Archives For November 30, 1999

Qualche mese fa avevamo riassunto i punti chiave del report di Altimiter dedicato al Social Business e ai cambiamenti che questo processo di trasformazione digitale (ma non solo) stava portando nelle aziende, provando a evidenziare anche un modello di maturità per le organizzazioni che hanno scelto di intraprendere questo tipo di percorso di cambiamento (per chi fosse interessato ad approfondire, ne abbiamo parlato qui).

A distanza di qualche tempo Brian Solis e Charlene Li hanno rilasciato un nuovo report dedicato allo stato del social business nel 2013, con alcuni dati interessanti sull’evoluzione del mercato e su quali siano le best practice, i trend del settore e le difficoltà che le aziende stanno incontrando in questo lungo e tutt’altro che semplice processo di trasformazione digitale.

MaturityUna prima riflessione è messa in luce dallo stato di maturità delle tecnologie di social enterprise nei contesti organizzativi. La maggior parte delle aziende intervistate mostra di essere ad uno stadio evolutivo medio, concentrate soprattutto sull’esterno nel tentativo di coinvolgere nel processo digitale soprattutto i clienti e i consumatori finali (pagine fb, strategie digital/socioal, gestione della customer experience, ecc.).
Sono ancora molto poche le aziende che hanno intrapreso un processo completo e che connettono l’esterno all’interno generando risultati significativi e muovendosi come un’organizzazione completamente connessa.
Il fatto è spiegabile in modo semplice considerando che i processi più esterni dell’organizzazione (ad es. Customer Care, Marketing) sono – da sempre – maggiormente stimolati e “obbligati” ad un adattamento più rapido che segua le nuove tendenze e la direzione verso la quale va il mercato.

Social Media

L’approccio nei confronti dei social media risulta quindi ancora non integrato, spesso sconnesso da una strategia globale ed olistica e non calato nella realtà dei processi di business. Iniziative spot, processi non collegati, sperimentazioni che risultano ancora troppo frequenti nonostante il momento storico che stiamo vivendo e la comprensione – ormai estesa – che il mondo sia davvero cambiato ed evoluto verso uno scenario maggiormente digitale.
Il lavoro da fare per le aziende è ancora quindi molto e il social business è ancora ben lontano dall’essere una moda passata. Interessante notare come anche il coinvolgimento dei C-Level in azienda – che più volte abbiamo visto essere un fattore critico per il successo o il fallimento dell’iniziativa – non è ancora cosi’ esteso come dovrebbe essere. Sono molte ancora – troppe – le organizzazioni che non coinvolgono in modo completo tutto l’ecosistema aziendale riducendo così le sperimentazioni in questo settore come esercizi di stile fini a sé stessi.

Un buon numero di aziende ha un team dedicato per i social media, anche se l’approccio, nella maggior parte dei casi è centralizzato, le azioni sono demandate ad un unico dipartimento e la cross contaminazione non ancora così affermata. Anche se c’è da dire che il 2013 è l’anno in cui questa forbice ha iniziato ad appiattirsi. Sempre più aziende hanno cominciato a lavorare nella direzione di una maggiore integrazione dei social media all’interno dei processi e dei flussi quotidiani di lavoro. Sempre più organizzazioni – allo stesso modo – hanno compreso l’importanza di investire sempre di più e con budget sempre più consistenti che consentano di fare un salto di livello anche molto più significativo rispetto al passato.

Evolution

Un dato interessante emerge anche dall’analisi sulla concentrazione principale di quelli che sono stati gli obiettivi strategici del 2013 per soluzioni e approcci di digital transformation all’interno delle organizzazioni. E’ significativo analizzare come molte organizzazioni si siano concentrate sul rafforzamento della strategia e sulla possibilità di scalare gli apprendimenti cercando di evolvere la loro situazione verso modelli maggiormente complessi.
Molte organizzazioni sentono anche di dover dare priorità alla misurazione e alla dimostrazione dell’effettivo valore che le tecnologie collaborative e social possono portare sul campo.

Priorities Social Business 2013 - Altimiter

Anche i budget nel 2013 non hanno subito nessun incremento significativo e nessun cambio di rotta rispetto a quanto avveniva negli anni precedenti. Le aziende tendono a spendere soprattutto per soluzioni e piattaforme di listening e di monitoring, con cifre focalizzate verso il basso (la maggior parte meno di 100’000€) e verso la formazione o l’adozione di supporti tecnologici sempre esterni.

Altri dati interessanti che emergono anche dall’investimento in termini di formazione che è stato fatto sui social media. Ormai tutte le aziende hanno investito in questa direzione e la consapevolezza sul tema è cresciuta. Mancano però alcune riflessioni maggiormente mature che coinvolgono in modo molto più esteso i dipendenti all’interno delle organizzazioni.

Un esempio su tutti? Sono poche – ancora molto poche – le organizzazioni e le aziende che hanno delle governance e delle policy che siano in grado non solo di regolare i processi e la gestione dei canali social e degli strumenti di collaborazione interna in modo maggiormente consapevole ed efficace. Non si tratta di controllo, ma – anche e soprattutto – di avere un meccanismo e un processo interno che sia in grado di regolare possibili crisi sui social media o comunque di mostrare una maggiore consapevolezza nel governare un processo non sempre molto semplice soprattutto nel confronto – ancora una volta – tra interno ed esterno.

E’ appena uscito un approfondimento di McKinsey che riprende gli studi della global survey su social technologies e cambiamento organizzativo (lo trovate qui se siete interessati a saperne di più – http://www.mckinsey.com/insights/high_tech_telecoms_internet/organizing_for_change_through_social_technologies_mckinsey_global_survey_results).

Emergono dall’analisi alcuni dati interessanti che meritano di essere sicuramente approfonditi e analizzati nel dettaglio.
Come visto in altre sedi e in altre analisi condotte o riportate anche in questo blog si conferma quanto sospettato non molto tempo fa.
Le tecnologie social e digital all’interno delle aziende hanno passato il picco della aspettative gonfiate e sono arrivate a un livello di produttività superiore (il famoso plateau della curva di adozione tecnologica). E’ ormai normale avviare strategie di ingaggio dei propri clienti che passino dall’online e ormai nessuno è dell’idea che il mondo del web sia un qualcosa di assolutamente lontano dai processi con i quali ci confrontiamo ogni giorno.

Tuttavia, per molte aziende si configura uno scenario di adoption che è ancora immaturo e che deriva da quelle che McKinsey definisce le fully networked enteprise: le aziende cioè che hanno saputo adottare soluzioni digitali sia al loro interno sia al loro esterno divenendo quello che in tempi non sospetti definivamo un social business. Un’organizzazione – in sintesi e per chiarire – più reattiva, più adatta al contesto sociale ed economico che stiamo vivendo e pensata dalle persone e per le persone, senza distinzioni classiche tra interno ed esterno e senza i silos che impediscono la diffusione e la circolazione di conoscenza e il lavoro collaborativo.

I livelli delle tecnologie digitali sono in forte crescita e ormai l’82% delle aziende sostiene di aver utilizzato o di utilizzare quotidianamente almeno uno dei sistemi riportati qui sotto.
La vera sfida sembra però collocarsi su un piano completamente differente.

Strumenti

Nonostante la maggiore maturità del mercato e la maggiore diffusione all’interno dell’organizzazione delle tecnologie social, c’è ancora molto spazio di crescita e di miglioramento.
Il 76% dei C-Level dichiara di usare le tecnologie social per comunicare con i consumatori e con l’esterno dell’azienda, toccando funzioni come marketing, customer care, supporto al cliente e via dicendo. Funzioni che – storicamente – sono sempre state maggiormente stimolate e sollecitate dalle pressioni e dalle istanze provenienti dall’esterno dell’azienda. Funzioni che non possono prescindere dall’investire in queste direzioni perché hanno compreso che i consumatori sono – inevitabilmente – cambiati.

Sono ancora poche (44%) le aziende che sostengono di utilizzare le social technologies per comunicare con partner, supplier o esperti esterni. Le aziende che hanno intrapreso un serio percorso di completa trasformazione digitale sono ancora un numero estremamente ridotto e sono rimaste di fatto stabili rispetto al 2012 con scarsi passi avanti, rappresentano un 20% del campione del totale delle aziende analizzate e – come ben visibile dal grafico sotto – all’interno i risultati sono ancora meno confortanti.
Questo trend testimonia ancora molta strada da fare soprattutto all’interno dell’organizzazione dove sono possibili ancora scenari evolutivi estremamente ampi e di sicura efficacia. Le aziende e le organizzazioni che vorranno distinguersi dai competitor e lavorare meglio (e con maggiore efficacia) dovranno investire seriamente in questo settore.

Stato

Le organizzazioni che hanno saputo implementare un serio percorso di trasformazione digitale hanno compreso che il lavoro maggiore da fare – e il maggiore scoglio – è sul versante del cambiamento culturale e organizzativo. Il ruolo della formazione è chiave. La comprensione altresì che i migliori progetti sono quelli che coinvolgono in massima misura sia il top management sia un pieno engagement dei dipendenti non è cosa banale. “Come in alto così in basso” quindi, per le aziende che hanno intenzione di adottare strategie di successo è prioritario comprendere che il cambiamento e il miglioramento passano in primo luogo da questo.

Stato

Il contesto della trasformazione digitale è in forte evoluzione e promette di crescere ancora molto negli anni a venire. Le organizzazioni che hanno in mente di intraprendere questo percorso dovranno seriamente investire su dimensioni che consentano un passaggio completo non limitandosi quindi all’analizzare il “problema” da un’unica prospettiva, considerando che questa prospettiva non è più sufficiente.

Tra le aree di importanza su cui investire e fare attenzione:

  • il focus su una dimensione organizzativa e non solo tecnologica. I benefici che le tecnologie social stanno portando non devono indurci a considerare i social media come una dimensione puramente tecnologica, le trasformazioni che stiamo vivendo sono frutto di profondi mutamenti sociali, culturali, politici ed economici. Le nuove modalità di lavoro che stanno emergendo sono frutto di queste nuove chiavi di lettura. Le aziende che sanno insistere sulle leve organizzative sono quelle in grado di trarre i maggiori benefici da processi di trasformazione digitale
  • Definire una strategia e una roadmap ben precise. Darsi degli obiettivi, dei KPI, misurarli, comprendere a che punto siamo e dove stiamo andando rappresenta sicuramente un asset molto importante e da non sottovalutare.
  • Fissare obiettivi elevati e puntare in alto. Le aziende che rischiano di più sono anche quelle che riescono a ottenere i risultati migliori. Comprendere i risultati che le tecnologie digitali possono portare nel nostro contesto è fondamentale per definire un percorso di crescita strutturato. Darsi tempo e modo di fare e di avere successo. Come si dice: “Roma non è stata costruita in un giorno”

Chiudo queste riflessioni informando che a breve uscirà anche la versione finale della Social Collaboration Survey 2013 realizzata con l’amico Emanuele Quintarelli e sarà sicuramente interessante avere dei dati e delle comparazioni tra quanto emerso dai report internazionali negli ultimi anni e quanto – invece – caratterizza il nostro paese in termini di adozione e di strategie di evoluzione verso un digital workplace sempre più maturo.

IBM ha da poco rilasciato un report molto interessante dal titolo: “The Customer-activated Enterprise – Insights from the Global C-suite Study” che analizza in che modo le tecnologie digitali abbiano fortemente modificato il ruolo del consumatore di oggi portandolo a esercitare un forte impatto di trasformazione organizzativa all’interno delle aziende.

In breve: il consumatore, il cliente – oggi – esercita – un potere molto maggiore rispetto al passato. Abbiamo più volte – in questa e in altre sedi – parlato delle caratteristiche chiave del social customer e analizzato come i social media abbiano consentito uno sviluppo di consapevolezza, trasparenza, coinvolgimento, autorevolezza che le aziende non possono più ignorare. Se fino a qualche tempo fa la tecnica “dello struzzo” poteva funzionare, ora non è più possibile adottarla: nascondere la testa sotto alla sabbia non rappresenta una strategia praticabile e sostenibile.

Ma cerchiamo di capire in che modo il report analizza la situazione e quali insight interessanti se ne possono estrarre.
Per prima cosa il report deriva da migliaia di intervista face-to-face condotte da IBM negli ultimi anni a C-Level di diverse aziende nel mondo. La ricerca permette di tracciare quindi un report completo e una visione generale della percezione che i livelli più alti delle organizzazioni hanno rispetto alle nuove tendenze del mercato e ai macro-trend organizzativi.
Interessante – come primo dato che emerge – risulta essere la percezione di importanza che la dimensione digitale ha assunto negli anni arrivando a prevalere su molte altre caratteristiche nel panorama delle sfide che le organizzazioni si trovano costrette e “obbligate” ad affrontare per poter sopravvivere.

Dal 2006 ad oggi – infatti – l’aspetto delle tecnologie digitali ha raggiunto la prima dimensione nelle priorità strategiche delle aziende, risalendo la china e posizionandosi prima di altri processi e aspetti (indicatori macro-economici, talent management, people skills…). E questo è vero per tutti i livelli aziendali ma in particolar modo per tutta la cosiddetta C-Suite (CFO, CMO, CIO, CHRO, CEO, ecc.)

Schermata 2013-10-27 a 13.10.59

Il grafico sopra mostra poi un altro aspetto molto molto interessante di cui più volte ho avuto il piacere di discutere e di analizzare. Sempre più aziende (di grandi e grandissime dimensioni) si stanno rendendo conto che il coinvolgere i consumatori all’interno dei loro processi interni risulta un assett fondamentale attorno al quale costruire la loro strategia organizzativa. In questo modo crollano (come abbiamo più volte visto parlando di Social Business) le classiche distinzioni tra interno ed esterno delle aziende, crollano le barriere tra consumatori e dipendenti interni, crollano i meccanismi classici attorno ai quali si sono costruite le aziende negli ultimi anni e si affermano modelli più partecipati, aperti, collaborativi, in una parola: modelli più social.

Kimberly-Clark è una delle aziende che ha compreso questo processo e – da qualche anno – lo sta fortemente implementando all’interno di tutti i suoi processi:

http://www.youtube.com/watch?v=B56DSNi540Q

Dei CxO è oltre il 54% a essere convinto che i consumatori stiano oggi esercitando un ruolo cruciale sulle loro organizzazioni, il 36% crede che l’influenza sia presente ma non elevata  mentre è solo il 10% a credere ancora che quello che accade “fuori” dall’organizzazione non ne influenzi i processi interni.

“As customers gain more power over the business via social media, their expectations keep rising and their tolerance keeps decreasing.”

Con l’aumentare della consapevolezza e dell’aspettativa da parte dei consumatori, sempre più organizzazioni si rendono conto che la sfida nei prossimi anni sarà realizzare esperienze integrare che riflettano sulla capacità non solo di rispondere alle mutate esigenze ma di superarle. Le aziende migliori e più efficaci saranno quelle in grado di garantire questo salto di qualità e di rispondere appieno alle differenti e profonde richieste dei consumatori. A che pro? Crescita del business. La ricerca mostra – infatti – che le aziende che funzionano meglio sono quelle che collaborano e coinvolgono di più sia i loro consumatori sia i loro dipendenti.

L’importanza che i consumatori stanno assumendo all’interno delle organizzazioni è oltretutto rafforzata dai dati mostrati qui sotto.
Come nel caso di Kimberly Clark le aziende che sono in grado di insistere e di coinvolgere i propri clienti all’interno di un processo chiaro e definito sono quelle che meglio riescono a fidelizzarli, fronteggiando nuove sfide poste dal mercato e dall’attuale situazione di incertezza.

Schermata 2013-10-27 a 13.29.31

Non dimentichiamoci però nemmeno il famoso ammonimento di Trismegisto : “come in alto così in basso”. Qui potremmo dire: come all’esterno così anche all’interno. Non si può – infatti – essere social a metà, non si può in altri termini pensare di aprirsi verso l’esterno e di coinvolgere i consumatori della propria azienda senza effettuare dei profondi processi di change managament anche al proprio interno. Processi che impattino fortemente sulla cultura organizzativa e che cambino le modalità classiche di organizzare e gestire il lavoro. In questo senso la funzione HR (che come sappiamo e abbiamo visto da molti precedenti articoli gioca un ruolo fortemente marginale ancora) deve divenire protagonista e facilitatrice di questo processo.

“The HR function has a role to play in encouraging a less autocratic, more collaborative approach to leadership, introducing new performance management processes and bringing the organization along.”

Schermata 2013-10-27 a 13.39.07

E’ quindi in atto una profonda trasformazione delle aziende, una consapevolezza sempre maggiore che sta coinvolgendo l’intera organizzazione, si parla di un profondo cambiamento di una radicale trasformazione che passa dal digitale ma coinvolge molti più aspetti del digitale. Una trasformazione che richiede l’abbattimento di barriere esterne ma anche di silos interni, che consenta l’emersione di modelli collaborativi e che consenta di realizzare aziende aperte, flessibili, partecipate, aziende in cui il focus siano le persone: non importa se consumatori, clienti, partner, stakeholder o dipendenti.
Ciò che sarà sempre più importante sarà investire nel valore e in una direzione comune: lavorando in modo collaborativo.

Un interessante e recente report di Accenture (per chi fosse interessato ad approfondire lo trovate qui – http://www.accenture.com/SiteCollectionDocuments/PDF/Accenture-2040-CMO-CIO.pdf) mette l’accento su una dimensione estremamente importante del contesto organizzativo che stiamo vivendo in questi anni e soprattutto in questi ultimi mesi anche nel nostro paese.
La rivoluzione digitale, come più volte abbiamo analizzato e ripetuto in questa e in altre sedi, ha impatti significativi e trasversali su diverse aree del business costruendo contesti e scenari nuovi e aprendo nuove sfide e opportunità.

In particolare questo report si concentra sull’integrazione di due ruoli che come abbiamo visto anche in passato (qui l’articolo che riprende la conversazione a due tra Esteban Kolsky e Ray Wang dello scorso Giugno) risultano essere fondamentali nelle organizzazioni di oggi: il Chief Marketing Officer e il Chief Information Officer.
In questo senso il digitale e i cambiamenti introdotti dalla “social media revolution” risultano cruciali e impattano fortemente sulle dinamiche e sulle esigenze che questi due ruoli esprimono all’intero delle organizzazioni di cui fanno parte.

Cerchiamo di analizzare però nel dettaglio quali sono le informazioni principali che emergono dal report:

  • qualunque tipologia di business è – oggi – un business digitale: un’affermazione forte che comunque sottolinea un cambiamento epocale e pone l’accento sul fatto che ormai non sia più in discussione se evolvere la propria azienda verso una strategia digitale o meno. La vera sfida sta nel farlo correttamente assicurandosi risultati e processi che siano integrati con gli obiettivi di business delle aziende.
  • Il crescente potere del consumatore che si è evoluto in social customer e le maggiori aspettative nei confronti delle aziende unite a una maggiore consapevolezza e capacità di esprimere opinioni (positive e negative) pongono il CMO di fronte a nuove sfide che prima non erano attese, sfide che richiedono di essere assunte con consapevolezza e che non possono più essere ignorate.
  • Dal canto suo anche il CIO è stimolato da nuovi aspetti che non sono affatto trascurabili considerando la pervasività della tecnologia e l’evoluzione rapidissima che sta subendo. Gli investimenti in tecnologia entro il 2017 saranno condotti – secondo alcune proiezioni – molto più da i CMO che da i CIO.
  • Dall’analisi condotta da Accenture emerge in modo significativo (8 su 10 rispondenti) la necessità di un allineamento tra le due funzioni: un coordinamento centrale che permetta di studiare in maniera strutturata e strategica le azioni da intraprendere. Sono pochissime – tristemente – le aziende che hanno deciso di investire seriamente in questa direzione e che credono profondamente nell’integrazione e nella collaborazione delle due funzioni.
  • Allo stesso modo la collaborazione tra le due figure non è percepita come efficace (solo 1 su 10 si considera soddisfatto)
  • La percezione del CMO vede nel CIO un mero braccio operativo, il che impedisce corrette sinergie e strategie di coordinamento che valorizzino entrambi i ruoli consentendo la massimizzazione del valore generato dall’impresa.
  • Le credenze del CMO e del CIO divergono radicalmente. Una maggioranza di CIO (oltre il 61%) è convinta che l’azienda sia pronta per la sfida digitale, mentre è meno del 49% dei CIO a pensarla allo stesso modo. La differenza di visione si riflette anche a livelli maggiormente operativi, mentre i CIO vedono l’integrazione e la dimensione IT come maggiormente critica i CMO tendono a non preoccuparsi troppo della dimensione di implementazione, molto spesso alzando di troppo l’asticella e contribuendo al fallimento di progetti di digital transformation.

Il report riporta poi le sfide e le frustrazioni dei due ruoli, dai grafici è possibile estrarre alcune significative considerazioni sull’andamento e il disallineamento delle due funzioni.
Di seguito il punto di vista del CMO:

CMO

Qui invece il punto di vista del CIO: sfide differenti e prospettive differenti che richiedono una integrazione per fare in modo che l’intera organizzazione riesca a muoversi in una direzione condivisa e unica.

CIO

Un altro dato molto interessante è il “cortocircuito” che si innesta nei C-Level dell’azienda: la funzione maggiormente strategica per questi due ruoli sembra essere quella del CFO (contrariamente alla credenze che vedono la funzione maggiormente strategica nel CEO) che rappresenta un “appiglio” estremamente importante per entrambi.
Per quanto riguarda entrambi i livelli comunque la collaborazione è percepita ancora come un forte tallone d’Achille a testimonianza del fatto che i silos e le divisioni interne all’azienda rappresentano una forte barriera per la crescita delle organizzazione. L’abbattimento delle classiche separazioni è quindi estremamente utile per efficientare i processi di crescita e il differenziale strategico che l’organizzazione mette in atto.
La riflessione non è nuova per chi si occupa di social organization e di social business dove – come ben sappiamo – ragionare in termini di barriere e di suddivisioni risulta poco efficace e utile all’interno di un contesto come quello del digitale.

Scollamenti significativi, frutto di incomprensioni e strategie errate si riscontrano anche rispetto alle differenti priorità che i due ruoli esprimono all’interno dell’organizzazione. Visioni spesso antitetiche che contribuiscono a peggiorare sia la collaborazione interna sia la direzione verso la quale “naviga” l’azienda.

Priorita

A livello operativo il report si chiude con alcuni consigli strategici per poter realizzare una strategia di marketing e di trasformazione digitale di sicuro successo, o – perlomeno – per limitare al massimo le possibilità di errore.

  • Evolvere il ruolo del CMO verso un CXO dove la X sta per eXperience: in modo che sia – in azienda – la figura di riferimento per tutto il customer journey e per tutto il percorso evolutivo del consumatore. Dalla fase di awareness a quella di ingaggio più esteso e fidelizzazione. Deve essere in grado di ragionare per obiettivi strategici e per KPI in modo da valutare costantemente la riuscita o meno delle iniziative e l’allineamento con quanto impostato a livello aziendale come obiettivi strategici.
  • Accettare il ruolo dell’IT manager come strategico ed estremamente importante nella realizzazione di una strategia digitale.
  • Concordare sugli obiettivi e trovare allineamento tra le sfide comuni, investendo nelle medesime in modo da massimizzare gli sforzi e i amplificare i risultati.
  • Realizzare in azienda il giusto mix di competenze tra visione ed execution, tra idee e implementazione, tra professionisti orientati al risultato e visionario orientati alla massima innovazione: in questo modo si riescono a tenere insieme due dimensioni apparentemente discordanti che rappresentano due ingredienti fondamentali per il sicuro successo dell’impresa.
  • Costruire fiducia e legami significativi: sperimentando e lavorando insieme, sia all’interno dell’azienda sia coinvolgendo consumatori nella catena estesa di generazione del valore dell’organizzazione.

“This requires a top-down setting of priorities starting with CEO expectations and calibrating with all verticals. For example,  including key IT employees in marketing meetings, sales conventions, etc., would give them more context to their work and better appreciation for timelines. There could be some reciprocity here with key marketing employees appropriately involved with IT work”

Collaborare, collaborare, collaborare. Sembra essere la parola chiave del nuovo modo di fare impresa, delle nuove teorie organizzative che, da qualche anno, spinte anche dall’evoluzione sul mercato di tool e strumenti social, si stanno affermando.
Ma collaborare è davvero così semplice? E ha davvero un valore così interessante per le aziende di tutto il mondo?
Jacob Morgan (Chess Media Group), studioso delle organizzazioni, nonchè autore del bestseller di fama mondiale “The Collaborative Organization“, ha rilasciato sul suo sito un paio di whitepaper che analizzano proprio questa dimensione.

In primo luogo l’analisi fa emergere il valore della collaboration come strumento fondamentale per le aziende che intendano efficientare i propri processi interni e la propria capacità di impattare sul mercato.
Come mostra agilmente lo schema il valore “nascosto” della collaboration all’interno delle aziende è un qualcosa di estremamente concreto. Le aziende che collaborano tra loro e al loro interno, le aziende che sfruttano i cardini della “Collaborative Economy” come la definisce Owyang e che sanno creare relazioni significative con tutto il loro ecosistema aziendale (clienti, fornitori, partner, stakeholder, dipendenti…) sono in grado di essere molto più performanti e di rispondere al meglio alle sfide di un mercato in crisi come quello a cui stiamo assistendo in questi anni.

Schermata 2013-09-10 a 12.07.33

Sono per altro identificati alcuni dei benefici specifici (tratti anche dal famoso report di McKinsey sul valore che la social economy ha generato e genererà sul mercato nei prossimi anni) che la social collaboration può portare all’interno delle imprese:

  • migliore coinvolgimento dei dipendenti e della forza lavoro: motivazione, egagement e senso di partecipazione e di appartenenza a un progetto comune, con tutti i benefici riflessi che questo comporta
  • maggiore facilità nel trovare persone, risorse e informazioni
  • migliore comunicazione
  • più chance per l’innovazione: come abbiamo visto – in questa e in altre sedi – più e più volte l’innovazione non è un fenomeno che nasce in modo casuale ma un qualcosa di estremamente preciso che si genera da meccanismi di collaborazione e condivisione. Il mito del genio solitario è appunto una comune leggenda.
  • serendipità

Schermata 2013-09-10 a 12.24.50

Tuttavia – come spesso accade – anche per il mondo della collaboration non è tutto oro quello che luccica.
Vediamo dunque quali sono alcuni dei problemi che la collaboration incontra all’interno delle organizzazioni e cosa impedisce il corretto sviluppo di sinergie che vadano in questa direzione.

  • difficoltà nel trovare le persone e le informazioni corrette: in media i dipendenti di un’organizzazione spendono il 25/30% del loro tempo nella ricerca delle risorse o delle informazioni che servono loro per lavorare correttamente. Il tutto si traduce in perdita dell’efficienza e in dispendio di tempo che impattano in modo negativo sugli indicatori economici
  • le persone non sono motivate nel loro lavoro e nell’operatività quotidiana mostrando comportamenti anche negativi nei confronti dell’azienda in cui lavorano
  • la cultura organizzativa è spesso non allineata
  • i silos e le barriere comunicative dell’azienda impediscono la corretta comunicazione e circolazione del sapere all’interno impedendo una corretta socializzazione dei processi interni e dell’innesto di meccanismi virtuosi che consentano la collaborazione cross e inter azienda
  • mancanza di un allineamento e di un ingaggio dei livelli alti dell’organizzazione che consenta di avere le leve necessarie per trasformare digitalmente l’organizzazione

Vi ricordo che con Emanuele Quintarelli stiamo indagando lo stato della Social Collaboration all’interno delle aziende italiane, una ricerca di prestigio, mai condotta nel nostro paese che vuole appunto provare a sondare queste dinamiche all’interno delle organizzazioni che viviamo e frequentiamo tutti i giorni.
Alcuni dei dati preliminari che abbiamo cominciato ad analizzare negli scorsi giorni (l’analisi vi ricordo è attiva fino a fine settembre e i risultati verranno resi disponibili e pubblici in forma completamente gratuita) e che vedono la partecipazione di oltre 250 aziende fanno riflettere su alcune significative dimensioni.

Tra le dimensioni che cominciano ad emergere possiamo sottolineare:

  • l’importanza di definire una strategia coordinata che sia in grado di tenere in considerazione e coinvolgere in modo esteso l’intera organizzazione è un fattore chiave (anche se non l’unico importante) per il successo di queste iniziative.
  • un’allocazione sensata del budget: investire in modo serio e sensato destinando parti eque dell’investimento alla parte tecnologica quanto a quella strategica risulta di importanza chiave per definire
  • una sponsorship che conta: avere l’appoggio dei c-level aziendali è tanto importante quanto strategicamente significativo per ottenere progetti che non naufraghino nel breve
  • la definizione di un piano e di un team di risorse: risorse, pianificazione e misurazione del ROI come dei risultati ottenuti sono fattori chiave per la buona riuscita del progetto. Senza questi elementi e senza una corretta definizione della rotta è difficile che il progetto funzioni. In questo senso mi piace riprendere la famosa frase di Seneca che sottolinea “Non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare

Molti altri risultati (con anche numeri e dati) verranno resi disponibili dal mese di Ottobre, ma vi ricordo che il successo dell’iniziativa dipende in massima parte da voi e dal vostro contributo. Per ogni azienda che collabora alla compilazione della survey un pezzo del puzzle si aggiunge e il quadro che andremo a delineare assieme sarà un importante passo in avanti sulla strada dell’implementazione della social collaboration nel nostro paese!

Un report molto interessante e molto recente pubblicato dal MIT Sloan e da Deloitte University Press (per inciso lo trovate a questo indirizzo http://sloanreview.mit.edu/reports/shifting-social-business/), mostra come lo scenario del Social Business sia cambiato negli ultimi anni e quale direzione abbiano intrapreso le organizzazioni, passando da una fase più esplorativa a una più applicativa.
Molte cose sono cambiate e altre ancora ne verranno, ma in generale stiamo assistendo a un passaggio fondamentale nel modo di fare impresa e nell’industria del digitale.
Quello che prima era un mercato di nicchia e riservato a pochi, eletti e innovativi sperimentatori è – o perlomeno sta per – diventato mainstream e alla portata di tutti. In sostanza l’importanza del social business sta crescendo a fronte di maggiori investimenti, maggior spostamento di capitali in questa direzione e a fronte di un mutato scenario che consolida e rende ormai necessarie queste pratiche.

I modelli organizzativi sono cambiati, la consapevolezza degli utenti e dei dipendenti anche, le aziende stanno cominciando a non poterne fare a meno e chi – invece – persiste in un contesto “vecchio stile” ne subisce i limiti e le problematiche.
Tuttavia il cammino resta ancora lungo e molte sono ancora le cose che meritano di essere considerate, i passi da fare per la completa trasformazione digitale – come abbiamo ampiamente sottolineato anche in altre sedi – sono ancora molti.

Ma andiamo nel dettaglio dell’analisi del report cercando di estrarre i dati maggiormente significativi che emergono.
Nello specifico:

  • l’importanza del social business sta crescendo in modo esponenziale: nel 2011 era il 18% degli intervistati a considerarlo come “importante oggi”, mentre nel 2012 il numero e’ salito al 36%. La percezione di importanza nell’arco di un anno (2011-2012) è salita dal 40% al 54%.
  • La percezione è trasversale ai livelli aziendali e alle industry mostrando come queste soluzioni siano applicabili a differenti livelli e in diversi contesti.
  • La crescita e il progresso sono ancora lenti e i passi da fare sono ancora molti. Su una scala di maturità da 1 a 10 è solo il 17% a posizionarsi sul livello 7 o superiore.
  • Le barriere che stanno fronteggiando le organizzazioni nell’adozione di tecnologie di social collaboration e nell’evoluzione verso questi modelli sono molte e simili: mancanza di strategia (28%), troppe altre priorità competitive (26%) e mancanza di adeguati business case o seria value proposition (21%), che fanno perdere credibilità nei confronti di queste soluzioni, o ne abbassano lo slancio iniziale.
    Secondo Gartner l’80% delle iniziative di social business falliscono perché non sono in grado di coinvolgere direttamente i livelli più alti dell’azienda o in generale l’intero ecosistema organizzativo
  • Le aziende e le persone stanno comprendendo che il social business ha un valore essenziale per il miglioramento dei processi di business e dell’operatività quotidiana.
  • Per mantenere, iniziare, finanziare, sostenere e fare in modo che funzionino (lo ripetiamo ancora una volta) le iniziative di social collaboration richiedono un profondo coinvolgimento da parte del top management, una leadership coerente, la capacità di tracciare i risultati e di disegnare processi corrispondenti.

Schermata 2013-07-19 alle 11.46.42

  • Sempre più industry stanno comprendendo e cominciando a implementare al loro interno e sull’esterno soluzioni di social business. Se a guidare restano le solite note: Entertainment, Media e Publishing seguita da ICT e Communication, molte altre stanno crescendo sia in termini di desiderata sia in termini di progetti effettivamente svolti con questo approccio.
  • Il 65% delle aziende si trova in uno stato avanzato rispetto all’applicazione di tecnologie di social business sull’esterno dell’organizzazione, che si è mosso molto prima rispetto all’interno. E’ solo il 45% – infatti – ad essere attivo su questo versante.
  • Tra i fattori che impediscono maggiormente alle imprese di scalare e di trasformarsi realmente in un’impresa digitale emerge anche il ragionare per silos considerando – ancora oggi – dipartimenti come scollegati gli uni dagli altri e l’interno e l’esterno dell’azienda come due cose completamente differenti. Come sappiamo bene uno dei principi chiave della nuova evoluzione alla quale stiamo assistendo è proprio quella che vede l’abbattimento della distinzione manichea tra interno ed esterno dell’organizzazione (principi come quelli che ci insegnano i processi di Social CRM, Co-Design e Co-Creation hanno ormai mostrato come solo attraverso un coinvolgimento esteso siano possibili dei risultati).
  • I C-Level dell’azienda e i senior executive credono profondamente che il social business non sia solo la moda del momento o una rivoluzione del modo di comunicare ma una versa e propria trasformazione digitale verso un modo migliore di lavorare e di collaborare tra aziende e consumatori e tra colleghi.

Schermata 2013-07-19 alle 16.21.15

A seconda di quello che è lo stadio di avanzamento all’interno dell’azienda delle tecnologie di social collaboration e di social business si incontrano resistenze, problematiche e spunti differenti che sono ben riassunti in questa tabella qui sotto che riporta uno spaccato – a mio avviso – davvero molto molto interessante.
La tabella riporta – secondo il grado di maturità raggiunto dall’azienda – anche alcuni consigli e note che possono essere utili per capire quale sia la direzione corretta da intraprendere per un completo percorso di social business e digital transformation che coinvolga l’intera organizzazione.
Alcuni dei punti che emergono in maniera consistente:

  • Partire per gradi, identificando persone di riferimento e procedendo con pilot e con ordine in modo da offrire valore a quello che si sta concretamente facendo
  • Realizzare una strategia a lungo termine che consenta di scalare adeguatamente e di prevedere evoluzioni rispetto allo stato attuale
  • Prevedere strumenti di misurazione e di controllo dei KPI per poter cambiare strada in corso d’opera o comunque aggiustare il tiro delle iniziative valutandone efficacia ed efficienza
  • Partecipare in prima persone e condividere – socializzando – i successi ottenuti
  • Connettere sensibilmente il social business alle dinamiche organizzative e aziendale e ai concreti processi di business in modo da misurarne efficacia e coerenza con le direzioni aziendali.

Schermata 2013-07-19 alle 16.58.42

E in Italia? Cosa succede nel nostro paese?
Una domanda interessante a cui stiamo provando a dare risposta con la Social Collaboration Survey 2013 che abbiamo lanciato proprio nei giorni scorsi per mappare a quale livello di maturità si trovi il nostro paese.

Negli ultimi mesi mi è capitato di leggere e analizzare moltissimi report dedicati al social business e a come i nuovi strumenti digitali stiano modificando i contesti organizzativi nei quali – quotidianamente – ci muoviamo.
Come spesso emerge esiste però uno scollamento tra quanto si legge sui report e quanto in realtà sperimentiamo.
In questa direzione, una delle domande che mi viene fatta più spesso – anche quando in aula e mi capita di citare i grandi casi di successo – è proprio: “Ma in Italia?” 

Ciò che emerge è proprio questo: la mancanza di dati strutturati e sistematizzati sullo stato della social collaboration nel nostro paese.

Assieme a Emanuele Quintarellihttp://www.socialenterprise.it/ ) abbiamo deciso di colmare – o perlomeno di provare – questo gap, cercando di raccogliere dati significativi, imparziali e completi sull’evoluzione di questo mercato nel nostro paese. 
In questa direzione abbiamo quindi voluto realizzare una survey che indagasse lo stato dell’arte, gli ostacoli all’adozione di tecnologie e strategie di questo tipo, i desiderata, le applicazioni concrete e i trend futuri.

La Social Collaboration Survey 2013 si concentra quindi su 4 dimensioni fondamentali per la diffusione della social collaboration: cultura, organizzazione e processi, tecnologia, misurazione.

Schermata 2013-07-22 alle 01.18.23

Con quale scopo?

I vantaggi dell’avere dati aggiornati sono molteplici, sia per i consulenti che si muovono in questo settore sia per le aziende che avrebbero modo di capire:

  • Lo stato dell’arte rispetto ad altri paesi nel mondo cercando un confronto arricchente ed evolutivo
  • Il loro posizionamento rispetto ad altre realtà nazionali comparabili
  • Quali siano le best practice e gli errori da evitare nel caso maturi una volontà nell’evolvere verso soluzioni di questo tipo
  • In che modo vengano allocati e distribuiti i budget all’interno di iniziative di questo tipo
  • In che modo si comportino le differenti industry e se siano rintracciabili dei trend trasversali o dei fattori differenzianti significativi
  • Quali sono le figure aziendali coinvolte all’interno di strategie e iniziative di social collaboration
  • Fino a che punto si possa investire in questa direzione nel nostro paese: sia in termini di ritorno economico sia in termini di percezione da parte degli utenti
  • Quale sia lo stato attuale della collaborazione all’interno delle aziende italiane
  • La penetrazione di tecnologie in ambito mobile e all’interno del contesto lavorativo quotidiano

E’ per questi motivi che abbiamo scelto di realizzare un progetto completamente gratuito, senza fini di lucro e gestito interamente nel nostro tempo libero. I nomi dei partecipanti saranno mantenuti anonimi mentre gli esiti della raccolta dei dati e dell’analisi (che si chiuderà a Settembre 2013) verrano resi pubblici e condivisi liberamente. 

Proprio perché il successo di questa iniziativa – che reputiamo molto interessante e valida – dipende da tutti, noi vi chiediamo uno sforzo comune, una vera e propria chiamata alle armi per completare la survey e per farla circolare tra i vostri contatti.

Questa iniziativa è mossa da una sincera sete di conoscenza e di volontà di aiutare aziende, manager e consulenti che hanno scelto di intraprendere la via della trasformazione digitale della propria organizzazione.

Cosa ne dite? Siete dei nostri?
Contiamo su di voi!

Ecco di nuovo il link e grazie in anticipo!
Qui trovate anche il post di Emanuele con i riferimenti dell’indagine.