Archives For November 30, 1999

Un recente report di PwC esplora le sfide e le opportunità che il digitale sta aprendo nell’ambito del Retail nel nostro paese e – più in generale – in Europa (per maggiori informazioni e per il report dettagliato vi suggerisco di dare un’occhiata a questo link dove trovate la ricerca completa con tutti gli estratti utili ad ogni possibile approfondimento – http://www.pwc.com/it/it/industries/retail-consumer/total-retail.jhtml)

Cerchiamo di evidenziare i dati principali che emergono dall’indagine e dall’analisi.
Il report inizia con un assunto di base molto forte che – comunque – ci da’ una precisa indicazione di come sia attualmente il mercato nel nostro paese. Come si legge:

Abbiamo svoltato. Nel 2012 il consumatore italiano competente e attento alle tematiche digitali ha superato il 50% della popolazione. E il trend continua, statisticamente inarrestabile, guidato dal cambiamento delle abitudini di consumo e dalle spinte demografiche. Nel 2014 ci chiediamo quanto il settore Retail & Consumer, e il Made in Italy in particolare, siano in grado di competere con la rivoluzione digitale, che sta interessando sia Paesi sviluppati economicamente che quelli emergenti.

Il Social Customer di cui abbiamo più e più volte parlato anche in questa sede è diventato ormai realtà affermata nella maggior parte della nostra popolazione. I consumatori utilizzano – cioè e per farla breve – sempre di più i media digitali per orientare le proprie scelte di consumo e di acquisto.
I consumatori che impiegano il digitale sono, quindi, la maggioranza e per le aziende la direzione pare ormai tracciata con forza. La scelta – come abbiamo detto e sottolineato più volte – non è più sull’entrare o meno in certe logiche ma sul come entrarci al meglio generando il ROI tanto sperato.

Schermata 2014-03-23 alle 18.05.43

Più nello specifico è possibile tracciare alcuni punti chiave:

  • i canali digitali hanno creato un nuovo modello di consumatore, più consapevole, informato e attento, ma non solo: i medesimi strumenti e canali gli consentono anche di decidere liberamente del proprio customer journey in fase di acquisto o di considerazione di acquisto di un prodotto specifico. La barriera tra negozio digitale, touchpoint di ingresso, canale social e eCommerce acquista sempre meno peso. Il consumatore vuole essere libero di muoversi e la sfida è tutta per il brand che deve cercare di costruire un’esperienza utente che vada ben oltre la “semplice” multicanalità divenendo consistente sui differenti canali e efficace. 
  • I consumatori non fanno distinzione tra brand e distributore. I grandi canali di vendita online vengono trattati allo stesso modo, è l’esperienza migliore (non solo in termini prezzo) a garantire la scelta per uno o per l’altro ambiente.
  • I consumatori vogliono partecipare e discutere con i brand e con i retailer e chiedono di essere ascoltati.
  • Esistono delle preferenze tecnologiche che non possono essere ignorate e che devono essere prese in considerazione. I consumatori ricercano un’esperienza completa e la tecnologia deve abilitare questo tipo di flusso e di percorso per l’utente.

Più nel dettaglio il consumatore italiano presenta alcune aree specifiche di forte interesse che lo contraddistinguono rispetto a quello degli altri paesi che sono stati presi in esame con l’analisi.

  • E’ una figura relativamente nuova che ancora non ha piena consapevolezza del suo ruolo e del peso specifico che può avere come protagonista nel determinare la sua stessa esperienza
  • E’ tendenzialmente giovane o molto giovane
  • E’ propenso all’impiego di media e strumenti digitali all’interno del suo day-by-day
  • Mostra – rispetto ai colleghi europei e alle medie mondiali – una certa preferenza per il canale “diretto”, ricerca quindi come primo mezzo di contatto quello con il brand. E’ l’85% ad adottare questo atteggiamento contro il 75% della media (comunque alta) globale.

Che cosa significa questo in concreto per le organizzazioni?
Significa ripensare i propri modelli di contatto e di vendita ridisegnando il customer journey e ponendo l’utente davvero al centro di tutto il processo e del percorso di trasformazione.

Schermata 2014-03-23 alle 18.21.51

In questo senso come si legge:

I canali digitali hanno acquisito un’importanza sempre maggiore all’interno del consumer journey e oggi gli operatori non possono più permettersi l’assenza dal presidio di uno di questi punti di contatto.
Da un’analisi sui consumatori italiani, inoltre, emerge una particolare propensione all’utilizzo di device mobili, che rappresentano quindi una straordinaria opportunità di contatto.

1/3 dei consumatori del nostro paese utilizza i canali digitali come canale preferenziale per l’acquisto e lo shopping online, non importa quale sia la marca o la industry di riferimento.
Ma per quale motivo? Il 35% lo fa perché compara i prezzi scegliendo il migliore possibile anche quando si trova ancora in negozio. Il 70% è convinto di trovare prezzi più bassi in internet. La comodità (51%) è la seconda ragione principale e l’accesso 24/24 è preferito dal 30% dei rispondenti.

Un altro segnale – a mio avviso – molto interessante che emerge è il fatto che gli utenti scelgano volontariamente di fornire maggiori dati in cambio di offerte personalizzate e opportunità mirate di acquisto. Il processo è anche attivo all’inverso: il 69% dei consumatori ricerca notizie e informazioni sul brand attraverso i social media.

Schermata 2014-03-23 alle 18.28.52

Cosa occorre fare quindi?
Il mercato e il consumatore rispetto a qualche anno fa sono profondamente mutati e cambiati. Le organizzazioni non possono più stare al palo dell’innovazione. Intraprendere il cambiamento digitale con una solida e coerente strategia di posizionamento e di presenza online è uno step fondamentale da saper cogliere, il rischio non è solo quello di non essere innovativi ma quello di sparire dal mercato.

E’ recentemente uscito il report “Born to be Digital” di EY dedicato ai CIO delle organizzazioni di tutto il mondo e alla loro percezione delle sfide che il digitale sta fortemente proponendo all’interno delle organizzazioni di medie e grandi dimensioni.
Qui trovate il link completo al report di 44 pagine del quale vi consiglio la lettura per approfondire il tema (http://www.ey.com/GL/en/Services/Advisory/EY-CIO-Born-to-be-digital-The-rise-of-the-digital-business).
Cerchiamo come di consueto di mappare i principali temi e highlight che emergono dall’analisi.

  • I CIO intravedono nel digitale una grande possibilità per la propria carriera e per l’intera organizzazione. Come abbiamo più e più volte ribadito in questa e in altre sedi, il mercato è finalmente maturato e cambiato e la consapevolezza in questo senso è cresciuta parecchio. Soprattutto nelle aziende IT è oltre il 50% degli intervistati a ritenere questo fenomeno come fondamentale. Inoltre, il 67% crede anche che l’area della digital transformation sia fondamentale per realizzare il cambiamento necessario a fare dell’organizzazione di nuovo la protagonista del mercato.
  • I CIO sono messi in “crisi” dall’emergere delle figure professionali nuove (i cosiddetti Chief Digital Officer) che si stanno affermando sul mercato e stanno prepotentemente facendosi strada in settori che una volta o non esistevano o erano – molto semplicemente – dominati da loro.
    La sinergia tra CIO e CDO – ammesso che queste figure esistano in azienda – è fondamentale. Più che una lotta è bene che si innesti un processo collaborativo e sinergico che consenta all’intera organizzazione di trarne beneficio effettivo (non solo economico ma lungo tutta la catena estesa di generazione del valore).
  • Il dialogo tra CIO e altri membri della C-Suite è chiave e fondamentale. In un mondo connesso e strutturato sulle reti come quello che stiamo vivendo e sperimentando ogni singolo giorno (sia all’interno sia all’esterno dell’organizzazione) richiede da parte di tutte le figure aziendali (specie se di alto livello) connessione, comunicazione, collaborazione.
    E’ solo attraverso un lavoro di sinergia che i CIO e altri livelli organizzativi saranno in grado di determinare in modo efficace il futuro dell’organizzazione creando valore non solo per se stessi ma per tutto l’ecosistema digitale

La bella infografica realizzata per l’occasione mostra alcuni dati significativi e interessanti di quanto è emerso dall’analisi, aiutando a focalizzarsi su alcuni numeri specifici del fenomeno che stiamo discutendo.

ey-born-to-be-digital-infographic

  • I CIO che intendono intraprendere o che hanno intrapreso le sfida della trasformazione digitale si muovono su alcuni asset fondamentali che li contraddistinguono dagli altri: innovano in modo costante e strategico, hanno una chiara visione di come la tecnologia stia radicalmente cambiando il modo di concepire e di organizzare le imprese, comprendono che il digitale è uno strumento e sanno collegarlo ai driver fondamentali di business dell’azienda massimizzando il valore che è possibile ottenere da questi strumenti.
  • Inoltre i CIO maggiormente “avanti” con l’attuazione di iniziative di digital transformation all’interno della loro impresa si fanno carico di assicurarsi che la loro visione sia compresa e accettata dall’azienda e dai colleghi contribuendo a rafforzare quei concetti di socializzazione e collaborazione ma anche di condivisione del valore e degli asset strategici che stanno alla base di ogni strategia digitale ben realizzata. Ancora una volta quindi il ruolo dell'(in)formazione è chiave per la diffusione di comportamenti corretti e di cambiamenti organizzativi di serie dimensioni.

Come si legge anche nel report:

All CIOs focus on issues relating to business performance and IT budgets, but digital-ready CIOs are far more engaged in the question of how to open new markets. For example, about two-thirds (65%) of digital-ready CIOs are strongly engaged in discussing IT’s role in researching and developing new services or products with the executive management team, compared with just 50% of IT intensive industry CIOs overall. “I spend at least 30% of my time on innovation,” remarks the CIO of a major telecommunications operator in China, who asked to remain anonymous. “I have 100% influence on technology innovation, which requires that I have both a technology background and also an understanding of corporate strategy and operations.”

  • I CIO digitalmente maturi si fanno carico di applicare una strategia che tenga in considerazione vari aspetti del progetto di sviluppo: dall’execution, all’abilitazione fino ad arrivare allo sviluppo concreto e alla messa in atto delle iniziative di trasformazione digitale e socializzazione dei processi di business.
  • Non ultimo: i CIO assumono rischi in prima persona, dandosi occasione di sperimentare, di provare e di “sporcarsi le mani” nella realizzazione di questo tipo di iniziative. Come sappiamo molto bene, in questo tipo di progetti, il fare conta più del parlare.

CIO Digital

Lascio alla lettura del report l’approfondimento di altri dati e informazioni che possono emergere. Quello che è sicuro è che al momento in cui si scrive il mercato è davvero pronto a un salto di maturità e di evoluzione nei confronti degli scenari digitali. Salti di evoluzione che non siano solamente legati al digitalizzare le imprese ma a derivarne concreti risultati di business. Finalmente siamo nell’epoca in cui il digitale diviene uno strumento operativo concreto al servizio di persone e imprese e coloro che sapranno sfruttarne le potenzialità, misurarne i risultati e derivarne obiettivi concreti e strategici saranno in grado di evolvere verso gli scenari.

Passare dal digital/social al business (quello vero) è la sfida dei prossimi giorni.

As you may know, together with Emanuele Quintarelli we have developed in the last months the Social Collaboration Survey 2013. Here some insights about what we discovered in the last months.

Along with the many projects recently carried out in Italy, the attention on collaborative dynamics and best practices is evidenced by the numerous international reports (Gartner, Forrester, MIT, Deloitte, Capgemini, Dachis …) who analyze the phenomenon from a human, organizational and technological point of view. While interesting, such data have rarely focused on Italy, on its network of small and medium-sized enterprises with its specific socio-economic conditions. The Social Collaboration Survey 2013, conducted by Stefano Besana and Emanuele Quintarelli, finally fills this gap by mapping collaborative practices and bringing to light their secrets and strategies for success.

Carried out online from July to September 2013, the Social Collaboration Survey has involved more than 300 Italian companies in an unprecedented X-ray analysis on 4 collaboration axes: culture, organization and processes, technology, measurement.
Among the main dimensions analyzed:
  • Relevance: To what extent is collaboration considered as a strategic topic both today and in the near future?
  • Drivers: What are the business drivers that lead companies to introduce tools and participatory approaches?
  • Sponsors: Which departments have the responsibility to launch and / or support collaborative initiatives?
  • Maturity: At what level of maturity are companies in our country?
  • Budget: How large are the available budgets and how are they spent among the different areas of the project?
  • Measurement: Which performance indicators and metrics are in place and how much is performance measurement already an integral part of existing initiatives?
  • Best & worst practices: Which strategies have been particularly effective in achieving high levels of adoption and what is important to avoid?
  • Processes: How deeply is collaboration intertwined into business processes?
  • Tools: Which tools are most often used by employees?

The results of Social Collaboration Survey 2013 underline that:

Collaboration is much more than a fad. The importance that companies assign to it is high and most likely to grow over the next three years up to 75% of the sample.

Collaboration generates value for the company. A targeted deployment of social platforms increases the efficiency of the company (43%), facilitates knowledge reuse (40%), improves project coordination (30%) and allows employees to stay up to date on what is done by their colleagues (30%).

Without adoption there is no return. Although it cannot be considered the end goal, pervasive adoption of new ways of working is instrumental to materialize the economic returns expected by management. For the majority of respondents, this still doesn’t happen, since only a small percentage of employees (<30%) is already involved in 2.0 tools. Less than 10% of companies have instead reached the milestone of almost complete adoption (>75% of employees).

Top Management sponsorizes the initiative. Even with bottom-up initiatives, real change requires a high level of sponsorship and a strong buy-in from the top management (70% vs. 34%).

No orphans. A careful, continuous and qualified cultivation is certainly not optional for those who aim to conquer the entire company. Successful projects show a lack of resources 5 times less (9% vs. 49%) than less mature initiatives.

Budget for change. Although still limited, the investment on collaboration grows hand in hand with its importance. The lack of budget (less than 10K Euro) is much rarer (36% vs. 64%) for the firms with proven experience on collaboration. This budget is also spent less on technology and more on people and strategy.

Measure to ROI. Measurement is correlated to success. Successful projects have metrics in plance 2 times more than others (91% vs 50%). More than participation metrics, business KPIs are core inthe most advanced projects (61% vs 22%).

A more collaborative culture. Large companies are more willing to recognize the value of collaboration (82% vs. 70% in 3 years).

More focus on business needs. Bigger firms have stakeholders most often positioned in specific units such as Innovation, HR, Customer Support, Training and Education.

ROI as the main barrier. Apart from the overall lack of understanding of the potential of collaboration by the top management (50%), the most clear resistance in the large company is the difficulty of measuring the return on investment or the impact of intangible benefits (49%). In smaller companies it is rather the culture to represent the most obvious obstacle (58%).

For more information visit: http://socialcollaborationsurvey.com/

In uno degli ultimi post abbiamo analizzato come ogni tipologia di business e di impresa stia muovendo i propri passi verso un ecosistema sempre più digitale e in che modo questo abbia influenzato sostanzialmente tutti i processi delle organizzazioni e delle imprese, a differenti livelli e in modo trasversale rispetto alle industry di appartenenza e alle dimensioni.

Un report di EY dello scorso ottobre mette l’accento sul fenomeno del digitale all’interno del mondo assicurativo sottolineando i cambiamenti e le sfide che questo tipo di mercato si troverà ad affrontare nel prossimo – immediato – futuro.

Vediamo di analizzare nello specifico alcuni dei risultati che emergono dal report. L’importanza del digitale è ormai sotto agli occhi di tutti. Come si legge nel report è un processo che richiede un modo di lavorare e un approccio completamente nuovi rispetto a quelli a cui eravamo abituati.

Quote

Alcune delle informazioni chiave che emergono dall’analisi:

  • Le compagnie di assicurazione hanno compreso che non sono abbastanza pronte rispetto alla trasformazione digitale e stanno provando ad attrezzarsi per fare il passo, consapevoli – allo stesso modo – dell’importanza di questo mercato. E’ oltre l’80% delle aziende intervistate a non sentirsi leader in questo
  • Le aspettative sono alte ma le competenze non rispondono altrettanto bene. 2/3 delle organizzazioni sono consapevoli che ciò che hanno realizzato è ancora immaturo e non sufficiente.
  • Il potenziale è trattenuto.
    Molte di queste realtà non stanno liberando completamente il potenziale che risulta inespresso e inefficace. Per quanto riguarda gli ostacoli ci si trova di fronte a problemi di natura differente: culturale, organizzativa e tecnologica. Questo rende le organizzazioni in oggetto incapaci di cogliere le possibilità della trasformazione digitale come vorrebbero.
  • La Customer Experience gioca un ruolo chiave.
    Anche le assicurazioni hanno compreso che devono lavorare seriamente e sinceramente senza molte “storie” sulla customer experience e sul coinvolgimento effettivo del consumatore all’interno delle logiche organizzative in modo molto più pro-attivo.
  • La misurazione rappresenta un fattore critico di successo ed è di importanza strategica fondamentale.
  • Le assicurazioni devono imbracciare il cambiamento introdotto dal mobile e dai social media in modo più significativo e consistente.
  • E’ importante che l’intera azienda sia coinvolta.
    Dai livelli più alti a quelli più bassi, dall’interno all’esterno tutti devono entrare in gioco e spendersi in prima persona nella creazione di valore per tutto l’ecosistema aziendale.

Insurance Inhibitors

In riferimento a quanto detto e quanto emerso sono visibili anche alcuni dati molto interessanti che sottolineano questo tipo di processi.

Il 57% delle organizzazioni interpellate ritiene che i modelli organizzativi interni non siano in grado di facilitare il digitale, la barriera legata al vecchio modo di funzionare e di lavorare sembra essere lo scoglio culturale e aziendale maggiore nell’adozione di nuove modalità. Il 79% delle aziende ritiene di essere ancora in una fase esplorativa e rispetto al Customer Care addirittura l’89% non considera le precedente interazioni con i clienti quando consiglia un determinato servizio o prodotto, dando origine a una pessima esperienza utente che spesso sfocia nella perdita del cliente o nella mancanza di proposizioni di valore.

Insurance Inhibitors 2

La comprensione dell’importanza del digitale nella costruzione di una esperienza utente significativa è ormai cosa assodata e moltissime organizzazioni sono consapevoli del fatto che rappresenti una sfida corretta da intraprendere nel prossimo futuro. E’ tuttavia solo il 46% delle aziende a credere che i consumatori cambieranno compagnia se l’organizzazione fallirà nel processo di trasformazione digitale. La necessità è quindi avvertita ma non in modo così urgente e consistente.

Il mobile è un altro grosso punto di domanda per queste aziende. E’ solo il 43% a fornire un supporto mobile a fronte di un 72% che lo offre anche online. Il mobile quindi non è ancora percepito come un asset fondamentale ma come un di più non affatto strategico.

Il report oltre a fornire degli ottimi spunti e moltissimi dati interessanti mette a disposizione anche una roadmap per coloro che volessero cominciare a intraprendere un serio e significativo cammino in questa direzione:

  • Costruire una strategia digitale e definire chiaramente gli obiettivi
  • Consentire lo sviluppo di risorse e di expertise dedicate al mondo del digitale e ai suoi processi. Nuove logiche richiedono nuovi modi di ragionare e nuove competenze che non tutti hanno.
  • Calcolare il corretto investimento, pensare di intraprendere un percorso di questo tipo senza il budget economico per sostenerlo è quantomeno rischioso. Processi complessi richiedono investimenti complessi per poter funzionare a dovere.
  • Misurare e ancora misurare: l’importanza degli analytics è chiave per riuscire a sopravvivere e a comprendere in che direzione si sta andando.
  • Sviluppare e prevedere supporti per il mobile, considerando anche – e soprattutto – che il mercato sta andando totalmente in quella direzione e questo è quello che chiedono i consumatori.
  • Considerare la cultura dell’organizzazione: non tutte le aziende sono ugualmente pronte e non tutte le aziende si muovono allo stesso modo comportandosi in maniera analoga. Comprendere come sono fatte e come ragionano è sicuramente un punto chiave fondamentale.
  • Creare una cultura della collaborazione e dell’innovazione

Cycle

Ancora molto spazio di investimento e di manovra dunque per chi voglia conquistarsi un pezzo in questo settore in cui a fronte di una consapevolezza non si sono ancora avviati i giusti meccanismi in grado di far accadere concretamente le cose. Si tratta quindi di uno spazio interessante sia da presidiare sia da tenere d’occhio per i prossimi mesi e anni. Il settore risulta senza dubbio molto forte e il contributo che il digitale può fornire a questo tipo di processo altrettanto significativo.

In questa e in altre sedi abbiamo spesso parlato di come il digitale e i processi social calati in contesti aziendali specifici (marketing, innovation, R&D…) siano in grado di creare valore e di migliorare notevolmente i processi facilitando alcuni asset fondamentali dell’organizzazione.

Che il digitale sia una leva strategica fondamentale per le imprese del presente e del prossimo immediato futuro non è – quindi – cosa nuova, né una notizia particolarmente sconvolgente. La scala sulla quale siamo coinvolti nel fenomeno è però aumentata notevolmente negli ultimi anni tanto da spingere Accenture a rilasciare nei mesi scorsi un report che titola “Every Business is a Digital Business”. Titolo sicuramente che attira l’attenzione ma che fa riflettere sulla portata del cambiamento del quale stiamo parlando.

La sfida, tra le varie informazioni contenute nel report di cui vi consiglio la lettura, sta appunto non più nell’avvicinarsi e nell’adottare il digitale come parte del proprio modus operandi (cosa che bene o male possiamo sostenere tutti quanti abbiano fatto o stiano facendo – anche solo per curiosità – negli ultimi anni) ma nell’evolvere i processi digitali portandoli ad una completa integrazione con quello che è il business “tradizionale”

L’evoluzione della collaborazione aziendale segue questo principio e le imprese del prossimo futuro saranno tanto più efficaci quanto sapranno capitalizzare al massimo la capacità di costruire ambienti connessi e in grado di muoversi in modo coordinato e coerente con tutto il proprio ecosistema (coinvolgendo sia i dipendenti all’interno, sia i consumatori all’esterno).

Social Collaboration

L’evoluzione è ben rappresentata dallo schema citato e ritorna anche nelle riflessioni che abbiamo condotto negli scorsi mesi parlando di Social Collaboration in Italia (http://socialcollaborationsurvey.it/), la nostra analisi ha mostrato che le organizzazioni più mature sono quelle in grado di misurare seriamente i risultati che vogliono ottenere e di strutturare un percorso concreto che le porta a connettere in modo sempre più profondo la social collaboration a processi core e strutturali dell’organizzazione.
In sostanza chi riesce meglio è chi ha compreso che la collaborazione e i processi digitali sono tanto più efficaci quando sono in grado di incidere in modo significativo sulla struttura stessa dell’azienda che li impiega.

Il report di Accenture si focalizza in particolar modo sulle cosiddette Life Science Business ma possiamo considerare gli insegnamenti riportati validi per qualunque tipo di industry, alcune – come quella citata e menzionata nello studio – sono sicuramente maggiormente esposte a sollecitazioni avendo quotidianamente a che fare con “clienti” finale e occupandosi di un tema particolarmente delicato.

I processi e le industry abbiamo visto essere trasversali rispetto anche a dimensioni, fatturato, dipendenti coinvolti e possibilità offerte. Nell’analisi condotta durante la Social Collaboration Survey ci siamo resi conto proprio di come il contributo che la trasformazione digitale è in grado di fornire all’organizzazione è di vasta portata e riguarda aspetti ben più profondi di quelli meramente tecnologici.

Come si legge nel report:

Riflettere – oggi – sulla Social Collaboration e sui temi della trasformazione digitale, significa non solamente prendere atto delle profondissime leve che stanno rifondando gli stessi concetti di strategia e competizione sui quali molti senior executive continuano a basare le proprie decisioni, ma anche – e soprattutto – acquisire un punto di vista finalmente più a misura d’uomo e più umano-centrico dell’organizzazione, nella convinzione che il prossimo futuro sarà più favorevole a coloro in grado di sfruttare l’enorme potenziale nascosto nell’energia, nella passione, nella motivazione e nella voglia di dare il massimo dei propri dipendenti.

Collaborare significa, in ultima istanza, motivare le persone a incidere positivamente sulle fondamenta dell’impresa, migliorando al contempo la qualità della propria vita.

Un profondo cambiamento quindi che riguarda l’intera impresa e in cui tutti gli attori che partecipano o ruotano a vario titolo nella creazione di valore sono coinvolti e devono sentirsi coinvolti.

Le aziende che hanno saputo e che sanno andare in questa direzione sono quelle che avranno maggiore successo nel prossimo futuro riuscendo a adottare meccanismi maggiormente resilienti ed efficaci in grado di modificare le condizioni esterne e trasformare qualunque difficoltà in una sfida e qualunque sfida in un’opportunità.

Uno dei temi chiave di questo blog è sempre stato il legame che il digitale e le tecnologie di social collaboration hanno con i processi di business esistenti nelle organizzazioni e in che modo impattino – in modo positivo s’intende – nel definire organizzazioni più efficaci e in grado di lavorare meglio con risultati sempre superiori. Un report di Accenture del mese scorso intitolato proprio “High performers in IT: defined by digital” mette in luce alcuni dati interessanti su come le aziende leader di settore stiano utilizzando questi strumenti per massimizzare il valore che sono in grado di generare all’interno del loro contesto. Come si legge nell’introduzione:

High performers in it are consolidating the noticeable lead that they have opened up in recent years. Not only are they finding novel ways to optimize— holding down costs and streamlining processes across their organizations—but they are also actively driving innovation and top-line growth. increasingly, they are central to their organizations’ strategic directions— and increasingly, those directions are defined by digital. Here are the highlights of accenture’s fourth High Performance it research, with the digital dimension clearly visible.

Cerchiamo di vedere i dati più significativi che è possibile trarre dal report.
Per prima cosa emerge un’informazione fondamentale su tutte (casomai ce ne fosse ancora bisogno): il consumatore ha assunto e sta assumendo un ruolo sempre più centrale, non solo nella generazione di domande e di apertura di bisogni nelle diverse fasi della sua esperienza con l’organizzazione, ma anche nelle priorità dei CIO delle aziende più avanzate che lo mettono al centro di tutti i loro processi.
Stiamo assistendo, perlomeno da parte della aziende che lavorano meglio e che stanno riuscendo in maniera più efficace a capitalizzare le trasformazioni del digitale allo spostamento da meccanismi che potremmo definire inside-out a logiche outside-in.

Schermata 2013-12-27 alle 15.56.03
Anche le aziende che sono convinte di vendere “solamente” un prodotto, si stanno rendendo conto di uno spostamento di valore sempre maggiore nei confronti della relazione e del servizio. Il ruolo dell’esperienza utente diviene così cruciale e fondamentale. Sempre in questa direzione, le organizzazioni più mature hanno altresì compreso l’importanza della dimensione IT come un qualcosa di non secondario e di strettamente collegato a indicatori puntuali e precisi di business. La strategia IT viene infatti decisa in accordo con gli obiettivi che si vogliono ottenere e in modo collaborativo rispetto agli altri.  dipartimenti organizzativi.
Schermata 2013-12-27 alle 16.01.35
Indicazioni analoghe si hanno anche rispetto alla maturità della tecnologia che le organizzazioni più performanti hanno deciso di adottare. La direzione Cloud sembra essere quella predominante e come si legge:

To high performers, hybrid cloud is not just a steppingstone; it is integral to the future state of IT organizations.

Schermata 2013-12-27 alle 16.07.49

Le organizzazioni al top della piramide di efficienza hanno compreso allo stesso modo due dimensioni fondamentali che meritano una riflessioni di dettaglio.

  • Il digitale non può essere relegato a un’unica industry, funzione o dipartimento. Le trasformazioni che esso abilita sono – infatti – trasversali rispetto ai processi che entrano in gioco all’interno di un’organizzazione complessa. In questo senso i vantaggi migliori e i risultati più efficaci di applicazione del digitale si hanno quando si lavora in modo trasversale su differenti livelli e diversi dipartimenti o aree di una medesima organizzazione.
  • Gli stessi dipendenti dell’organizzazione sono protagonisti attivi del processo. Il coinvolgimento della forza lavoro attuale dell’organizzazione è fondamentale sia per la riuscita dell’iniziativa sia per la realizzazione di un modello di organizzazione più flessibile, più aperto, trasversale rispetto ai vecchi modi di ragionare e di lavorare e in grado di essere anche più veloce ed efficiente nella risposta alle esigenze e ai problemi possibili che emergono e vengono portati alla luce dai consumatori.

Un business digitale si basa sulla gestione dei dati e delle informazioni in tempo reale e in modo rapido. Per fare questo è necessario:

  • Creare il contesto tecnologico (piattaforma di social collaboration) che lo consenta e che permetta di avere accesso all’informazione in tempo reale
  • Ridistribuire le logiche di informazione di gestione della conoscenza verso modelli più aperti, flessibili e partecipati (e.g. Wiki aziendale)
  • Abbandonare l’idea che “l’informazione è potere”. Ragionare su modalità di lavoro maggiormente collaborative dove il “potere” non risiede nell’informazione ma nella capacità di mettere questa informazione a fattor comune, applicarla e generare valore per tutto l’ecosistema aziendale (sia all’esterno dell’impresa sia all’esterno verso i consumatori).
  • Formare le persone al cambiamento. E’ chiaro – lo abbiamo sottolineato più volte anche in questa sede – che la tecnologia e la dimensione IT per quanto importante, è – da sola – completamente insufficiente a veder realizzati i progetti. Senza una base di cambiamento efficace e strutturata non è possibile riuscire.

Schermata 2013-12-27 alle 16.18.29

Misurare, misurare e ancora misurare. Come emerso anche dai dati della Social Collaboration Survey 2013 condotta da me ed Emanuele Quintarelli, le aziende che performano meglio e che hanno un livello di adozione maggiore sono quelle che si pongono degli obiettivi e che provano a raggiungerli e che – comunque vada – misurano successi e insuccessi delle azioni che portano avanti e che conducono, massimizzando i risultati compiuti. Avere delle metriche – il più possibile vicine a quelle del business tradizionale – è quanto di più vicino possibile alla misurazione del ROI di approcci digitali. Se misuriamo siamo anche in grado di aggiustare il tiro e di arrivare a definire sempre meglio la nostra strategia. In caso contrario non andare incontro a un sicuro fallimento sarà molto difficile.

Ce l’abbiamo fatta!
Qualche notte insonne e qualche faticata non da poco per l’elaborazione dei dati ma alla fine… ce l’abbiamo fatta!
E’ online il sito dell’iniziativa che ho lanciato insieme all’amico Emanuele Quintarelli e lo trovate qui: Social Collaboration Survey 2013.

Un lavoro complesso che ci ha impegnati negli ultimi tre mesi nel tentativo tanto ambizioso quanto importante di provare a mappare lo stato della collaborazione all’interno delle aziende italiane, tentando di identificare: le metriche di successo, i problemi, le risorse coinvolte, le tecnologie, i processi e gli approcci strategici delle aziende che nel nostro paese stanno provando o hanno già avviato iniziative di trasformazione digitale al loro interno.

Collaboration in Italia

Come si legge sul sito abbiamo provato a dare risposta ad alcuni aspetti chiave per la comprensione del fenomeno della social collaboration e dell’importanza che sta avendo – e che sempre di più avrà nei prossimi anni:
  • Rilevanza: Quanto il tema della collaboration è sentito dalle aziende oggi e nel prossimo futuro?
  • Driver: Quali sono i driver di business che spingono le aziende ad introdurre strumenti ed approcci partecipativi?
  • Sponsor: Quali dipartimenti hanno la responsabilità di lanciare e/o di supportare le iniziative?
  • Maturità: Che livello di maturità hanno raggiunto le imprese del nostro paese da un punto di vista di collaboration?
  • Budget: Quanto consistenti sono i budget disponibili ed in quale aree del progetto vengono spesi?
  • Misurazione: Quali indicatori di performance e metriche sono utilizzati e quanto la misurazione dei risultati è già parte delle iniziative?
  • Best e worst practice: Quali strategie si sono rivelate particolarmente efficaci nel raggiungere alti livelli di adozione e quali errori è importante evitare?
  • Processi: Fino a che punto la collaboration interseca e migliora flussi di lavoro e processi di business esistenti in azienda?
  • Strumenti: Quali tool sono utilizzati più frequentemente dai dipendenti?

Ma che cosa intendiamo con il termine Social Collaboration?

Un insieme di strategie, processi, comportamenti e piattaforme digitali che consentono a gruppi di persone all’interno dell’azienda di connettersi, interagire, condividere informazioni e lavorare ad un comune obiettivo di business

Finalita

Ma che cosa abbiamo scoperto, in sintesi?

  • In un momento di congiuntura economica negativa strumenti come quelli offerti dal digitale e dalla social collaboration sono in grado di insistere su nuove leve di produttività rilanciando con forza la capacità delle aziende di capitalizzare creatività, conoscenza e relazioni.
  • La collaboration è ben più di una moda passeggera. L’importanza che le aziende le attribuiscono è molto elevata. E’ il 75% delle aziende intervistate a ritenerla cruciale per i prossimi 3 anni.
  • Collaborare genera valore. Le imprese che usano in modo mirato le piattaforme social all’interno dell’organizzazione sono quelle che riescono a ottenere i maggiori benefici in termini di efficientamento del lavoro, riuso della conoscenza, e miglioramento nel coordinamento dei progetti.
  • Senza adozione non c’è ritorno. La collaboration semplicemente non funziona per le aziende che non sanno come misurare e non sanno come coinvolgere in maniera estesa tutto l’ecosistema aziendale.
  • Il Top Management ci mette la faccia. Le iniziative di successo sono quelle che partono da una forte sponsorship dall’alto e che coinvolgono in maniera estesa anche i dipendenti.
  • Serve del budget. Non è possibile pensare di innovare e di cambiare le modalità di lavoro interne all’azienda senza destinare del budget per queste iniziative che favoriscano il cambiamento e le modalità di gestione.
  • Misurare, misurare e misurare. Poche le aziende che lo fanno con indicatori, KPI e metrriche davvero significative, molte quelle che hanno un approccio ancora naive che impedisce un corretto processo. Le aziende più mature sono anche quelle che misurano di più e che più spesso fanno “un punto nave”.
  • Il Social Business è realtà. L’integrazione tra processi interni ed esterni per molte aziende è qualcosa di compreso e qualcosa che sta cominciando ad essere implementato e che promette di esserlo sempre di più nell’arco dei prossimi anni.
  • Grande e piccolo. Forte e debole. Aziende più grandi si comportano in modo differente dalle piccole e aziende di successo hanno processi completamente differenti rispetto a quelle che non riescono a sfruttare e capitalizzare il valore della social collaboration. Nell’indagine spieghiamo anche questo nel dettaglio.Ingaggio.

Per approfondire altri dati e altre informazioni vi lascio alla lettura completa del report che trovate su:
www.socialcollaborationsurvey.it e ricordatevi di farci sapere cosa ne pensate con l’hashtag #socialcollabsurvey. 

Ricordo infine che l’iniziativa è stata condotta a titolo gratuito da due persone – come me ed Emanuele – che lavorano da molto tempo in questo settore e che hanno voluto fornire un contributo – seppur modesto – sia alla comprensione dello stato dell’arte della collaborazione nel nostro paese sia alla diffusione di best practice e di modalità di impiego corretto di processi e strategie digitali all’interno delle organizzazioni.

Un grazie speciale – tra in tanti che ci hanno aiutato nell’iniziativa e nel farla circolare – ad Alessandro Fontana che è stato un valido e prezioso aiuto non solo dal punto di vista dell’information visualization ma anche nel fornirci spunti e rilfessioni di valore arricchendo notevolmente il report.

L’obiettivo?
Evolvere il nostro modo di lavorare, le nostre aziende, le nostre organizzazioni verso un modello più social, verso un modello più centrato sulle persone, più aperto, più collaborativo, più resiliente, un modello di organizzazione pensato dalle persone per le persone
.

Buona lettura!