo studente, ne vanno gestite la motivazione e l’attenzione. Non basta ‘mandare in onda’ la lezione e continuare a parlare come si sarebbe fatto in aula. Va studiata una sceneggiatura: materiali da mettere a disposizione prima, indicazioni di lavoro precise, ricorso alla comunicazione sincrona (chat e videocomunicazione) per chiarire i dubbi, discutere i problemi. E poi si tratta di favorire la cooperazione tra gli studenti: il vero valore aggiunto della tecnologia è la possibilità della condivisione, di lavorare in gruppo. 

Un punto ulteriore è quello dell’alfabetizzazione. Ci stiamo rendendo conto che non tutti sono pronti, che molti vanno aiutati e che – spesso e volentieri – molte delle azioni da fare prima della formazione con la tecnologia è la formazione alla tecnologia, per tutti coloro che avvertono un divario. Serve porsi il problema, eliminarlo, significa chiedersi come fare inclusione nei confronti di chi fa più fatica e di come allestire delle tecnologie che siano tecnologie di comunità. Strumenti che consentano davvero l’emersione di modelli di lavoro nuovi e di collaborazione tra i diversi istituti scolastici, ma anche tra le differenti organizzazioni.

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Ma cosa dobbiamo evitare? A cosa dobbiamo prestare attenzione una volta che saremo tornati alla nostra routine? Come dobbiamo impedire una volta che torneremo alla normalità?

Dobbiamo recuperare – e forse costruire – un senso diverso: è importante che a valle di tutto quello che viviamo ci sia una #resilienza attiva, per ripristinare qualcosa di meglio rispetto a quello che c’era prima.

Non è un qualcosa che accade in modo naturale.

Dobbiamo lavorare per fare in modo che non avvenga un ritorno a un chiacchiericcio e a una svalutazione di quanto abbiamo vissuto. E’ necessario imparare velocemente un modello differente di gestire i nostri processi formativi e le nostre modalità di relazione con gli altri, sia in ambito educativo sia in ambito organizzativo.
E’ il solo modo che abbiamo per reagire in modo corretto alla trasformazione in atto.

La relazione educativa, come ogni relazione umana e qualunque processo di trasformazione è frutto dell’intenzionalità.

La tecnologia non tiene lontano l’uomo dai grandi problemi della natura, ma lo costringe a studiarli più approfonditamente.
 (Antoine de Saint-Exupéry)

I cambiamenti che le tecnologie digitali hanno vissuto – e stanno vivendo – in questi anni impongono una seria riflessione circa le modalità d’interazione che esse, quotidianamente, instaurano con gli utenti che ne fanno uso. Se fino a qualche anno fa il digitale (in senso ampio) poteva essere considerato appannaggio di pochi, oggi è una realtà estremamente pervasiva delle nostre vite che tocca tutti i campi del sapere, dell’economia e del nostro modo di fare impresa ed educazione oggi [1].

Non solo il digitale è diventato appieno parte della nostra vita e del nostro modo di esperire il mondo, ma il confine tra supporti digitali e realtà si è fatto molto più labile.

E’ proprio su questa sottile linea di confine che si colloca l’Augmented Reality. La Realtà Aumentata o mixed reality o – ancora – augmented reality consiste, infatti, nella sovrapposizione – all’interno del medesimo campo visivo – di due layer informativi: uno reale e uno virtuale (Riva, 2008). L’integrazione dei due livelli – realizzata mediante un device appositamente configurato [2] – permette di ottenere uno “strato” maggiore d’informazioni e consente una migliore interazione con l’ambiente che ci circonda. Klopfer (2008), riprendendo gli studi di Milgram e Kishino (1994) identifica la Realtà Aumentata come una realtà nella quale gli elementi virtuali sono sovrapposti a quelli reali, collocandola, in questo modo, all’interno di un continuum che vede da un lato il piano esclusivamente reale e dall’altro quello completamente virtuale.

La Realtà Aumentata si pone, quindi, a metà strada tra un ambiente del tutto virtuale e un ambiente reale, in cui però gli elementi del secondo ambiente sono prevalenti rispetto a quelli del primo (Klopfer, 2008).

A sua volta la Realtà Aumentata può differenziarsi in lightly augmented (leggermente aumentata), se la presenza d’input del mondo reale è elevata o heavily augmented (consistentemente aumentata), se invece a prevalere sono gli elementi del mondo virtuale. In questo secondo caso a essere presi come esempio da Klopfer sono quelle tipologie di AR che si basano sull’utilizzo di elmetti, caschi immersivi o dispositivi indossabili che funzionano in maniera analoga a quanto si è visto per la VR. Questo secondo continuum che si innesta sul piano dell’immersività permette di trarre indicazioni anche relativamente al tipo di esperienza che viene proposta ai soggetti che si differenzia molto a seconda del differente grado di immersività a cui sono sottoposti.

In realtà – come lo stesso Klopfer sottolinea – il termine AR nell’uso quotidiano e maggiormente diffuso è utilizzato per definire semplicemente la commistione de due ambienti: virtuale e reale.

Milgram
Figura 1 – Il continuum tra ambienti virtuali e ambienti reali (Klopfer, 2008: p. 92)

Se fino a qualche anno fa l’AR era considerata un terreno di sperimentazione riservato a pochi esperti del settore, grazie all’avvento sul mercato – tra le altre applicazioni – di Pokémon Go [3] questa tecnologia è divenuta, nel giro di poche settimane estremamente mainstream. La diffusione massiva e l’interesse crescente circa questo approccio impone nuove riflessioni sul fenomeno e una maggiore attenzione alle possibili applicazioni che esulino dal contesto videoludico e di intrattenimento e riguardino più da vicino dimensioni educative, di benessere e di miglioramento delle condizioni della società nella quale viviamo.

Pokemon

Figura 2 – Ambiente di gioco di Pokémon Go, in cui è ben visibile l’integrazione del layer digitale (in cui appaiono gli elementi di gioco) con la realtà fisica

L’applicazione di questa tecnologia ha avuto, infatti – in particolar modo negli ultimi anni – risvolti eminentemente pratici legati alla comunicazione e a strategie più legate al marketing e alla pubblicizzazione di prodotti: tuttavia, proprio come per la Realtà Virtuale (VR) un filone interessante – ancora immaturo e in via di sviluppo – si colloca all’interno della formazione e dell’addestramento professionale. L’analisi della letteratura fa emergere in particolar modo un impiego dell’AR nel caso di specifiche professioni che richiedono assistenza immediata o prevedono sperimentazioni che precedano l’applicazione concreta (aviazione, medicina, apparati militari…).

Qual è, dunque il contributo specifico che l’AR è in grado di fornire, posto che vi sia, ai processi di apprendimento? Qual è la sua possibile applicazione in contesti educativi e di empowement della persona?

Augmented Reality e processi di apprendimento

Un filone molto interessante, e in forte crescita, nell’ambito della letteratura che negli ultimi anni ha trattato da vicino il rapporto tra AR e apprendimento, è quello dell’applicazione della Realtà Aumentata in ambito medico: sperimentazioni a cavallo tra apprendimento, training on-the-job, e assistenza real-time. Gli studi di Botden et alii (2009) mettono in evidenza – per esempio – gli enormi vantaggi che l’AR permette di ottenere nel caso di operazioni in laparoscopia. Nelle sperimentazioni eseguite l’AR consente di ottenere migliori performance sia sul compito sia sull’apprendimento della tecnica operatoria in generale, grazie alla capacità di fornire un feedback aptico [4] in tempo reale ai chirurghi. In questo senso l’AR, collocandosi a metà strada tra un tipo di operazione condotta in Realtà Virtuale e una del tutto reale, permetterebbe anche di guidare i medici, passo dopo passo, durante la procedura diminuendo il loro livello di ansia e agendo come una sorta di “manuale d’uso” dell’intera operazione (Botden et al., 2009). Oltretutto con costi sensibilmente inferiori rispetto alla simulazione in ambienti completamente virtuali, che avrebbero come svantaggio ulteriore anche quello di essere poco collocati nella realtà e troppo “sperimentali”.

Gli autori riassumono i vantaggi delle tre ipotesi (Realtà Fisica, Realtà Aumentata e Realtà Virtuale – si veda Figura 4) in una tabella che mostra in modo molto semplice ed evidente i vantaggi e gli svantaggi delle differenti soluzioni impiegabili.

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Figura 4 – Le differenti tecniche di simulazione a confronto (Botden et al., 2009: p. 1697).

Le ricerche e gli studi di Alan Craig (2007) – direttore associato dell’Human-Computer Interaction Institute for Computing in Humanities, Arts and Social Science dell’università dell’Illinois – mettono in luce come l’AR possa essere utilizzata per migliorare l’interazione con i libri di testo scientifici. L’autore dimostra come con l’installazione di semplici marker e l’utilizzo di una comune web-cam sia possibile realizzare dei libri di testo interattivi di grande fascino ed efficacia. Gli studi in questo senso mostrano – infatti – come questi volumi, oltre ad avere un appeal molto maggiore di un libro di testo comune siano anche in grado di aiutare la comprensione e la modellizzazione di concetti astratti e complessi. Non è difficile immaginare come e di quanto sarebbero facilitati i processi di comprensione di studenti che fossero in grado, simultaneamente alla lettura della spiegazione di com’è composta la crosta terrestre – ad esempio – di visualizzare effettivamente un modello tridimensionale della terra e di poter interagire manualmente con l’oggetto digitale (Craig, 2009).

Per meglio comprendere come funziona un libro di questo tipo è possibile dare uno sguardo alle immagini sotto riportate che mostrano le due visioni di una stessa pagina: una normale (Figura 5) e l’altra in “modalità AR” (Figura 6). [5] Nel primo caso l’immagine presentata è una semplice stampa della figura che risulta occupare le sole due dimensioni che solitamente occupa un’immagine stampata; nel secondo caso – in modalità AR – la figura stampata acquisisce una dimensione aggiuntiva permettendo di essere manipolata e consentendo l’interazione diretta con la stessa fotografia. Com’è possibile notare il libro è sempre e comunque fruibile in una modalità tradizionale in modo che l’esperienza classica e ben nota di lettura di un libro di testo non venga meno, ma possa solo essere – per l’appunto – aumentata e migliorata.

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Figura 5 – Il libro come appare normalmente senza l’impiego della web-cam. E’ visibile solo la stampa della figura in due dimensioni.

Per poter fruire un libro di questo tipo è sufficiente l’impiego di una web-cam e di un PC (o in alternativa di un visore apposito o di un device mobile di ultima generazione) che consenta di interpretare correttamente le immagini e dar loro una “forma” differente guardando nel monitor.

I lavori di Craig evidenziano poi anche i vantaggi che gli editori avrebbero nella pubblicazione di libri di questo tipo che – senza nessun costo aggiuntivo – potrebbero essere stampati senza alcuna difficoltà rispetto alla riproduzione di pagine tradizionali.

Anche gli studi di Dünsern [6] e Hornecker (2007) danno evidenza del fatto che i libri in AR presentano notevoli valori aggiunti rispetto alla loro alternativa tradizionale. Con questa modalità di lavoro – infatti – secondo i due autori,  gli “AR Book” permetterebbero di valorizzare l’esplorazione diretta dei contenuti e renderebbero l’attività stessa della lettura più coinvolgente e affascinante soprattutto per i più piccoli. Inoltre faciliterebbero l’applicazione di modelli di apprendimento basati sulla collaborazione e sulla sperimentazione.

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Figura 6 – Il libro in modalità aumentata: con un’esemplificazione della possibile interazione consentita. In questo caso l’immagine è “smontabile” e riconfigurabile a proprio piacimento

Ulteriori lavori di Dünser (2008) mettono in luce come i libri in AR possano essere utilizzati anche per migliorare la capacità di comprensione e di apprendimento di ragazzi con difficoltà di lettura o disturbi dell’apprendimento. Gli studi condotti mostrano, infatti, che gli studenti che hanno sperimentato modalità di lettura in AR sono in grado di ricordare più facilmente i contenuti anche a distanza di tempo rispetto a coloro che hanno fruito gli stessi contenuti in modalità tradizionale. Questo processo sarebbe dovuto a una serie di fattori: in primo luogo l’AR presenta i contenuti in maniera più interattiva e dinamica, catturando l’attenzione dei discenti; in secondo luogo i lettori sono in grado di interagire concretamente con il contenuto che li impegna in un’attività che facilità il ricordo; infine – ma non di minore importanza – l’AR permette la presentazione sfruttando diversi canali, il che consente una maggiore efficacia nella ricezione del messaggio veicolato.

Su questo stesso filone Augment [7] propone differenti soluzioni per gli educatori e gli insegnanti che intendano sviluppare prototipi in realtà aumentata da sottoporre ai propri studenti con vantaggi estremamente elevati in termini di: miglioramento dell’esperienza di apprendimento, migliore coinvolgimento dello studente, possibilità di restituire feedback in tempo reale, possibilità di supportare i contenuti testuali con video e animazioni, in pieno rispetto dei principi di multimedialità e interattività di Mayer e – infine – di personalizzare l’esperienza di apprendimento secondo le esigenze della classe, o – ancora meglio – del singolo studente. All’interno della sezione del sito di Augment dedicata al settore educativo sono presenti numerosi esempi e storie di successo che mostrano in che modo l’AR possa rappresentare un efficace veicolo di apprendimento all’interno di contesti scolastici.

In questa direzione di sperimentazione va anche una ricerca condotta nell’ambito del corso di Psicologia e Nuove Tecnologie della Comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in cui sono stati utilizzati dei QR Code [8] per fornire una serie d’informazioni aggiuntive a un’esposizione museale (Besana, 2010): l’esperienza ha messo in luce come, con l’utilizzo di marker realizzati con una minima spesa e di un moderno telefono cellulare, fosse possibile rendere più interattiva, piacevole e comprensibile una mostra di strumenti psicologici di inizio ‘900  mostrando l’applicazione e il funzionamento concreto di utensili non proprio intuitivi. I QR Code possono essere considerati una prima forma rudimentale di AR e potrebbero consentire di realizzare libri e supporti “mixed” con costi veramente ridotti e “fai da te”. In questo caso però la fruizione sarebbe penalizzata dal fatto di dover operare un doppio collegamento. I QR Code – infatti – funzionano come i link all’interno degli ipertesti rimandando solamente a un contenuto digitale presente su un supporto differente.

Come anticipato in precedenza, un altro filone di ricerca molto interessante è quello legato alla progettazione di prodotti videoludici con finalità educative. Un’esperienza molto interessante di applicazione dell’AR ai contesti di apprendimento outdoor è stata tentata dal Nesta Future Lab di Londra – oggi fuso con NFER – attraverso l’applicazione Savannah. Come riportano anche gli studi di Klopfer (2008) le esperienze di AR hanno fatto emergere come la dimensione di contatto e di confronto con le realtà sia determinante e fondamentale. I focus group condotti con i ragazzi che hanno preso parte ad alcuni esperimenti di applicazioni AR per l’apprendimento in contesti outdoor hanno messo in evidenza proprio l’importanza di sperimentare in maniera attiva e in prima persona i concetti teorici trattati in precedenza: con l’applicazione dell’AR è stato – infatti – possibile unire una dimensione di apprendimento esperienziale e di sperimentazione attiva con una più teorico-informativa fornita dal layer aggiunto (Klopfer, 2008).

Il miglioramento dei processi di apprendimento, secondo le esperienze di Klopfer, si rifletterebbe anche a livello trasversale su una migliore interazione all’interno dei gruppi di studenti: la sperimentazione condotta – infatti – ha permesso di mettere in luce l’emergenza di dinamiche classiche dei contesti di apprendimento cooperativo con la presenza degli elementi caratterizzanti: interdipendenza positiva, senso di responsabilità individuale, costruzione di dialogo con i pari e via dicendo. L’AR applicata in questo modo sarebbe quindi un valido strumento anche per rafforzare gruppi di lavoro e per promuovere un tipo di apprendimento più interconnesso, interattivo, coinvolgente ed efficace.

Nella medesima direzione vanno gli esperimenti condotti Kamarainen et alii (2016) e del loro utilizzo della AR nel percorso di apprendimento outdoor di alcuni studenti. E’ proprio in questo ambiente – infatti – che la realtà aumentata sembrerebbe giocare un ruolo fondamentale nel miglioramento dell’esperienza complessiva dei discenti.

Se spostiamo l’attenzione dal mondo videoludico a quello professionale è possibile riscontrare tutta una serie di applicazioni dell’AR negli ambiti dell’assistenza in tempo reale e dell’ausilio ad attività manuali ed eminentemente pratiche. E’ in questa direzione che si collocano gli studi di Anastassova e Burkhardt (2009) che dimostrano come l’AR possa essere impiegata all’interno di una comunità di tecnici specializzati e portare notevoli vantaggi. Tra le potenzialità indagate vi sono:

  • La possibilità – per chi la utilizzasse – di “imparare facendo”, cioè di costruire la conoscenza in modo attivo, esplorativo e autonomo a partire direttamente dagli stimoli provenienti dall’ambiente di lavoro.
  • La facilitazione del processo di ricerca da parte dei soggetti in formazione: poiché le informazioni richieste sarebbero proposte dai dispostivi AR nel momento e nel tempo opportuni, senza che sia richiesto nessun tipo di intervento da parte di chi sta lavorando con conseguente diminuzione della possibilità di dispersione dell’attenzione e della concentrazione sul compito.
  • La riduzione delle possibilità di errore, poiché il legame tra concetti e informazioni teoriche e la loro applicazione concreta sarebbe visualizzata immediatamente, facilitando la memorizzazione da parte dei soggetti e rendendo più semplice il recupero delle medesime informazioni in memoria.

Le ricerche di Anastassova e Burkhardt non sono le uniche ad approfondire il legame esistente tra AR e processi di apprendimento, soprattutto nel settore automotive e nella meccanica specializzata. Nella medesima direzione si collocano i lavori di Ong et alii (2008) che individuano i vantaggi dell’AR come strumento da affiancare a operatori specializzati durante lo svolgimento delle loro quotidiane routine di lavoro. Anche in questo caso la Realtà Aumentata sarebbe in grado di diminuire le possibilità di errore esemplificare il lavoro degli specialisti. Il training delle abilità spaziali attraverso VR e AR è mostrato anche dalle ricerche di Dünser et alii (2006).

Queste ricerche sui due differenti versanti di sperimentazione sottolineano l’importanza dell’interfaccia all’interno dei processi assisti da AR: l’interfaccia – che come si è visto si colloca come un meta-medium – deve essere infatti il più trasparente possibile consentendo agli utenti di essere un vero valore aggiunto e non una penalizzazione

Apprendere dall’esperienza: la realtà aumentata come supporto al percorso di crescita della persona

Riflettere sull’apprendimento esperienziale significa muoversi in un contesto informale e non strutturato in cui il “fare” gioca una dimensione fondamentale. Già Wenger (2006) nel suo celebre lavoro sulle comunità di pratica ha sottolineato l’importanza, sia per le organizzazioni sia per gli individui, di cogliere quell’apprendimento inafferrabile, intangibile che rappresenta – però – il vero nucleo di conoscenze che si possiedono. Considerato in questo modo, l’apprendimento diviene un fenomeno emergente che si colloca in un orizzonte di riflessione sulle pratiche e sugli interessi soggettivi delle persone che fanno parte di comunità in cui scambi e relazioni oltreché attività concrete fanno da collante strutturale.

Cercando di risalire alle origini dell’apprendimento esperienziale, all’inizio del Novecento, è possibile trovare tre autori fondamentali: Dewey, Lewin e Piaget.

Le teorie di Dewey sottolineano come l’esperienza educativa sia veramente tale solo quando si stabilisce un rapporto consapevole tra mondo e soggetto; la sola attività non costituisce – di per sé – esperienza. Il fare esperienza implica un cambiamento significativo nella vita e nelle rappresentazioni di un individuo (Reggio, 2003). Lewin teorizza – invece – un processo di ricerca-azione che integri teorie e prassi all’interno dell’universo conosciuto dal soggetto. Piaget, dal canto suo, gioca un ruolo fondamentale nella riflessione che vede il processo di apprendimento come una dimensione indispensabile in grado di consentire al soggetto di entrare in relazione con l’ambiente. Il processo riflessivo di “presa di coscienza” nascerebbe, infatti, da uno “scontro” tra ciò che il soggetto conosce e ciò che acquisisce dall’ambiente (Reggio, 2003).

Le riflessioni di questi autori – in questa sede solo brevemente accennate – divengono fondamentali nel pensiero di David Kolb e nell’elaborazione del suo ciclo dell’apprendimento esperienziale, che – come si vedrà in seguito – permette di comprendere meglio in che modo teoria e prassi possano entrare in contatto e in che modo sia possibile generare un apprendimento davvero significativo a partire dall’esperienza vissuta.

Dal punto di vista psicologico l’apprendimento può essere definito come «una trasformazione nel tempo, la quale modifica caratteristiche di natura psicologica intrinseche all’individuo, mostra una certa stabilità e i suoi risultati sono mantenuti con una certa autonomia» (Antonietti & Cantoia, 2010: p. VII).

Kolb, rielaborando i concetti propri delle teorie di Dewey, Lewin e Piaget, propone un modello che consta di quattro fasi principali disposte su un piano circolare:

  • Esperienza concreta
  • Osservazione riflessiva
  • Concettualizzazione astratta
  • Sperimentazione attiva

Durante la sperimentazione in contesti AR la persona vive – prima di tutto – un’esperienza, ma per fare in modo che quell’esperienza lasci qualcosa e si trasformi realmente nel cambiamento duraturo che si è visto essere fondamentale nella definizione di apprendimento, è necessario un passaggio successivo. E’ dunque indispensabile che l’esperienza vissuta sia accompagnata da una riflessione una meta-cognizione e da un lavoro di debriefing, che permetta di recuperare e comprendere quanto fatto in modo da cristallizzare la conoscenza esperita. Questi due livelli di “lavoro” sono coerenti anche con le teorie di Kahneman [9] che suggerisce che il modo migliore per favorire un cambiamento sia di lavorare su entrambi i sistemi che l’essere umano possiede: il sistema 1, legato all’esperienza, all’intuizione e il sistema 2,  basato sul ragionamento e la riflessione.

Apprendimento

Volendo tornare nuovamente ricollegare l’AR a un contesto di sperimentazione attiva e di apprendimento esperienziale possiamo sottolinearne l’efficacia ricollegandoci a quanto sostenuto da Antonietti e Cantoia quando affermano: «i contesti significativi di apprendimento sono quelli che si avvicinano o emulano i contesti reali: si dovrebbe apprendere laddove l’apprendimento viene poi speso; l’apprendimento dovrebbe tradursi nell’elaborazione di prodotti socialmente apprezzabili; l’apprendimento richiede l’interazione genuina – non simulata – tra partner simmetrici in un quadro di distribuzione delle risorse e dei compiti» (Antonietti & Cantoia, 2010: p. 3).

In generale potremmo pensare all’AR anche come uno strumento che ricopra – all’interno dei processi di apprendimento – la funzione di scaffolding [10], si faccia carico, cioè, di:

  1. proporre al discente gli stimoli e il compito da eseguire;
  2. mantenere l’attenzione del soggetto in apprendimento sul compito da eseguire;
  3. semplificare e rendere maggiormente accessibile il compito;
  4. restringere la gamma di azioni che è possibile compiere a quelle che sono pertinenti e utili al fine del raggiungimento dello scopo desiderato per la risoluzione del compito;
  5. mostrare ed esemplificare possibili soluzioni al compito.

Si tratterebbe, dunque, di uno strumento che agisce a più livelli sul processo di apprendimento collocandosi ora come strumento in grado di arricchire l’esperienza, ora come ambiente, ora come tool in grado di aiutare e fornire le direttive necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Conclusioni: quale futuro per l’AR nei processi di apprendimento?

Il discorso condotto fino a questo punto ha voluto porre l’accento su alcune dimensioni fondamentali che legano il rapporto tra l’apprendimento e le tecnologie in realtà aumentata. L’AR si è mostrata, e si sta mostrando, uno strumento efficace non solo per le azioni di marketing e per l’ambito videoludico, ma anche per la gestione dell’intero percorso di apprendimento considerando soprattutto la sua facilità e naturalezza d’uso, la qualità dell’esperienza che ne deriva e gli aspetti di praticità, immediatezza che le sono propri. I diversi esempi rappresentati e raccontati nel presente lavoro di sintesi sul tema, mostrano che l’intuizione è corretta e che la strada intrapresa è quella giusta: una evoluzione tecnologica e una diminuzione dei costi di realizzazione (grazie anche alla proliferazione di app che supportano nella creazione di ambienti in AR) consentono, e consentiranno, a un numero sempre più elevato di educatori di sperimentare queste nuove modalità.

A titolo conclusivo è opportuno sottolineare come il presente lavoro e le riflessioni che, più in generale, sono mosse in questa direzione, non intendano in alcun modo proporre modelli educativi e formativi che si sostituiscano alle tradizionali pratiche ma, bensì, rappresentare uno scenario possibile di applicazione che – in alcuni contesti specifici come quelli illustrati – è in grado di fornire un contributo significativo al percorso di generazione di apprendimenti significativi lungo tutto l’arco della vita.

E’ necessario, dunque, un ripensamento delle logiche classiche al fine di trovare una via di mezzo che riesca a conciliare innovazione e tradizione alla ricerca del migliore degli scenari possibili.

Per concludere con una citazione di Norman:

«la tecnologia ci pone di fronte a problemi fondamentali che non possono essere superati basandoci su quanto abbiamo fatto nel passato. Abbiamo bisogno di un approccio più tranquillo, più affidabile, più a misura d’uomo.» (Norman, 2008: p. 31)

Bibliografia & Riferimenti

Anastassova M., Burkhardt J.M. (2009), Automotive technicians’ training as a community-of-practice: Implications of an augmented reality teaching aid. Applied Ergonomics, 40, pp. 713-721

Antonietti A., Cantoia M., (2010), Come si impara. Teorie, costrutti e procedure nella psicologia, Mondadori: Milano

Besana S. (2010), L’uso del Quick Response (QR) Code come tecnologia didattica: uno studio esplorativo, Tecnologie Didattiche, 51, pp. 34-40

Botden M.B.I.S., Jakimowickz J.J. (2009), What is going on in augmented reality simulation in laparoscopic surgery?, Surg Endosc, 23, pp. 1693-1700

Botden M.B.I.S., Jakimowickz J. J., De Hingh I.H.J.T. (2009), Suturing training in Augmented Reality: gaining proficency in suturing skills faster, Surg Endosc, 23, pp. 2131-2137

Craig A., McGrath R.E. (2007), Augmenting Science Texts with Inexpensive Interactive 3D Illustrations, in Internet, URL: https://netfiles.uiuc.edu/a-craig/www/AR/AR_scenario.pdf

Dünser A., Kaufman H., Steinbügl K., Glück J. (2006), Virtual and Augmented Reality as spatial Ability Training Tools, Proceedings of the CHINZ 2006, University of Canterbury, Christchurch, New Zealand, pp. 125-132

Dünser A., Hornecker E. (2007), An observational study of children interacting with an augmented story book, Edutainment ’07 Proceedings of the 2nd international conference on Technologies for e-learning and digital entertainment, in Internet, URL: http://mcs.open.ac.uk/pervasive/pdfs/duenserEdutainment07.pdf

Dünser A. (2008), Supporting low ability reader with interactive augmented reality, Paper presented at the Annual review of cyber therapy and telemedicine: changing the face of healthcare, San Diego

Klopfer E. (2008), Augmented Learning. Research and Design of Mobile Educational Games, MIT Press: Cambridge

Kamarainen A.M., Metcalf S., Grotzer T.A., Brimhall C., Dede C., (2016),  Atom tracker: designing a mobile augmented reality experience to support instruction about cycles and conservation of matter in outdoor learning environments, International Journal of Designs for Learning, Vol. 7, issue 2, pp. 113-130

Klopfer E. (2008), Augmented Learning. Research and Design of Mobile Educational Games, MIT Press: Cambridge

Milgram P., Kishino F. (1994), A taxonomy of mixed reality visual displays, IEICE Transactions on Information Systems, 12, pp. 1321-1329

Norman D.A. (2008), Il futuro del design, Apogeo: Milano

Ong S.K., Yuan M.L., Nee, A.Y.C. (2008), Augmented reality applications in manifacturing: a survey, International Journal of Production Research, Vol. 46, N. 10, pp. 2707-2742

Reggio P. (2003), L’esperienza che educa. Strategie d’intervento con gli adulti nel sociale, Unicopli: Milano

Riva G. (1999), Virtual Reality as a communication tool: A socio-cognitive analysis, Journal of Visual Languages and Computing, Vol. 10, pp. 87-97

Riva G. (2008), Psicologia dei nuovi media, Il Mulino: Bologna

Wenger E. (2006), Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità, Raffaello Cortina Editore: Milano


[1] Per sostanziare quanto stiamo affermando è sufficiente dare un’occhiata ai numeri legati alle piattaforme digitali raccontati nell’ottimo report di We Are Social di Gennaio 2017: https://wearesocial.com/blog/2017/01/digital-in-2017-global-overview

[2]  I device che possono essere utilizzati per la sperimentazione dell’AR sono anche molto diversi tra loro e vanno da caschi e occhiali indossabili a semplici display digitali (ad es. quelli dei comuni smartphone) che svolgono la funzione di AR semplicemente inquadrando – mediante fotocamera integrata – la realtà fisica.

[3] Pokémon Go è un prodotto di intrattenimento videoludico sviluppato dalla Nintendo con il supporto della Niantic. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito ufficiale: http://www.pokemongo.com/.
Secondo Wikipedia (https://en.wikipedia.org/wiki/Pok%C3%A9mon_Go) il gioco è stato scaricato da oltre 650 milioni di persone (Febbraio 2017) e vanta – ad oggi – 65 milioni di utenti attivi mensilmente (Aprile 2017).

[4] Un feedback aptico è un feedback che è generato da una tecnologia o interfaccia aptica. Con questo temine s’intendono tutti quei dispositivi che, nel momento in cui vengono manovrati sono in grado di fornire una risposta immediata e di restituire una serie di sensazioni: tattili, visive e sonore in grado di connotare localmente l’interazione – In Internet, URL: http://en.wikipedia.org/wiki/Haptic_technology

[5] Le immagini sono tratte dal libro Dr. Jekyll e Mr. Hide realizzate da Martin Kovacovsky, un artista visuale, sul suo sito ufficiale è possibile anche guardare un video dimostrativo, davvero notevole, del funzionamento del libro – In Internet, URL: http://martinkovacovsky.ch/

[6] I lavori di Dünser si possono approfondire anche online sul sito ufficiale dell’HIT Lab di Canterbury (Nuova Zelanda) – In Internet, URL: http://www.hitlabnz.org/Hom, in cui un settore importante di ricerca è dedicato proprio all’impatto che l’AR ha sui processi cognitivi e di apprendimento.

[7] Augment è una end-to-end platform che consente la creazione di modelli 3d in realtà aumentata e vanta diverse applicazioni in ambito organizzativo e scolastico – In Internet, URL: http://www.augment.com/education/

[8] Codice QR (in inglese, QR Code) è un codice a matrice (o codice a barre bidimensionale) creato dalla corporation giapponese Denso-Wave nel 1994. QR deriva da “Quick Response” (dall’inglese risposta rapida), poiché consente una rapida decodifica del contenuto a esso associato. Maggiori informazioni sui QR Code – In Internet, URL: http://it.wikipedia.org/wiki/Codice_QR

[9] A proposito delle teorie dello psicologo e della “lotta” tra esperienza e memoria è possibile anche visionare un interessantissimo talk svolto al TED di qualche anno fa proprio su questi temi: In Internet, URL: http://www.ted.com/talks/lang/ita/daniel_kahneman_the_riddle_of_experience_vs_memory.html

[10] “Scaffolding” significa – letteralmente – “impalcatura” e indica «un insieme di procedure che possono aiutare l’apprendimento in quanto figura esperta, affiancandosi al discente, offrendo a quest’ultimo istruzioni, indicazioni e suggerimenti per compiere in maniera adeguata un’attività» (Antonietti & Cantoia, 2010 p: 95). Le nuove tecnologie didattiche consentono al discente di avvalersi della funzione di scaffolding anche senza la presenza fisica di un esperto.

Quando ho lanciato questo blog – ormai circa due anni fa – l’ho intitolato Social Learning, per due motivi: (1) il primo legato al tema di ricerca a me più caro – con il quale ho vinto anche il premio di Working Capital nel 2010 – e cioè quello dedicato all’utilizzo dei social network come strumenti per l’apprendimento e la gestione della conoscenza nelle organizzazioni complesse. Il secondo (2) è perché con la parola “learning” volevo raccogliere anche tutte le mie riflessioni e tutte le cose che imparavo strada facendo nel lavoro di tutti i giorni.

Mi piacerebbe quindi fare – con questo post – un po’ il punto nave del Social Learning e su cosa sta cambiando a livello di possibilità per l’apprendimento e per la gestione della conoscenza nelle aziende.

Un report di Aprile 2012 di McKinsey – http://mckinseyonsociety.com/transforming-learning-through-meducation/ – analizza la situazione del mobile learning nell’ambito dell’education e sottolinea alcuni trend interessanti del settore.

Di seguito alcune delle notizie e dei dati più interessanti che emergono dall’analisi:

  • L’aumento delle tecnologie mobili e dei device che consentono la connettività da ovunque e in qualunque modo aprono nuovi scenari per il mercato dell’apprendimento
  • Entro il 2020 questa industria legata al mobile learning e alle frontiere della mobile education smuoverà almeno 70 miliardi di dollari
  • Il mercato della mobile education è in forte crescita e i numeri permettono di comprendere che si tratterà di un mercato sempre più in forte sviluppo che merita di essere tenuto d’occhio
  • L’impatto della mobile education all’interno dei processi di apprendimento può essere molto ampio e vasto.

In questo senso – come già sottolineato in altri articoli condivisi in passato – gli elementi costitutivi di un ambiente di Social Learning sono almeno 3:

  • Componente LMS – una componente imprescindibile per la struttura delle aziende e per come – ad oggi – viene gestita la formazione e la conoscenza all’interno delle organizzazioni. Un LMS deve garantire la possibilità di erogare contenuti online e di tracciare i percorsi di apprendimento rispetto a obiettivi specifici, modelli di valutazione e reportistica e via dicendo
  • Componente Social – una componente che caratterizza il processo del Social Learning. Si tratta di prevedere strutture e funzionalità che prevedano l’interazione, la possibilità di comunicare in modo agevole, di collaborare in modo innovativo e di sfruttare le possibilità offerte da tecnologie informali ed emergenti
  • Componente CMS – uno strato che deve essere messo al di sopra di queste due componenti e garantire un tema di usabilità dell’interfaccia, di presentazione dei contenuti in modo efficace e di possibilità di personalizzazione lato utente.

Qualche riflessione personale
Provando a riassumere un po’ quello che emerge da alcune analisi e riflessioni condivise in questo e in altri post sul tema:

  • In ambito learning esiste ancora molto da esplorare. Le potenzialità del Social Learning sono ancora in divenire e non sono state ancora applicate con successi significativi.
  • L’ambito dell’educazione e delle scuole più che quello delle organizzazioni ha saputo guardare con maggiore interesse verso questa direzione. Questo è vero soprattutto in ambito internazionale
  • L’integrazione tra le diverse componenti che dovrebbe tenere insieme un ambiente di apprendimento basato sui principi del social learning è ancora complessa e a uno stato embrionale, non esistono progetti che integrino in modo completo tutte le modalità inserendole in un contesto organizzativo e di valutazione più ampia in grado di musicare un ROI effettivo degli impatti della formazione e della gestione della conoscenza in azienda. (Di questo se ne è parlato anche qui – http://www.sociallearning.it/social-learning-lorganizzazione-che-impara-ad e in occasione del Social Business Forum 2012 )
  • La formazione in azienda è per sua natura uno degli scogli maggiori da superare in ambito di processi di trasformazione. E’ avvertita con sempre maggiore necessità l’esigenza del controllo e la paura di perdere ciò che si è guadagnato (in questo senso si veda anche il post relativo al report di AIIM in cui si valutano le diverse funzioni aziendali rispetto alle tecnologie sociali – http://www.aiim.org/Research-and-Publications/Research/Industry-Watch/Social-Processes-2012 )
  • Il trend del mobile e la sua integrazione con il social learning risulta ancora quasi del tutto inesplorato se non in alcune sperimentazioni geniali che rimangono poche ed isolate come mosche bianche e sulle quali non viene fatta abbastanza ricerca e valutazione
  • I progetti e le ricerche, ma anche le sperimentazioni che vengono fatte nel settore della Media Education (si veda su tutte la Mac Arthur Foundation – http://digitallearning.macfound.org/site/c.enJLKQNlFiG/b.2029199/k.94AC/Latest_News.htm ) testimoniano un interesse crescente nei confronti di questi temi e nella volontà di testare con mano e provare nuove strade. All’interno delle aziende, vuoi per vincoli burocratici, vuoi per mancanza di cultura, vuoi per rischi troppo elevati da correre purtroppo il modello dell’apprendimento e gli strumenti utilizzati sono – ancora – quelli che risalgono all’E-Learning tradizionale e consolidato. L’innovazione in questo senso, è davvero pochissima. 
  • Sono molte le piattaforme che provano a proporre innovazione in questo senso e una gestione dell’apprendimento più snella più autonoma e diretta e coordinata direttamente dal discente. In questo caso si possono citare i casi di Coursera ( https://www.coursera.org/ ) che vanta la partnership di alcune grandi università internazionali, la Kahn Academy ( http://www.khanacademy.org/ ) che si muove su tutt’altro fronte o – in Italia – molto diverso anche in questo caso quello che è stato fatto da Oil Project ( http://www.oilproject.org/ ). Interessante anche – e chiudo con questa segnalazione – quello che sta facendo Google in questa direzione: http://www.openclass.com/open/home/index

Verrebbe da dire – quindi – almeno per quanto riguarda l’ambito delle aziende: nihil sub sole novi. Gli orizzonti per la sperimentazione e per avere buoni risultati io penso che ci siano poi sta ai singoli saperle cogliere. La strada da fare – sicuramente – è ancora molto lunga.  

Quello che più amo del TED è la brevità e il livello di profondità che gli speaker riescono a toccare in discorsi avvincenti, divertenti e soprattutto interessantissimi. Sir Ken Robinson (http://sirkenrobinson.com/skr/), considerato uno dei guru moderni a proposito di Educazione e Creatività in un suo speech – molto noto e molto visto – del 2006 ha sostenuto le ragioni per cui, secondo lui insegnare la creatività è altrettanto importante dell’insegnare l’alfabetizzazione. Inoltre ha insistito parecchio su come le moderne organizzazioni che si occupano dell’educazione dei giovani (scuole in primis) non siano adatte allo sviluppo della creatività e dell’innovazione, ma anzi rappresentino vere e proprie “prigioni mentali” per i giovani.
Ecco il video:

Il discorso è chiaramente molto molto provocatorio ma penso metta in luce un tema altrettanto interessante.
Tra le varie cose che emergono, secondo me, merita una menzione speciale l’importanza di fallire. In America, giusto per citare un esempio, di recente si è cominciato a finanziare solo startup di persone che avesero già sperimentato fallimenti. Questo non perchè i venture capitalist siano totalmente impazziti e abbiano intenzione di gettare i soldi dalle finestre dei grattacieli di Manhattan, ma perchè si è compreso il valore formativo del fallimento e l’enorme esperienza educativa che può derivarne.
(Tanto per fare un esempio ecco un post molto interessante sull’argomento – http://venturebeat.com/2009/04/29/10-lessons-from-a-failed-startup/)

Lo scorso Febbraio (2010) Robinson è tornato al TED per parlare della rivoluzione e del cambiamernto necessario che deve essere imposto al paradigma dell’apprendimento come lo conosciamo.
Ecco la sua “lezione”:

La conclusione a cui si arriva non è molto diversa da quella che la filosofia greca definisce come eu-daimonia: felicità, che puo’ essere intesa come la capacità di trovare il proprio talento e farlo fruttare al massimo delle proprie possibilità.