Archives For social media marketing

Uno dei temi di cui questo blog si è sempre occupato è quello legato al mondo della formazione e dell’apprendimento organizzativo.

Bersin ha recentemente pubblicato un’ottima presentazione su SlideShare in cui – in sintesi – si affrontano i temi principali dell’evoluzione del digital e social learning nel 2017, vediamo insieme quali sono i messaggi principali che emergono dall’eccellente analisi.

  • Il modo di concepire le organizzazioni è cambiato radicalmente, il nostro modo di lavorare, il nostro modo di apprendere e il nostro modo di organizzare il lavoro hanno avuto un pesante impatto su come le organizzazioni sono in grado di gestire la propria operatività quotidiana
  • Il tema del learning and development è determinante: il 45% degli americani è convinto che le proprie skill saranno del tutto inadeguate da qui a tre anni. I Millenials che si affacciano sul mercato richiedono lo sviluppo di competenze diversificate che non sempre le aziende sono in grado di garantire
  • C’è una difficoltà crescente da parte dei sistemi di apprendimento efficaci. Come mostra il grafico: solo l’8% delle aziende intervistate eccelle in questo. Non ci sono miglioramenti dal 2016 e solo il 17% delle organizzazioni ha una corretta comprensione e valutazione della prontezza digitale dei propri dipendenti

Decline of Learning

  • I sistemi di apprendimento si stanno evolvendo verso modelli sempre più complessi che però non riescono a tenere il passo con le richieste delle organizzazioni
  • I dipendenti oggi risultano sommersi da un overload informativo e difficilmente sostengono di poter tenere il passo con un ritmo non solo stressante ma anche lesivo per l’efficienza dell’organizzazione: il 25% della giornata è buttato solo per leggere le mail. Lo smartphone viene controllato 150 volte durante l’arco della giornata lavorativa, il 40% della popolazione americana pensa che sia impossibile avere successo al lavoro e avere una vita soddisfacente a livello familiare. Il 20% lavora oltre 60 ore a settimana, il 49% oltre le 50: come è possibile quindi che non si produca abbastanza? E’ chiaro che il modello non funziona come dovrebbe
  • Solo 24 minuti a settimana sono dedicati all’apprendimento: in un contesto come quello nel quale ci muoviamo va da sé che i problemi di un approccio di questo tipo non sono da considerare secondari
  • Nuovi formati di micro learning (poco tempo e necessità immediata di spendere quello che imparo) si stanno affermando e stanno diventando la norma rispetto a quanto richiesto dai dipendenti nelle aziende
  • I modelli stessi di HR e gestione delle risorse umane e della carriera stanno subendo una pesante rivoluzione: l’83% delle aziende prevede di rivedere il proprio modello entro 3/5 anni, il 67% delle organizzazioni sta promuovendo modelli di carriera orizzontale

Learning Made simple

  • I dipendenti richiedono costantemente di essere aggiornati e di imparare nuovi concetti nel 71% dei casi
  • Solo il 48% crede nelle proprie capacità e nel fatto che queste siano adatte a garantirgli uno step di carriera adeguato
  • Le piattaforme di LMS sono – al momento e salvo rare eccezioni – ancora inadatte a gestire la complessità richiesta dalle organizzazioni e le sfide che abbiamo presentato poc’anzi
  • Il Digital Learning si presenta esattamente nel momento in cui il discente ha bisogno delle informazioni necessarie e nel formato maggiormente adatto alle sue esigenze (in questo senso le riflessioni fatte qualche settimana fa sul tema Augmented Reality risultano interessanti)
  • Progettare ambienti di apprendimento per il futuro significa tenere presente in maniera sempre più rilevante le esigenze dei clienti e degli utenti finali, il supporto della tecnologia deve essere finalizzato alla capacità di fornire una risposta a questi interrogativi

Come concludere quindi ?

Il tema del social e digital learning rappresenta uno dei temi che impatteranno in modo maggiormente significativo sulle organizzazioni del prossimo – immediato – futuro. Investire in questa direzione più seriamente rispetto a quanto non si è fatto in passato risulta cruciale per sottolineare l’importanza di una cultura del cambiamento che le organizzazioni devono mettere in atto per poter sopravvivere e rispondere in modo adeguato alle sfide imposte dal mercato.

Le nostre aziende se la passano tutt’altro che bene!

E’ questa l’impressione, assolutamente confermata, che emerge da moltissimi report internazionali e nazionali che mettono in luce alcune delle mancanze fondamentali che stanno impedendo alle imprese di costruire un orizzonte di senso esteso in grado, non solo di generare risultati di business significativi, ma di ingaggiare in modo valido dipendenti e clienti.

Questo processo è stato amplificato da una serie di sfide che si è affacciata da qualche anno sul mondo organizzativo: in primo luogo la vita media delle nostre organizzazioni si è notevolmente accorciata. Imprese che fino a qualche anno fa dominavano il mercato non esistono più (Blockbuster, Nokia, Kodak sono solo alcuni degli esempi più famosi) e altre, nate solo qualche anno fa, regnano incontrastate sia nei mercati finanziari sia nelle crescite esponenziali che le caratterizzano (Facebook, Uber, AirBnB e Netflix solo per citarne alcune). Il tema però ha risvolti molto più ampi e riguarda una effettiva incapacità delle organizzazioni nel gestire i processi chiave che ne costituiscono la struttura stessa.

In primo luogo non siamo in grado – come organizzazioni – di gestire i nostri dipendenti, secondo le analisi di Gallup [1], la maggior parte della forza lavoro è attualmente dis-ingaggiata, e rema contro i principi e i valori dell’organizzazione di cui fa parte: è solo il 13% dei dipendenti a partecipare in modo proattivo alla costruzione di valore dell’impresa. Non siamo in grado nemmeno di gestire la conoscenza: il 50% del lavoro collaborativo, secondo McKinsey, va sprecato e sempre su questo tema, IDC sottolinea come ¼ della settimana lavorativa venga attualmente speso nel trasformare conoscenza (parliamo di circa 5.6 milioni di dollari all’anno per ogni 1.000 dipendenti). La conoscenza rappresenta oggi uno dei pilastri fondamentali delle organizzazioni ed è profondamente connessa al loro modo di operare e alla capacità di gestire il mercato: non è un caso che si parli sempre più spesso di knowledge worker: si tratta della maggior parte della forza lavoro di oggi, persone che – quotidianamente – gestiscono e scambiano conoscenza per generare valore per se stessi e per le imprese di cui fanno parte. E’ quindi evidente che una inefficienza così elevata nella gestione della conoscenza all’interno delle organizzazioni non può che portare a un danno economico estremamente ingente.

Dal punto di vista dell’innovazione le aziende di oggi stanno avendo non pochi problemi nella creazione di nuove idee che permettano loro di generare vantaggio competitivo: da un lato la crescente pressione del mercato (e dei competitor che spesso provengono da un settore completamente differente [2]) e dall’altro, l’impossibilità di rimanere allineati alla velocità con la quale si muovono i consumatori con solo il proprio ufficio di Ricerca e Sviluppo. Non è un caso che i brand maggiormente maturi abbiano iniziato un percorso di trasformazione digitale che abbattesse le barriere canoniche tra interno ed esterno dell’azienda abilitando i clienti a partecipare in modo attivo ai processi di innovazione. [3]

Le organizzazioni non sono in grado nemmeno di gestire le eccezioni ai processi, come sostengono Hagel e Brown:

“While 95% of IT investment goes to support business process (to drive down costs), most employee time isn’t spent on process but exceptions to process”

lontani sono – infatti – i tempi in cui le aziende potevano basarsi sull’assioma di Henry Ford riportato anche nella sua biografia del 1922:

“Ogni cliente può ottenere una Ford T di qualunque colore desideri, purché sia nero. […]”;

oggi la richiesta di personalizzazione del consumatore raggiunge la sua massima espressione e si riflette su tutti gli aspetti organizzativi. Offrire servizi sempre all’altezza delle richieste e delle aspettative del modello di consumatore che è presente oggi sul mercato diviene una sfida complessa e articolata che non sempre le organizzazioni sono in grado di cogliere appieno.

Questo nuovo modello di consumatore, molto più esigente, molto più informato e molto più consapevole delle sue scelte di acquisto e di consumo, ha molta più voce rispetto al passato (i social media ne sono l’espressione principale) e riesce a stabilire con i brand un relazione molto più paritetica basata su fiducia e trasparenza. Quando questi due assunti vengono a mancare la relazione non solo si interrompe, ma può radicalmente trasformarsi e mettere in crisi l’intera reputazione dell’azienda.

Fiocca et alii (2016) nel volume Brand Experience, relazioni impresa-cliente e valore di marca (citato in G. Besana – 2016 –  Brand engagement e social customer. La relazione tra azienda e consumatore nell’era digital: Il caso Oreo) definisce e riassume in questo modo i comportamenti che caratterizzano questo nuovo modello di consumatore:

  • Frenesia: il nuovo consumatore è un soggetto volubile, difficile da attirare e da coinvolgere, ha un livello di attenzione disperso e le forme relazionali e comunicative alle quali siamo abituati non sono spesso efficaci per coinvolgerlo.
  • Competenza: il consumatore di oggi è chiaramente più informato e più esperto, molto più complesso risulta quindi il processo di costruzione dei contenuti che stanno alla base del suo coinvolgimento
  • Atteggiamento esigente, ma al tempo stesso disincantato: il nuovo consumatore pretende che il brand sia in grado di rispondere appieno alle sue esigenze in termini qualitativi (e non solo quantitativi come siamo stati abituati per anni). Si tratta di un nuovo modello di soddisfazione del consumatore completamente differente. Il cliente è consapevole e pretenzioso.
  • Aggregazione e community: i consumatori tendono – in modo spontaneo – ad aggregarsi in gruppi con i quali condividere emozioni, interessi, pensieri e ricercare informazioni sul brand. Le community che sorgono in rete diventano veicoli fondamentali di informazioni per i brand che sanno ascoltare [4]
  • Selettività: il nuovo modello di cliente che stiamo raccontando adotta anche comportamenti selettivi, dimostrando capacità decisionale e autonomia nella definizione dei brand che intende utilizzare e dei quali intende circondarsi
  • Integrazione: il social customer si aspetta una completa integrazione dell’esperienza offerta dal brand, è per questo motivo che si parla di multicanalità e di esperienza utente in senso esteso

Iron customer

E’ in questo scenario che si innesta il ruolo della social e digital collaboration e della creazione di un nuovo modello di azienda che riparta e riconsideri al centro dei propri processi il ruolo – costitutivo e centrale – dei proprio dipendenti. Con social collaboration intendiamo, infatti:

un insieme di strategie, processi, comportamenti e piattaforme digitali che consentono a gruppi di persone all’interno dell’azienda di connettersi, interagire, condividere informazioni e lavorare ad un comune obiettivo di business [5]

Si tratta quindi di un processo che rivede le logiche organizzative secondo alcuni principi fondamentali:

  • Non esistono più barriere tra interno ed esterno dell’organizzazione
  • L’azienda ha come scopo ultimo quello di massimizzare lo scambio e la co-creazione di valore tra tutti gli attori coinvolti (siano essi partner, dipendenti, clienti o fornitori esterni)
  • Il dipendente e il cliente sono intimamente connessi e dialogano in una logica inside-in e outside-out
  • Il modo di lavorare cambia radicalmente e rende l’organizzazione più efficiente, più agile e in grado di rispondere al meglio alle sfide del mercato
  • Il potere è decentrato e si affermano modelli di leadership basati sulla competenza e sui singoli progetti
  • L’organizzazione è adattiva e diventa in grado di cambiare la propria configurazione a seconda delle sfide che il consumatore e il mercato impongono

In sostanza si tratta di un modo di lavorare completamente nuovo che rimette al centro di tutti i processi le persone, siano essi dipendenti interni all’impresa o clienti esterni.


[1] Per maggiori informazioni sulle statistiche di Gallup consigliamo il sito ufficiale: http://www.gallup.com/home.aspx

[2] In questo senso basti pensare alla rivoluzione introdotta nel mercato dei trasporti da Uber (https://www.uber.com/it/) o da Apple nel mondo della telefonia e degli smartwatch (http://www.apple.com)

[3] Per maggiori informazioni in questo senso si vedano gli esperimenti delle piattaforme di innovazione collaborativa volute da Lego (https://ideas.lego.com/) e Starbucks con la sua MyStarbucks Idea (http://mystarbucksidea.force.com/)

[4] Non è un caso che moltissime organizzazioni tra le maggiormente mature abbiano messo in atto strategie di web monitoring e social media listening per utilizzare le informazioni spontaneamente condivise dai consumatori per migliorar e il proprio prodotto o servizio. L’importanza e la tendenza naturale degli utenti a unirsi all’interno di community gioca un ruolo fondamentale – come vedremo – anche nella dimensione interna all’azienda e non solo in riferimento ai propri clienti

[5] La definizione è riportata nella Social Collaboration Survey 2014 (http://socialcollaborationsurvey.it/) di Stefano Besana ed Emanuele Quintarelli

Come ogni anno We Are Social (http://wearesocial.com/it/) ha rilasciato il suo report sullo stato dei Social Media in Italia e nel mondo.
I dati, oltre ad essere molto interessanti e aggiornati a Gennaio 2017, permettono di fare alcune riflessioni sulla portata che il fenomeno Social Media ha oggi.

Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia: i social media rappresentano, ormai, una realtà pervasiva della nostra vita e difficilmente – indipendentemente ormai dal fattore età – possiamo dire che qualcuno riesca a farne completamente a meno.

Il report completo con tutti i dati è disponibile – a tutolo completamente gratuito – su SlideShare:

Vediamo insieme alcune delle principali statistiche che si ritrovano all’interno del report e che vengono riportati anche all’interno del sito web di We Are Social Italia.

  • Oltre la metà della popolazione mondiale utilizza almeno uno smartphone: il che significa che il mobile rappresenta ormai uno dei trend principali al quale guardare con interesse
  • A conferma di questo 2/3 della popolazione mondiale possiede un telefono cellulare
  • Metà del traffico mondiale passa da telefonini
  • 1/5 della popolazione mondiale negli ultimi 30 giorni ha effettuato un acquisto online
  • Sono 3.7 i miliardi di persone connesse alla rete

Più di 2.8 miliardi di persone utilizzano canali social almeno una volta al mese, e +91% di loro lo fa usando dispositivi mobile: Facebook continua a crescere, e si tratta di un dato molto interessante, visto che – ormai da 10 anni – è la piattaforma – di gran lunga – più usata (se consideriamo tutto il suo ecosistema – che include Instagram, WhatsApp e Messenger – l’audience è costituita da 4.37 miliardi di persone).

screen-shot-2017-01-25-at-10-56-09

  • Gli utenti mobile sono cresciuti del 30% rispetto all’anno precedente
  • Gli utenti nei social media sono aumentati del 21%
  • Gli utenti da mobile sono cresciuti del 5%
  • Il numero di utenti connessi alla rete è cresciuto del 10%

Sono numeri e trend molto interessanti perché fanno capire come il numero di utenti sia in costante crescita e il trend sia ormai positivo da molti anni a questa parte. Un segnale – questo – molto forte per interpretare anche i cambiamenti che nei prossimi mesi ci troveremo a dover affrontare.

Un altro dato interessante riguarda il tempo speso sui canali social: GlobalWebIndex sottolinea come l’utente medio spende – mediamente – 2 ore e 19 minuti usando piattaforme social ogni giorno.

E l’Italia?
Come si legge:

Durante il 2016, il numero di persone che si sono connesse a internet è cresciuto del 4% rispetto all’anno precedente(39.21 milioni di persone), e dell’11% quello relativo all’uso dei social media (17% se osserviamo le persone che accedono a piattaforme social da dispositivi mobile – per un totale di 28 milioni, che corrisponde a una penetrazione del 47%).

screen-shot-2017-01-25-at-10-58-37

Sono numeri impressionanti che fanno davvero riflettere e che sottolineano come, anche nel nostro paese, il digitale sia ormai un fenomeno impossibile da trascurare. Vediamo alcuni dettagli:

  • Gli italiani si connettono in maniera molto più frequente rispetto al passato e – anche in questo caso – il ruolo dello smartphone è preponderante
  • I video sono il contenuto che sta crescendo in modo maggiore rispetto al resto: il 31% degli italiani dichiara di guardare video online almeno una volta al giorno
  • La crescita delle piattaforme di direct messaging è impressionante: Facebook Messenger è impiegato dal 33% degli italiani che hanno accesso alla rete
  • Tra le prime 5 piattaforme social, in Italia, le prime 2 sono di messaging
  • il 51% vi accede – ancora una volta – dal proprio smartphone

screen-shot-2017-01-25-at-11-02-03

Che cosa ci portiamo a casa quindi?

  • I Social Media e il mondo digitale – più in generale – sono un fenomeno pervasivo che ormai non ha più nemmeno senso (posto che lo abbia mai avuto) distinguere dal reale. Già negli anni 90′ Levy sottolineava questo concetto. Il digitale oggi è reale. Più che mai
  • Le organizzazioni non possono più isolarsi ed evitare l’argomento digitale, il consumatore, il dipendente, il futuro cliente si muovono su queste logiche e un allineamento da parte dell’organizzazione è necessario
  • Le strategie digitali devono essere realizzate tenendo in considerazione il business dell’azienda. Cambiare l’azienda non significa utilizzare i Social Media. Il lavoro da fare è molto, molto più ampio e profondo e riguarda la cultura delle persone e dell’azienda stessa
  • I Social Media sono solo un canale, uno dei tanti. Come tale devono essere inseriti all’interno di una più ampia strategia di presenza nel mondo digitale e non. E’ impensabile – oggi – ragionare solo con loro, come è impensabile ragionare senza di loro. Terreste chiusa la vetrina del vostro negozio? Impedireste alle persone di entrare in un concessionario?
  • Passata la fase di hype sul fenomeno social è ora che le aziende si interessino davvero alla trasformazione digitale imposta dal mercato e dai trend che abbiamo commentato. L’interesse crescente nei confronti di questi fenomeno devono porre l’accento su un processo di cambiamento che rimetta al centro le persone e sia fatto PER le persone
  • Il futuro dei Social Media sarà quello di divenire sempre più naturali e sempre più compagni di lavoro quotidiani con i quali ragionare. Le aziende che si interessano al fenomeno – o che si sono interessate al fenomeno in passato – devono cominciare a considerarli come parte integrante del proprio business, non per posizionarli al centro (come fatto da qualcuno in passato) ma per collocarli dove meritano di essere collocati all’interno di un progetto strategico più articolato e complesso
  • Il trend dei social media non va più cavalcato, semmai direzionato laddove i nostri obiettivi di business chiedono di essere portati: lo scopo deve essere quello di creare valore per l’intero ecosistema.
  • Ancora una volta credo che la metafora che maggiormente rende giustizia del fenomeno sia quella del catalizzatore. Se non abbiamo un valore – come brand e come azienda – se non abbiamo un messaggio da comunicare, allora difficilmente il trend del Social Media potrà essere dalla nostra. E’ necessario avere un contenuto forte e una proposta di valore che sia valida per voi veicolarla. I Social Media – in questo senso – non sono molto lontani dalla logica dell’adagio latino rem tene verba sequentur

Di recente mi è capitato di seguire da vicino un progetto per una grossa casa automobilistica, nel tentativo di capire come e in che modo la rivoluzione digitale e i fenomeni di cui abbiamo parlato molte volte in questa sede, potessero influenzare anche questa specifica industry impattando e modificando in modo significativo le logiche e le strategie che ne stanno alla base. Quanto il digitale è in grado di orientare comportamenti di acquisto e di consumo in questo ambito? In che modo i brand possono utilizzarlo a loro favore? Quali sono i rischi di un approccio troppo superficiale al tema? In che modo i consumatori cambiano grazie al digitale? Quali leve sono presenti nei canali digitali?

Abbiamo più volte parlato di social customer, di un cliente differente, un consumatore nuovo, più aggiornato, maggiormente consapevole rispetto al passato e in grado di far sentire in modo più significativo la propria voce nei confronti del brand. Abbiamo visto come – oggi – una logica unidirezionale di comunicazione e marketing sia assolutamente inadatta a fornire al cliente le risposte che sta cercando e abbiamo anche compreso come le organizzazioni e le aziende che traggono maggiori vantaggi dal mercato siano quelle in grado di utilizzare una logica di scambio e un’ottica dialogica con i loro clienti, considerandoli parte della catena estesa del valore e non solo “portafogli a cui spennare dei soldi”.

Se questo è vero – come abbiamo visto – per alcune industry specifiche (consumer e fast moving goods, fashion, etc.) resta da comprendere se questi meccanismi e questo mutato scenario influenzi anche decisioni più significative come l’acquisto di un’automobile o servizi ad essa legati.

Mi è capitato tra le mani un report molto interessante di Deloitte (lo trovate qui per un approfondimento qualora foste interessati a una lettura di maggior dettaglio: http://www2.deloitte.com/content/dam/Deloitte/global/Documents/Manufacturing/gx-mfg-geny-automotive-consumer.pdf) . Lo studio risulta significativo perché, su scala globale, analizza in che modo il consumatore nell’area automotive sia cambiato e abbia profondamente modificato i suoi comportamenti in seguito alla rivoluzione digitale (e non solo). Cerchiamo di analizzare insieme in messaggi principali che emergono dall’analisi:

  • La generation Y (i cosiddetti nativi digitali) rappresentano uno dei primi cambiamenti significativi nel cambiamento dei consumatori e del pubblico automobilistico. Si stima che nei prossimi 5 anni saranno il target principale (in termini numerici assoluti parliamo di oltre 680 milioni di individui di cui la maggior parte all’interno dei mercati emergenti come Cina e India) di acquirenti di automobili. Un tipo di pubblico da guardare con molta attenzione quindi e al quale rivolgere i prossimi sforzi in termini di marketing e comunicazione.
  • Il tema delle energie alternative rispetto a diesel e benzina gioca un ruolo predominante per gli appartenenti alla generation Y, tanto da impattare in modo davvero significativo sulla scelta di un modello rispetto ad un altro. Si tratta di un attenzione alla “responsabilità sociale” molto maggiore rispetto alle generazioni differenti e precedenti.
  • Il 50% si lascia influenzare da quello che dicono amici e famiglia nella scelta di un’automobile
  • La generation Y sembra non essere molto interessata nella scelta di modello specifico di un’automobile o non sembra preferire l’uso di un auto ad altri mezzi di trasporto (compresi eventuali servizi di car sharing o simili nati sulla scia dell’economia collaborativa)

Schermata 2015-01-06 alle 18.35.11

  • Questioni relative alla salute e alla volontà di fare maggiore movimento fisico sono tra le cause principali di abbandono o mancato acquisto di un veicolo assieme alla mancanza di fondi economici. In sostanza sembra che le priorità siano cambiate negli ultimi anni soprattutto per le generazioni più giovani.
  • L’interesse nell’ambiente anche è molto forte tanto da spostare pesi significativi di persone che sarebbero disposte a spendere di più a fronte di forme di energia alternativa per i propri motori. Ancora una volta il ruolo della responsabilità sociale sembra essere determinante.

Schermata 2015-01-06 alle 18.46.56

  • Un altro dato molto interessante è quello che vede l’impatto dell’online nell’organizzare e nel gestire le scelte di consumo. Il grafico riportato mostra in modo molto significativo il peso determinante che questo comporta. Come si vede l’online è tra i canali di contatto privilegiati nell’orientamento delle decisioni.

Schermata 2015-01-06 alle 18.51.04

Concludendo e a titolo di completezza, a livello di strategie ben congegnate sui social media possiamo sicuramente segnalare – nell’area automotive ovviamente – l’ottimo lavoro di Scott Monty in Ford la cui strategia si differenzia su più canali con risultati eccellenti. Qua per esempio un video divertente per la promozione della nuova Fiesta.

Per citare un altro esempio, anche Mini è stata in grado di realizzare una campagna di ottimo livello sui social media per la promozione dei nuovi modelli della sua macchina. La cosa interessante della campagna di questo brand è stato l’incrocio perfetto tra strategie online e offline in un circolo virtuoso che ha alimentato la community di appassionati e accresciuto il numero di vetture vendute.

Si tratta di una rivoluzione già avvenuta e in parte ancora in trasformazione che tutte le aziende del settore devono saper cogliere e cavalcare per evitare di perdere il “treno dell’innovazione”. Il contributo che si attendono i clienti è molto elevato e – come sappiamo bene – il futuro o meno di un’azienda può dipendere in larga misura dalla sua capacità di scaricare a terra il valore della relazione con i propri clienti e con il proprio pubblico di affezionati.

Chi frequenta questo blog e legge gli articoli che ho scritto negli ultimi anni, sa perfettamente che il tema in oggetto non è cosa nuova. Vale – forse – comunque la pena di metterlo ben in chiaro: la rivoluzione digitale non è una rivoluzione che riguarda il marketing. 
Di recente il MIT in partnership con la Deloitte University Press ha pubblicato un’analisi che mette in luce proprio questo concetto (la trovate qui se siete interessati ad approfondire il tutto: http://sloanreview.mit.edu/projects/moving-beyond-marketing/). Le aziende di oggi che hanno intenzione di intraprendere un serio percorso di evoluzione digitale, devono comprendere che la rivoluzione di cui stiamo parlando è – ormai – qualcosa che tocca tutta l’organizzazione, non solo il marketing e i processi di comunicazione, ma che è piuttosto collegata a un cambiamento radicale nel modo di concepire il lavoro, le relazioni con i propri dipendenti e clienti e gli spazi aziendali.
Si tratta – oggi più che mai – di generare del valore concreto per tutto l’ecosistema organizzativo (all’interno dell’impresa così come al suo esterno).

Vediamo insieme alcuni dei dati principali che emergono dall’analisi e che può essere utile commentare.

  • Il social business sta continuando a crescere di importanza e di valore. Se nel 2011 erano solo il 52% delle organizzazioni a intravederne possibilità e rilevanze strategiche, oggi è oltre il 90% a ritenere che sia fondamentale in una strategia organizzativa da qui a 3 anni. Un numero in forte crescita che ci aiuta a comprendere come si stia parlando di un fenomeno che è ben lontano dall’essere semplicemente una moda.
  • Il 90% delle aziende mature misura ROI, risultati e KPI e sta cominciando a notare apprezzabili benefici dall’introduzione di tecnologie e approcci social e digital all’interno dell’organizzazione
  • Basta con le logiche B2C. Anche la convinzione che il social business e la rivoluzione digitale siano solo legate al mondo business to consumer è da sfatare. Molte iniziative hanno preso piede e stanno avendo grande successo anche nel settore B2B. E’ oltre il 60% delle organizzazioni di questa seconda categoria a credere che le iniziative social possano rappresentare un enorme valore aggiunto per l’organizzazione.
  • I dipendenti richiedono di lavorare per aziende che adottano modelli di lavoro nuovi e social. E’ oltre il 57% degli intervistati a manifestare questo interesse e a insistere su questo punto di attenzione.
  • I dati e la misurazione provano il valore di quello che si fa. La rotta tracciata e la bussola in mano sono i due strumenti delle aziende che sanno e che possono fare. Il 67% delle organizzazioni più mature integrano perfettamente strumenti di misurazione con i centri decisionali dell’organizzazione riuscendo a fornire risposte migliori, più veloci e maggiormente efficaci a clienti e dipendenti stessi.
  • La voce dall’alto. Oltre il 90% delle aziende che hanno successo ha al vertice un CEO o un amministratore delegato illuminato che crede fortemente nelle iniziative di trasformazione digitale e se ne fa portavoce in prima persona
  • Andare oltre il marketing. Le aziende più mature stanno usando il social per raggiungere obiettivi differenti dalla semplice promozione: l’87% lo impiega a fini di innovazione (per stimolare e coinvolgere masse di utenti nella creazione e nella definizione di prodotti e servizi nuovi); l’83% per gestire al meglio i talenti e il 60% integra il social business all’interno dei processi chiave dell’azienda rivendendoli in chiave digitale e collaborativa.

The idea is to infuse and integrate social tools into the entirety of what the organization does.
– Wendy Harman, director of management and situational awareness, American Red Cross

Schermata 2014-07-30 alle 20.49.25

L’importanza che il social business sta assumendo è in forte crescita e tutte le industry – in modo più o meno consistente – sono toccate dal fenomeno e – come si diceva poco sopra – il fenomeno di cui stiamo parlando è cross rispetto al settore di riferimento e non riguarda – come spesso si tende e si è portati a pensare – solo le organizzazioni del mondo B2C. E’ il 21% delle aziende del B2B a essere fortemente d’accordo (il 37% è d’accordo) che il social business possa rappresentare un ottimo asset sia per la crescita sia per la differenziazione dell’azienda sul mercato e all’interno di una strategia più ampia e vasta che coinvolge l’intero ecosistema aziendale.

Altro punto interessante – che ritorna rispetto al nostro lavoro della Social Collaboration Survey iniziato l’anno scorso – è il “cosa” misurare rispetto al “come” e al “quanto”.
Le organizzazioni più mature hanno infatti compreso da tempo l’importanza delle metriche di successo delle iniziative digitali. Non si fa quindi, tanto per fare, ma per raggiungere risultati precisi.
Le organizzazioni che sono maggiormente avanti nell’adozione di tecnologie e di approcci di questo tipo lo sanno bene e uniscono metriche di partecipazione e di engagement a metriche di business e maggiormente legate alla dimensione organizzativa.

Altro punto fondamentale dell’analisi riguarda l’intima connessione tra la maturità dell’approccio di social business e i risultati che si riescono a ottenere. Maggiore è la sensibilità, la prontezza organizzativa e maggiori sono le sperimentazioni in atto, tanto più alti sono i risultati che l’organizzazione è in grado di ottenere. Una versione moderna del “chi più spende meglio spende” insomma…
Le organizzazioni che quindi stanno lavorando su più dimensioni: innovazione, marketing, supporto al cliente, re-ingegnerizzazione dei processi, community, intranet, sono quelle che stanno avendo i ritorni maggiori in termini di investimento e in termini di partecipazione degli utenti. In che modo? E’ molto semplice. Le organizzazioni che adottano processi estesi si considerano fuori dalla fase di sperimentazione e riescono a raggiungere quel “plateu di produttività” che fa entrare una tecnologia o un nuovo approccio strategico all’interno di un’area differente rispetto a quella precedente abilitando nuovi modelli di lavoro e fornendo un servizio migliore a tutta la popolazione aziendale.

Il grafico sotto riportato esprime meglio di molte parole questo concetto:

Schermata 2014-07-30 alle 20.58.36

L’aspetto maggiormente interessante di questa ricerca del MIT sembra proprio essere quello di aver messo finalmente in luce – una volta per tutte e casomai ce ne fosse ancora bisogno – che gli strumenti social al servizio dell’azienda non sono solo i social media, ma che all’interno dell’impresa si apre un mondo che è altrettanto interessante e utile esplorare. Un mondo che genera – finalmente – un valore tangibile per l’organizzazione. Un mondo di cambiamento fatto dalle persone per le persone. Una rivoluzione silente ma non troppo che si sta affermando sul mercato e che coloro che hanno già saputo cogliere e “imbracciare” con coraggio.

Di come il consumatore di oggi sia profondamente cambiato rispetto a quello di quello di qualche anno fa e di come le logiche delle organizzazioni si siano modificate per coinvolgerlo e per ingaggiarlo in modo attivo abbiamo più e più volte parlato. Le modalità con le quali i brand comunicano agli utenti si sono modificate e le sfide hanno assunto nuove dimensioni.

Un interessante e recente report di Accenture (Digital Customer. It’s time to play to win and stop playing not to lose) mette in luce alcuni aspetti chiave del cambiamento che abbiamo vissuto negli ultimi anni e mesi.

Switching

Come visibile anche dal grafico in allegato, l’evoluzione del mercato sta andando sempre di più verso un’economia di servizio e non di prodotto. L’esperienza utente, il ruolo del servizio cliente e la fase che precede e che segue l’acquisto di un prodotto o di un qualunque bene o servizio (valutazione, supporto, richiesta di informazioni, richiesta di assistenza) assumo – oggi – un ruolo fondamentale e risultano estremamente importanti.

In questa direzione i canali digitali assumono un ruolo primario e fondamentale, infatti:

  • E’ il 70% degli utenti che utilizza almeno un canale digitale nella ricerca di supporto e di assistenza da parte del brand, preferendo i touchpoint social a quelli tradizionali.
  • L’89% – invece – utilizza questo tipo di canali per informarsi nella fase che precede la vendita e l’acquisto del prodotto.

Un meccanismo e una tendenza – quella descritta sopra – che contribuisce a creare un consumatore più attento, più consapevole, più esigente e che ha molte più armi rispetto al passato.
Altri dati interessanti emergono dal report ma comunque resta chiaro e fermo un punto trasversale. Il consumatore è cambiato. Le logiche si sono modificate e i processi si sono trasformati. Servono quindi nuovi strumenti, nuove strategie e nuovi meccanismi di ingaggio e di coinvolgimento.

Per le aziende – non importa di quali dimensioni e di quale industry siano – si aprono quindi nuovi scenari. Ma come riuscire a cogliere tutti questi aspetti? Come fare per stabilire con i consumatori una dinamica il più possibile win-winIn modo da massimizzare il valore che viene creato per e attraverso l’organizzazione?

Esistono alcune azioni chiave da tenere presente e che spesso – per quanto non siano complesse – vengono regolarmente ignorate.
Di seguito provo ad elencare alcune

  • Partire dall’ascolto non è più sufficiente. Più e più volte in questa sede abbiamo parlato dell’importanza dell’ascolto come punto di partenza della costruzione di una strategia integrata ed efficace. L’ascolto non è diventato meno importante ma semplicemente più naturale. Le aziende ne hanno compreso l’importanza. L’efficacia non sta tanto nell’implementare processi e azioni one-shot che diano inizio alla strategia quanto di pianificare azioni e processi che siano costantemente ongoing. Evolvendo – quindi – verso un coinvolgimento esteso del consumatore.
  • Gli earned media non esistono più. Le logiche che i recenti cambiamenti all’algoritmo di Facebook hanno imposto sono chiare: il mito degli earned media, della possibilità di costruire il virale senza azioni a supporto (paid) è finito. Le strategie migliori – oserei dire le uniche efficaci – sono quelle in cui una campagna paid è sostenuta da un contenuto di valore e viceversa e in cui i messaggi sono coerenti e armonici.
  • Il Social CRM è realtà, ma con qualche precisazione. Se intendiamo con Social CRM un semplice processo di moderazione e di assistenza al consumatore attraverso i touchpoint attivati (esempio: un utente si lamenta sulla mia pagina Facebook e io rispondo) allora possiamo dire che la comprensione delle aziende in questo senso è decisamente più matura rispetto al passato. Se – al contrario – intendiamo un processo integrato in grado di generare valore per l’ecosistema e di collegarsi ai processi più profondi del’organizzazione, allora – in questo caso – il percorso da fare è per moltissimi ancora molto lungo.
  • Le brand community saranno un asset sempre più importanti. Con i social media che di fatto divengono un media tradizionale (paid) e che riescono “solo” ad amplificare valori come la reach e la brand awareness diviene di fondamentale importanza per le organizzazioni investire in altre direzioni se vogliono creare un concreto valore per i propri consumatori coinvolgendoli in modo più attivo e avendo anche dei ritorni sicuramente più significativi.
  • Le strategie social non esistono più. Pensare unicamente a una social media strategy come succedeva fino a qualche tempo fa e come – ancora – capita che succeda è semplicemente irrealistico. O perlomeno: non può essere l’unica strada possibile. Lavorare con uno sguardo e un occhio solamente ai canali social non è più efficace, anche e soprattutto per le motivazioni che abbiamo citato prima.
  • L’esperienza utente è il driver fondamentale. Costruire un’esperienza significativa dell’utente che lo accompagni dalla fase di considerazione del prodotto o del servizio e quella di post vendita. Il customer funnel è sempre più complesso e la direzione verso la quale devono andare le aziende è di investire in modo serio e concreto in questa direzione.
  • Progettare con le persone al centro. Anche in questo caso la questione può sembrare banale ma non lo è affatto, partire dall’esperienza delle persone e progettare per le persone è quanto di più importante si possa fare.

Mi è capitato di recente di leggere un interessante paper di Edelman Digital (http://www.slideshare.net/EdelmanDigital/edelman-2013-social-media-trends-white-paper) dedicato ai trend emergenti nei social media di questo (prossimo) 2013.
Emergono alcuni spunti e alcune dimensioni interessanti che meritano di essere osservate da vicino: si tratta di 10 trend e punti essenziali che promettono di essere in forte crescita durante il prossimo anno.

Schermata 2013-02-25 alle 14.27.46
Mobile
Sotto gli occhi di tutti, il mobile è sicuramente uno dei trend principali degli ultimi anni e promette di crescere ancora di più nel prossimo – immediato – futuro. E’ ben il 61% degli utenti smartphone a utilizzare lo strumento per accedere e utilizzare i social media nell’ambito day-to-day. A leggere dal report, alcune dichiarazioni di Mark Zuckenberg suggeriscono che Facebook stessa debba sviluppare – in primo luogo – per piattaforme mobile.
E’ 1/3 di quello totale – infatti – il tempo dedicato all’utilizzo di social network tramite dispositivi mobile.

Applicare la convergenza mediale
Il mobile impatta anche a livello della canonica distinzione tra: earned media, owned media e paid media. Il futuro sarà sempre più vicino alla convergenza e la classica distinzione comincia ormai a perdere di senso e di efficacia esplicativa.

Schermata 2013-02-25 alle 14.28.18

Amplificare il contenuto
Lo abbiamo già detto molte altre volte, ma è sempre bene ripeterlo: i social media non sono la soluzione, sono – casomai – uno strumento funzionale al raggiungimento di uno scopo. Strutturare intere campagne solamente su un singolo medium non rappresenta una strategia di coinvolgimento. Questi strumenti vanno – piuttosto – nella direzione del divenire catalizzatori, amplificatori.

Storytelling (con immagini, se possibile, grazie!)
Focalizzarsi sul raccontare storie, sul trasmettere emozioni, sul creare un’esperienza utente condivisa. Quello dello storytelling promette di essere uno dei trend e degli aspetti emergenti del prossimo anno, ma non solo: il trend più interessante è quello del visual storytelling. Il ruolo che le immagini all’interno dei Social Network stanno via via assumendo è sempre più importante. Lo dimostrano il lancio di nuovi social verticali dedicati a questo: Pinterest ne è un esempio su tutti, ma anche la recente acquisizione di Instagram da parte di Facebook e la Timeline (che punta molto di più sul ruolo della foto rispetto al passato) sono una dimostrazione chiara di questa tendenza.

Schermata 2013-02-25 alle 14.29.41

Newsroom
La maggior parte dell’interazione – ultimamente – si gioca nel giro di poche ore, nemmeno più di giorni. Le campagne marketing devono imparare dai social media ad essere maggiormente veloci, efficaci, puntuali e saper improvvisare cavalcando l’onda del momento (quello che è successo con Oreo durante il Super Bowl ne è la palese dimostrazione).

Transforming a trending conversation into a brand-relevant visual that resonates with your audience in hours instead of days is a radical shift in marketing and communications.

In qualche modo il processo di attenzione crescente è legato anche a quello di social media monitoring e listening. La capacità dei brand di ascoltare la rete, intercettare i trend, comunicare in maniera veloce con i propri consumatori si sta rivelando sempre più cruciale e fondamentale. Abbiamo più volte – in questa e in altre sedi – parlato dell’importanza dell’ascolto attivo come primo step – fondamentale – per la costruzione di una social media strategy e del posizionamento del brand nei media digitali.

Investire sugli eventi: amplificarli con i social media
Fenomeni come quello del Second Screen, della Social TV – e simili – ed eventi come il Red Bull Stratos testimoniano l’importanza mediatica e il ritorno di immagine che possono avere gli eventi: specie se sono “social” e sono organizzati secondo le logiche della Social TV e del Second Screen. Una testimonianza tutta italiana? Quello che è successo – in parte – con il Movimento 5 Stelle penso sia un buon esempio.
In questo senso gli eventi possono rappresentare uno degli assett fondamentali su cui investire per andare nella direzione di una relazione continuativa, duratura, efficace e persistente nel tempo con i propri consumatori e clienti finali.

Investire sulle relazioni e sui legami deboli prima del passo successivo
L’algoritmo di Facebook e dei vari Social Network – ne ho già parlato quando ho scritto a proposito della morte del Social Media Marketing – consente solo a una piccola percentuale di fan di vedere e di leggere quello che scriviamo e che postiamo. Per i brand la prima impressione è quella che conta, costruire relazioni passo passo non è affatto semplice, comprare un gruppo di fan su Twitter e su Facebook è molto più facile che creare una strategia di coinvolgimento. Il punto e’ che una strategia funziona e l’altra no.
Come si legge anche nel report:

Brands have 50 chances to make an impression with each fan each year

Deve esserci un preciso senso e un preciso investimento di tempo e di risorse nel generare un coinvolgimento costante con i propri utenti finali.
La soluzione? Procedere per gradi e per step. Conquistarsi il terreno di battaglia un metro dopo l’altro. Con costanza e …dedizione.

Schermata 2013-02-25 alle 14.31.25

Stimolare l’integrazione one-to-one
Per quanto il tuo brand sia grande non puoi fare tutto da solo. Fornire alle persone e ai tuoi clienti e consumatori un ambiente in cui confrontarsi, scontrarsi e incontrarsi è fondamentale. Le logiche di CoDesign e di CoCostruzione di un prodotto e di un servizio si basano proprio su questo. I brand devono imparare a considerare i propri clienti non solo come qualcuno a cui vendere qualcosa ma come la loro risorsa principale da cui imparare, approfondire e da coinvolgere seriamente e completamente all’interno dei processi aziendali.

Continua a innovare e a giocare con il SEO
Le vecchie tecniche si stanno dimostrando inefficaci e non adatte a rispondere agli stimoli del mutato scenario social. I brand che vogliono continuare a rimanere sulla cresta dell’onda non possono più vivere di rendita ma devono costantemente cambiare logiche e strategie.

Ingaggi gli altri brand
Al pari dei consumatori, il dialogo tra brand è qualcosa da favorire e sostenere. Ci sono esempi molto interessanti. Il caso OldSpice – TacoBell su Twitter è uno di questi per esempio.

OldSpice