Archives For November 30, 1999

IBM ha da poco rilasciato un report molto interessante dal titolo: “The Customer-activated Enterprise – Insights from the Global C-suite Study” che analizza in che modo le tecnologie digitali abbiano fortemente modificato il ruolo del consumatore di oggi portandolo a esercitare un forte impatto di trasformazione organizzativa all’interno delle aziende.

In breve: il consumatore, il cliente – oggi – esercita – un potere molto maggiore rispetto al passato. Abbiamo più volte – in questa e in altre sedi – parlato delle caratteristiche chiave del social customer e analizzato come i social media abbiano consentito uno sviluppo di consapevolezza, trasparenza, coinvolgimento, autorevolezza che le aziende non possono più ignorare. Se fino a qualche tempo fa la tecnica “dello struzzo” poteva funzionare, ora non è più possibile adottarla: nascondere la testa sotto alla sabbia non rappresenta una strategia praticabile e sostenibile.

Ma cerchiamo di capire in che modo il report analizza la situazione e quali insight interessanti se ne possono estrarre.
Per prima cosa il report deriva da migliaia di intervista face-to-face condotte da IBM negli ultimi anni a C-Level di diverse aziende nel mondo. La ricerca permette di tracciare quindi un report completo e una visione generale della percezione che i livelli più alti delle organizzazioni hanno rispetto alle nuove tendenze del mercato e ai macro-trend organizzativi.
Interessante – come primo dato che emerge – risulta essere la percezione di importanza che la dimensione digitale ha assunto negli anni arrivando a prevalere su molte altre caratteristiche nel panorama delle sfide che le organizzazioni si trovano costrette e “obbligate” ad affrontare per poter sopravvivere.

Dal 2006 ad oggi – infatti – l’aspetto delle tecnologie digitali ha raggiunto la prima dimensione nelle priorità strategiche delle aziende, risalendo la china e posizionandosi prima di altri processi e aspetti (indicatori macro-economici, talent management, people skills…). E questo è vero per tutti i livelli aziendali ma in particolar modo per tutta la cosiddetta C-Suite (CFO, CMO, CIO, CHRO, CEO, ecc.)

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Il grafico sopra mostra poi un altro aspetto molto molto interessante di cui più volte ho avuto il piacere di discutere e di analizzare. Sempre più aziende (di grandi e grandissime dimensioni) si stanno rendendo conto che il coinvolgere i consumatori all’interno dei loro processi interni risulta un assett fondamentale attorno al quale costruire la loro strategia organizzativa. In questo modo crollano (come abbiamo più volte visto parlando di Social Business) le classiche distinzioni tra interno ed esterno delle aziende, crollano le barriere tra consumatori e dipendenti interni, crollano i meccanismi classici attorno ai quali si sono costruite le aziende negli ultimi anni e si affermano modelli più partecipati, aperti, collaborativi, in una parola: modelli più social.

Kimberly-Clark è una delle aziende che ha compreso questo processo e – da qualche anno – lo sta fortemente implementando all’interno di tutti i suoi processi:

http://www.youtube.com/watch?v=B56DSNi540Q

Dei CxO è oltre il 54% a essere convinto che i consumatori stiano oggi esercitando un ruolo cruciale sulle loro organizzazioni, il 36% crede che l’influenza sia presente ma non elevata  mentre è solo il 10% a credere ancora che quello che accade “fuori” dall’organizzazione non ne influenzi i processi interni.

“As customers gain more power over the business via social media, their expectations keep rising and their tolerance keeps decreasing.”

Con l’aumentare della consapevolezza e dell’aspettativa da parte dei consumatori, sempre più organizzazioni si rendono conto che la sfida nei prossimi anni sarà realizzare esperienze integrare che riflettano sulla capacità non solo di rispondere alle mutate esigenze ma di superarle. Le aziende migliori e più efficaci saranno quelle in grado di garantire questo salto di qualità e di rispondere appieno alle differenti e profonde richieste dei consumatori. A che pro? Crescita del business. La ricerca mostra – infatti – che le aziende che funzionano meglio sono quelle che collaborano e coinvolgono di più sia i loro consumatori sia i loro dipendenti.

L’importanza che i consumatori stanno assumendo all’interno delle organizzazioni è oltretutto rafforzata dai dati mostrati qui sotto.
Come nel caso di Kimberly Clark le aziende che sono in grado di insistere e di coinvolgere i propri clienti all’interno di un processo chiaro e definito sono quelle che meglio riescono a fidelizzarli, fronteggiando nuove sfide poste dal mercato e dall’attuale situazione di incertezza.

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Non dimentichiamoci però nemmeno il famoso ammonimento di Trismegisto : “come in alto così in basso”. Qui potremmo dire: come all’esterno così anche all’interno. Non si può – infatti – essere social a metà, non si può in altri termini pensare di aprirsi verso l’esterno e di coinvolgere i consumatori della propria azienda senza effettuare dei profondi processi di change managament anche al proprio interno. Processi che impattino fortemente sulla cultura organizzativa e che cambino le modalità classiche di organizzare e gestire il lavoro. In questo senso la funzione HR (che come sappiamo e abbiamo visto da molti precedenti articoli gioca un ruolo fortemente marginale ancora) deve divenire protagonista e facilitatrice di questo processo.

“The HR function has a role to play in encouraging a less autocratic, more collaborative approach to leadership, introducing new performance management processes and bringing the organization along.”

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E’ quindi in atto una profonda trasformazione delle aziende, una consapevolezza sempre maggiore che sta coinvolgendo l’intera organizzazione, si parla di un profondo cambiamento di una radicale trasformazione che passa dal digitale ma coinvolge molti più aspetti del digitale. Una trasformazione che richiede l’abbattimento di barriere esterne ma anche di silos interni, che consenta l’emersione di modelli collaborativi e che consenta di realizzare aziende aperte, flessibili, partecipate, aziende in cui il focus siano le persone: non importa se consumatori, clienti, partner, stakeholder o dipendenti.
Ciò che sarà sempre più importante sarà investire nel valore e in una direzione comune: lavorando in modo collaborativo.

Jacob Morgan – attento studioso dei trend delle organizzazione e autore di The Collaborative Organization – ha recentemente rilasciato un nuovo report Chess Media Group dedicato al futuro del lavoro e alla social collaboration all’interno delle aziende di tutto il mondo.

Cerchiamo di capire i macrotemi che emergono dal report.

Collaboration has moved beyond the hype and has become a powerful way to drive business forward

Più nello specifico:

  • La consumerizzazione dell’IT e la crescente economia digitale richiedono alle organizzazioni di riconfigurare il proprio modo di fare business e di lavorare. Si modificano le modalità con le quali le persone commentano, collaborano, discutono e si relazionano tra loro.
  • La collaboration all’interno delle organizzazioni ha smesso di essere considerata una moda o un fenomeno superfluo o passeggero e sta diventando a tutti gli effetti uno dei principali pilastri sui quali costruire l’azienda del futuro.
  • Le persone vogliono connettersi in modo rapido ed efficace ai propri colleghi, clienti e fornitori ed essere sempre più rapidi nel lavoro e più efficaci rispetto al proprio day by day. Gli strumenti di collaboration e di social enterprise divengono quindi un driver fondamentale per strutturare processi integrati che permettano di lavorare meglio e con meno fatica.
  • Secondo una ricerca IDC gli investimenti in social collaboration cresceranno da 800 milioni nel 2011 a oltre 4,5 miliardi entro il 2016.
  • Entro il 2020 più del 50% della forza lavoro degli US sarà composta dai millenials per i quali queste modalità di lavoro saranno ormai la normalità.
  • Il 36% degli intervistati dichiara di utilizzare strumenti di collaboration all’interno dell’azienda da oltre 3 anni, il 31% invece da almeno un anno. E’ quindi oltre 1 persona su 6 a impiegare queste soluzioni nell’operatività quotidiana (o ad averne avuto esperienza)
  • Il potenziale inesplorato della collaboration all’interno delle aziende è ancora molto: le funzionalità più importanti e la completa socializzazione dei processi non sono ancora state affrontate. Significativo notare come i livelli sui quali ci si è soffermati al momento sono prevalentemente quelli “base”
  • Una delle prossime e principali sfide (avvertita come urgente da oltre il 54% degli intervistati) sta nell’integrazione tra le diverse soluzioni e differenti piattaforme che devono – all’atto pratico – risultare invisibili all’utente.
  • Abbattimento delle barriere e dei silos, è oltre il 49% degli utenti a ricercare e a volere un canale costante di dialogo con la C-Suite: con i livelli più alti dell’azienda e con chi ha un potere decisionale. La collaborazione e il lavoro del futuro – vale la pena ripeterlo – passa dall’informalità dei processi.
  • Il social funziona! E’ l’85% delle persone a ritenere che sarebbe meno efficace se non avesse questi strumenti a disposizione.
  • Non solo online: momenti di condivisione e workshop formativi rappresentano dei punti fondamentali per l’impostazione di una strategia efficace e in grado di migliorare il modo in cui lavoriamo.

Social Collab

  • Dinamiche e innesti interessanti si leggono anche nel trend legato al BYOD (Bring Your Own Device): le persone che lavorano in un’azienda che consenta questa politica
  • Le aziende stanno cominciando ad adottare modalità di lavoro più flessibili e più aperte che consentono una gestione maggiormente autonoma del lavoro. E’ addirittura l’81% delle aziende ad adottare questo tipo di modalità di lavoro o perlomeno ad avere in progetto pratiche che consentano di farlo nel breve termine.
  • Lavorare sul workplace aziendale per renderlo migliore: funziona non solo in termini di strategie per i propri dipendenti, ma anche – e soprattutto – per poter creare sinergie e strategie con i talenti sul mercato ed essere in grado di attrarli e trattenerli in modo molto più efficace.

Social Collab

Quali strategie adottare per massimizzare la propria efficienza e la propria capacità di costruire business?

  • Il ruolo dei leader e dei C-Level è fondamentale e deve servire come esempio e modello per gli altri. Non si tratta di pura retorica ma l’impiego efficace di strategie che consentano un coinvolgimento esteso dell’ecosistema aziendale che parta dalle risorse più importanti per costruire progetti concreti.
  • Coinvolgere tutti in dipendenti e partire dalle loro esigenze per la configurazione di nuovi ambienti di lavoro collaborativi
  • Non dimenticare la dimensione IT che risulta una componente strategica e fondamentale per fare in modo che le cose funzionino adeguatamente
  • Creare una serie di politiche BYOD che consentano l’impiego di queste strategie in modo regolamentato dando occasione ai dipendenti di capire e utilizzare il modello in modo sicuro e massimizzandone l’efficienza
  • Realizzare politiche e sistemi di ricompensa che permettano di valorizzare nuove modalità di lavoro e incentivino la collaborazione sulla competizione, che consentano l’emersione di modalità di lavoro differenti e sappiano riconoscere anche iniziative parallele dei dipendenti laddove queste insorgano.

Un interessante e recente report di Accenture (per chi fosse interessato ad approfondire lo trovate qui – http://www.accenture.com/SiteCollectionDocuments/PDF/Accenture-2040-CMO-CIO.pdf) mette l’accento su una dimensione estremamente importante del contesto organizzativo che stiamo vivendo in questi anni e soprattutto in questi ultimi mesi anche nel nostro paese.
La rivoluzione digitale, come più volte abbiamo analizzato e ripetuto in questa e in altre sedi, ha impatti significativi e trasversali su diverse aree del business costruendo contesti e scenari nuovi e aprendo nuove sfide e opportunità.

In particolare questo report si concentra sull’integrazione di due ruoli che come abbiamo visto anche in passato (qui l’articolo che riprende la conversazione a due tra Esteban Kolsky e Ray Wang dello scorso Giugno) risultano essere fondamentali nelle organizzazioni di oggi: il Chief Marketing Officer e il Chief Information Officer.
In questo senso il digitale e i cambiamenti introdotti dalla “social media revolution” risultano cruciali e impattano fortemente sulle dinamiche e sulle esigenze che questi due ruoli esprimono all’intero delle organizzazioni di cui fanno parte.

Cerchiamo di analizzare però nel dettaglio quali sono le informazioni principali che emergono dal report:

  • qualunque tipologia di business è – oggi – un business digitale: un’affermazione forte che comunque sottolinea un cambiamento epocale e pone l’accento sul fatto che ormai non sia più in discussione se evolvere la propria azienda verso una strategia digitale o meno. La vera sfida sta nel farlo correttamente assicurandosi risultati e processi che siano integrati con gli obiettivi di business delle aziende.
  • Il crescente potere del consumatore che si è evoluto in social customer e le maggiori aspettative nei confronti delle aziende unite a una maggiore consapevolezza e capacità di esprimere opinioni (positive e negative) pongono il CMO di fronte a nuove sfide che prima non erano attese, sfide che richiedono di essere assunte con consapevolezza e che non possono più essere ignorate.
  • Dal canto suo anche il CIO è stimolato da nuovi aspetti che non sono affatto trascurabili considerando la pervasività della tecnologia e l’evoluzione rapidissima che sta subendo. Gli investimenti in tecnologia entro il 2017 saranno condotti – secondo alcune proiezioni – molto più da i CMO che da i CIO.
  • Dall’analisi condotta da Accenture emerge in modo significativo (8 su 10 rispondenti) la necessità di un allineamento tra le due funzioni: un coordinamento centrale che permetta di studiare in maniera strutturata e strategica le azioni da intraprendere. Sono pochissime – tristemente – le aziende che hanno deciso di investire seriamente in questa direzione e che credono profondamente nell’integrazione e nella collaborazione delle due funzioni.
  • Allo stesso modo la collaborazione tra le due figure non è percepita come efficace (solo 1 su 10 si considera soddisfatto)
  • La percezione del CMO vede nel CIO un mero braccio operativo, il che impedisce corrette sinergie e strategie di coordinamento che valorizzino entrambi i ruoli consentendo la massimizzazione del valore generato dall’impresa.
  • Le credenze del CMO e del CIO divergono radicalmente. Una maggioranza di CIO (oltre il 61%) è convinta che l’azienda sia pronta per la sfida digitale, mentre è meno del 49% dei CIO a pensarla allo stesso modo. La differenza di visione si riflette anche a livelli maggiormente operativi, mentre i CIO vedono l’integrazione e la dimensione IT come maggiormente critica i CMO tendono a non preoccuparsi troppo della dimensione di implementazione, molto spesso alzando di troppo l’asticella e contribuendo al fallimento di progetti di digital transformation.

Il report riporta poi le sfide e le frustrazioni dei due ruoli, dai grafici è possibile estrarre alcune significative considerazioni sull’andamento e il disallineamento delle due funzioni.
Di seguito il punto di vista del CMO:

CMO

Qui invece il punto di vista del CIO: sfide differenti e prospettive differenti che richiedono una integrazione per fare in modo che l’intera organizzazione riesca a muoversi in una direzione condivisa e unica.

CIO

Un altro dato molto interessante è il “cortocircuito” che si innesta nei C-Level dell’azienda: la funzione maggiormente strategica per questi due ruoli sembra essere quella del CFO (contrariamente alla credenze che vedono la funzione maggiormente strategica nel CEO) che rappresenta un “appiglio” estremamente importante per entrambi.
Per quanto riguarda entrambi i livelli comunque la collaborazione è percepita ancora come un forte tallone d’Achille a testimonianza del fatto che i silos e le divisioni interne all’azienda rappresentano una forte barriera per la crescita delle organizzazione. L’abbattimento delle classiche separazioni è quindi estremamente utile per efficientare i processi di crescita e il differenziale strategico che l’organizzazione mette in atto.
La riflessione non è nuova per chi si occupa di social organization e di social business dove – come ben sappiamo – ragionare in termini di barriere e di suddivisioni risulta poco efficace e utile all’interno di un contesto come quello del digitale.

Scollamenti significativi, frutto di incomprensioni e strategie errate si riscontrano anche rispetto alle differenti priorità che i due ruoli esprimono all’interno dell’organizzazione. Visioni spesso antitetiche che contribuiscono a peggiorare sia la collaborazione interna sia la direzione verso la quale “naviga” l’azienda.

Priorita

A livello operativo il report si chiude con alcuni consigli strategici per poter realizzare una strategia di marketing e di trasformazione digitale di sicuro successo, o – perlomeno – per limitare al massimo le possibilità di errore.

  • Evolvere il ruolo del CMO verso un CXO dove la X sta per eXperience: in modo che sia – in azienda – la figura di riferimento per tutto il customer journey e per tutto il percorso evolutivo del consumatore. Dalla fase di awareness a quella di ingaggio più esteso e fidelizzazione. Deve essere in grado di ragionare per obiettivi strategici e per KPI in modo da valutare costantemente la riuscita o meno delle iniziative e l’allineamento con quanto impostato a livello aziendale come obiettivi strategici.
  • Accettare il ruolo dell’IT manager come strategico ed estremamente importante nella realizzazione di una strategia digitale.
  • Concordare sugli obiettivi e trovare allineamento tra le sfide comuni, investendo nelle medesime in modo da massimizzare gli sforzi e i amplificare i risultati.
  • Realizzare in azienda il giusto mix di competenze tra visione ed execution, tra idee e implementazione, tra professionisti orientati al risultato e visionario orientati alla massima innovazione: in questo modo si riescono a tenere insieme due dimensioni apparentemente discordanti che rappresentano due ingredienti fondamentali per il sicuro successo dell’impresa.
  • Costruire fiducia e legami significativi: sperimentando e lavorando insieme, sia all’interno dell’azienda sia coinvolgendo consumatori nella catena estesa di generazione del valore dell’organizzazione.

“This requires a top-down setting of priorities starting with CEO expectations and calibrating with all verticals. For example,  including key IT employees in marketing meetings, sales conventions, etc., would give them more context to their work and better appreciation for timelines. There could be some reciprocity here with key marketing employees appropriately involved with IT work”

Collaborare, collaborare, collaborare. Sembra essere la parola chiave del nuovo modo di fare impresa, delle nuove teorie organizzative che, da qualche anno, spinte anche dall’evoluzione sul mercato di tool e strumenti social, si stanno affermando.
Ma collaborare è davvero così semplice? E ha davvero un valore così interessante per le aziende di tutto il mondo?
Jacob Morgan (Chess Media Group), studioso delle organizzazioni, nonchè autore del bestseller di fama mondiale “The Collaborative Organization“, ha rilasciato sul suo sito un paio di whitepaper che analizzano proprio questa dimensione.

In primo luogo l’analisi fa emergere il valore della collaboration come strumento fondamentale per le aziende che intendano efficientare i propri processi interni e la propria capacità di impattare sul mercato.
Come mostra agilmente lo schema il valore “nascosto” della collaboration all’interno delle aziende è un qualcosa di estremamente concreto. Le aziende che collaborano tra loro e al loro interno, le aziende che sfruttano i cardini della “Collaborative Economy” come la definisce Owyang e che sanno creare relazioni significative con tutto il loro ecosistema aziendale (clienti, fornitori, partner, stakeholder, dipendenti…) sono in grado di essere molto più performanti e di rispondere al meglio alle sfide di un mercato in crisi come quello a cui stiamo assistendo in questi anni.

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Sono per altro identificati alcuni dei benefici specifici (tratti anche dal famoso report di McKinsey sul valore che la social economy ha generato e genererà sul mercato nei prossimi anni) che la social collaboration può portare all’interno delle imprese:

  • migliore coinvolgimento dei dipendenti e della forza lavoro: motivazione, egagement e senso di partecipazione e di appartenenza a un progetto comune, con tutti i benefici riflessi che questo comporta
  • maggiore facilità nel trovare persone, risorse e informazioni
  • migliore comunicazione
  • più chance per l’innovazione: come abbiamo visto – in questa e in altre sedi – più e più volte l’innovazione non è un fenomeno che nasce in modo casuale ma un qualcosa di estremamente preciso che si genera da meccanismi di collaborazione e condivisione. Il mito del genio solitario è appunto una comune leggenda.
  • serendipità

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Tuttavia – come spesso accade – anche per il mondo della collaboration non è tutto oro quello che luccica.
Vediamo dunque quali sono alcuni dei problemi che la collaboration incontra all’interno delle organizzazioni e cosa impedisce il corretto sviluppo di sinergie che vadano in questa direzione.

  • difficoltà nel trovare le persone e le informazioni corrette: in media i dipendenti di un’organizzazione spendono il 25/30% del loro tempo nella ricerca delle risorse o delle informazioni che servono loro per lavorare correttamente. Il tutto si traduce in perdita dell’efficienza e in dispendio di tempo che impattano in modo negativo sugli indicatori economici
  • le persone non sono motivate nel loro lavoro e nell’operatività quotidiana mostrando comportamenti anche negativi nei confronti dell’azienda in cui lavorano
  • la cultura organizzativa è spesso non allineata
  • i silos e le barriere comunicative dell’azienda impediscono la corretta comunicazione e circolazione del sapere all’interno impedendo una corretta socializzazione dei processi interni e dell’innesto di meccanismi virtuosi che consentano la collaborazione cross e inter azienda
  • mancanza di un allineamento e di un ingaggio dei livelli alti dell’organizzazione che consenta di avere le leve necessarie per trasformare digitalmente l’organizzazione

Vi ricordo che con Emanuele Quintarelli stiamo indagando lo stato della Social Collaboration all’interno delle aziende italiane, una ricerca di prestigio, mai condotta nel nostro paese che vuole appunto provare a sondare queste dinamiche all’interno delle organizzazioni che viviamo e frequentiamo tutti i giorni.
Alcuni dei dati preliminari che abbiamo cominciato ad analizzare negli scorsi giorni (l’analisi vi ricordo è attiva fino a fine settembre e i risultati verranno resi disponibili e pubblici in forma completamente gratuita) e che vedono la partecipazione di oltre 250 aziende fanno riflettere su alcune significative dimensioni.

Tra le dimensioni che cominciano ad emergere possiamo sottolineare:

  • l’importanza di definire una strategia coordinata che sia in grado di tenere in considerazione e coinvolgere in modo esteso l’intera organizzazione è un fattore chiave (anche se non l’unico importante) per il successo di queste iniziative.
  • un’allocazione sensata del budget: investire in modo serio e sensato destinando parti eque dell’investimento alla parte tecnologica quanto a quella strategica risulta di importanza chiave per definire
  • una sponsorship che conta: avere l’appoggio dei c-level aziendali è tanto importante quanto strategicamente significativo per ottenere progetti che non naufraghino nel breve
  • la definizione di un piano e di un team di risorse: risorse, pianificazione e misurazione del ROI come dei risultati ottenuti sono fattori chiave per la buona riuscita del progetto. Senza questi elementi e senza una corretta definizione della rotta è difficile che il progetto funzioni. In questo senso mi piace riprendere la famosa frase di Seneca che sottolinea “Non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare

Molti altri risultati (con anche numeri e dati) verranno resi disponibili dal mese di Ottobre, ma vi ricordo che il successo dell’iniziativa dipende in massima parte da voi e dal vostro contributo. Per ogni azienda che collabora alla compilazione della survey un pezzo del puzzle si aggiunge e il quadro che andremo a delineare assieme sarà un importante passo in avanti sulla strada dell’implementazione della social collaboration nel nostro paese!

Una recente analisi di McKinsey pubblicata il mese scorso e derivata da un’indagine condotta su alcune aziende e alcuni C-Level delle più importanti organizzazioni al mondo mostra alcuni aspetti veramente interessanti per comprendere a che livello e a che punto ci troviamo nello stato di avanzamento del processo di digitalizzazione delle imprese e delle aziende di tutto il mondo.

Il report (seppur nella sua brevità e nei pochi messaggi che rilascia) è davvero interessante per comprendere alcuni aspetti chiave che entrano in gioco nel cammino di trasformazione verso il social business. Tra i messaggi principali che emergono: l’importanza di coinvolgere tutta l’azienda (sia all’interno sia all’esterno, sia nei livelli più alti come in quelli più bassi), l’importanza di una visione coerente e coesa e la necessità di investimenti sensati e significativi che garantiscano successo e ROI.

Più nello specifico, le dimensioni analizzate dall’indagine sono 5 e rappresentano alcuni dei punti chiavi dell’innovazione digitale all’interno delle organizzazioni:

  • big data e social analytics
  • digital engagement dei consumatori
  • digital engagement dei dipendenti e dei partner esterni
  • automazione e processi interni
  • digital innovation

Ma il vero messaggio chiave che emerge dall’intera analisi è un altro, come si legge:

They report, for example, that their companies are using digital technology more and more to engage with customers and reach them through new channels. What’s more, growing shares report that their companies are making digital marketing and customer engagement a high strategic priority. Nevertheless, there is more work to do: most executives estimate that at best, their companies are one-quarter of the way toward realizing the end-state vision for their digital programs.

Interessante notare, quindi, come la strada da fare sia ancora molta, la consapevolezza presente e lo spazio per crescere ancora significativo. Tre messaggi confortanti che consentono di aprire uno spazio di investimento e di lavoro ampio e notevole per il prossimo immediato futuro (destinato – va da sé – a chi saprà coglierlo).

Rispetto alle cinque dimensioni chiave analizzate, i rispondenti affermano l’importanza strategica prevalente di alcune di esse: in primo luogo il 56% di loro afferma che il coinvolgimento del social customer tramite strumenti digital è nelle prime 10 priorità dell’azienda, a testimonianza – casomai ce ne fosse ancora bisogno – che l’esterno dell’azienda è ormai sempre più sensibile a questi temi e a queste esigenze, stimolato dalle spinte e dalle necessità imposte dal mercato attuale.

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Un altro dato che emerge in modo molto interessante e significativo è la crescita rispetto all’anno precedente che stanno avendo tutte le dimensioni rispetto al loro livello di digitalizzazione. Anche sui processi più delicati (sull’interno dell’organizzazione) sta cominciando a muoversi qualcosa di interessante, seppur a livello ancora embrionale e immaturo rispetto all’esterno dell’azienda.
A mio avviso il dato più significativo resta comunque il crescente coinvolgimento dei CEO in iniziative di questo tipo e di questa natura. Paragonando i dati attuali con quelli dell’indagine del 2012 emerge in modo significativo una crescita nel coinvolgimento e nel committment da parte dei livelli più alti delle organizzazioni.

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Altre informazioni interessanti emergono dall’analisi che consente di verificare su quali fattori di successo e di insuccesso si basano le iniziative di social business transfomation permettendo – quindi – di trovare le modalità per evitare i problemi contro cui molte organizzazioni si scontrano inficiando la validità e il ritorno positivo dei vari progetti.
Di queste dimensioni stiamo provando (assieme ad Emanuele Quintarelli) a darne una visione anche italiana tramite la Social Collaboration Survey 2013 alla quale hanno già partecipato oltre 300 aziende e che mostra dati non troppo dissimili da quelli che sono illustrati dall’ultima analisi di McKinsey. Le sfide del social business sono ormai quindi note, le possibilità estremamente vaste e gli ostacoli che si incontrano sempre – più o meno – gli stessi. Tutto questo ci permette di avere nuovo slancio e nuova fiducia verso i progetti di digital transformation delle organizzazioni permettendo di massimizzare gli investimenti e di ottenere benefici sempre maggiori sfruttando appieno tutte le potenzialità (ampie) che offre al momento il mercato.

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Pur in pochi dati questa analisi sottolinea alcuni trend interessanti e di livello:

  • l’importanza del coinvolgimento di tutta l’azienda e di tutto il suo ecosistema, poco importa che siano fornitori, partner, clienti, consumatori finali o dipendenti all’interno della nostra organizzazione
  • la necessità di una strategia coerente che coinvolga e si guadagni il committment dei C-Level dell’organizzazione
  • la strada è ancora lunga e le possibilità ancora molte, ma bisogna cominciare a muoversi e ad andare nella direzione prestabilita avviando sperimentazioni e casi concreti
  • il livello di coinvolgimento dei consumatori esterni ormai è un dato di fatto. L’evoluzione, annunciata ormai qualche anno fa, verso il social customer ha ormai raggiunto uno stadio di maturità elevata, che deve essere gestita dalle organizzazioni. La sensazione è ormai che tutti abbiano compreso che non è più una scelta sull’intraprendere o meno la strada del digital, ma è piuttosto una scelta che riguarda il modo migliore per farlo
  • trovare leader illuminati che siano in grado di guidare l’azienda verso la trasformazione completa è oggi più fondamentale che in passato
  • allo stesso modo talenti e persone che hanno volontà di fare e di emergere devono avere spazio e risorse per crescere, e non solo sulla carte, come spesso accade in moltissime aziende che seguono il paradigma del “fate quello che dico, ma non fate quello che faccio”
  • i budget e gli investimenti sono in crescita e mostrano la volontà delle aziende di andare in questa direzione con sempre più forza e coerenza
  • la misurazione del ROI, il tracciamento dei risultato, lo stabilire metriche sono tutte dimensioni fondamentali che non possono essere trascurate. Fare il punto nave è tanto importante quanto la direzione da seguire, darsi dei momenti di verifica periodoica sull’andamrento di questo tipo di progetti è di fondamentale importanza e consente di: aumentare il coinvoglimento e il senso di coerenza e di intesa sul progetto, la comprensione circa quello che si sta facendo e l’aggiustamento in caso di errori o di tentativi non corretti. E’ l’unico modo – infatti – per comprnedere realmente se quello che si sta facendo si muove nella giusta direzione

La rotta indicata, le vele spiegate, l’ancora levata. Chi ha il coraggio di salpare? Di sicuro la strada non è semplice e i rischi saranno molti, ma usiamo la frase e il famoso aforisma di John A. Shedd come monito e come guida per il nostro percorso di trasformazione

Le navi sono sicure nel porto. Ma non è per stare in porto che sono fatte le navi.

Un report molto interessante e molto recente pubblicato dal MIT Sloan e da Deloitte University Press (per inciso lo trovate a questo indirizzo http://sloanreview.mit.edu/reports/shifting-social-business/), mostra come lo scenario del Social Business sia cambiato negli ultimi anni e quale direzione abbiano intrapreso le organizzazioni, passando da una fase più esplorativa a una più applicativa.
Molte cose sono cambiate e altre ancora ne verranno, ma in generale stiamo assistendo a un passaggio fondamentale nel modo di fare impresa e nell’industria del digitale.
Quello che prima era un mercato di nicchia e riservato a pochi, eletti e innovativi sperimentatori è – o perlomeno sta per – diventato mainstream e alla portata di tutti. In sostanza l’importanza del social business sta crescendo a fronte di maggiori investimenti, maggior spostamento di capitali in questa direzione e a fronte di un mutato scenario che consolida e rende ormai necessarie queste pratiche.

I modelli organizzativi sono cambiati, la consapevolezza degli utenti e dei dipendenti anche, le aziende stanno cominciando a non poterne fare a meno e chi – invece – persiste in un contesto “vecchio stile” ne subisce i limiti e le problematiche.
Tuttavia il cammino resta ancora lungo e molte sono ancora le cose che meritano di essere considerate, i passi da fare per la completa trasformazione digitale – come abbiamo ampiamente sottolineato anche in altre sedi – sono ancora molti.

Ma andiamo nel dettaglio dell’analisi del report cercando di estrarre i dati maggiormente significativi che emergono.
Nello specifico:

  • l’importanza del social business sta crescendo in modo esponenziale: nel 2011 era il 18% degli intervistati a considerarlo come “importante oggi”, mentre nel 2012 il numero e’ salito al 36%. La percezione di importanza nell’arco di un anno (2011-2012) è salita dal 40% al 54%.
  • La percezione è trasversale ai livelli aziendali e alle industry mostrando come queste soluzioni siano applicabili a differenti livelli e in diversi contesti.
  • La crescita e il progresso sono ancora lenti e i passi da fare sono ancora molti. Su una scala di maturità da 1 a 10 è solo il 17% a posizionarsi sul livello 7 o superiore.
  • Le barriere che stanno fronteggiando le organizzazioni nell’adozione di tecnologie di social collaboration e nell’evoluzione verso questi modelli sono molte e simili: mancanza di strategia (28%), troppe altre priorità competitive (26%) e mancanza di adeguati business case o seria value proposition (21%), che fanno perdere credibilità nei confronti di queste soluzioni, o ne abbassano lo slancio iniziale.
    Secondo Gartner l’80% delle iniziative di social business falliscono perché non sono in grado di coinvolgere direttamente i livelli più alti dell’azienda o in generale l’intero ecosistema organizzativo
  • Le aziende e le persone stanno comprendendo che il social business ha un valore essenziale per il miglioramento dei processi di business e dell’operatività quotidiana.
  • Per mantenere, iniziare, finanziare, sostenere e fare in modo che funzionino (lo ripetiamo ancora una volta) le iniziative di social collaboration richiedono un profondo coinvolgimento da parte del top management, una leadership coerente, la capacità di tracciare i risultati e di disegnare processi corrispondenti.

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  • Sempre più industry stanno comprendendo e cominciando a implementare al loro interno e sull’esterno soluzioni di social business. Se a guidare restano le solite note: Entertainment, Media e Publishing seguita da ICT e Communication, molte altre stanno crescendo sia in termini di desiderata sia in termini di progetti effettivamente svolti con questo approccio.
  • Il 65% delle aziende si trova in uno stato avanzato rispetto all’applicazione di tecnologie di social business sull’esterno dell’organizzazione, che si è mosso molto prima rispetto all’interno. E’ solo il 45% – infatti – ad essere attivo su questo versante.
  • Tra i fattori che impediscono maggiormente alle imprese di scalare e di trasformarsi realmente in un’impresa digitale emerge anche il ragionare per silos considerando – ancora oggi – dipartimenti come scollegati gli uni dagli altri e l’interno e l’esterno dell’azienda come due cose completamente differenti. Come sappiamo bene uno dei principi chiave della nuova evoluzione alla quale stiamo assistendo è proprio quella che vede l’abbattimento della distinzione manichea tra interno ed esterno dell’organizzazione (principi come quelli che ci insegnano i processi di Social CRM, Co-Design e Co-Creation hanno ormai mostrato come solo attraverso un coinvolgimento esteso siano possibili dei risultati).
  • I C-Level dell’azienda e i senior executive credono profondamente che il social business non sia solo la moda del momento o una rivoluzione del modo di comunicare ma una versa e propria trasformazione digitale verso un modo migliore di lavorare e di collaborare tra aziende e consumatori e tra colleghi.

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A seconda di quello che è lo stadio di avanzamento all’interno dell’azienda delle tecnologie di social collaboration e di social business si incontrano resistenze, problematiche e spunti differenti che sono ben riassunti in questa tabella qui sotto che riporta uno spaccato – a mio avviso – davvero molto molto interessante.
La tabella riporta – secondo il grado di maturità raggiunto dall’azienda – anche alcuni consigli e note che possono essere utili per capire quale sia la direzione corretta da intraprendere per un completo percorso di social business e digital transformation che coinvolga l’intera organizzazione.
Alcuni dei punti che emergono in maniera consistente:

  • Partire per gradi, identificando persone di riferimento e procedendo con pilot e con ordine in modo da offrire valore a quello che si sta concretamente facendo
  • Realizzare una strategia a lungo termine che consenta di scalare adeguatamente e di prevedere evoluzioni rispetto allo stato attuale
  • Prevedere strumenti di misurazione e di controllo dei KPI per poter cambiare strada in corso d’opera o comunque aggiustare il tiro delle iniziative valutandone efficacia ed efficienza
  • Partecipare in prima persone e condividere – socializzando – i successi ottenuti
  • Connettere sensibilmente il social business alle dinamiche organizzative e aziendale e ai concreti processi di business in modo da misurarne efficacia e coerenza con le direzioni aziendali.

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E in Italia? Cosa succede nel nostro paese?
Una domanda interessante a cui stiamo provando a dare risposta con la Social Collaboration Survey 2013 che abbiamo lanciato proprio nei giorni scorsi per mappare a quale livello di maturità si trovi il nostro paese.

Negli ultimi mesi mi è capitato di leggere e analizzare moltissimi report dedicati al social business e a come i nuovi strumenti digitali stiano modificando i contesti organizzativi nei quali – quotidianamente – ci muoviamo.
Come spesso emerge esiste però uno scollamento tra quanto si legge sui report e quanto in realtà sperimentiamo.
In questa direzione, una delle domande che mi viene fatta più spesso – anche quando in aula e mi capita di citare i grandi casi di successo – è proprio: “Ma in Italia?” 

Ciò che emerge è proprio questo: la mancanza di dati strutturati e sistematizzati sullo stato della social collaboration nel nostro paese.

Assieme a Emanuele Quintarellihttp://www.socialenterprise.it/ ) abbiamo deciso di colmare – o perlomeno di provare – questo gap, cercando di raccogliere dati significativi, imparziali e completi sull’evoluzione di questo mercato nel nostro paese. 
In questa direzione abbiamo quindi voluto realizzare una survey che indagasse lo stato dell’arte, gli ostacoli all’adozione di tecnologie e strategie di questo tipo, i desiderata, le applicazioni concrete e i trend futuri.

La Social Collaboration Survey 2013 si concentra quindi su 4 dimensioni fondamentali per la diffusione della social collaboration: cultura, organizzazione e processi, tecnologia, misurazione.

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Con quale scopo?

I vantaggi dell’avere dati aggiornati sono molteplici, sia per i consulenti che si muovono in questo settore sia per le aziende che avrebbero modo di capire:

  • Lo stato dell’arte rispetto ad altri paesi nel mondo cercando un confronto arricchente ed evolutivo
  • Il loro posizionamento rispetto ad altre realtà nazionali comparabili
  • Quali siano le best practice e gli errori da evitare nel caso maturi una volontà nell’evolvere verso soluzioni di questo tipo
  • In che modo vengano allocati e distribuiti i budget all’interno di iniziative di questo tipo
  • In che modo si comportino le differenti industry e se siano rintracciabili dei trend trasversali o dei fattori differenzianti significativi
  • Quali sono le figure aziendali coinvolte all’interno di strategie e iniziative di social collaboration
  • Fino a che punto si possa investire in questa direzione nel nostro paese: sia in termini di ritorno economico sia in termini di percezione da parte degli utenti
  • Quale sia lo stato attuale della collaborazione all’interno delle aziende italiane
  • La penetrazione di tecnologie in ambito mobile e all’interno del contesto lavorativo quotidiano

E’ per questi motivi che abbiamo scelto di realizzare un progetto completamente gratuito, senza fini di lucro e gestito interamente nel nostro tempo libero. I nomi dei partecipanti saranno mantenuti anonimi mentre gli esiti della raccolta dei dati e dell’analisi (che si chiuderà a Settembre 2013) verrano resi pubblici e condivisi liberamente. 

Proprio perché il successo di questa iniziativa – che reputiamo molto interessante e valida – dipende da tutti, noi vi chiediamo uno sforzo comune, una vera e propria chiamata alle armi per completare la survey e per farla circolare tra i vostri contatti.

Questa iniziativa è mossa da una sincera sete di conoscenza e di volontà di aiutare aziende, manager e consulenti che hanno scelto di intraprendere la via della trasformazione digitale della propria organizzazione.

Cosa ne dite? Siete dei nostri?
Contiamo su di voi!

Ecco di nuovo il link e grazie in anticipo!
Qui trovate anche il post di Emanuele con i riferimenti dell’indagine.