Archives For November 30, 1999

Un recente report di PwC esplora le sfide e le opportunità che il digitale sta aprendo nell’ambito del Retail nel nostro paese e – più in generale – in Europa (per maggiori informazioni e per il report dettagliato vi suggerisco di dare un’occhiata a questo link dove trovate la ricerca completa con tutti gli estratti utili ad ogni possibile approfondimento – http://www.pwc.com/it/it/industries/retail-consumer/total-retail.jhtml)

Cerchiamo di evidenziare i dati principali che emergono dall’indagine e dall’analisi.
Il report inizia con un assunto di base molto forte che – comunque – ci da’ una precisa indicazione di come sia attualmente il mercato nel nostro paese. Come si legge:

Abbiamo svoltato. Nel 2012 il consumatore italiano competente e attento alle tematiche digitali ha superato il 50% della popolazione. E il trend continua, statisticamente inarrestabile, guidato dal cambiamento delle abitudini di consumo e dalle spinte demografiche. Nel 2014 ci chiediamo quanto il settore Retail & Consumer, e il Made in Italy in particolare, siano in grado di competere con la rivoluzione digitale, che sta interessando sia Paesi sviluppati economicamente che quelli emergenti.

Il Social Customer di cui abbiamo più e più volte parlato anche in questa sede è diventato ormai realtà affermata nella maggior parte della nostra popolazione. I consumatori utilizzano – cioè e per farla breve – sempre di più i media digitali per orientare le proprie scelte di consumo e di acquisto.
I consumatori che impiegano il digitale sono, quindi, la maggioranza e per le aziende la direzione pare ormai tracciata con forza. La scelta – come abbiamo detto e sottolineato più volte – non è più sull’entrare o meno in certe logiche ma sul come entrarci al meglio generando il ROI tanto sperato.

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Più nello specifico è possibile tracciare alcuni punti chiave:

  • i canali digitali hanno creato un nuovo modello di consumatore, più consapevole, informato e attento, ma non solo: i medesimi strumenti e canali gli consentono anche di decidere liberamente del proprio customer journey in fase di acquisto o di considerazione di acquisto di un prodotto specifico. La barriera tra negozio digitale, touchpoint di ingresso, canale social e eCommerce acquista sempre meno peso. Il consumatore vuole essere libero di muoversi e la sfida è tutta per il brand che deve cercare di costruire un’esperienza utente che vada ben oltre la “semplice” multicanalità divenendo consistente sui differenti canali e efficace. 
  • I consumatori non fanno distinzione tra brand e distributore. I grandi canali di vendita online vengono trattati allo stesso modo, è l’esperienza migliore (non solo in termini prezzo) a garantire la scelta per uno o per l’altro ambiente.
  • I consumatori vogliono partecipare e discutere con i brand e con i retailer e chiedono di essere ascoltati.
  • Esistono delle preferenze tecnologiche che non possono essere ignorate e che devono essere prese in considerazione. I consumatori ricercano un’esperienza completa e la tecnologia deve abilitare questo tipo di flusso e di percorso per l’utente.

Più nel dettaglio il consumatore italiano presenta alcune aree specifiche di forte interesse che lo contraddistinguono rispetto a quello degli altri paesi che sono stati presi in esame con l’analisi.

  • E’ una figura relativamente nuova che ancora non ha piena consapevolezza del suo ruolo e del peso specifico che può avere come protagonista nel determinare la sua stessa esperienza
  • E’ tendenzialmente giovane o molto giovane
  • E’ propenso all’impiego di media e strumenti digitali all’interno del suo day-by-day
  • Mostra – rispetto ai colleghi europei e alle medie mondiali – una certa preferenza per il canale “diretto”, ricerca quindi come primo mezzo di contatto quello con il brand. E’ l’85% ad adottare questo atteggiamento contro il 75% della media (comunque alta) globale.

Che cosa significa questo in concreto per le organizzazioni?
Significa ripensare i propri modelli di contatto e di vendita ridisegnando il customer journey e ponendo l’utente davvero al centro di tutto il processo e del percorso di trasformazione.

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In questo senso come si legge:

I canali digitali hanno acquisito un’importanza sempre maggiore all’interno del consumer journey e oggi gli operatori non possono più permettersi l’assenza dal presidio di uno di questi punti di contatto.
Da un’analisi sui consumatori italiani, inoltre, emerge una particolare propensione all’utilizzo di device mobili, che rappresentano quindi una straordinaria opportunità di contatto.

1/3 dei consumatori del nostro paese utilizza i canali digitali come canale preferenziale per l’acquisto e lo shopping online, non importa quale sia la marca o la industry di riferimento.
Ma per quale motivo? Il 35% lo fa perché compara i prezzi scegliendo il migliore possibile anche quando si trova ancora in negozio. Il 70% è convinto di trovare prezzi più bassi in internet. La comodità (51%) è la seconda ragione principale e l’accesso 24/24 è preferito dal 30% dei rispondenti.

Un altro segnale – a mio avviso – molto interessante che emerge è il fatto che gli utenti scelgano volontariamente di fornire maggiori dati in cambio di offerte personalizzate e opportunità mirate di acquisto. Il processo è anche attivo all’inverso: il 69% dei consumatori ricerca notizie e informazioni sul brand attraverso i social media.

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Cosa occorre fare quindi?
Il mercato e il consumatore rispetto a qualche anno fa sono profondamente mutati e cambiati. Le organizzazioni non possono più stare al palo dell’innovazione. Intraprendere il cambiamento digitale con una solida e coerente strategia di posizionamento e di presenza online è uno step fondamentale da saper cogliere, il rischio non è solo quello di non essere innovativi ma quello di sparire dal mercato.

In questa e in altre sedi abbiamo spesso parlato di come il digitale e i processi social calati in contesti aziendali specifici (marketing, innovation, R&D…) siano in grado di creare valore e di migliorare notevolmente i processi facilitando alcuni asset fondamentali dell’organizzazione.

Che il digitale sia una leva strategica fondamentale per le imprese del presente e del prossimo immediato futuro non è – quindi – cosa nuova, né una notizia particolarmente sconvolgente. La scala sulla quale siamo coinvolti nel fenomeno è però aumentata notevolmente negli ultimi anni tanto da spingere Accenture a rilasciare nei mesi scorsi un report che titola “Every Business is a Digital Business”. Titolo sicuramente che attira l’attenzione ma che fa riflettere sulla portata del cambiamento del quale stiamo parlando.

La sfida, tra le varie informazioni contenute nel report di cui vi consiglio la lettura, sta appunto non più nell’avvicinarsi e nell’adottare il digitale come parte del proprio modus operandi (cosa che bene o male possiamo sostenere tutti quanti abbiano fatto o stiano facendo – anche solo per curiosità – negli ultimi anni) ma nell’evolvere i processi digitali portandoli ad una completa integrazione con quello che è il business “tradizionale”

L’evoluzione della collaborazione aziendale segue questo principio e le imprese del prossimo futuro saranno tanto più efficaci quanto sapranno capitalizzare al massimo la capacità di costruire ambienti connessi e in grado di muoversi in modo coordinato e coerente con tutto il proprio ecosistema (coinvolgendo sia i dipendenti all’interno, sia i consumatori all’esterno).

Social Collaboration

L’evoluzione è ben rappresentata dallo schema citato e ritorna anche nelle riflessioni che abbiamo condotto negli scorsi mesi parlando di Social Collaboration in Italia (http://socialcollaborationsurvey.it/), la nostra analisi ha mostrato che le organizzazioni più mature sono quelle in grado di misurare seriamente i risultati che vogliono ottenere e di strutturare un percorso concreto che le porta a connettere in modo sempre più profondo la social collaboration a processi core e strutturali dell’organizzazione.
In sostanza chi riesce meglio è chi ha compreso che la collaborazione e i processi digitali sono tanto più efficaci quando sono in grado di incidere in modo significativo sulla struttura stessa dell’azienda che li impiega.

Il report di Accenture si focalizza in particolar modo sulle cosiddette Life Science Business ma possiamo considerare gli insegnamenti riportati validi per qualunque tipo di industry, alcune – come quella citata e menzionata nello studio – sono sicuramente maggiormente esposte a sollecitazioni avendo quotidianamente a che fare con “clienti” finale e occupandosi di un tema particolarmente delicato.

I processi e le industry abbiamo visto essere trasversali rispetto anche a dimensioni, fatturato, dipendenti coinvolti e possibilità offerte. Nell’analisi condotta durante la Social Collaboration Survey ci siamo resi conto proprio di come il contributo che la trasformazione digitale è in grado di fornire all’organizzazione è di vasta portata e riguarda aspetti ben più profondi di quelli meramente tecnologici.

Come si legge nel report:

Riflettere – oggi – sulla Social Collaboration e sui temi della trasformazione digitale, significa non solamente prendere atto delle profondissime leve che stanno rifondando gli stessi concetti di strategia e competizione sui quali molti senior executive continuano a basare le proprie decisioni, ma anche – e soprattutto – acquisire un punto di vista finalmente più a misura d’uomo e più umano-centrico dell’organizzazione, nella convinzione che il prossimo futuro sarà più favorevole a coloro in grado di sfruttare l’enorme potenziale nascosto nell’energia, nella passione, nella motivazione e nella voglia di dare il massimo dei propri dipendenti.

Collaborare significa, in ultima istanza, motivare le persone a incidere positivamente sulle fondamenta dell’impresa, migliorando al contempo la qualità della propria vita.

Un profondo cambiamento quindi che riguarda l’intera impresa e in cui tutti gli attori che partecipano o ruotano a vario titolo nella creazione di valore sono coinvolti e devono sentirsi coinvolti.

Le aziende che hanno saputo e che sanno andare in questa direzione sono quelle che avranno maggiore successo nel prossimo futuro riuscendo a adottare meccanismi maggiormente resilienti ed efficaci in grado di modificare le condizioni esterne e trasformare qualunque difficoltà in una sfida e qualunque sfida in un’opportunità.

Da qualche mese ci siamo concentrati – come ben sapete – nella definizione del futuro della collaborazione nelle aziende del nostro paese. Lo studio (54 pagine di approfondimenti, spunti e grafici) – lo trovate, come ampiamente detto qui: http://socialcollaborationsurvey.it/. Disponibile in modo gratuito nell’intenzione di aumentare la consapevolezza sui nostri temi anche in questo paese.
Da poche ore è online anche uno studio di Deloitte realizzato per Google titolato: “Digital Collaboration. Delivering Innovation, productivity and happiness”. 

Ci sono però alcune differenze sostanziali che vorrei rimarcare e alcuni dati interessanti che emergono in modo interessante da entrambe le analisi.
Cerchiamo di approfondire.

Di sicuro ciò che emerge è che la dimensione della collaborazione in azienda è un asset fondamentale, trasversale e che promette di rappresentare una delle prossime sfide per le organizzazioni di tutte le dimensioni e industry, come a dire: collaborare o sparire.

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La collaborazione all’interno delle aziende è in grado non solo di migliorare il modo in cui le persone lavorano e di generare maggiori vantaggi per l’ecosistema aziendale (migliorando efficienza, servizio al cliente, capacità di fare innovazione, supporto e tanti altri processi aziendali) ma anche di rendere le persone più motivate, di migliorare la comunicazione tra dipendenti e di intensificare, in un certo senso,anche il benessere sul posto di lavoro.

Rispetto alla dimensione tecnologica ancora molto è, però, il lavoro da fare.
Dato trasversale che emerge dall’analisi di Deloitte e dalla nostra.

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Qui sotto invece la nostra analisi sulle medesime dimensioni e sull’uso delle tecnologie in contesti collaborativi

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E’ tuttavia sulla dimensione culturale il problema maggiore nell’adozione di processi di questo tipo. Ed è necessario fare una distinzione anche rispetto al come viene analizzata la social collaboration all’interno delle aziende.

La dimensione individuale, di come cioè la persona utilizza “nel suo piccolo” le tecnologie di collaborazione e digitali all’interno del contesto lavorativo, è sì importante, ma non sufficiente di per sé a spiegare correttamente la complessità degli attori in gioco.

E’ – infatti – necessario adottare differenti angolature per leggere il problema soprattutto rispetto a come la collaborazione interna alle organizzazioni può effettivamente impattare e modificare processi chiave per le aziende.
In che modo cioè questo modello e questo tipo di tecnologia riesce a cambiare il modo in cui le persone sono chiamate a lavorare.
Dimensione alla quale noi abbiamo dato molto peso all’interno della nostra analisi e che emerge in modo consistente da alcune grafiche realizzate, come quella che riporto qui:

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Di sicuro è vero quanto detto da Deloitte:

We are not suggesting that organisations embark on wholesale, top to bottom programmes to redesign around them, merely that collaboration tools are moved from the box marked “nice to have”, to the one marked “core applications”.

Si tratta quindi di andare davvero in profondità del processo di trasformazione e capire come sia possibile migliorare le organizzazioni in cui spendiamo buona parte della nostra vita (non solo lavorativa).

Tanto simili i titoli quanto distanti gli approcci, a testimonianza di come lo stesso tema possa essere declinato in modalità completamente differenti.
Qui siamo, quasi, a un approccio quasi antitetico rispetto al nostro. Una indagine analizza l’uso individuale che le persone fanno della tecnologia, l’altra l’uso organizzativo, con le ricadute e con i benefici in termini di processi aziendali core.
Maggiore focus – anche come è normale che sia – per la tecnologia nell’analisi di Deloitte, tecnologia che sappiamo essere fondamentale ma non indispensabile nel processo di trasformazione e che – anzi – può rappresentare un ostacolo se non correttamente declinata e calata nel contesto organizzativo a partire dalle esigenze delle persone e dagli obiettivi di business che si vogliono ottenere.

E’ quindi necessario un approccio maggiormente olistico che riesca a tenere insieme tutti i pezzi: dalla dimensione tecnologica a quella organizzativa, dai bisogni dell’individuo a quelli dell’azienda, dalla soddisfazione del singolo alla generazione di valore per tutto l’ecosistema dell’impresa. 

Il cambiamento non può che partire dalle persone per le persone.

Jacob Morgan – attento studioso dei trend delle organizzazione e autore di The Collaborative Organization – ha recentemente rilasciato un nuovo report Chess Media Group dedicato al futuro del lavoro e alla social collaboration all’interno delle aziende di tutto il mondo.

Cerchiamo di capire i macrotemi che emergono dal report.

Collaboration has moved beyond the hype and has become a powerful way to drive business forward

Più nello specifico:

  • La consumerizzazione dell’IT e la crescente economia digitale richiedono alle organizzazioni di riconfigurare il proprio modo di fare business e di lavorare. Si modificano le modalità con le quali le persone commentano, collaborano, discutono e si relazionano tra loro.
  • La collaboration all’interno delle organizzazioni ha smesso di essere considerata una moda o un fenomeno superfluo o passeggero e sta diventando a tutti gli effetti uno dei principali pilastri sui quali costruire l’azienda del futuro.
  • Le persone vogliono connettersi in modo rapido ed efficace ai propri colleghi, clienti e fornitori ed essere sempre più rapidi nel lavoro e più efficaci rispetto al proprio day by day. Gli strumenti di collaboration e di social enterprise divengono quindi un driver fondamentale per strutturare processi integrati che permettano di lavorare meglio e con meno fatica.
  • Secondo una ricerca IDC gli investimenti in social collaboration cresceranno da 800 milioni nel 2011 a oltre 4,5 miliardi entro il 2016.
  • Entro il 2020 più del 50% della forza lavoro degli US sarà composta dai millenials per i quali queste modalità di lavoro saranno ormai la normalità.
  • Il 36% degli intervistati dichiara di utilizzare strumenti di collaboration all’interno dell’azienda da oltre 3 anni, il 31% invece da almeno un anno. E’ quindi oltre 1 persona su 6 a impiegare queste soluzioni nell’operatività quotidiana (o ad averne avuto esperienza)
  • Il potenziale inesplorato della collaboration all’interno delle aziende è ancora molto: le funzionalità più importanti e la completa socializzazione dei processi non sono ancora state affrontate. Significativo notare come i livelli sui quali ci si è soffermati al momento sono prevalentemente quelli “base”
  • Una delle prossime e principali sfide (avvertita come urgente da oltre il 54% degli intervistati) sta nell’integrazione tra le diverse soluzioni e differenti piattaforme che devono – all’atto pratico – risultare invisibili all’utente.
  • Abbattimento delle barriere e dei silos, è oltre il 49% degli utenti a ricercare e a volere un canale costante di dialogo con la C-Suite: con i livelli più alti dell’azienda e con chi ha un potere decisionale. La collaborazione e il lavoro del futuro – vale la pena ripeterlo – passa dall’informalità dei processi.
  • Il social funziona! E’ l’85% delle persone a ritenere che sarebbe meno efficace se non avesse questi strumenti a disposizione.
  • Non solo online: momenti di condivisione e workshop formativi rappresentano dei punti fondamentali per l’impostazione di una strategia efficace e in grado di migliorare il modo in cui lavoriamo.

Social Collab

  • Dinamiche e innesti interessanti si leggono anche nel trend legato al BYOD (Bring Your Own Device): le persone che lavorano in un’azienda che consenta questa politica
  • Le aziende stanno cominciando ad adottare modalità di lavoro più flessibili e più aperte che consentono una gestione maggiormente autonoma del lavoro. E’ addirittura l’81% delle aziende ad adottare questo tipo di modalità di lavoro o perlomeno ad avere in progetto pratiche che consentano di farlo nel breve termine.
  • Lavorare sul workplace aziendale per renderlo migliore: funziona non solo in termini di strategie per i propri dipendenti, ma anche – e soprattutto – per poter creare sinergie e strategie con i talenti sul mercato ed essere in grado di attrarli e trattenerli in modo molto più efficace.

Social Collab

Quali strategie adottare per massimizzare la propria efficienza e la propria capacità di costruire business?

  • Il ruolo dei leader e dei C-Level è fondamentale e deve servire come esempio e modello per gli altri. Non si tratta di pura retorica ma l’impiego efficace di strategie che consentano un coinvolgimento esteso dell’ecosistema aziendale che parta dalle risorse più importanti per costruire progetti concreti.
  • Coinvolgere tutti in dipendenti e partire dalle loro esigenze per la configurazione di nuovi ambienti di lavoro collaborativi
  • Non dimenticare la dimensione IT che risulta una componente strategica e fondamentale per fare in modo che le cose funzionino adeguatamente
  • Creare una serie di politiche BYOD che consentano l’impiego di queste strategie in modo regolamentato dando occasione ai dipendenti di capire e utilizzare il modello in modo sicuro e massimizzandone l’efficienza
  • Realizzare politiche e sistemi di ricompensa che permettano di valorizzare nuove modalità di lavoro e incentivino la collaborazione sulla competizione, che consentano l’emersione di modalità di lavoro differenti e sappiano riconoscere anche iniziative parallele dei dipendenti laddove queste insorgano.

Negli ultimi mesi mi è capitato di leggere e analizzare moltissimi report dedicati al social business e a come i nuovi strumenti digitali stiano modificando i contesti organizzativi nei quali – quotidianamente – ci muoviamo.
Come spesso emerge esiste però uno scollamento tra quanto si legge sui report e quanto in realtà sperimentiamo.
In questa direzione, una delle domande che mi viene fatta più spesso – anche quando in aula e mi capita di citare i grandi casi di successo – è proprio: “Ma in Italia?” 

Ciò che emerge è proprio questo: la mancanza di dati strutturati e sistematizzati sullo stato della social collaboration nel nostro paese.

Assieme a Emanuele Quintarellihttp://www.socialenterprise.it/ ) abbiamo deciso di colmare – o perlomeno di provare – questo gap, cercando di raccogliere dati significativi, imparziali e completi sull’evoluzione di questo mercato nel nostro paese. 
In questa direzione abbiamo quindi voluto realizzare una survey che indagasse lo stato dell’arte, gli ostacoli all’adozione di tecnologie e strategie di questo tipo, i desiderata, le applicazioni concrete e i trend futuri.

La Social Collaboration Survey 2013 si concentra quindi su 4 dimensioni fondamentali per la diffusione della social collaboration: cultura, organizzazione e processi, tecnologia, misurazione.

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Con quale scopo?

I vantaggi dell’avere dati aggiornati sono molteplici, sia per i consulenti che si muovono in questo settore sia per le aziende che avrebbero modo di capire:

  • Lo stato dell’arte rispetto ad altri paesi nel mondo cercando un confronto arricchente ed evolutivo
  • Il loro posizionamento rispetto ad altre realtà nazionali comparabili
  • Quali siano le best practice e gli errori da evitare nel caso maturi una volontà nell’evolvere verso soluzioni di questo tipo
  • In che modo vengano allocati e distribuiti i budget all’interno di iniziative di questo tipo
  • In che modo si comportino le differenti industry e se siano rintracciabili dei trend trasversali o dei fattori differenzianti significativi
  • Quali sono le figure aziendali coinvolte all’interno di strategie e iniziative di social collaboration
  • Fino a che punto si possa investire in questa direzione nel nostro paese: sia in termini di ritorno economico sia in termini di percezione da parte degli utenti
  • Quale sia lo stato attuale della collaborazione all’interno delle aziende italiane
  • La penetrazione di tecnologie in ambito mobile e all’interno del contesto lavorativo quotidiano

E’ per questi motivi che abbiamo scelto di realizzare un progetto completamente gratuito, senza fini di lucro e gestito interamente nel nostro tempo libero. I nomi dei partecipanti saranno mantenuti anonimi mentre gli esiti della raccolta dei dati e dell’analisi (che si chiuderà a Settembre 2013) verrano resi pubblici e condivisi liberamente. 

Proprio perché il successo di questa iniziativa – che reputiamo molto interessante e valida – dipende da tutti, noi vi chiediamo uno sforzo comune, una vera e propria chiamata alle armi per completare la survey e per farla circolare tra i vostri contatti.

Questa iniziativa è mossa da una sincera sete di conoscenza e di volontà di aiutare aziende, manager e consulenti che hanno scelto di intraprendere la via della trasformazione digitale della propria organizzazione.

Cosa ne dite? Siete dei nostri?
Contiamo su di voi!

Ecco di nuovo il link e grazie in anticipo!
Qui trovate anche il post di Emanuele con i riferimenti dell’indagine.