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IBM ha da poco rilasciato un report molto interessante dal titolo: “The Customer-activated Enterprise – Insights from the Global C-suite Study” che analizza in che modo le tecnologie digitali abbiano fortemente modificato il ruolo del consumatore di oggi portandolo a esercitare un forte impatto di trasformazione organizzativa all’interno delle aziende.

In breve: il consumatore, il cliente – oggi – esercita – un potere molto maggiore rispetto al passato. Abbiamo più volte – in questa e in altre sedi – parlato delle caratteristiche chiave del social customer e analizzato come i social media abbiano consentito uno sviluppo di consapevolezza, trasparenza, coinvolgimento, autorevolezza che le aziende non possono più ignorare. Se fino a qualche tempo fa la tecnica “dello struzzo” poteva funzionare, ora non è più possibile adottarla: nascondere la testa sotto alla sabbia non rappresenta una strategia praticabile e sostenibile.

Ma cerchiamo di capire in che modo il report analizza la situazione e quali insight interessanti se ne possono estrarre.
Per prima cosa il report deriva da migliaia di intervista face-to-face condotte da IBM negli ultimi anni a C-Level di diverse aziende nel mondo. La ricerca permette di tracciare quindi un report completo e una visione generale della percezione che i livelli più alti delle organizzazioni hanno rispetto alle nuove tendenze del mercato e ai macro-trend organizzativi.
Interessante – come primo dato che emerge – risulta essere la percezione di importanza che la dimensione digitale ha assunto negli anni arrivando a prevalere su molte altre caratteristiche nel panorama delle sfide che le organizzazioni si trovano costrette e “obbligate” ad affrontare per poter sopravvivere.

Dal 2006 ad oggi – infatti – l’aspetto delle tecnologie digitali ha raggiunto la prima dimensione nelle priorità strategiche delle aziende, risalendo la china e posizionandosi prima di altri processi e aspetti (indicatori macro-economici, talent management, people skills…). E questo è vero per tutti i livelli aziendali ma in particolar modo per tutta la cosiddetta C-Suite (CFO, CMO, CIO, CHRO, CEO, ecc.)

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Il grafico sopra mostra poi un altro aspetto molto molto interessante di cui più volte ho avuto il piacere di discutere e di analizzare. Sempre più aziende (di grandi e grandissime dimensioni) si stanno rendendo conto che il coinvolgere i consumatori all’interno dei loro processi interni risulta un assett fondamentale attorno al quale costruire la loro strategia organizzativa. In questo modo crollano (come abbiamo più volte visto parlando di Social Business) le classiche distinzioni tra interno ed esterno delle aziende, crollano le barriere tra consumatori e dipendenti interni, crollano i meccanismi classici attorno ai quali si sono costruite le aziende negli ultimi anni e si affermano modelli più partecipati, aperti, collaborativi, in una parola: modelli più social.

Kimberly-Clark è una delle aziende che ha compreso questo processo e – da qualche anno – lo sta fortemente implementando all’interno di tutti i suoi processi:

Dei CxO è oltre il 54% a essere convinto che i consumatori stiano oggi esercitando un ruolo cruciale sulle loro organizzazioni, il 36% crede che l’influenza sia presente ma non elevata  mentre è solo il 10% a credere ancora che quello che accade “fuori” dall’organizzazione non ne influenzi i processi interni.

“As customers gain more power over the business via social media, their expectations keep rising and their tolerance keeps decreasing.”

Con l’aumentare della consapevolezza e dell’aspettativa da parte dei consumatori, sempre più organizzazioni si rendono conto che la sfida nei prossimi anni sarà realizzare esperienze integrare che riflettano sulla capacità non solo di rispondere alle mutate esigenze ma di superarle. Le aziende migliori e più efficaci saranno quelle in grado di garantire questo salto di qualità e di rispondere appieno alle differenti e profonde richieste dei consumatori. A che pro? Crescita del business. La ricerca mostra – infatti – che le aziende che funzionano meglio sono quelle che collaborano e coinvolgono di più sia i loro consumatori sia i loro dipendenti.

L’importanza che i consumatori stanno assumendo all’interno delle organizzazioni è oltretutto rafforzata dai dati mostrati qui sotto.
Come nel caso di Kimberly Clark le aziende che sono in grado di insistere e di coinvolgere i propri clienti all’interno di un processo chiaro e definito sono quelle che meglio riescono a fidelizzarli, fronteggiando nuove sfide poste dal mercato e dall’attuale situazione di incertezza.

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Non dimentichiamoci però nemmeno il famoso ammonimento di Trismegisto : “come in alto così in basso”. Qui potremmo dire: come all’esterno così anche all’interno. Non si può – infatti – essere social a metà, non si può in altri termini pensare di aprirsi verso l’esterno e di coinvolgere i consumatori della propria azienda senza effettuare dei profondi processi di change managament anche al proprio interno. Processi che impattino fortemente sulla cultura organizzativa e che cambino le modalità classiche di organizzare e gestire il lavoro. In questo senso la funzione HR (che come sappiamo e abbiamo visto da molti precedenti articoli gioca un ruolo fortemente marginale ancora) deve divenire protagonista e facilitatrice di questo processo.

“The HR function has a role to play in encouraging a less autocratic, more collaborative approach to leadership, introducing new performance management processes and bringing the organization along.”

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E’ quindi in atto una profonda trasformazione delle aziende, una consapevolezza sempre maggiore che sta coinvolgendo l’intera organizzazione, si parla di un profondo cambiamento di una radicale trasformazione che passa dal digitale ma coinvolge molti più aspetti del digitale. Una trasformazione che richiede l’abbattimento di barriere esterne ma anche di silos interni, che consenta l’emersione di modelli collaborativi e che consenta di realizzare aziende aperte, flessibili, partecipate, aziende in cui il focus siano le persone: non importa se consumatori, clienti, partner, stakeholder o dipendenti.
Ciò che sarà sempre più importante sarà investire nel valore e in una direzione comune: lavorando in modo collaborativo.

Una recente analisi di McKinsey pubblicata il mese scorso e derivata da un’indagine condotta su alcune aziende e alcuni C-Level delle più importanti organizzazioni al mondo mostra alcuni aspetti veramente interessanti per comprendere a che livello e a che punto ci troviamo nello stato di avanzamento del processo di digitalizzazione delle imprese e delle aziende di tutto il mondo.

Il report (seppur nella sua brevità e nei pochi messaggi che rilascia) è davvero interessante per comprendere alcuni aspetti chiave che entrano in gioco nel cammino di trasformazione verso il social business. Tra i messaggi principali che emergono: l’importanza di coinvolgere tutta l’azienda (sia all’interno sia all’esterno, sia nei livelli più alti come in quelli più bassi), l’importanza di una visione coerente e coesa e la necessità di investimenti sensati e significativi che garantiscano successo e ROI.

Più nello specifico, le dimensioni analizzate dall’indagine sono 5 e rappresentano alcuni dei punti chiavi dell’innovazione digitale all’interno delle organizzazioni:

  • big data e social analytics
  • digital engagement dei consumatori
  • digital engagement dei dipendenti e dei partner esterni
  • automazione e processi interni
  • digital innovation

Ma il vero messaggio chiave che emerge dall’intera analisi è un altro, come si legge:

They report, for example, that their companies are using digital technology more and more to engage with customers and reach them through new channels. What’s more, growing shares report that their companies are making digital marketing and customer engagement a high strategic priority. Nevertheless, there is more work to do: most executives estimate that at best, their companies are one-quarter of the way toward realizing the end-state vision for their digital programs.

Interessante notare, quindi, come la strada da fare sia ancora molta, la consapevolezza presente e lo spazio per crescere ancora significativo. Tre messaggi confortanti che consentono di aprire uno spazio di investimento e di lavoro ampio e notevole per il prossimo immediato futuro (destinato – va da sé – a chi saprà coglierlo).

Rispetto alle cinque dimensioni chiave analizzate, i rispondenti affermano l’importanza strategica prevalente di alcune di esse: in primo luogo il 56% di loro afferma che il coinvolgimento del social customer tramite strumenti digital è nelle prime 10 priorità dell’azienda, a testimonianza – casomai ce ne fosse ancora bisogno – che l’esterno dell’azienda è ormai sempre più sensibile a questi temi e a queste esigenze, stimolato dalle spinte e dalle necessità imposte dal mercato attuale.

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Un altro dato che emerge in modo molto interessante e significativo è la crescita rispetto all’anno precedente che stanno avendo tutte le dimensioni rispetto al loro livello di digitalizzazione. Anche sui processi più delicati (sull’interno dell’organizzazione) sta cominciando a muoversi qualcosa di interessante, seppur a livello ancora embrionale e immaturo rispetto all’esterno dell’azienda.
A mio avviso il dato più significativo resta comunque il crescente coinvolgimento dei CEO in iniziative di questo tipo e di questa natura. Paragonando i dati attuali con quelli dell’indagine del 2012 emerge in modo significativo una crescita nel coinvolgimento e nel committment da parte dei livelli più alti delle organizzazioni.

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Altre informazioni interessanti emergono dall’analisi che consente di verificare su quali fattori di successo e di insuccesso si basano le iniziative di social business transfomation permettendo – quindi – di trovare le modalità per evitare i problemi contro cui molte organizzazioni si scontrano inficiando la validità e il ritorno positivo dei vari progetti.
Di queste dimensioni stiamo provando (assieme ad Emanuele Quintarelli) a darne una visione anche italiana tramite la Social Collaboration Survey 2013 alla quale hanno già partecipato oltre 300 aziende e che mostra dati non troppo dissimili da quelli che sono illustrati dall’ultima analisi di McKinsey. Le sfide del social business sono ormai quindi note, le possibilità estremamente vaste e gli ostacoli che si incontrano sempre – più o meno – gli stessi. Tutto questo ci permette di avere nuovo slancio e nuova fiducia verso i progetti di digital transformation delle organizzazioni permettendo di massimizzare gli investimenti e di ottenere benefici sempre maggiori sfruttando appieno tutte le potenzialità (ampie) che offre al momento il mercato.

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Pur in pochi dati questa analisi sottolinea alcuni trend interessanti e di livello:

  • l’importanza del coinvolgimento di tutta l’azienda e di tutto il suo ecosistema, poco importa che siano fornitori, partner, clienti, consumatori finali o dipendenti all’interno della nostra organizzazione
  • la necessità di una strategia coerente che coinvolga e si guadagni il committment dei C-Level dell’organizzazione
  • la strada è ancora lunga e le possibilità ancora molte, ma bisogna cominciare a muoversi e ad andare nella direzione prestabilita avviando sperimentazioni e casi concreti
  • il livello di coinvolgimento dei consumatori esterni ormai è un dato di fatto. L’evoluzione, annunciata ormai qualche anno fa, verso il social customer ha ormai raggiunto uno stadio di maturità elevata, che deve essere gestita dalle organizzazioni. La sensazione è ormai che tutti abbiano compreso che non è più una scelta sull’intraprendere o meno la strada del digital, ma è piuttosto una scelta che riguarda il modo migliore per farlo
  • trovare leader illuminati che siano in grado di guidare l’azienda verso la trasformazione completa è oggi più fondamentale che in passato
  • allo stesso modo talenti e persone che hanno volontà di fare e di emergere devono avere spazio e risorse per crescere, e non solo sulla carte, come spesso accade in moltissime aziende che seguono il paradigma del “fate quello che dico, ma non fate quello che faccio”
  • i budget e gli investimenti sono in crescita e mostrano la volontà delle aziende di andare in questa direzione con sempre più forza e coerenza
  • la misurazione del ROI, il tracciamento dei risultato, lo stabilire metriche sono tutte dimensioni fondamentali che non possono essere trascurate. Fare il punto nave è tanto importante quanto la direzione da seguire, darsi dei momenti di verifica periodoica sull’andamrento di questo tipo di progetti è di fondamentale importanza e consente di: aumentare il coinvoglimento e il senso di coerenza e di intesa sul progetto, la comprensione circa quello che si sta facendo e l’aggiustamento in caso di errori o di tentativi non corretti. E’ l’unico modo – infatti – per comprnedere realmente se quello che si sta facendo si muove nella giusta direzione

La rotta indicata, le vele spiegate, l’ancora levata. Chi ha il coraggio di salpare? Di sicuro la strada non è semplice e i rischi saranno molti, ma usiamo la frase e il famoso aforisma di John A. Shedd come monito e come guida per il nostro percorso di trasformazione

Le navi sono sicure nel porto. Ma non è per stare in porto che sono fatte le navi.

Un report del CEB di qualche mese fa (http://www.executiveboard.com/) mette in evidenza alcuni cambiamenti interessanti e alcune dinamiche significative che ci consentono di porre l’attenzione sui cambiamenti che sono avvenuti e che stanno avvenendo all’interno delle nostre aziende.
In un contesto dove né l’innovazione né il fatturato sono più sufficienti a decretare il successo o il fallimento di un’azienda diviene necessario ripensare le logiche tradizionali e i meccanismi classici secondo i quali strutturiamo la nostra operatività quotidiana.
Nello specifico il report mette in luce alcuni dati molto interessanti che meritano di essere sottolineati e portati alla luce.

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Il nuovo contesto socio economico che stiamo vivendo impone alcuni cambiamenti e presenta alcuni – significativi – impatti sul modo di fare business delle aziende:

  • esiste uno scollamento tra la produttività effettiva e quella percepita. O per meglio dire, i dati dimostrano uno sbilanciamento a fronte del quale a maggior lavoro non corrisponde – affatto – una maggiore resa e produttività. L’80% delle persone intervistate riporta una crescita nel carico del lavoro negli ultimi 3 anni e oltre il 50% una crescita conseguente dello stress.
  • Esiste un bias molto consistente anche tra quello che i dipendenti percepiscono (limite nel loro workload) e quello che gli executive richiedono (la maggior parte di loro ritiene che si possa lavorare ancora un 20% in più) e che solo il 29% dell’intera forza lavoro stia lavorando al massimo delle sue possibilità.
  • L’economia globale è meno stabile rispetto al passato, la tecnologia si evolve in modo estremamente rapido e le informazioni sono diventate ubique assumendo una dimensione estremamente importante. Negli ultimi 3 anni il 63% dei dipendenti ha riportato significativi cambiamenti nel proprio modo di lavorare e nelle sfide quotidiane che sono costretti ad affrontare.
  • La dimensione della collaborazione sta diventando fondamentale e cruciale, come si legge nel report:

As organizations have become more matrixed, employees across the organization share formal responsibilities, authority, and accountability for more work outcomes. While informal working relationships and networks have always been important, getting work done today requires more collaboration among a broader and more diverse set of people who are performing new tasks and working across more geographic locations. Collaborating today is harder than it was yesterday.
[…]

Ma la collaborazione all’interno delle aziende non è cosi semplice come si potrebbe pensare:

  • Il 67% dei dipendenti ritiene che ci sia un aumento di lavoro che richiede – per essere svolto – necessariamente la collaborazione di tutto l’ecosistema aziendale.
  • Il 50% ritiene che siano aumentati gli stakeholder necessari per la presa di decisione
  • Nel 57% dei casi analizzati dall’indagine si registra un aumento nei casi di coworking
  • Il 65% riporta la necessità di coinvolgere anche gli stakeholder esterni all’azienda per il raggiungimento dei propri obiettivi professionali. In questo senso riflessioni che riprendono molto i concetti propri del social business e dell’evoluzione dell’azienda verso una social organization soprattutto nella dimensione che vede l’abbattimento dei silos e delle barriere esterne e interne dell’azienda.
    Con una precisazione su cui fare attenzione però! Come si legge anche nel report:

Collaboration will not occur unless organizations enable and encourage broader employee networks—connecting employees as needed and providing clear direction, aligned incentives, integrated workflow, and better technology.

Diviene dunque necessario – oggi più che mai – e per chi non lo avesse ancora capito, allineare i flussi di conversazione interni con quelli esterni, realizzare progetti integrati che sappiano unire le differenti dimensioni aziendali e sappiano trasformare davvero l’azienda in un’organizzazione più aperta, più collaborativa, più partecipata e in grado di generare maggiore valore non solo in termini economici, ma anche – e soprattutto – dal punto di vista del coinvolgimento delle persone e del loro benessere.

Non finisce comunque qui. Cambiano anche le modalità effettive di lavoro:

  • il 76% dei dipendenti intervistati sostiene di aver notato un incremento nei lavori concettuali e nel tempo speso con dati e informazioni: come a dire che ognuno di noi è – ormai – un knowledge worker
  • 3/4 degli executive e dei C-Level aziendali riportano che almeno metà del loro team è ormai composto da knowledge workers
  • Tuttavia pur a fronte di questa tendenza non tutti i knowledge worker e non tutti i lavoratori sanno come lavorare correttamente con le informazioni di cui dispongono

Perché le aziende funzionino e perché sappiano dunque cogliere le sfide che vengono offerte dai mutati contesti economico-sociali è necessario sviluppare nuove competenze e nuove modalità organizzative che integrino nuove istanze e competenze fresche:

  • adattarsi al cambiamento anticipandolo e muovendosi in modo proattivo se necessario
  • lavorare in modo collaborativo è oggi fondamentale per poter ottenere davvero un ruolo differenziante rispetto ai competitor e affermarsi sul mercato
  • misurare, misurare e ancora misurare: esperienza, competenza, analytics e costante miglioramento devono essere le parole chiave per la costruzione di processi che funzionino e che sia possibile comprendere appieno e replicare con successo.
  • evolvere le logiche manageriali verso modelli più consapevoli che sappiano: riconoscere e premiare i talenti; sviluppare in modo rapido ma consistente le competenze nelle e delle persone, investire correttamente nella tecnologia come fattore abilitante
  • Ristabilire un ruolo efficace per i consumatori, consentendo loro di interagire e di partecipare nella generazione di valore dell’impresa
  • Investire nel networking e nella realizzazione di team con competenze multiple che possano essere componibili e applicabili/spendibili in modo differente su tutto l’ecosistema aziendale.

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Le persone vogliono collaborare, il mercato lo richiede.
Sta a noi dare questa possibilità alle imprese di oggi.

Il buon Jermiah Owyang ha recentemente rilasciato un report molto interessante sulla Collaborative Economy scritto per Altimiter che trovate anche sul suo blog ufficiale ( http://www.web-strategist.com/blog/2013/06/04/report-corporations-must-join-the-collaborative-economy/ ). Il report risulta interessante per poter comprendere la trasformazione in atto nelle aziende nell’ultimo periodo.
Quella a cui stiamo assistendo è una vera e propria rivoluzione economica, culturale, sociale e tecnologica che sta portando le persone verso un nuovo modo di fare impresa e di costruire il proprio business.

Vediamo di analizzare i principali concetti che emergono dall’analisi:

  • il prossimo futuro del Social Business riguarda la collaborative economy (o perlomeno questa potrebbe essere una delle direzioni).
  • Le persone stanno cominciando in maniera sempre più significativa a condividere beni e servizi, viene portato l’esempio del car sharing come esemplificativo.
  • Si è passati dalla logica dei social media in cui il driver fondamentale erano le conversazioni e la voce dei consumatori in rete a un mondo in cui non è tanto più importante quello che si dice quanto quello che si riesce a fare insieme.

Ma che cos’è la Collaborative Economy?
Come si legge nel report di Jeremiah:

The Collaborative Economy is an economic model where ownership and access are shared between corporations, startups, and people. This results in market efficiencies that bear new products, services, and business growth.

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Esistono alcuni fattori che hanno contribuito (e stanno tutt’ora contribuendo) allo sviluppo di una collaborative economy.

  • in primo luogo fattori di tipo demografico e societario
  • fattori sociali che aumentano l’interesse delle persone nel connettersi e nel condividere, in questo senso non solo informazioni ma anche veri e propri beni materiali (sulla condivisione delle informazioni e la naturale tendenza delle persone nel connettersi si ritrovano le riflessioni legate al Social Customer). In sostanza e riassumendo in una frase potremmo dire che si è passati dal parlare al “fare”.
  • tendenza a una maggiore dimensione comunitarie e di altruismo (come mostrato da una recente survey della UCLA sulle nuove generazioni e sulla loro naturale tendenza verso la comunicazione e la condivisione)
  • la crisi economica da un lato e il crollo di schemi classici consolidati unitamente allo spostamento di capitali verso l’industria digitale rafforzano queste dinamiche e generano nuove modalità di lavoro (che si stanno ancora consolidando completamente)
  • la tecnologia sta giocando un ruolo dominante e cruciale
  • l’affermarsi molto rapido di piattaforme di sharing e di collaborazione (rivolte ai servizi e ai prodotti più disparati) sposta gli equilibri di gestione delle risorse.

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Quali suggerimenti quindi per le imprese del domani che vogliano imbracciare questo cambiamento?

  • evolvere la propria azienda verso una logica company as service, spostandosi sempre di più verso un’economia di servizio e non di prodotto
  • realizzazione di brand community che stimolino la cogenerazione di valore per tutto l’ecosistema aziendale e che siano abilitanti per l’instaurazione di logiche p2p di scambio e di buy&sell
  • lasciare che i dipendenti e i clienti esterni realizzino le loro applicazioni o prodotti a partire dalla community e dal contesto predisposto dall’azienda.

In generale si tratta di un trend estremamente interessante che sicuramente merita di essere tenuto d’occhio da vicino ma che, per sua natura, credo possa rappresentare una dinamica ancora difficile da esplorare per le realtà e le organizzazioni aziendali.
In un contesto come quello italiano, dove innovazioni digitali e nuovi trend tendono ad affermarsi con qualche anno di ritardo è bene “andarci con i piedi di piombo” prima di affermare l’emersione di un nuovo trend in grado di rivoluzionare del tutto il nostro modo di fare impresa.

E’ pur vero che il passaggio verso una collaborative economy non solo è auspicabile ma diviene addirittura di importanza strategica elevata se pensiamo allo stato attuale dell’economia e a come si stanno muovendo i capitali.
In ogni caso un passaggio as is e completo verso una collaborative economy à difficilmente sostenibile per un contesto come il nostro.
In questo senso è necessario prima maturare consapevolezza ed esperienza nell’adozione di strategie, strumenti e approcci digital e social che consentano alle persone di imparare a lavorare assieme, di co-generare in modo collaborativo valore per tutto l’ecosistema aziendale.

La strada per la trasformazione digitale dell’intero ecosistema aziendale è ancora lunga, le sfide – soprattutto nel nostro paese – da cogliere sono molteplici, e solo chi saprà unire il giusto mix di competenze, visione, capacità di execution e di creatività riuscirà a fare (e far fare) un salto di qualità non indifferente e si conquisterà il mercato.