Archives For November 30, 1999

Un report molto interessante di Ernst & Young uscito qualche mese fa, mette in luce alcuni aspetti chiave che la digital transformation sta portando all’interno del nostro modo di concepire servizi, prodotti e intere aziende.

Il digitale sta impattando in modo significativo non solo su una dimensione di cambiamento tecnologico ma anche su una dimensione culturale forzando moltissimo le logiche alle quali eravamo – fino a poco tempo fa – abituati.

“There is no map, and charting a path ahead will not be easy. We will need to invent, which means we will need to experiment.”

– Jeffrey P. Bezos

Cerchiamo di analizzare più nel dettaglio quelli che sono i dati che emergono dall’analisi del report:

  • il 65% dei leader nel digitale si dice pronto a spegnere gli investimenti nei media tradizionali a favore di quelli online. Una vera e propria rivoluzione che vede lo spostamento di logiche e di pesi che fino a qualche mese fa sembravano essere consolidati e intoccabili.
  • Il digitale impatta a 360° sull’organizzazione, non ci sono aree di prodotto o di servizio che non sono toccate dal fenomeno. Soprattutto i leader nell’area del digitale sono convinti che tutti gli aspetti dell’organizzazione possano essere non solo influenzati, ma anche migliorati dall’introduzione di strategie e approcci digitali.

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  • Un altro tema molto importante e centrale sul quale si concentra l’analisi è quello del rischio: quali rischi si devono prendere in considerazione nel momento in cui si intraprende un percorso di trasformazione di questo tipo?
  • Ancora una volta, casomai ci fosse ancora bisogno di sottolinearlo, il ruolo della misurazione e degli analytics è di fondamentale importanza, serve – infatti – che ci sia un costante controllo su quello che si sta facendo, ma non solo: le tecnologie digitali, per loro stessa natura, sono molto più facilmente misurabili, gli investimenti si tracciano in modo più rapido, in tempo reale e i processi possono essere tenuti sotto costante osservazione senza troppi sforzi.
    I leader si distinguono da coloro che non riescono ad avere successo anche per questa capacità di misurare, tracciare e darsi obiettivi che vanno verificati costantemente nel tempo.
  • Il ruolo dei big data e degli analytics è fondamentale anche sull’esterno, sempre più aziende e organizzazioni stanno utilizzando i media digitali come mezzo per conoscere al meglio il proprio consumatore e servirlo al meglio, sia in termini di vendita sia in termini di customer care. In generale le leve del digitale accompagnano il percorso dell’utente lungo tutto la sua esperienza
  • il  mobile gioca un ruolo sempre più decisivo e nella maggior parte delle strategie dei leader è ormai uno dei pilastri della presenza digitale. 
  • L’85% dei leader crede che la relazione diretta con il consumatore sia un asset fondamentale sul quale investire e verso il quale andare. La relazione one-to-one con il cliente diventa una priorità per moltissime organizzazioni che ne hanno capito l’importanza strategica, non solo per conoscere meglio il mercato e i desiderata del proprio cliente ma anche per coinvolgerlo in modo attivo e proattivo all’interno della generazione di valore nell’ecosistema organizzativo.
  • Un buon numero di aziende hanno già reso il Social Business una realtà, moltissimi stanno investendo nel creare una relazione inclusiva, totale e completa – e anche di valore – con i propri clienti e consumatori.
    Il cliente non è più qualcuno a cui semplicemente vendere il proprio prodotto o servizio ma è qualcuno da coinvolgere nel processo di definizione della strategia dell’azienda.

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  • La direzione dei leader è quella dell’integrazione dei canali e dell’esperienza. Sempre più organizzazioni specie nell’area dei cosiddetti leader hanno compreso l’importanza di avere una strategia di comunicazione e di contatto con i clienti e con tutti quelli che ruotano intorno all’organizzazione sempre più univoca e integrata.
  • I social network sono visti sempre di più come distributori di contenuto e casse di risonanza per la strategia di presenza online del brand. Il loro contributo atteso si pensa debba aumentare nel 22% nel giro dei prossimi 2-3 anni. 
  • Sempre più organizzazioni si stanno creando il loro media attraverso il quale distribuire informazioni e contenuti ai propri clienti, bypassando le logiche delle media company. La direzione – specie per i brand più grossi – è quella identificata di integrare sistemi e crearsi i propri canali di contatto mirato, utilizzando quanto offerto dagli altri media (paid, earned) come punti di appoggio e di rilancio per amplificare il messaggio condiviso.
  • Il 64% delle organizzazioni è convinta che creare una cultura digitale sia il primo step di una strategia. I leader l’hanno capito: solo con la dimensione tecnologica non si va da nessuna parte. Senza una strategia di change management e di presenza corretta sulla dimensione culturale non è possibile che i progetti di digital transformation abbiano il successo che speriamo o raggiungano gli obiettivi che ci siamo prefissati. Ancora una volta le persone devono essere messe al centro del percorso di trasformazione.

Una direzione ben tracciata quindi che deve essere condivisa e intrapresa con forza da tutti coloro che intendano seriamente applicare la digital transformation a supporto delle proprie strategie e processi di business.

Come ogni anno, anche per il 2014, è uscito il nuovo report sullo stato del Community Management di Community Roundtable, si tratta di un importante contributo legato non solo al mondo – per l’appunto – del community management, ma – molto più in generale – a come i processi di social business e digitali (più in generale) stiano contribuendo a modificare le organizzazioni nelle quali lavoriamo.

Cerchiamo di analizzare insieme alcuni dei dati che emergono dalla lettura del report.
Per chi fosse interessato all’approfondimento l’interessante ricerca è disponibile in formato completamente gratuito sul sito ufficiale di Community Roundtable al quale vi rimando per ulteriori considerazioni.

Ecco alcune delle informazioni chiave che meritano di essere messe in luce:

  • le community più mature sono quelle in grado di generare valore di business e di far ottenere impatti significativi in termini di efficientamento dell’organizzazione e incremento delle performance.
  • Chi è più maturo nel percorso di digitalizzazione è anche più avvezzo alla misurazione e all’ottenimento degli obiettivi preposti in fase progettuale. In sintesi: sanno dove andare e sanno come arrivarci, difficilmente si perdono per strada perché controllano spesso bussola e carte nautiche.
  • L’engagement e il livello di partecipazione all’interno delle community e degli ambienti digitali è fortemente influenzato sia dai ruoli dei community manager (che sono essenziali in ogni progetto) sia dal ruolo degli advocate e dei promotori del cambiamento.
  • La partecipazione dei c-level aziendali è un indicatore di maggiore successo e una sicura strategia per garantire un impatto ancora più significativo in termini di resa dell’intera iniziativa.
    La partecipazione dell’esecutivo inoltre garantisce un maggiore rispetto della roadmap e un raggiungimento migliore degli obiettivi prefissati. Chi riesce e chi ha successo unisce, dunque, due tipologie di approccio: da un lato spinge dal basso coinvolgendo tutti i dipendenti e dall’altro tira dall’alto assicurandosi di avere a bordo anche i manager dell’organizzazione.
  • Le community interne ed esterne sono molto simili tra loro ma presentano alcune differenze nei ruoli. Chi lavora sull’esterno sembra – infatti – aver compreso meno il ruolo chiave dei community manager. Anche l’engagement sull’interno è solitamente più elevato ma non come si pensava potesse essere.

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Il report si concentra poi su alcune raccomandazioni da seguire per la realizzazione di una strategia di successo che incrementi l’adozione della community e favorisca anche il raggiungimento degli obiettivi di business.

Gli step e i consigli da seguire per assicurarsi il successo dell’iniziativa sono:

  • Partire dall’assessment e comprendere fattori critici di successo e possibili problemi che possono derivare dall’adozione o meno della soluzione prospettata. 
  • Sviluppare un piano a medio e lungo termine (una roadmap in gergo) che consenta di darsi obiettivi, misurarli e fare costantemente il punto nave per capire dove stiamo andando e dove vogliamo arrivare, ma anche a che punto siamo del nostro percorso di evoluzione
  • Assicurarsi uno staff di community manager: non è sufficiente dedicare risorse part time o ritagliare tempo ad altri progetti. Le risorse devono essere staffate, formate e devono essere in grado di dedicare del tempo al progetto per poterlo fare crescere.
  • Garantirsi la sponsorship e coinvolgere in modo attivo al tempo stesso tutto il top management, formandolo e accompagnandolo nel percorso di trasformazione mostrando il valore e i benefici tangibili che queste iniziative possono portare e generare all’impresa e a tutto l’ecosistema organizzativo.
  • Assegnare responsabilità di progetto molto ben precise e mostrare chi siano le figure chiave che incidono sulla community: trasparenza e riconoscimento sono – in questo senso – le parole chiave.
  • Responsabilizzare tutti i membri dell’organizzazione nel prendere parte attiva al processo di trasformazione. che – lo ricordiamo ancora una volta, non è meramente tecnologico ma culturale in primis.
  • Content is (still) the king! Continuare a produrre contenuto e sviluppare del valore per le proprie community, siano esse esterne o interne all’organizzazione. E’ importante comprendere che la community diventa attività e riesce a raggiungere obiettivi di business se le persone al suo interno percepiscono un valore in quello che stanno facendo e un valore per tornare a confrontarsi all’interno della community. 
  • Organizzare un calendario editoriale in questo senso è un ottimo ausilio eccellente per garantire il mantenimento costante e sempre aggiornato del contenuto.
  • Trasparenza e ancora trasparenza. Non solo in termini di riconoscimento dei dipendenti e dei consumatori che eventualmente partecipano ma anche di normative e regole. Le community di successo e quelle maggiormente avanzate sono anche quelle che presentano strumenti di policy avanzata che sono in grado di promuovere i comportamenti ideali e limitare quelli negativi.
  • Assicurarsi un piano B! O meglio: assicurarsi un piano di crisi in grado di far fronte a possibili emergenze e problemi e in grado di rispondere per tempo per arginare i problemi in modo rapido e incisivo.
  • La scelta della dimensione tecnologica non è meno importante: è necessario fare la scelta più adeguata rispetto agli obiettivi di business che si vogliono ottenere ed è anche necessario che lo strumento sia allineato con la visione della community e sia in grado di coprire i requisiti che abbiamo ipotizzato in fase progettuale.
  • Misurare e misurare sempre: le organizzazioni maggiormente mature e i progetti di successo si distinguono – tra le altre cose – da quelli che non hanno successo per una attenzione molto molto forte al processo di monitoraggio e di misurazione di quanto accade. Nulla avviene per caso e tutto viene controllato per garantire l’allineamento con gli obiettivi di business e per intervenire in modo puntuale e mirato in caso di scostamenti.

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In questo senso risultano molto interessanti parecchi dati che testimoniano per altro un allineamento con quanto emerso dalla Social Collaboration Survey a livello italiano.

La direzione sembra quindi essere tracciata in modo molto molto preciso e definito. Non resta quindi che intraprendere in modo concreto il percorso consapevoli di come i risultati non siano più ormai solo sperimentali o aleatori ma possano incidere in modo davvero significativo sul nostro modo di concepire le organizzazioni.

Un report di Forbes in collaborazione con Ernst & Young analizza la dimensione sempre più preponderante che la customer experience sta assumendo nella definizione del business delle nostre organizzazioni.
Vediamo quali sono le informazioni principali che emergono dall’analisi del report.

  • il 69% dei Chief Marketing Officer intervistati crede che la customer experience sia di vitale importanza per riuscire a generare valore e profitti all’interno dell’azienda.
  • il 66% delle aziende ritiene anche che il ruolo del coordinamento interno (quindi sul versante della collaboration) sia di importanza altrettanto fondamentale per garantire il successo delle iniziative e per fare in modo di differenziarsi rispetto ai competitor, incrementando la qualità del servizio offerto.
  • E’ solo il 12% delle organizzazioni a utilizzare in modo efficace gli analytics e la business intelligence per orientare la strategia di marketing
  • Le organizzazioni maggiormente evolute e i best-in-class hanno capito che la sfida del futuro si gioca sulla definizione il più possibile perfetta dell’esperienza utente.
  • Più si è in grado di realizzare e disegnare esperienze integrate e significative e più si è efficaci sul mercato e in termini di generazione di valore.

The ultimate goal of marketing is to create a personalized experience and a relevant experience—that is kind of nirvana. As a brand, we need to demonstrate, even though we have tens of millions of visitors to our website, that we know them.

— ANN LEWNES, ADOBE

  • A sorpresa non sono poche le aziende che hanno compreso che non si può essere social a metà. In questo senso per molti  il Social Business è già una realtà affermata, la connessione tra processi di comunicazione, di marketing e di progettazione di ecosistemi esterni per i consumatori e la collaborazione all’interno dell’impresa sembra essere un punto di attenzione fondamentale.
    Le organizzazioni che performano meglio sono quelle che hanno capito l’importanza di lavorare su entrambi i versanti e vedono nella collaborazione interna all’impresa un sicuro driver per migliorare e catalizzare le possibilità di successo.

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  • Le sfide maggiori sembrano essere quelle che conosciamo molto bene: la barriera culturale, la mancata comprensione della priorità di queste iniziative e il ragionare ancora per silos. Per molti – ancora per troppi – le barriere di adozione con le quali ci si scontra e che impediscono il successo sono sempre le solite.
    Tanti ancora non sanno ragionare in modo integrato e i dipartimenti aziendali, le linee di business che dovrebbero partecipare alla tavola decisionale restano ancora ai margini. L’organizzazione ha ancora dei muri al suo interno che impediscono: socializzazione dei processi, circolazione della conoscenza e efficacia strategica in grado di portare risultati di business concreti e misurabili (ma anche apprezzabili). Abbattere queste barriere è – oggi più che mai – di fondamentale importanza per avere successo e riuscire dove molti hanno fallito o si sono – semplicemente – arenati.
  • Il tema della dimensione IT è ancora forte: non dobbiamo dimenticare l’IT che gioca un ruolo ancora chiave sia nel processo di adozione delle tecnologie e degli approcci digitali sia nel ruolo di ostacolo e di barriera nel momento in cui le cose vanno male.
    Si tratta di una leva molto importante che non va sottovalutata e deve essere sempre tenuta presente.

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  • Pochissime aziende stanno utilizzando il social listening e un approccio agli analytics intelligente. La enorme molte di informazioni in tempo reale che i digital media mettono a nostra disposizione è capitalizzata ancora da un numero troppo modesto di organizzazioni, solo in pochi ascoltano in modo attivo quello che fanno i consumatori e solo pochi utilizzano queste informazioni per essere efficaci sul mercato e per deliverare valore
    Sul tema date un’occhiata a questo video e provate a chiedervi: quante organizzazioni fanno quello che fanno loro?
  • Anche le aree di investimento dei CMO rappresentano un punto interessante sul quale riflettere. Le torte sotto-riportate mostrano molto bene quello che stiamo dicendo. Le strategie digitali di successo nel prossimo futuro saranno quelle in grado di integrare il più possibile i canali e gli ambienti digitali che un brand ha a disposizione nella realizzazione di una esperienza utente che sia davvero integrata e multicanale.

Schermata 2014-05-02 alle 23.27.15Cosa dovrebbero fare – dunque – le organizzazioni che intendono avere successo in questo settore e che hanno intenzione di fare del digitale la leva strategica per il successo nel breve e nel lungo periodo?

  • Partire dal social media listening. L’ascolto delle conversazioni e l’analisi dei comportamenti dei consumatori è il primo punto per l’impostazione di una strategia digitale integrata ed efficace che sia in grado di poggiarsi su solide basi.
  • Valorizzare il consumatore e dare ai clienti la possibilità di far sentire la propria voce e di partecipare attivamente alla generazione di valore del brand.
    Oggi i clienti e i consumatori sempre più digital e sempre più social, vogliono partecipare in modo attivo e creativo a tutte quelle che sono le iniziative e le attività del brand. E’ importante dar loro la possibilità di farlo.
  • La customer experience non è un percorso lineare ma un continuum, l’esperienza si realizza all’esterno dell’organizzazione così come anche all’interno dell’azienda. Chi l’ha capito e sta avendo successo ha digitalizzato completamente i processi.
  • Le organizzazioni devono abbattere le barriere interne e devono collaborare per avere successo.
  • Le strategie che hanno successo si poggiano su un’integrazione di strumenti e di approcci.
    Non più solo social o mobile, ma tutti i canali i touchpoint e le properties del brand si devono coordinare per muoversi in sincronia e raggiungere gli obiettivi strategici che si sono prefissati, con azioni tattiche anche diverse ma con la consapevolezza di dover realizzare un unico percorso utente.
  • Gli analytics giocheranno un ruolo sempre più fondamentale, le aziende dovranno in modo sempre più significativo darsi obiettivi e misurare. Il digital non è più moda o sperimentazione: servono obiettivi misurabili e tangibili che devono essere raggiunti attraverso precise roadmap di progetto.

Alzi la mano chi, negli ultimi anni, non ha pensato che la mail fosse morta (per chi avesse dei dubbi sul tema basta una veloce ricerca su Google, che fa emergere – tra le altre cose – un articolo del Wall Street Journal), o se non altro che non fosse altro che un canale completamente superato per contattare i consumatori e per favorire la fase di acquisto o anche solo il “traghettamento” verso altri touchpoint dell’azienda.

Abbiamo tutti pensato che Facebook e la grande “famiglia” dei social network fosse destinata a soppiantare qualunque altra logica di contatto e di comunicazione con il cliente. Accompagnati da questa chimera e sostenuti dal mito dei social media come earned media (ambienti dove fosse cioè possibile ingaggiare il consumatore e costruire con lui un dialogo significativo senza dover investire nulla e a costo zero) abbiamo speso buona parte delle nostre risorse nella creazione, nel mantenimento e nella definizione di una strategia social e adesso abbiamo anche una pagina (magari) che ha molti più fan di quelli che eravamo in grado di raggiungere con la sola mail (o così ci può sembrare).
A quanto pare un sogno, salvo poi svegliarsi di soprassalto nel momento in cui si scopre che Facebook decide di cambiare le logiche del gioco.

Metafore a parte alcuni recenti studi e ricerche internazionali mostrano come l‘eMail rappresenti – ad oggi – un canale di contatto estremamente efficace per la generazione di revenue delle aziende.

Il primo studio di riferimento è quello pubblicato da McKinsey Global Institute di qualche mese fa.
Il tutto è riassumibile molto molto bene all’interno di questa immagine:

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L’incredibile crollo dei social media come strumenti per generare reach organico e per convertire i consumatori non solo non è cambiato negli anni ma ha visto un peggioramento a fronte di una crescita costante YoY della mail.

Come si legge nell’approfondimento:

E-mail remains a significantly more effective way to acquire customers than social media—nearly 40 times that of Facebook and Twitter combined (exhibit). That’s because 91 percent of all US consumers still use e-mail daily, and the rate at which e-mails prompt purchases is not only estimated to be at least three times that of social media, but the average order value is also 17 percent higher.

A conclusioni molto simili arriva anche E-Consultancy con uno studio altrettanto interessante correlato alla dimensione di vendita, sottolineando proprio come la mail possa rappresentare, in questo senso, il canale primario e maggiormente efficace.
Vediamo alcuni dei dati che emergono dall’analisi e che sono sicuramente interessanti:

  • l’efficacia percepita della mail è migliorata del 28% di anno in anno.
  • Il 68% delle aziende intervistate considera e valuta la mail come un canale “buono” o “eccellente” per raggiungere i propri obiettivi di vendita e conversione del cliente.
  • Il numero è estremamente più basso se prendiamo in considerazione i social media dove è solo il 7% a fronte di un 22% per la mail a considerarli un canale utile per il raggiungimento del tanto agognato ROI.
  • Le aziende attribuiscono il 23% delle vendite alla mail, nel 2013 questo numero era solo al 18%.
  • Le aziende stanno spendendo relativamente poco budget nella mail: solo il 16% delle risorse del marketing sono destinate a questo tipo di approccio

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Che cosa significa?
Dobbiamo buttare tutto quanto fatto fino ad adesso sui social media? Ovviamente no. Le migliori strategie digitali, come più volte sottolineato sono quelle che sono in grado di integrare differenti dimensioni e differenti approcci al mercato.
Il tema dei social media è importante – sicuramente – ma lo sono altrettanto anche processi di ricontatto mirato tramite mail, advertising, organic search e SEO, e via dicendo. Le buone strategie digitali (che sono poi quelle che sono in grado di portare risultati di business oggettivi e concretamente misurabili e non solo fan) sono quelle che sono capaci di integrare i diversi canali, le differenti soluzioni e di offrire un customer journey il più possibile univoco e significativo.

Ancora una volta: l’obiettivo strategico guida lo strumento segue. 

Altimeter – azienda leader a livello mondiale nella consulenza sui temi digitali – ha recentemente rilasciato un report dedicato alla digital transformation e a come le organizzazioni si stanno adattando alle sfide che il digitale, costantemente, propone.

Il report è disponibile gratuitamente qui: http://www.altimetergroupdigitaltransformation.com/

Cerchiamo di analizzarne le dimensioni principali e di capire come questo fenomeno stia impattando in modo significativo sul nostro modo di concepire le organizzazioni e di fare business generando valore all’interno dei nostri ecosistemi.

  • La digital transformation non è una moda, non si tratta di un fenomeno passeggero o di qualcosa destinato a finire in breve tempo. Stiamo parlando di un fenomeno che in modo profondo ha modificato – e modificherà sempre di più – il nostro modo di lavorare.
    Per molte organizzazioni – le maggiormente mature dal punto di vista del “cammino digitale” – il percorso e la strada sono già avviate da tempo. Il tema in oggetto non riguarda le dimensione tecnologica, non si tratta di un processo IT-driven ma di un vero e proprio cambiamento delle organizzazioni che si stanno radicalmente trasformando.
  • Il focus è sul consumatore. Ancora una volta le logiche del social customer di cui abbiamo più volte parlato stanno dettando le regole del gioco. Il mercato è cambiato, i consumatori non sono più gli stessi a cui siamo abituati e le nostre aziende stanno adottando metodi e strategie sempre differenti per riuscire a stare al passo con il mercato.

Come si legge anche nel report:

Digital transformation is a result of businesses seeking to adapt to this onslaught of disruptive technologies affecting customer and employee behavior. As technology becomes a permanent fixture in everyday life, organizations are faced with an increasing need to update legacy technology strategies and supporting methodologies to better reflect how the real world is evolving. The need to do so is becoming increasingly obligatory. 

La sfida è quindi una sfida obbligatoria, non si tratta più di scegliere come muoversi nel digitale ma solo di comprendere il modo migliore per farlo.

  • I benefici della digital transformation si riflettono a differenti livelli e non riguardano solamente l’esterno dell’azienda. Le organizzazioni – infatti – stanno utilizzandola per avere una visione migliore del cliente, per promuovere una cultura innovativa, partecipata, per rendere l’organizzazione più flessibile e resiliente, per motivare i dipendenti e stimolare un ambiente collaborativo che generi maggior profitto e maggior valore, per incrementare l’efficenza e per essere maggiormente efficaci nella conversione, nell’attrazione e nel trattenere clienti, dipendenti e consumatori.
  • La digital transformation presenta alcuni inibitori e alcuni catalizzatori che possono garantirne il successo o assicurare il fallimento di progetti anche maturi. Per le aziende diventa necessario assumerne la piena consapevolezza, sfruttando le forze degli uni e abbandonandone le debolezze degli altri.

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  • C’è ancora molta disconnessione tra l’interno e l’esterno. Le organizzazioni riflettono, ragionano e si muovono ancora secondo logiche gerarchiche, lente, strutturate e i silos, le barriere che si trovano a dover affrontare impediscono loro di essere efficaci come potrebbero essere e di realizzare un’esperienza utente davvero significativa, integrata e irripetibile come quella che viene richiesta dal mercato per competere in un contesto estremamente complesso e articolato come quello in cui viviamo. Ancora una volta, la mano destra non sa quello che fa la sinistra.
  • In molti non hanno ancora capito l’importanza del budget e delle risorse. Non c’è nulla da fare. Per realizzare un progetto di digital transformation efficace servono risorse, serve tempo, serve una roadmap chiara e degli obiettivi definiti. Le risorse giocano un ruolo chiave nel successo o nel fallimento del progetto. Coinvolgerle sin dall’inizio e prevedere i corretti investimenti sin dal giorno 0 è sicuramente un passo fondamentale da fare per garantirsi il successo.
  • Serve un business case! Dobbiamo provare che “questa roba funziona”!. Nel percorso verso la digital e social business transformation le aziende vogliono – oggi molto più che in passato – risultati e obiettivi concreti e misurabili, vogliono – in altre parole – capire quale sia il ROI di questo processo.
    In un progetto molto recente che sto seguendo mi sono trovato in una situazione simile. Mostrare il valore tangibile e il ritorno effettivo di una iniziativa di trasformazione digitale del workplace aziendale. Calcolare costi e benefici di modelli di questo tipo non è sempre facile, ma deve essere sicuramente fatto per poter garantirsi il successo dell’iniziativa, lo sponsorship – fondamentale per la riuscita del progetto – del top management. Comprendere i benefici organizzativi e tangibili che la collaborazione e il digitale è in grado di realizzare è poi utile per far passare il messaggio che questo tipo di processi non sono affatto qualcosa di naive ma strategie che possono (e devono) avere ricadute concrete sui processi di business e sulle performance aziendali.
  • Il ruolo della customer experience è ancora cruciale e non va affatto sottovalutato. Buona parte delle organizzazioni – anche tra quelle maggiormente mature – non è ancora in grado di scaricare a terra completamente il valore che queste iniziative dovrebbero garantire.
    Questo accade perchè non sono ancora capaci di garantire una esperienza utente a 360° che sia in grado di rispondere alle effettive esigenze del consumatore, che sia in grado di seguirlo lungo tutti i touchpoint che lo riguardano e che sia in grado di realizzare davvero un percorso digitale end-to-end che vada dalla fase di conoscenza/considerazione a quella dell’assistenza e della fidelizzazione post vendita.

Il ruolo del management è chiave. Connettere il digitale a quelli che sono i bisogni organizzativi concreti e le sfide della c-suite consente di uscire da un mercato di nicchia e risolvere i veri ed effettivi problemi dell’organizzazione. Non si fa digitale perché è bello farlo o perché si deve fare; si fa perché è funzionale al raggiungimento degli obiettivi di business. 

To make headway requires strategists to deliver proof by speaking the language of the C-suite and conveying “big picture” impact.
Digital transformation can’t happen without a leader who stirs the pot and rallies stakeholders toward action.

L’agenda proposta da Altimiter si poggia su tre aspetti chiave e fondamentali: leadership, team e esperienza utente.

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Personalmente condivido buona parte dei contenuti del report ma credo che – di base – manchi un focus maggiore sulla dimensione interna. Se è vero – come è vero e come dimostrano anche altre ricerche in questo senso – che il lavoro sull’interno è importante tanto quanto quello sull’esterno, allora sono dell’idea che serva un maggiore focus sulla dimensione di social e digital collaboration, un focus maggiore sulla social enterprise e sulla capacità che possono avere le organizzazioni di generare valore, capitalizzare conoscenza e “lottare” insieme per un obiettivo comune.

Se si riesce a capitalizzare l’energia, la motivazione, il coinvolgimento dei dipendenti e a portarlo verso l’esterno allora si sta davvero innestando un circolo virtuoso in cui l’azienda fa da perno per la costruzione di esperienze significative tra dipendenti, stakeholder, consumatori e clienti. Un perno che non solo è in grado di lavorare in modo più efficace, migliore e con minore sforzo, ma che è anche capace di massimizzare i guadagni e i profitti.

Un report recente di Forrester titola “The Future is Digital” e snocciola alcuni interessanti dati e statistiche su come il digitale stia impattando in modo sempre più significativo sui processi di business delle organizzazioni di tutto il mondo.
Cerchiamo di capire un po’ meglio però quali siano le evidenze sulla quali si basa questo assunto di fondo in che misura le aziende debbano seriamente intraprendere il percorso di trasformazione digitale. Le riflessioni su questi temi risultano molto interessanti non solo per provare che la strada del digitale ha dei ritorni di business effettivi (per chi ancora se lo stesse chiedendo) ma anche – e soprattutto – per assistere quelli che ha no già intrapreso il percorso nella definizione di una roadmap maggiormente definitiva e precisa, in grado di garantire un successo dell’iniziativa digitale sempre crescente.

Ma cosa emerge dalle analisi più recenti?

  • Il digitale cambia le regole del gioco e trasforma profondamente i processi di business ai quali siamo abituati, a livello trasversale si applica su aree differenti e industry diverse. Poco importa quello che facciamo. Con il digitale dobbiamo avere a che fare (che ci piaccia o meno)
  • Entro il 2017 si stima che il 74% della popolazione adulta degli US avrà a disposizione uno smartphone e il 47% un tablet. I consumatori delle nostre organizzazioni sono sempre più digitalizzati e sempre più abituati a muoversi secondo logiche digital
  • I canali dell’azienda sono digital. Il processo di trasformazione al quale abbiamo assistito negli ultimi anni ha cambiato profondamente il modo di comprendere e di entrare in relazione con il consumatore. Già qualche anno fa McKinsey ha lanciato lo slogan forget the funnel ad indicare appunto come le logiche classiche “ad imbuto” del marketing e della comunicazione tradizionale siano assolutamente inefficaci per spiegare il percorso che i clienti seguono prima di compiere un’acquisto e prima di essere fidelizzati (Se vi interessa approfondire qui l’articolo completo http://www.mckinsey.com/insights/marketing_sales/the_consumer_decision_journey), oggi le aziende devono cominciare a considerare percorsi di avvicinamento, decisione e acquisto che sono molto differenti rispetto al passato e che hanno specificità maggiormente complesse. Qui sotto il loop proposto da McKinsey, ancora una volta: che ci piaccia o meno, questo è il modello che i nostri consumatori sempre di più stanno seguendo quando si avvicinano al nostro brand e alla nostra marca.

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  • I nostri competitor sono digital. L’ingresso sul mercato di nuovi player nati sulla scia del digitale ha spazzato letteralmente via moltissime aziende che non hanno saputo stare al passo con i processi di cambiamento imposti dal mercato e dai mutati consumatori.
  • I dipendenti sono digital. Sempre di più i nostri dipendenti diventano un valore connesso con l’esterno e sempre di più le soluzione di ESN stanno prendendo piede all’interno delle aziende. Si stima che il 25% dei lavoratori a livello worldwide abbia portato la loro app al lavoro per poter lavorare in modo migliore e più efficace. Reti come quelle di Jive, Yammer, Sharepoint, IBM stanno diventando il modo normale di lavorare per moltissime aziende (soprattutto all’estero)
  • Gli insight sono digital. Big Data e Social Analytics cambiano le regole del gioco e danno accesso alle aziende come anche ai consumatori a una serie di asset e di informazioni molto molto superiori rispetto al passato
  • I processi di business sono digital. American Apparel – per esempio – ha spostato tutti i suoi processi nell’area RFID e sta fortemente investendo nel settore della digital transformation mutando le logiche stesse in cui le persone e i dipendenti lavorano
  • Nessun business e’ immune. Il 93% dei c-level intervistati da Forrester dichiara che il digitale sarà un fattore chiave per lo sviluppo del loro business da qui a 12 mesi. Nessuno si sente dunque escluso dal percorso di evoluzione verso l’impiego e l’utilizzo di strumenti digitali nelle organizzazioni.
  • I passi da fare sono ancora moltissimi. Un numero molto elevato di intervistati (74%) dichiara di avere in piedi una digital strategy ma almeno 1/3 di loro ritiene che i passi da fare siano ancora moltissimi e gli aspetti di crescita e sviluppo ancora presenti.
  • Lo scoglio maggiore è sul modello. Molti fanno fatica a cambiare il modo in cui sono abituati a lavorare, lo scoglio maggiore sembra essere quello del change management e dell’accompagnamento dei processi di cambiamento

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La sfida maggiore sarà nell’integrazione tra interno ed esterno dell’organizazione e nella costruzione di un ecosistema che parta dai consumatori ma arrivi anche ai dipendenti dell’organizzazione. Come si legge nel report:

A dynamic ecosystem of value is made up of digitally connected products and services that combine to meet customer needs, delivering more value than the sum of their parts. 

Necessario è dunque che le aziende comprendano l’importanza di connettere esterno ed interno, comprendano l’impossibilità di essere social a metà e di ragionare solo su uno dei lati della medaglia.La comprensione di questo processo di cambiamento è – e lo sarà sempre di più – cruciale nel percorso di evoluzione digitale. Se da un lato (esterno) molti passi sono già stati fatti per il numero maggiore di sollecitazioni imposte dal mercato e emerse dall’esterno dall’altro lato (interno) la strada è ancora lunga e complessa proprio perché i processi che si vanno a toccare sono molto molto diversi e maggiormente delicati per certi versi

E’ dunque necessario agire su entrambe le dimensioni allo stesso modo. Sul percorso di trasformazione esterna e sul percorso di efficientamento e digitalizzazione dei canali interni in modo da essere in grado di “scaricare a terra” il massimo valore possibile per tutto l’ecosistema organizzativo: stakeholder, partner, clienti, consumatori, dipendenti…

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Il percorso evolutivo presente altresì alcune importanti aree che devono essere comprese:

  • I “dinosauri digitali” devono essere aiutati. Le industrie come quelle delle costruzioni e del manufacturing soprattutto rientrano in un quadrante che – per sua stessa natura – è più restio e meno avvezzo a intraprendere questo tipo di logiche e a mutare in questa direzione. Esistono poi altri posizionamenti che distinguono due livelli di valutazione ben precisi: da un lato il livello di maturità e digitalizzazione proposto verso l’esterno al consumatore finale e – dall’altro – l’eccellenza digitale interna. Le organizzazioni che si portano avanti su entrambi i filoni paralleli sono quelle che riescono a distinguersi e a generare il maggiore valore di business possibile.
  • L’importanza della misurazione e dell’assessment (non solo in fase iniziale ma su tutto il processo) per capire il proprio punto di partenza e il dove si vuole arrivare è cruciale e chiave nel percorso di evoluzione e di trasformazione delle logiche aziendali verso il digitale. Misurare permette di fare il punto nave e di cogliere le sfide, i bisogni dell’organizzazione, i fattori critici di successo e quello che può  – e deve – essere migliorato.
  • Identificare una leadership chiara e definita. Molte aziende stanno cominciando a istituire un ruolo che è quello del Chief Digital Officer, una figura professionale che ha in carico la definizione dell’intera strategia organizzativa di evoluzione verso il digitale. Una figura complessa che unisce competenze di business a competenze strategiche a conoscenze verticali e di processo
  • Il percorso di trasformazione è un processo, non è un interruttore acceso/spento non è qualcosa che si può avviare e pensare che proceda da solo ma è un qualcosa che va accompagnato con i giusti tempi, con il giusto supporto al cambiamento e la giusta assistenza evolutiva.
  • Risorse e risorse. Ma quanto mi costa? Domanda che spesso ci si fa e ci si chiede, per un sano e serio percorso di trasformazione verso il digitale è fondamentale che le organizzazioni comprendano che servono risorse, non solo in termini economici, ma anche in termini di tempo da dedicare al progetto, figure professionali specializzate (o da formare) e una chiara roadmap con obiettivi di business definiti e mirati
  • Strategia! Come dice una famosa frase di Seneca non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare, se non vengono chiariti e definiti gli obiettivi in modo preciso e puntuale non è possibile nessuna attività e azione di successo. Senza una pianificazione adeguata, degli obiettivi chiari e un piano di coinvolgimento non si andrà molto lontano. Agire in modo strategico e definito è la chiave per il successo di ogni attività di digital transformation
  • Divertiamoci! Siamo persone, e siamo fatti di carne e ossa, la leva del digitale può aiutare a realizzare organizzazioni più piatte, più flessibili, più a misura d’uomo, non dimentichiamoci che il ruolo che le persone hanno in questo processo è determinate e deve essere sempre centrale.

Le organizzazioni sono – da sempre – abituate a ragionare per compartimenti stagni, a distinguere, in modo anche abbastanza netto ciò che sta fuori da ciò che invece sta all’interno. Consumatori e dipendenti dell’azienda molto raramente si parlano e – molto spesso – nessuna organizzazione ritiene che debbano farlo.

Ma siamo sicuri che questa sia la strategia e la soluzione migliore per le nostre imprese? Siamo sicuri che non ci sia un modo migliore, più efficiente e maggiormente intelligente di lavorare?

Le domande sono chiaramente provocatorie, ma gli assunti di fondo rimangono.

Due report molto recenti di Aberdeen mettono a fuoco questi temi e si chiedono in che modo la collaborazione interna e dall’interno verso l’esterno (quindi tra dipendenti e tra dipendenti e consumatori, ma anche tra consumatori stessi) sia in grado di migliorare il processo di servizio al cliente.

I due report in oggetto – di cui vi consiglio la lettura – sono: Enterprise Social Collaboration. Driving Customer Experience Excellence through Teamwork  e Enterprise Social Collaboration in Customer Service: Better Teamwork Unlocks Customer Delight

Cerchiamo di analizzare quelli che sono i principali dati che emergono dal mercato e dall’analisi dei due report

  • I consumatori sono sempre più digital, nel 2013 il 10% degli utenti globali ha effettuato un acquisto di beni elettronici via smartphone (giusto per citare uno dei dati maggiormente significativi)
  • Il 70% dei consumatori compra online perché è sicura di trovare un prezzo migliore rispetto a quello che gli viene normalmente proposto
  • Consapevoli – chi più chi meno – di questo fenomeno, le organizzazioni stanno adottando servizi di social customer care in modo sempre più consistente. E’ il 60% delle aziende a farlo. Oltre il 68% – invece – riconosce il valore del customer care fatto via social media con Facebook considerato come canale principale e più utilizzato da chi è già più maturo (86.2%)
  • Nel 2010 la percentuale di aziende che utilizzavano i social media per la loro strategia di customer care era del 12%, questo stesso valore si è alzato fino a raggiungere il 70% nel 2014

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Tuttavia, il percorso non è affatto semplice e privo di ostacoli. Le barriere che le organizzazioni si trovano a dover fronteggiare sono ancora molte. Nel 48% dei casi le aziende hanno difficoltà nell’allocazione delle risorse del customer care e nel 31% dei casi manca una sponsorship del top management che sappiamo essere fondamentale per la riuscita di queste iniziative che – prima di tutto – rappresentano un cambio culturale della mentalità organizzativa.

La Social Collaboration in questo caso interviene nella definizione e nell’aiutare le organizzazioni a sviluppare una visione integrata del consumatore. Per il 42% il driver principale dell’adozione è la riduzione della comunicazione interna e la facilità che questi strumenti consentono nel coordinamento di team dispersi anche geograficamente. Per il 34% delle aziende – invece – il driver chiave è l’impossibilità dei dipendenti di accedere ad informazioni che sono fondamentali per il loro lavoro.

Capite che il ruolo della collaborazione diviene dunque fondamentale per aiutare le organizzazioni anche solo a lavorare meglio al loro interno.

La collaborazione interna può sbloccare anche un potenziale estremamente significativo a livello di:

  • Miglioramento del “handle-time” totale delle richieste e dei problemi dei clienti
  • Fidelizzazione dei clienti anno su anno
  • Riduzione del tempo totale di risposta (16%)
  • Migliorare i margini operativi riducendo la dispersione di tempo, facilitando l’onboarding delle nuove risorse, rendendo più semplice la possibilità di identificare Subject Matter Expert che possano aiutare nella risoluzione del problema. In parole povere, migliora la capacità dell’organizzazione di accedere a ciò che già conosce e a capitalizzare meglio la conoscenza.
  • Aumentando il numero di problematiche risolte anno su anno (16.8%)

Sembra quindi implicito dedurre che la Social Collaboration e in generale l’adozione di soluzioni di social enterprise, a livello più ampio,  generino un beneficio effettivo alle organizzazioni sia sui processi maggiormente interni sia su quelli esterni che – apparentemente – non dovrebbero beneficiarne.

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Qualche caso interessante? Tra i tanti che si possono citare Emanuele Quintarelli ha prodotto una lista qui: http://www.socialenterprise.it/en/index.php/2014/01/04/social-customer-service-pays-off-45-case-studies/
alla quale vi consiglio di dare un’occhiata.

Alle aziende tocca quindi ragionare come “fully social” considerando che essere digitali solo a metà, non solo non è efficace, ma semplicemente non è possibile.
Chiudo con una citazione sul tema di Lew Platt, ex CEO HP:

If only HP knew what HP knows, we would be three times more productive.