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Mi è capitato di recente di sfogliare il “Little Blue Book of Social Transformation” realizzato da Salesforce in collaborazione con Brian Solis e Altimiter – https://www.salesforce.com/form/pdf/social-enterprise-bluebook.jsp?d=70130000000sPz2. Il piccolo manuale – di taglio estremamente divulgativo – riassume sinteticamente alcuni principi (20) guida per un’organizzazione del futuro.

In questo post li riassumo e li commento inserendo anche riferimenti ulteriori per approfondire un discorso che mi è da tempo caro: quello legato al Social Business e a come questi strumenti modifichino le organizzazioni in cui ci muoviamo quotidianamente.

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1 – Definire una vision
In ogni progetto organizzativo che si rispetti, in ogni strategia, la definizione degli obiettivi di alto livello è sempre il primo punto. Ho compreso l’importanza dei social media all’interno dell’organizzazione? Ho capito che il Social Business può portarmi un reale vantaggio competitivo? In questo senso serve dunque dettare degli obiettivi, delle vision strategiche che siano in grado di orientare comportamenti, azioni e “tattiche” successive. Legato a questo concetto c’è anche il recente ottimo post di Jeremiah Owyang – http://www.web-strategist.com/blog/2013/01/14/the-difference-between-strategy-and-tactics/ in cui è presente una bellissima differenziazione tra strategia e tattica. In una frase?

The difference between strategy and tactics: strategy is done above the shoulders, tactics are done below the shoulders.

2 – Fissare degli obiettivi chiari
Esattamente come visto sopra nella citazione, una volta definita la meta da raggiungere è necessario stabilire una rotta da seguire. Sebbene il 70% delle aziende raggiungano o vogliano raggiungere obiettivi di business definiti, solo il 43% di queste ha formalizzato una roadmap adatta al raggiungimento di questi obiettivi. Partire dagli obiettivi di business di una azienda, da quello che è necessario è il primo step fondamentale per impostare una strategia di Social Business e di presenza digitale di un brand. 

3 – Dare uno scopo
Dare ai dipendenti, ai clienti qualcosa in cui credere. Una missione. Non è una questione di remunerazione o di crescita professionale, ma di uno scopo condiviso, della creazione di valore all’interno dell’ecosistema organizzativo. Tutto molto ben spiegato da Daniel Pink anche nel suo ultimo libro “Drive”, legato appunto alla scienza della motivazione: http://www.ted.com/talks/dan_pink_on_motivation.html

4 – Creare una Social Taskforce
Creare un team di persone che condividano quanto sopra, ma che siano anche competenti e in grado di definire una policy sui social media e un processo strutturato da seguire. E’ necessario che il team sia connesso all’organizzazione. Quando parliamo di una Social Taskforce non dobbiamo pensare a “social media freak” che seguano l’organizzazione dall’esterno e che si occupino solo dei canali social in maniera più o meno sporadica, ma piuttosto a professionisti inseriti nel conteso e ne tessuto aziendale che sono in grado di comunicare con i vari dipartimenti e senza distinzioni in business unti, silos e via dicendo…
Scopo di questa taskforce è fare in modo che le gli obiettivi di business siano collegati alla strategia e all’execution.

5 – Metti il consumatore al centro del tuo business
Il Social Customer, il consumatore che è molto più consapevole rispetto al passato del prodotto che sta acquistando o del servizio di cui sta usufruendo, che si fida molto di più dei propri pari rispetto a quello che dicono i brand, che tende a connettersi con utenti che gli somigliano all’interno di community (poco importa se del brand o spontanee) è un trend crescente.
Basti pensare che secondo un’indagine ClickFox il 97% dei consumatori si dice influenzata nei suoi comportamenti di acquisto da quello che dicono gli altri consumatori del prodotto. Per le organizzazioni diviene oggi molto più importante ascoltare i consumatori: il che non vuol dire essere accondiscendenti con tutti e accontentare ogni lamentela ma mettere i consumatori, i clienti, i dipendenti: le persone, in generale, al centro del proprio business.

6 – Utilizzare le informazioni sui nostri consumatori.
Le aziende devono capitalizzare quanto imparato, devono utilizzare le informazioni che hanno a disposizione sui consumatori per deliverare soluzioni sempre migliori. Nel giro di dieci anni le organizzazioni che si muoveranno in questo senso rappresenteranno l’80% del mercato.

7 – Impiegare le social technology come contesto per sviluppare i propri dipendenti
Una citazione molto bella di Ted Schadler recita:

“You must empower employees to solve the problems of empowered customers.”

Studi dimostrano che i dipendenti che usano e impiegano soluzioni di social software sul posto di lavoro sono in grado di aumentare la loro produttività fino al 50%

8 – Abbattere i Silos organizzativi
Quando si parla di social business si intende un’organizzazione più connessa, maggiormente collaborativa, in grado di rispondere in maniera molto più reattiva alle sfide proposte dal mercato.
Cio’ che è veramente importante comprendere è che – a fronte di cambiamenti nei confronti dei propri consumatori sull’esterno – devono corrispondere cambiamenti effettivi all’interno dell’organizzazione. I dipartimenti devono poter comunicare tra loro e diventare social significa – a conti fatti – abbattere le barriere all’interno dell’azienda.

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9 – Valorizzare i legami deboli
Grazie alle social tecnologies e agli strumenti digitali è possibile strutturare reti aziendali in grado di abilitare l’accesso a pratice, idee, risorse e competenze in maniera molto più dinamica e efficiente. Interessanti riflessioni possono essere fatte anche sul come circolano le informazioni in rete e come si muovono conoscenza e apprendimento organizzativo ( http://wearesocial.it/blog/2012/01/da-chi-lo-hai-saputo-circolano-le-informazioni-sui-social-network/ ).

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10 – Costruire uno spazio di lavoro orientato ai risultati
Motivare e costruire un ambiente di lavoro in cui vengono stabiliti social goal, in cui si fornisce un riconoscimento basato sul merito, in cui le persone sono in grado di lavorare in modo più efficace, più efficiente e con maggiore resilienza.

11- Socializzare tutti i processi di business.
Assumere un guru dei social media non è sufficiente per modificare l’intera azienda. Socializzare tutti i processi di business richiede una strategia precisa, una roadmap e l’investimento mirato di risorse, tempo e competenze. 
E’ possibile leggere qualcosa di più su questo punto facendo riferimento a questo articolo pubblicato su Harvard Business Review all’interno del Social Business Manifesto: http://socialbusinessmanifesto.com/social-business-process-reengineering/

12 – Tratta i tuoi prospect come partner di lunga data
Quando si parla di Social Business si intende un’organizzazione che abbia messo in atto determinate strategie e soluzioni atte a massimizzare il valore scambiato all’interno di tutto l’ecosistema aziendale: tra partner, fornitori clienti, dipendenti e via dicendo.
Il trattamento non deve quindi variare in funzione del nostro interlocutore.

13 – Creare “Fan for Life”: verso l’ingaggio continuo
L’ascolto non è più sufficiente
. Il monitoraggio costante delle conversazioni non può più essere l’unica strada che viene praticata dai brand. E’ necessario che l’ascolto delle conversazioni sul proprio brand e sulla propria industry non sia più solamente fine a se stesso ma sia intimamente connesso a una dimensione proattiva di coinvolgimento a una voglia di fare e di mettere in atto quello che i consumatori ci chiedono. In due parole? Social CRM!

14 – Sfruttare il potere della Crowd-Source innovation che deriva dalla tua Community
Investire all’interno delle community – mostra una ricerca IDC – ci permetterà di avere nel 2020 oltre il 75% delle idee necessarie a migliorare il nostro prodotto o il nostro servizio. I dipartimenti R&D dovranno rivedere le loro logiche top-down verso logiche più partecipative di collaborazione e di scambio botto-up, in cui dipendenti e consumatori finali contribuiscono a creare un servizio migliore. Un esempio su tutti? Il più noto e classico: la community My Starbucks Idea: http://mystarbucksidea.force.com/

15 – Muoversi alla velocità del mercato
Forse una delle sfide maggiori e più importanti rispetto a quello che stiamo dicendo. I consumatori si muovono a una velocità elevatissima ed è necessario fare altrettanto. Come scrive Dave Gray nel suo The Connected Company citando il CEO di GE: “If change is happening on the outside faster than on the inside the end is in sight” – Jack Welch.
Muoversi come una Social Enterprise significa anche capire e anticipare il cambiamento molto prima di tanti altri

16 – Creare un Social Listening Center
Anche in questo caso un ottimo esempio ci arriva dai casi come Gatorade e come Dell.

A cosa serve? A tenere insieme tutti i pezzi che abbiamo citato sopra, ma anche a molto di più. Un Listening Center deve rappresentare il punto di partenza per i brand e non un punto di arrivo. Ancora una volta l’ascolto attivo delle conversazioni non deve essere finalizzato solo alla percezione della propria brand reputation ma – piuttosto – legato alla pianificazione di un’intera strategia digitale di presenza sulla rete.

17 – Stabilire regole di coinvolgimento
Costruire una strategia di presenza digitale, una social media strategy, una social business roadmap. Applicare i concetti che abbiamo visto sulla propria azienda. Passare dall’ascolto alla reazione e – infine – al coinvolgimento proattivo. Essere trasparenti, ingaggiare in tempo reale le persone, dare feedback, risolvere i problemi dei consumatori, dei social customer.
Anche in questo senso quello che diciamo lo mostra molto bene una storia di successo come quella di Kimberly Clark.

18 – Costruire esperienze Social sempre nuove
Creare storie di successo, applicazione e progettare esperienze per i propri consumatori che siano sempre uniche che siano in grado di metterli al centro del nostro business.

19 – Allargare la propria rete di Evangelist
Un Social Business mette in prima linea ed espone i professional che lavorano all’interno di un’azienda da loro visibilità e massima vetrina. Secondo alcune ricerche di Erik Qualman il 90% dei consumatori si fida degli utenti conosciuti (dei cosiddetti influencer), il 70% si fida di quelli sconosciuti e l’8% – solamente – delle celebrità. Mettere al centro i propri dipendenti e i propri clienti maggiormente influenti e in vista significa dare spazio massimo alla creazione e all’incremento di valore. 

20 – Portare i prodotti all’interno della conversazione
Lo step finale e’ quello di portare i prodotti all’interno della conversazione e all’interno degli strumenti digitali. Prodotti e servizi, consapevoli di come i social media non rappresentino né la soluzione a tutti i nostri problemi, nè la bacchetta magica in grado di migliorare la nostra azienda, ma solo uno strumento. Un semplice catalizzatore che può aumentare in modo esponenziale la nostra capacità di fare business, di migliorare l’innovazione e il servizio al cliente. La nostra capacità – in sintesi – di diventare una Social Enterprise. Un’organizzazione che ha il suo centro nelle persone e nella generazione del valore scambiato. 

Ogni tecnologia, per complessa, generica, speciale o particolare che sia, passa attraverso due cicli fondamentali. Il primo è quello di adozione (ben sintetizzato dai lavori di Rogers et alii – http://en.wikipedia.org/wiki/Technology_adoption_lifecycle ) e l’altro è quello legato all’hype: alle fasi – cioè – che uno strumento o una tecnologia particolare vivono durante la loro adozione (per riferimenti si veda, tra gli altri: http://en.wikipedia.org/wiki/Hype_cycle ).

Perché parlare di cicli di adozioni delle tecnologie qui? Il motivo è semplice.
Perché anche il social business va considerato come una tecnologia. Il mio recente articolo dedicato alla morte del Social Media Marketing – http://www.sociallearning.it/il-social-media-marketing-e-morto puntava proprio a sottolineare, tra i tanti, temi di questo tipo. In che stadio di maturità, di adozione e di hype ci troviamo rispetto al Social Business? In che modo sta cambiando il mercato? Quale sarà il futuro?

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Un recente post di Dion Hinchliffe ( http://www.zdnet.com/the-leading-indicators-of-social-business-maturity-in-2012-7000008162/ ) affronta proprio questa tematica legata all’adozione delle tecnologie social all’interno delle imprese e a come si stia muovendo il mercato in questo senso.

Alcune delle riflessioni di Dion che penso sia utile riportare:

  • 2/3 delle aziende (secondo il report di AIIM) stanno utilizzando le tecnologie social all’interno dei processi di marketing e delle relative funzioni. Chi con integrazioni complete (solo il 9%), chi con maggiore fatica e ancora in modo non completo.
  • Circa l‘80% delle aziende impiega – in qualche forma o in qualche misura – gli strumenti social 
  • Secondo uno studio di Stanford dedicato ai Social Media – http://www.gsb.stanford.edu/cldr/research/surveys/social.html – sono circa il 60% le aziende che usano questi strumenti per coinvolgere i consumatori. Fa riflettere comunque come molte di queste 49% (la maggior parte) le utilizzino in direzione del Social ADV visto come uno degli usi ancora primari e predominanti. Si possono ricollegare qui le riflessioni fatte in tema di Social Media Marketing e di come spesso questi processi siano ancorati ancora a logiche di comunicazione e di pubblicità tradizionale.
  • Il 27% delle aziende hanno – al loro interno – qualcuno che si occupa esplicitamente di Social Media e che segue questi canali, a testimonianza di un cambiamento significativo anche nel modo di lavorare
  • Aggiungo io anche un interessante serie di dati dell’ultimo report di Nielsen sul tema (Q3 late 2012 – http://blog.nielsen.com/nielsenwire/social/2012/ ) che ci fornisce una serie di utili e stimolanti informazioni relative al consumo mediale degli utenti e soprattutto – trend ancora in forte sviluppo – rispetto all’uso da mobile di tali piattaforme e al crescente mercato (anche se ormai è di fatto consolidato) delle App.

Personalmente mi trovo abbastanza d’accordo con alcune delle deduzioni con cui Dion chiude il suo post: molte delle organizzazioni hanno iniziato a sperimentare a prendere seriamente l’uso dei social media, ma si tratta – ancora e purtroppo – per moltissimi della punta di un iceberg che deve ancora completamente essere esplorato e compreso. Per molte realtà aziendali, e l’Italia è sicuramente ricca di situazioni di questo tipo, l’esplorazione e l’impiego dei social media all’interno dei processi è ancora in fase di studio e di riflessione: a un livello embrionale. Interessanti iniziative molto spesso si scontrano con problematiche e vincoli culturali, strutturali e di sviluppo.

Emanuele Quintarelli in un ottimo e recente post dedicato a come il Social può incontrare e migliorare i processi aziendali – http://www.socialenterprise.it/en/index.php/2012/12/02/socialmeetsprocesses/ – sottolinea alcuni di questi punti riprendendo anche il recente report AIIM dedicato al tema (per approfondire ne consiglio la lettura http://www.aiim.org/Research-and-Publications/Research/Industry-Watch/Social-Processes-2012 )

In questo senso ecco alcuni dati interessanti e meritevoli di riflessione che emergono dalla lettura del report di AIIM:

  • Nel 50% delle organizzazioni, i dipendenti sono incoraggiati all’uso dei social media, metà di questi però non hanno a disposizione guidelines, policy o governance sull’uso di questi strumenti. In questo senso mi permetto di aggiungere anche che a fronte di aziende che invece hanno a disposizione questi strumenti esistono comunque dei problemi del loro impiego. Strategie che non sono collegate all’organizzazione e processi di governance e di Policy che non riescono a trovare spazio perché le aziende sono ancora troppo strutturate o troppo legate a vecchie logiche consolidate che mal si adattano al mutato contesto.
  • Il 100% delle organizzazioni, nel giro di al massimo un paio di anni, utilizzerà i social media in campagne B2C per il coinvolgimento dei propri clienti. 
  • Il 64% delle organizzazioni che usano i social media non hanno processi integrati di business. Questo significa un po’ quello su cui già riflettevamo parlando di social media marketing e del futuro del social business. Il grosso del lavoro da fare – ad oggi – va in questa direzione.
  • Quasi metà (si parla del 47%) delle organizzazioni non hanno strategie di creazione o gestione dei contenuti sui social media. In questo caso il dato fa estremamente riflettere e sottolinea ancora una volta un trend che abbiamo accennato. I social media sono visti ancora come moda e come strumento che non necessità di una strategia concreta legata a dei seri obiettivi di business. Errore molto grosso considerando che il connettere una strategia di comunicazione sui social agli obiettivi è il primo step per qualunque azione si rispetti.

Alcune riflessioni interessanti a livello di implementazione di questi strumenti all’interno dei processi di business possono poi essere fatte guardando questo grafico che mostra quali funzioni aziendali solitamente sono più o meno propense nel foraggiare iniziative legate ai social media. Da notare come i valori siano molto sbilanciati verso l’esterno dell’azienda. Le funzioni interne dei vari dipartimenti aziendali sembrano tardare ulteriormente a comprendere l’innovazione e il cambiamento di scenario che è avvenuto negli ultimi anni.

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In questo senso è interessante capire anche come vengono utilizzati alcuni degli approcci legati ai social media. Come sapete mi sono occupato molto spesso di Social Media Monitoring e Brand Reputation online. Ma quante sono le aziende che si muovono in questo senso?

Questo grafico sotto riportato mostra molto bene il tipo di trend contro il quale ci si deve confrontare. Diciamo che in questo settore si delineano tre tendenze principali in ordine di difficoltà e di impatto crescente:

  • Livello 1 – Le aziende che non fanno Social Media Monitoring e Listening e che ancora, per mancanza di consapevolezza, non ascoltano quello che la rete dice di loro
  • Livello 2 – Le aziende che hanno avviato azioni di Social Media Monitoring e Listening per comprendere il sentiment e le iniziative che vengono fatte in rete. Qui chiaramente si aprono delle riflessioni per comprendere come questo viene fatto e a che livello
  • Livello 3 – Le aziende che hanno implementato un completo processo di gestione dei canali e che hanno in atto strategie per trasformare l’ascolto in qualcosa di concreto e in azioni puntuali di coinvolgimento degli utenti all’interno dei processi aziendali e organizzativi. Si tratta di realtà più complesse che hanno raggiunto uno stadio di maturità chiaramente più complesso ed elevato
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Dal mio punto di vista credo che il Social Business in Italia sia ancora molto immaturo. Sotto molti punti di vista molte delle aziende del nostro paese non hanno ancora maturato una consapevolezza chiara sulla direzione in cui andare: sia verso l’esterno sia verso l’interno. Il Social Media Marketing è visto ancora come frontiera innovativa del marketing senza che vi sia una reale connessione con i processi di business. Sempre più spazio viene dato a piccoli progetti che non impattano in modo significativo sulla relazione che le aziende stabiliscono con clienti, fornitori, partner, e con l’intero ecosistema aziendale (all’interno e all’esterno).

Le riflessioni in questa direzione rimangono ferme allo stadio di belle sperimentazioni (quando positivo) e di “nulla di fatto” (quando negativo).

In un momento economico e di mercato in cui il mondo e gli addetti al settore si trovano già nella curva discendente dell’hype e si muovono verso il plateau di produttività dell’implementazione, nel nostro paese i limiti e le sensazioni sono ancora quelle legate al picco di discussioni e di argomentazioni che foraggiano questi temi. Il rischio è quello che tutto il castello di carte crolli improvvisamente.

Il tempo dell’innovare credo sia finito. Ora arriva quello del fare.

Ma fare cosa? E da dove cominciare?

  • Iniziare con il settare degli obiettivi di business, le strategie social sono un di cui. La prima domanda da farsi è: che cosa voglio ottenere? Che cosa mi serve? Di cosa ho bisogno? E di cosa hanno bisogno i miei consumatori? In questo senso sceglierò poi se andare verso iniziative di idea management, intranet collaborative, socializzazione più ampia dei processi (HR per esempio) o via dicendo…
  • Come integrare i processi? La sfida forse più grande, vincere le resistenze le problematiche e strutturare soluzioni ad hoc per le esigenze delle organizzazioni, bisogna capire dove questi strumenti possono entrare per migliorare le logiche che sono già presenti all’interno delle organizzazioni
  • Chiedersi se tutto questo serva davvero: il Social è uno strumento non la soluzione definitiva a tutte le problematiche e a tutte le domande di un’azienda. Potrebbe essere più o meno efficace di altre strategie, potrebbe essere più o meno adatto a un determinato contesto o in un determinato momento della storia dell’organizzazione a cui ci stiamo riferendo. Non è una panacea, non è nemmeno una bacchetta magica: si tratta di uno strumento al pari di tanti altri strumenti.
  • Sperimentare a un livello di consapevolezza maggiore. Per quando molti siano ancora indietro rispetto all’adozione delle soluzioni e delle strategie social all’interno dell’azienda è bene che questi processi vengano da subito inseriti in una strategia più ampia di cambiamento dell’interno ambiente di lavoro.

Lo scorso 4 dicembre a Bologna, ho avuto l’onore di partecipare al convegno “Cooperare al presente: i social network come opportunità di business per un sistema a rete“, seminario nazionale organizzato dalle banche di credito cooperativo dell’Emilia Romagna.

Il convegno ha trattato di come le tecnologie, gli approcci e le strategie social possano contribuire al miglioramento e al rafforzamento del sistema bancario, mettendo al centro dei processi di gestione, di amministrazione e di comunicazione le persone.

Per loro caratteristica essenziale le Banche di Credito Cooperativo nascono come organizzazioni di rete, basate sugli scambi informali e formali e – soprattutto – come comunità che mettono al centro di tutto, le persone e le loro singole esperienze. Un ecosistema, quindi, dinamico che già pare essere predisposto – almeno sulla “carta” – all’evoluzione verso i ben noti scenari dell’Enterprise 2.0 e del Social Business.

Raccolgo in questo post qualche riflessione e qualche spunto interessante che è sorto durante la giornata e ne aggrego di nuovi, sperando di dare un contributo – anche modesto – nella comprensione di uno scenario che è mutato e di un mercato che si sta aprendo a nuove possibilità per tutti gli attori coinvolti: siano essi banche, consumatori, consulenti o dipendenti.

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Un buon report di Pricewaterhouse & Coopers dedicato proprio a questo tema (per maggiori informazioni si veda http://www.pwc.com/gx/en/banking-capital-markets/publications/digital-banking-survey.jhtml ) mette in evidenza alcuni aspetti davvero utili da riportare:

  •  i clienti – i consumatori – anche quelli delle banche, sono cambiati: la ripresa dello schema classico del Social Customer (di cui abbiamo ampiamente parlato e i cui riferimenti si trovano – in parte – anche qui: http://www.altimetergroup.com/2010/03/altimeter-report-the-18-use-cases-of-social-crm-the-new-rules-of-relationship-management.html ) viene evoluto verso logiche più legate al sistema bancario e al rapporto di gestione dei “nuovi clienti”. Lo schema riportato ben ricalca le nuove esigenze e i nuovi stimoli che arrivano da consumatori più attivi, più interessati; da clienti che sono più informati e più consapevoli nell’uso degli strumenti e nella ricerca del servizio di cui hanno bisogno (si veda in questa direzione la prima figura riportata). I consumatori di oggi giocano – quindi – un ruolo attivo sia nella scelta della banca sia nell’interazione che si viene a costruire con una determinata banca, ricercano un contatto costante, trasparenza, sono abituati a logiche di comunicazione immediate e informali (tipiche dei sistemi bottom-up) e si fidano molto di più della loro rete di pari rispetto a quello che viene comunicato da fonti “ufficiali”.
  • L’aumento degli appartenenti alla Generation Y e dei digital native impone cambiamenti di scenario consistenti ai quali le banche non possono essere indifferenti. Si tratta di una popolazione completamente nuova che parla un linguaggio differente e se non si è in grado di comprenderlo si rischia di essere completamente fuori mercato.
  • Nuovi player, nuovi “attacker” (come li definisce il report di PwC) cominciano ad affermarsi sul mercato mettendo in discussione e ponendo alle banche nuove sfide, nuovi stimoli, ma anche nuove opportunità per entrare in relazione con i loro consumatori e clienti. In questo senso basti pensare ad alcuni esempi come il mobile payment, nuovi formati e nuove tecnologie per le transazioni, nuove realtà che si affacciano in modo innovativo su questo mercato. Un esempio su tutti? Square: https://squareup.com/
  • L’utilizzo e l’applicazione di strumenti mobile e degli smartphone cambia la modalità di accesso all’informazione e ai servizi delle banche. Il dato si incrocia anche con il secondo punto di riflessione: i cosiddetti “nativi digitali” sono anche maggiormente portati, per loro natura e per loro attitudine (circa il 70% di loro va in questa direzione), all’accesso all’informazione tramite questi sistemi.
  • Un altro dato molto interessante è relativo al quanto potrebbero essere potenzialmente apprezzate alcune nuove tecnologie digitali nell’esperienza d’uso della banca da parte dei consumatori. Nello specifico particolarmente degna di nota risulta essere la riflessione su come un numero elevato di consumatori e di clienti vedrebbe in modo molto positivo l’integrazione con le piattaforme più note di social networking (nel grafico aggregato, che riporto a titolo di completezza e chiarezza, manca – per ovvi motivi – il dato della Cina)
  • A livello economico risulta utile anche riflettere su come i consumatori e i clienti delle banche sarebbero disposti a pagare un prezzo maggiore a fronte di servizi maggiormente integrati, innovativi e al “passo coi tempi”
  • Le banche dovranno fronteggiare in modo sempre più serio l’avvento – come già anticipato – di nuovi player, si stima che la battaglia più grande sarà giocata nel campo del Customer Care e del servizio al cliente, in questo senso si possono avanzare serie riflessioni anche nell’ambito del Social CRM e integrazioni più spinte (come già si sta iniziando a sperimentare oltreoceano) tra social media, interno ed esterno dell’organizzazione
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Un altro report molto interessante sul settore è quello di Accenture ( http://www.accenture.com/us-en/Pages/insight-banking-2016-next-generation-banking-summary.aspx ) che avanza considerazioni circa l’implementazione e l’utilizzo di tecnologie (non soltanto social) all’interno dell’azienda e nell’ambito del coinvolgimento sempre più efficace dei consumatori: RFID, Mobile Payment, Augmented Reality sono solo alcuni dei riferimenti che si possono incontrare, a testimonianza che il mondo del banking si sta muovendo in una direzione molto seria e ben precisa. Questo perlomeno per quanto riguarda i grossi player.

In questo senso risulta interessante lo schema riportato tratto dal report che mostra l’evoluzione delle banche nei prossimi 5-10 anni verso scenari collaborativi che fanno davvero riflettere
.

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Non solo verso l’estero però!

Anzi: come sottolinea anche McKinsey (si veda il grafico riportato) è soprattutto nel settore della collaborazione interna che è possibile aprire nuovi scenari e nuove prospettive di collaborazione verso l’interno dell’organizzazione. Un’applicazione molto interessante di questi principi è raccontata molto bene da Marco Minghetti in un suo articolo sul Sole 24 Ore in cui parla del caso Banca Ifis – http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2012/11/hr-e-banking-20-il-caso-di-banca-ifis.html si tratta di una interessantissima sperimentazione in un contesto tutto italiano, che merita sicuramente un’attenzione particolare.

Degna di nota è la riflessione riportata

[…]
L’acquisizione di nuove aziende ci ha spinto, prima di tutto, a rivedere il “modello organizzativo” di riferimento, passando da un’organizzazione classica di tipo funzionale ad un modello di tipo “matriciale” in cui vi sono delle Business Unit a cui viene dato l’obiettivo di essere le “locomotive” della generazione del valore aziendale, supportate dalle funzioni di Staff che, “intersecando” le BU, si pongono l’obiettivo di supportarle, generando sinergia, efficienza, velocità. L’utilizzo della metafora della “matrice” è propedeutica al fatto di creare una rete di relazioni interne al Gruppo più chiare e funzionali al raggiungimento degli obiettivi specifici di ogni BU.
[…]

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Conclusioni e qualche riflessione personale

  • Esiste un grande potenziale per le banche (non solo quelle di Credito Cooperativo) per sfruttare queste tecnologie all’interno dei processi organizzativi per migliorare: la collaborazione interna, l’innovazione e il servizio al cliente.
  • Rispetto al mio personale intervento all’interno della giornata studio (dedicato a come i meccanismi HR e delle formazione delle banche) c’è da sottolineare l’ampia prospettiva possibile nell’effettuare un serio salto di qualità in questa direzione. Tuttavia rimangono molte perplessità sull’adozione di queste nuove logiche in ambito learning/formazione. Le resistenze che si incontrano (non solo in questo settore) sono molte e ampie e non sempre è possibile riuscire a fare innovazione su questi temi a partire dal contesto di riferimento. La sfida resta comunque aperta.
  • Il tema è sempre – o quasi sempre – un tema di cambiamento culturale e di mentalità. La tecnologia rappresenta un di cui, senza un cambiamento di mentalità di frame, di riflessione seria su questi temi è impossibile fare qualcosa.
  • La cultura e la formazione (o informazione ancora per i primi livelli) su questi temi non basta! Il rischio è quello sempre di rinchiudersi in casi, best practice, modelli che arrivano da settori che si giustificano come troppo lontani o troppo differenti dai nostri. E’ un caso tipico. Cosa ci insegna questo? Ci insegna che dopo la cultura, l’informazione, la teoria deve venire la pratica: il fare.
  • Il tema della valutazione – non solo della formazione – ma in generale degli impatti di queste tecnologie sull’impresa è sempre molto caldo e molto sentito. Non sempre è facile e immediato calcolare gli impatti (o il ROI se volete visto l’argomento), anche questo richiede pazienza, riflessioni ponderate e la capacità di guardare al futuro. Per nuovi fenomeni servono nuovi occhi, per nuovi contesti servono nuovi strumenti di valutazione.
  • I Social – l’ho detto e lo ripeto – non sono una panacea, non sono il Santo Graal della consulenza, sono strumenti: come tutti gli strumenti devono migliorare un contesto e devono aiutare a raggiungere un fine: quale? Qual è il fine? Il fine sono le persone. Gli strumenti servono a mettere le persone in grado di lavorare meglio, con più efficenza ed efficacia e …perché no, con una maggiore soddisfazione.

Di recente ho avuto modo di leggere il report (dello scorso Luglio – http://www.mckinsey.com/insights/mgi/research/technology_and_innovation/the_s… ) di McKinsey sullo stato dell’arte delle social technologies e sul valore che queste possono avere nel promuovere lo sviluppo delle organizzazioni.

La questione che mi sono posto – stimolato anche dalle ottime riflessioni di Emanuele Quintarelli ( http://www.socialenterprise.it/index.php/2012/08/13/sbloccare-il-potenziale-d… ) è quale possa essere – in Italia e nel mondo – il mercato e il livello di sviluppo, ad oggi, del social business.

Ma andiamo con ordine: cerchiamo come prima cosa di riassumere alcuni dei dati e delle considerazioni salienti del report realizzato da McKinsey:

  • Il livello di adozione e i tempi di penetrazione delle tecnologie social è incredibile: come ben mostrato nessuno strumento è riuscito a raggiungere i livelli dei social newtork e nessun media è riuscito a raggiungere – in cosi’ poco tempo – la stessa massa critica di questi strumenti. I tempi di diffusione e il potenziale che questi strumenti hanno nell’essere adottati non è assolutamente un fattore da sottovalutare in termini di impiego nelle organizzazioni. Tuttavia è bene riflettere come solo parte dell’intero potenziale della social communication è stato “sbloccato”. Molta è ancora la strada da fare e molte sono le riflessioni da maturare in questa direzione.
  • La capacità che questi strumenti hanno di massimizzare il valore scambiato e di facilitare i processi di collaborazione, comunicazione e innovazione è molto alta. In questo senso è possibile riflettere sugli impatti che strumenti social hanno avuto – e stanno tutt’ora avendo – sul nostro modo di comunicare, di relazionarci e di gestire le informazioni.
  • Esiste un potenziale economico che va da 900 miliardi a 1.3 trilioni di dollari che deve essere sbloccato e valorizzato. Il tutto è basato su alcune stime derivanti da una serie di survey che McKinsey ha portato avanti. La riflessione da fare in questo senso è legata sicuramente al ROI del social business e all’importanza che stanno assumendo nuovi strumenti per la misurazione di nuovi fenomeni.
  • Le tecnologie social – laddove correttamente implementate – possono aiutare le aziende a divenire dei network complessi basati sullo scambio di valore. In questo senso sono sin grado di massimizzare le capacità delle aziende di collaborare, di fare rete e di costruire nuovi modelli competitivi.
  • Il miglioramento della semplice comunicazione e dello scambio di informazioni (all’interno e all’esterno delle aziende) sarebbe in grado di aumentare del 25/30% la produttività dei knowledge worker
  • Le social technologies possono giocare un ruolo molto importante e fondamentale nel visualizzare i flussi di scambi informali e nel “cristallizzare” le conoscenza, le interazioni e le informazioni che sono presenti – molto spesso – solo a livello individuale.

In questo senso è molto interessante vedere anche le funzioni aziendali su cui possono impattare le social technologies e a quale livello possono contribuire per promuovere lo sviluppo dell’organizzazione:

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Come ben visibile dallo schema riportato si tratta di ambiti anche molto diversi ma sulle quali questi approcci possono essere estremamente interessanti su più livelli portando vantaggi notevoli.

Un’altra riflessione interessante in questo senso risulta essere quella legata alle modalità di lavoro. Lo spostamento che il nostro modo di comunicare sta avendo nei confronti delle tecnologie social fa riflettere:

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Celebre in questo senso è il caso di qualche anno fa di Luis Suarezhttp://www.wired.com/wiredenterprise/2012/01/luis-suarez/ – in questa stessa direzione sembra stiano maturando sempre maggiori consapevolezze. Nell’uso cioè di sistemi maggiormente dinamici, snelli e in grado di gestire carichi di informazioni sicuramente maggiore rispetto alla semplice email.

Alcune riflessioni personali a margine di quello che abbiamo visto (chiaramente si tratta di un’estrema sintesi di alcuni punti che sono emersi dal report e che vi consiglio assolutamente di leggere):

  • Il mercato è cambiato: sono sempre di più le aziende che avvertono quello che è il messaggio sotteso alle grandi storie di successo dei big brand internazionali: non possiamo più decidere se diventare o meno un social business. Dobbiamo semplicemente scegliere il modo migliore e più veloce per farlo. A proposito di casi di successo legati al social business e all’evoluzione del mercato ne ho parlato già qui: http://www.sociallearning.it/social-enterprise-le-migliori-storie-di-succe
  • Il cambiamento è trasversale e impatta tutte le aziende. Le riflessioni maturate in questi anni ci fanno considerare il processo di trasformazione verso un social business come un qualcosa di trasversale a tutte le unit di un’organizzazione e a tutte le industry in cui un’azienda è posizionata. Non esistono scenari migliori o più adatti di altri in cui applicare queste logiche. Anche se il report di McKinsey sottolinea alcune aziende favorite rispetto ad altre, in particolar modo quelle:
    • che impiegano un alto numero di knowledge workers
    • che fanno affidamento su una forte coesione con l’immagine del brand e che basano molta della loro interazione con i consumatori su questo
    • che hanno un’esperienza (come ad esempio un servizio) o un prodotto da offrire ai propri consumatori
  • Le strategie sui social media “verso l’esterno” sono insufficienti: le aziende e i consulenti cominciano a rendersi conto dell’incapacità di semplici strategie di social media marketing e della difficoltà di approcci one shot. Nulla risulta più efficace di un approccio integrato, maturo, valido sia per l’interno sia per l’esterno dell’azienda. In sostanza è tempo di evolvere le strategie di coinvolgimento dei clienti e dei consumatori in approcci più maturi che permettano alle organizzazioni di svilupparsi e di andare nella direzione di dinamiche che arricchiscano tanto i dipendenti quanti i clienti finali in un ecosistema aziendale armonico.
  • Le aziende cominciano ad essere più consapevoli :le richieste di so
    luzioni aumentano e non è più possibile fare come in passato. Le aziende cominciano a maturare consapevolezza rispetto a queste dinamiche e risulta importante proporre soluzioni nuove più mature e in grado di integrare veramente differenti approcci portando del concreto valore aggiunto.
  • Sono necessarie nuove competenze e nuovi strumenti. Esattamente come per vedere nuove cose bisogna avere nuovi occhi e rinnovarsi (similmente a quanto ricordava Proust) è necessario che le organizzazioni si muovano verso modelli a competenze ibride, dove l’integrazione di diversi punti di vista puo’ solo rappresentare ricchezza e consentire la lettura di nuovi e vecchi fenomeni.

Come ben mostra questo grafico nello specifico degli IT manager:

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E voi? Siete pronti a diventare un social business? Cosa ne pensate?

Negli ultimi due anni (da quando ho avviato questo blog) mi sono occupato di seguire da vicino i fenomeni del Social Business e di provare a riflettere criticamente su ciò che sta alla base di questo fenomeno tanto importante.
In questo tempo molte sono state le evoluzioni e i progressi che sono stati fatti, non solo dal punto di vista tecnologico ma anche – e soprattutto – da quello sociale e culturale.

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In questa sede vorrei mostrarvi alcuni casi di successo internazionale che sono stati presentati da Salesforce e dalla collaborazione di questo software con alcuni dei più grandi brand a livello mondiale.
Brand che – molto più di altri – hanno saputo mettersi in gioco e provare a scommettere – con successo – sulle logiche e sui paradigmi del social evolvendo la loro organizzazione verso modelli più efficaci, più resilienti e maggiormente in grado di rispondere alle sfide e alle sollecitazioni che il mercato propone (oggi più che mai).

La prima di queste storie è quella di Burberry.

 

Come spiega la CEO Angela Arendth la missione di Burberry è stata quella di creare una social enteprise di essere completamente connessi con clienti, consumatori, partner e più in generale – come ci insegna il Social Business – con l’intero ecosistema aziendale esteso.
Credo che sia molto interessante analizzare questa storia. Un brand come Burberry – apparentemente e superficialmente – non dovrebbe avere la necessità di evolversi verso questo tipo di scenari e, invece, quello che sottolinea la Arendth in questo video è proprio la necessità di evolvere verso un social business per non essere in crisi, per riuscire a sopravvivere sul medio e sul lungo termine. Non si tratta più ormai di una scelta ma di una strada da intraprendere con forza e decisione.

La seconda storia è quella di HP. 

Come si vede dal video le barriere e i silos tradizionali sono stati abbattuti. Per poter rispondere al Social Customer, alle mutate necessità del mercato è stato necessario rivedere i processi interni per essere in grado di rispondere in modo più efficace a quello che i consumatori stavano chiedendo.
In questo senso credo che siano molto interessante la riflessioni sullo spirito del garage e su come sia stato possibile mantenere l’attitudine al problem solving e alla creatività pur con l’aumento delle dimensioni della società.

La terza storia è quella di CommBank

Ciò che è veramente importante cogliere in questa storia è il processo di ascolto e di Social CRM. L’ascolto delle conversazioni dei clienti come assett fondamentale da considerare per proporsi sul mercato oggi. Assistenza, Customer Care ma anche Servizio al Cliente possono essere enormemente arricchiti dall’ascolto delle conversazioni e dall’apertura di un canale di dialogo trasparente e sociale con i propri consumatori.

La quarta storia è quella di Kimberly Clarck

Anche in questo caso si parla di ascolto attivo e del processo di monitoraggio delle conversazioni dei clienti e dei consumatori come uno dei punti fondamentali per evolvere verso il business del futuro.
In questo senso il video con l’intervista al CEO mette ben in evidenza uno dei punti fondamentali (anche se non chiaramente l’unico) del monitoring e dell’ascolto delle conversazioni, quello legato alla ricerca di qualità e alla ricerca di mercato.
Le vecchie e complesse ricerche che un tempo erano demandate ai focus group o a sedute in presenza oggi possono essere facilmente evolute verso approcci di questo tipo.
Mai come oggi avere il polso della situazione sul proprio prodotto è stato così semplice e al tempo stesso così conversaizoni statisticamente significativo.
Le conversazioni in rete per i brand di tutto il mondo rappresentano la vera sostanza che li compone. E tracciare queste conversazioni è utile non solo per capire in che modo siamo visti dai nostri stessi clienti ma anche versi quali strade strade possiamo evolvere per andare nella direzione condivisa. Questo significa trasformarsi in un social business, in una social enterprise. Mettere al centro del business la massimizzazione del valore scambiato all’interno di tutto l’ecosistema aziendale, che si parli degli stakeholder o degli utenti finali.

La quinta storia è quella di NBC

La cosa interessante che sottolinea questa storia di successo è la possibilità di intendere i social media non solo verso l’esterno dell’impresa. Ma anche e soprattutto come mezzi di collaborazione per rafforzare l’efficienza e l’efficacia dei processi interni e del modus operandi di un’organizzazione.

La sesta storia è quella di O2

Anche in questo caso a emergere veramente è l’integrazione tra interno ed esterno dell’organizzazione e la possibilità di usare questi strumenti per abbattere le tradizionali barriere ed evolvere verso modelli più fluidi che mettano al centro le esigenze del consumatore.

Le settima e ultima storia è quella di Comcast

Comcast ha saputo comprendere – come pochi altri – l’importanza che l’ascolto e i social media possono avere nella gestione delle problematiche dei clienti e nell’evadere le loro richieste in tempi assolutamente record. Spostando il loro Comcast Care interamente su Twitter riescono a dare in un paio di minuti risposta a qualunque richiesta arrivi loro, arricchendo l’esperienza di dialogo con i clienti e massimizzando l’efficacia dei processi interni.

Nota a margine

I video mostrati – di ottimo ed eccellente livello – sono video “inspirational”, non rappresentano né delle guide all’uso né dei modelli da replicare in toto. Come tutti i casi studio e di successo servono a far riflettere. Chi si occupa di questo
lavoro sa che ogni strategia sui social media, come anche ogni strategia di social business è sartoriale, misurata e costruita rispetto agli specifici obiettivi di business e rispetto alle esigenze e alle necessità di ogni singolo brand. 
Inoltre vorrei sottolineare che i video in oggetto sono stati girati in partnership con Salesforce per raccontare – appunto – l’efficacia dello strumento.
A conti fatti il mio approccio con questo tipo di soluzioni è sempre agnostico. Il che significa che esattamente come non esiste la ricetta magica che vada bene per tutti non esiste nemmeno il tool perfetto che sia in grado sempre di rispondere alle necessità che abbiamo.
Il tool come la strategia devono essere sempre considerati come strumenti da utilizzare in relazioni agli obiettivi di business e a quello che vogliamo ottenere, con un focus specifico anche sui limiti e sul “terreno” sul quale ci stiamo muovendo.