Chi se ne occupa – o anche i semplici interessati – sanno che cambiare la cultura di un’organizzazione non è cosa semplice. Trasformare il modo di lavorare, di parlare, di relazionarsi con i colleghi è un processo che può richiedere mesi e anni di intenso lavoro che si possono, spesso, tradurre in un fallimento.
Ne ha parlato già Edgar Schein e non è certo cosa nuova:
La cultura è importante perché è un insieme di forze potenti, nascoste e spesso inconsce, che determinano il nostro comportamento individuale e collettivo, i modi della percezione, lo schema del pensiero e i valori. La cultura organizzativa in particolare è importante perché gli elementi culturali determinano strategie, obiettivi e modi di agire. I valori e lo schema di pensiero di leader e dirigenti sono in parte determinati dal loro bagaglio culturale e dalle loro esperienze comuni. Se si vuole rendere una organizzazione più efficiente ed efficace, allora si deve comprendere il ruolo giocato dalla cultura nella vita organizzativa.
Esistono, però, dei casi eccezionali, unici nell’esperienza delle persone che consentono di cambiare radicalmente il proprio sistema di valori e il proprio modello di agito. Si tratta delle Esperienze Trasformative, mi sono imbattuto di recente in questo concetto grazie all’amico e collega Andrea Gaggioli (Docente di Psicologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) che le illustra molto bene all’interno di un paper che potete trovare qui.

Vengono definite tre caratteristiche delle esperienze trasformative:
- Si tratta di un cambiamento profondo del modo in cui percepiamo il nostro self-world, il nostro mondo interiore. Il cambiamento avviene in maniera repentina, quasi immediata e si distingue da tutte le altre manifestazioni psicologiche dell’individuo
- L’esperienza trasformativa ha sia una dimensione epistemica sia personale: non cambia solo quello che sappiamo, ma cambia anche in modo profondo il modo attraverso il quale facciamo esperienza di noi stessi
- Infine, un’esperienza di questo tipo, può essere considerata come un fenomeno emergente delle dinamiche che si auto organizzano
La letteratura, da Maslow a Miller, da James a C’De Baca, documenta ampiamente quei momenti nella vita di un uomo in cui si creano le condizione per fare esperienza di un salto quantico dal punto di vista psicologico. Un momento “a-ha” che ci permette di fare esperienza di sensazioni e di emozioni uniche che rendono la persona in grado immediatamente di comprendere che qualcosa è successo e che qualcosa è cambiato. Come si legge:
These are “a-ha” experiences in which the person comes to a new realization, a new way of thinking or understanding. Insightful transformations grow out of life experiences, in that they tend to follow personal development. In contrast, mystical quantum changes – or epiphanies – have no continuity with “ordinary” reality and are characterized by a sense of being acting upon by an outside force. The person knows immediately that something major has happened, and that life will never be the same again
Per loro stessa caratteristica e specificità le esperienze trasformative non possono essere pre-costruite o fabbricate, richiedono un coinvolgimento profondo del singolo e le condizioni adatte perché una ristrutturazione abbia luogo.
All’interno di questo scenario è, però, possibile costruire le condizioni e l’ambiente all’interno del quale l’esperienza può essere invitata e può avvenire.

Cosa possiamo e dobbiamo fare dunque? In realtà il ripensamento delle logiche organizzative e con al centro le persone non deve necessariamente divenire una ricerca spasmodica di un modello di lavoro nuovo o una realizzazione whatever it takes di un’esperienza trasformativa. Come sottolinea anche Gaggioli:
The final aim of transformative design, as I see it, should not be confused with the idea of “engineering self-realization”. Rather, I hold that the objective of this endeavour should be to explore new possible technological means of supporting human beings’ natural tendency towards self-actualization and self-transcendence. As Haney (Haney, 2006) beautifully puts it: “each person must choose for him or herself between the technological extension of physical experience through mind, body and world on the one hand, and the natural powers of human consciousness on the other as a means to realize their ultimate vision”
Già il riuscire a rendere la tecnologia qualcosa di invisibile e qualcosa in grado di facilitare la naturale espressione delle persone sarebbe un notevole successo.