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Una delle maggiori sfide che le aziende di oggi si sono trovate a dover fronteggiare è quella che riguarda la motivazione e il coinvolgimento dei dipendenti.
In alcuni precedenti articoli abbiamo sondato come il terreno in questa direzione sia piuttosto impervio e i risultati che le aziende ottengono spesso faticosi e incerti. Il tema è però sicuramente caldo e l’interesse attorno ad esso sta continuando a crescere.

Evitando di nascondere la testa sotto la sabbia e affrontando di petto il problema senza troppi mezzi termini: i dipendenti di oggi sono demotivati, non si sentono parte della missione dell’azienda per cui lavorano, sono disingaggiati e molto spesso non solo non remano nella direzione condivisa ma osteggiano – più o meno apertamente – il modello in auge.

Inutile dire che, per le aziende, questa mancanza di coinvolgimento si traduce in un impatto economico estremamente significativo ed è in grado di compromettere seriamente le prestazioni complessive con impatti ingenti in termini economici. Altimiter Group ha recentemente dedicato una ricerca proprio a questi temi mostrando l’importanza del coinvolgimento dei dipendenti all’interno di una strategia di cambiamento organizzativo complessiva (qui trovate il report completo se siete interessati all’approfondimento: http://www.altimetergroup.com/2014/12/strengthening-employee-relationships-in-the-digital-era/).

A new generation of enterprise social networks and employee advocacy platforms promised a new approach, but to date they still struggle to connect activities to the creation of business value.

Inizia tutto con la promessa del digitale, quante volte abbiamo sentito che piattaforme collaborative e approcci mutuati dai social network, se introdotti all’interno delle organizzazioni sarebbero stati in grado di migliorare le cose e rendere le persone più motivate e ingaggiate?

Cerchiamo di analizzare insieme le dimensioni principali che emergono dall’ottima analisi di Altimiter:

  • Un report di Gallup mostra come solo il 13% dei dipendenti sono motivati e ingaggiati rispetto al loro lavoro. Un numero davvero preoccupante se consideriamo l’intera forza lavoro mondiale. Le persone non sono contente di quello che fanno e non amano il proprio lavoro, dedicando ad esso poca attenzione e investendoci veramente poco.
  • La maggior parte delle organizzazioni non possiede un approccio coerente che sia in grado di legare la strategia digitale al coinvolgimento dei dipendenti.

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  • Le piattaforme digitali che – a livello teorico – avrebbero dovuto risolvere tutti i problemi (come una misteriosa bacchetta magica o la pietra filosofale della motivazione) hanno fallito e stanno fallendo. Falliscono perché non sono state collegate alle esigenze di business e ai bisogni degli utenti e, di conseguenza, esaurita la spinta e l’entusiasmo iniziali crollano sotto il peso delle domande sul valore che abbia l’utilizzarle o meno.
    In sostanza le persone non ne percepiscono il valore perché le strategie di implementazione sono state spesso calate dall’alto e non progettate a più mani con gli utilizzatori finali: i veri stakeholder delle iniziative di trasformazione digitale.
    In questo senso il tema dell’adoption è ancora delicato: ci si ritrova con soluzioni e strategia all’avanguardia che – però – non sono in grado si scaricare a terra nessun valore per il semplice fatto che nessuno le utilizza effettivamente.

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  • La mancanza di misurazione e di metriche rappresenta ancora un tema caldo e centrale. Le aziende non misurano: non sono capaci di comprendere il valore di business perché non utilizzano strumenti e strategie volte a misurare i risultati di quello che hanno intenzione di ottenere. Senza direzione è chiaro che non è possibile raggiungere una meta precisa. Come recita il famoso adagio di Seneca: “non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare“. Sperare di ottenere dei risultati significativi senza misurazione e con il semplice “colpo di fortuna” è un approccio che chiaramente non può funzionare e non è in grado di generare nessun valore né per l’azienda né per i dipendenti finali.

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Lo schema sopra riportato mostra in modo molto efficace il contributo che la digital transformation può fornire alla motivazione e al coinvolgimento dei dipendenti. Come già sottolineato le cose funzionano se – e solo se – affianco alla dimensione tecnologica è presente un forte cambiamento organizzativo in grado di sostenere il percorso di maturità dell’azienda. Non si tratta di un interruttore che accendiamo e spegniamo a nostro piacimento, ma piuttosto di un albero che dobbiamo coltivare. Il cambiamento non avviene magicamente ma va pensato, ideato, costruito passo dopo passo.

Un altro tema fondamentale che viene analizzato molto bene dal report è la connessione tra interno ed esterno dell’azienda, l’evoluzione verso un vero e proprio social business, la tendenza a valorizzare a 360° le persone, poco importa che esse siano dipendenti o clienti dell’azienda. E’ proprio la relazione tra il dipendente e il cliente a rafforzare l’esperienza dell’utente. Le aziende maggiormente mature e che sono in grado di soddisfare al massimo i clienti e di avere un alto livello di soddisfazione dei dipendenti al loro interno sono proprio quelle che riescono a ragionare su questa dinamica e di lavorare in modo sinergico.

Altimiter si concentra poi sul dare alcuni consigli alle aziende che sono ancora ferme in porto e che intendano seriamente intraprendere il percorso di cambiamento e di maturazione verso uno scenario più collaborativo, aperto e trasparente, in grado di migliorare davvero il coinvolgimento dei loro dipendenti e di massimizzare i risultati di business che è possibile ottenere.

  • Diventare organizzazioni estroverse: può sembrare uan barzelletta ma è – invece – cosa molto seria. A partire dagli Executive e dai livelli più alti dell’azienda il modello deve cambiare, il coinvolgimento dell’esterno deve diventare più intensivo e maggiormente di valore. Nel momento in cui consideriamo i nostri clienti e i nostri dipendenti come un tutt’uno nella relazione osmotica dell’organizzazione, il successo e l’efficacia di quello che facciamo è garantita.
  • Valorizzare l’importanza del contenuto. Un vecchio adagio presente nel web di qualche anno fa recitava “content is the king“. Questo è ancora vero specie se si considera che il contenuto, il valore, deve essere sempre molto ben presente. Avere un valore da dare ai propri clienti e ai propri dipendenti e senza dubbio il primo punto per evitare di vendere una “scatola vuota”.
  • Recuperare il ruolo dell’HR: quando si parla di coinvolgimento dei dipendenti è sempre stata una funzione protagonista all’interno della trasformazione e del cambiamento organizzativo che – però – con la rivoluzione digitale ha assunto un ruolo maggiormente marginale passando da attore protagonista a semplice spettatore. Recuperare questo ruolo significa – ancora una volta – rimettere le persone al centro della trasformazione e del cambiamento dell’intera organizzazione. 
  • Colmare i gap con la formazione. Un altro punto fondamentale a cui prestare attenzione è quello dell’onboarding  e del training delle risorse sugli specifici progetti di trasformazione (digitale e non ). In questo senso la formazione rappresenta una leva fondamentale in grado di cambioare le cose e di permettere a tutti

Ancora una volta – e casomai ci fosse bisogno di sottolinearlo – il tema non è tecnologico, è culturale e organizzativo. Per cambiare il modo di lavorare per lavorare meglio e per fare davvero la differenza che vogliamo fare nel mondo del lavoro che viviamo tutti i giorni, dobbiamo davvero cambiare il nostro modo di vedere le cose. Cambiare riguarda prima di tutto le persone, fino a che gli approcci non saranno disegnati dalle persone, per le persone e con le persone, le cose non potranno funzionare. 

Di recente mi è capitato di seguire da vicino un progetto per una grossa casa automobilistica, nel tentativo di capire come e in che modo la rivoluzione digitale e i fenomeni di cui abbiamo parlato molte volte in questa sede, potessero influenzare anche questa specifica industry impattando e modificando in modo significativo le logiche e le strategie che ne stanno alla base. Quanto il digitale è in grado di orientare comportamenti di acquisto e di consumo in questo ambito? In che modo i brand possono utilizzarlo a loro favore? Quali sono i rischi di un approccio troppo superficiale al tema? In che modo i consumatori cambiano grazie al digitale? Quali leve sono presenti nei canali digitali?

Abbiamo più volte parlato di social customer, di un cliente differente, un consumatore nuovo, più aggiornato, maggiormente consapevole rispetto al passato e in grado di far sentire in modo più significativo la propria voce nei confronti del brand. Abbiamo visto come – oggi – una logica unidirezionale di comunicazione e marketing sia assolutamente inadatta a fornire al cliente le risposte che sta cercando e abbiamo anche compreso come le organizzazioni e le aziende che traggono maggiori vantaggi dal mercato siano quelle in grado di utilizzare una logica di scambio e un’ottica dialogica con i loro clienti, considerandoli parte della catena estesa del valore e non solo “portafogli a cui spennare dei soldi”.

Se questo è vero – come abbiamo visto – per alcune industry specifiche (consumer e fast moving goods, fashion, etc.) resta da comprendere se questi meccanismi e questo mutato scenario influenzi anche decisioni più significative come l’acquisto di un’automobile o servizi ad essa legati.

Mi è capitato tra le mani un report molto interessante di Deloitte (lo trovate qui per un approfondimento qualora foste interessati a una lettura di maggior dettaglio: http://www2.deloitte.com/content/dam/Deloitte/global/Documents/Manufacturing/gx-mfg-geny-automotive-consumer.pdf) . Lo studio risulta significativo perché, su scala globale, analizza in che modo il consumatore nell’area automotive sia cambiato e abbia profondamente modificato i suoi comportamenti in seguito alla rivoluzione digitale (e non solo). Cerchiamo di analizzare insieme in messaggi principali che emergono dall’analisi:

  • La generation Y (i cosiddetti nativi digitali) rappresentano uno dei primi cambiamenti significativi nel cambiamento dei consumatori e del pubblico automobilistico. Si stima che nei prossimi 5 anni saranno il target principale (in termini numerici assoluti parliamo di oltre 680 milioni di individui di cui la maggior parte all’interno dei mercati emergenti come Cina e India) di acquirenti di automobili. Un tipo di pubblico da guardare con molta attenzione quindi e al quale rivolgere i prossimi sforzi in termini di marketing e comunicazione.
  • Il tema delle energie alternative rispetto a diesel e benzina gioca un ruolo predominante per gli appartenenti alla generation Y, tanto da impattare in modo davvero significativo sulla scelta di un modello rispetto ad un altro. Si tratta di un attenzione alla “responsabilità sociale” molto maggiore rispetto alle generazioni differenti e precedenti.
  • Il 50% si lascia influenzare da quello che dicono amici e famiglia nella scelta di un’automobile
  • La generation Y sembra non essere molto interessata nella scelta di modello specifico di un’automobile o non sembra preferire l’uso di un auto ad altri mezzi di trasporto (compresi eventuali servizi di car sharing o simili nati sulla scia dell’economia collaborativa)

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  • Questioni relative alla salute e alla volontà di fare maggiore movimento fisico sono tra le cause principali di abbandono o mancato acquisto di un veicolo assieme alla mancanza di fondi economici. In sostanza sembra che le priorità siano cambiate negli ultimi anni soprattutto per le generazioni più giovani.
  • L’interesse nell’ambiente anche è molto forte tanto da spostare pesi significativi di persone che sarebbero disposte a spendere di più a fronte di forme di energia alternativa per i propri motori. Ancora una volta il ruolo della responsabilità sociale sembra essere determinante.

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  • Un altro dato molto interessante è quello che vede l’impatto dell’online nell’organizzare e nel gestire le scelte di consumo. Il grafico riportato mostra in modo molto significativo il peso determinante che questo comporta. Come si vede l’online è tra i canali di contatto privilegiati nell’orientamento delle decisioni.

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Concludendo e a titolo di completezza, a livello di strategie ben congegnate sui social media possiamo sicuramente segnalare – nell’area automotive ovviamente – l’ottimo lavoro di Scott Monty in Ford la cui strategia si differenzia su più canali con risultati eccellenti. Qua per esempio un video divertente per la promozione della nuova Fiesta.

Per citare un altro esempio, anche Mini è stata in grado di realizzare una campagna di ottimo livello sui social media per la promozione dei nuovi modelli della sua macchina. La cosa interessante della campagna di questo brand è stato l’incrocio perfetto tra strategie online e offline in un circolo virtuoso che ha alimentato la community di appassionati e accresciuto il numero di vetture vendute.

Si tratta di una rivoluzione già avvenuta e in parte ancora in trasformazione che tutte le aziende del settore devono saper cogliere e cavalcare per evitare di perdere il “treno dell’innovazione”. Il contributo che si attendono i clienti è molto elevato e – come sappiamo bene – il futuro o meno di un’azienda può dipendere in larga misura dalla sua capacità di scaricare a terra il valore della relazione con i propri clienti e con il proprio pubblico di affezionati.

E’ uscito di recente un nuovo report realizzato da Charlene Li e Ed Terpening di Altimiter (lo trovate qui se siete interessati a un approfondimento di dettaglio: http://pages.altimetergroup.com/social-business-governance-report.html?utm_source=carousel&utm_medium=website&utm_campaign=SBG).

Cerchiamo di analizzare insieme le dimensioni principali del loro lavoro e gli indicatori chiave che emergono dall’analisi svolta.

Il primo – estremamente significativo – dato che emerge è che sono ancora pochissime le organizzazione che hanno intrapreso una seria digital transformation guardando all’interno dell’organizzazione, sistematizzando processi, tecnologia e cultura, investendo più su una dimensione di gestione interna che non su una di tecnologia o comunicazione. L’attenzione è ancora troppo focalizzata su quello che accade all’esterno dell’impresa, quando sappiamo perfettamente che la sfida principale si gioca – oggi – al suo interno.
La mancanza di processi interni e di una corretta governance atta a gestire la trasformazione digitale si riflette in scarsi risultati ottenibili attraverso questi strumenti. L’ottenimento di migliorie e di efficientamento d’impresa è possibile – infatti – solo se utilizziamo correttamente le due dimensioni organizzative (interna vs. esterna) e lavoriamo in modo sinergico cambiando prima di tutto la cultura di chi lavora all’interno dell’azienda. 

E’ comunque un buon numero di aziende (il 53% come mostra il grafico qui sotto) ad avere – perlomeno sulla carta – un approccio sinergico che unisca una social business strategy con la propria governance.

Social media governance

Ma quali sono i driver che portano alla costruzione della corretta governance e alla realizzazione delle policy interne per la gestione e la realizzazione della trasformazione digitale?
Il grafico che viene riportato qui di seguito mostra gli aspetti chiave di questo approccio strategico.
Al primo posto la necessità di scalare e di scaricare a terra il valore aggiunto che i media digitali sono in grado di generare per l’impresa, l’attenzione al cliente da un lato (verso l’esterno con la customer experience) e l’attenzione al dipendente dall’altro (verso l’interno con l’empowerment degli employees).

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All’interno del report sono poi identificate le dimensioni chiave per realizzare una corretta governance dei social media all’interno dell’azienda.

  • Persone: la policy e la governance partono da qui, perché non è possibile rimpiazzare o rivedere i ruoli organizzativi senza passare dalle persone, il percorso di trasformazione deve partire da loro e essere funzionale alle loro necessità. A livello di dipartimenti coinvolti si tratta ancora di funzioni legate al mondo esterno dell’azienda, molto spesso nel marketing (25%), in un team dedicato e verticale sui social media (15%) o nelle PR/comunicazione esterna (10%).
    All’interno di questa dimensione è necessario definire al meglio alcuni punti: l’allineamento della leadership interna per generare sponsorship e committment dall’alto e da parte del top management; una partecipazione cross-funzione e cross-dipartimento per coinvolgere l’intera organizzazione; la definizione di ruoli precisi e compiti strutturati; delle metriche di misurazione dell’efficacia e del ritorno sui progetti; una mappa di progetto che evolva durante il tempo.
    Al centro della governance devono esserci le definizioni dei ruoli e delle responsabilità individuali sui singoli processi e task.
  • Policy: solo il 7% delle organizzazioni intervistate ha una policy onnicomprensiva in atto, il 60% delle organizzazioni ha socializzato le best practice e il 25% sta lavorando per farlo. Per svilupparla correttamente è necessario – anche in questo caso – tenere presenti alcuni aspetti fondamentali del processo di cogenerazione delle linee guida: definirla in modo corretto sulla cultura, le caratteristiche e i bisogni specifici dell’azienda; far lavorare le persone che contano e quelli che sono realmente motivati a vedere un cambiamento nell’organizzazione, valorizzare cioè quelli che davvero possono giocare un ruolo fondamentale; assicurarsi che si innesti all’interno del contesto aziendale in modo corretto e funzionale in allineamento alle altre policy dell’organizzazione e in sinergia con gli altri stream di processo; realizzarla in modo pragmatico in modo che generi davvero del valore e sia collegata ai flussi necessari al business.
  • Processi: pochissime aziende sono/sarebbero in grado di far fronte e di rispondere in modo corretto a una crisi, se le procedure e le policy rimangono su carta e non sono legate ai processi il senso del lavoro rimane poco e il valore che si riesce a generare è nullo.
  • Pratica: serve concretezza, si devono misurare i risultati e i bisogni dell’azienda e dell’organizzazione, partire dai problemi e lavorare per risolverli in modo efficace, in questo senso la strategia deve partire dai bisogni e dai problemi concreti ai quali l’azienda ha urgenza di rispondere.

La struttura organizzativa a supporto può essere di differenti tipologie, senza preferirne nessuna, il modello migliore è quello che viene generato e costruito in modo sartoriale sugli specifici bisogni dell’utente e sulle caratteristiche organizzative.

Social media governance 3

Esistono alcune best practice da seguire e errori da evitare per la realizzazione di una governance corretta:

  • Evolvere durante il tempo: non considerare questi modelli come qualcosa di scolpito nella pietra è funzionale al raggiungimento dei migliori risultati, muoversi in contesti fluidi richiede adattamento e costante miglioramento
  • Ricercare sponsor nei livelli alti che credano nel progetto e che lo supportino ai vertici dell’organizzazione
  • Assicurarsi che il progetto rispecchi le caratteristiche specifiche dell’organizzazione e sia in grado di mantenere intatte le specificità dell’azienda
  • Assemblare un team cross funzione e cross dipartimento che garantisca una visione a 360° su quello che stiamo facendo e su quello che è necessario fare. La contaminazione delle competenze è un’aspetto chiave
  • Evitare il coinvolgimento del solo team social e digital: la rivoluzione digitale e la trasformazione dell’azienda riguarda tutta l’organizzazione

La costruzione e l’implementazione di un progetto di questo tipo non è un interruttore che accendiamo e spegniamo in azienda e che fa automaticamente funzionare bene le cose.
Si tratta piuttosto di un percorso che deve essere costruito per gradi e per fasi specifiche.

Roadmap

Il report è di per sé interessante ma credo che faccia un po’ di confusione con i termini in gioco considerando la policy e la governance legata ai social media come un qualcosa dell’azienda per i dipendenti e per i clienti, dimenticando un po’ quello che è l’aspetto chiave della trasformazione digitale e dell’evoluzione verso un social business.

Parliamo – in questo senso – di un’organizzazione più matura, più attenta, più centrata sui bisogni delle persone, senza troppe distinzioni tra interno ed esterno dell’impresa; un’organizzazione in grado di generare valore per tutti coloro che ci lavorano e per tutti coloro che ci entrano in contatto.
“Trasformarsi digitalmente” vuol dire – prima di tutto – partire dalla cultura, dalle persone e dai loro desideri e dalle loro aspettative: senza questo tipo di riflessione le cose semplicemente non funzionano. Questi temi di importanza cruciale per l’azienda non sono sfiorati dal documento che – a mio modesto avviso – pecca un po’ di superficialità in questa direzione. Governance e Policy sono sicuramente aspetti chiave e fondamentali ma rappresentano azioni tattiche necessarie all’interno di un quadro di evoluzione strategica molto più ampio nel quale devono essere inserite.

Il cambiamento non si può imporre, va costruito in modo collaborativo e in modo sinergico con i protagonisti della storia che vogliamo raccontare. 

Chi frequenta questo blog e legge gli articoli che ho scritto negli ultimi anni, sa perfettamente che il tema in oggetto non è cosa nuova. Vale – forse – comunque la pena di metterlo ben in chiaro: la rivoluzione digitale non è una rivoluzione che riguarda il marketing. 
Di recente il MIT in partnership con la Deloitte University Press ha pubblicato un’analisi che mette in luce proprio questo concetto (la trovate qui se siete interessati ad approfondire il tutto: http://sloanreview.mit.edu/projects/moving-beyond-marketing/). Le aziende di oggi che hanno intenzione di intraprendere un serio percorso di evoluzione digitale, devono comprendere che la rivoluzione di cui stiamo parlando è – ormai – qualcosa che tocca tutta l’organizzazione, non solo il marketing e i processi di comunicazione, ma che è piuttosto collegata a un cambiamento radicale nel modo di concepire il lavoro, le relazioni con i propri dipendenti e clienti e gli spazi aziendali.
Si tratta – oggi più che mai – di generare del valore concreto per tutto l’ecosistema organizzativo (all’interno dell’impresa così come al suo esterno).

Vediamo insieme alcuni dei dati principali che emergono dall’analisi e che può essere utile commentare.

  • Il social business sta continuando a crescere di importanza e di valore. Se nel 2011 erano solo il 52% delle organizzazioni a intravederne possibilità e rilevanze strategiche, oggi è oltre il 90% a ritenere che sia fondamentale in una strategia organizzativa da qui a 3 anni. Un numero in forte crescita che ci aiuta a comprendere come si stia parlando di un fenomeno che è ben lontano dall’essere semplicemente una moda.
  • Il 90% delle aziende mature misura ROI, risultati e KPI e sta cominciando a notare apprezzabili benefici dall’introduzione di tecnologie e approcci social e digital all’interno dell’organizzazione
  • Basta con le logiche B2C. Anche la convinzione che il social business e la rivoluzione digitale siano solo legate al mondo business to consumer è da sfatare. Molte iniziative hanno preso piede e stanno avendo grande successo anche nel settore B2B. E’ oltre il 60% delle organizzazioni di questa seconda categoria a credere che le iniziative social possano rappresentare un enorme valore aggiunto per l’organizzazione.
  • I dipendenti richiedono di lavorare per aziende che adottano modelli di lavoro nuovi e social. E’ oltre il 57% degli intervistati a manifestare questo interesse e a insistere su questo punto di attenzione.
  • I dati e la misurazione provano il valore di quello che si fa. La rotta tracciata e la bussola in mano sono i due strumenti delle aziende che sanno e che possono fare. Il 67% delle organizzazioni più mature integrano perfettamente strumenti di misurazione con i centri decisionali dell’organizzazione riuscendo a fornire risposte migliori, più veloci e maggiormente efficaci a clienti e dipendenti stessi.
  • La voce dall’alto. Oltre il 90% delle aziende che hanno successo ha al vertice un CEO o un amministratore delegato illuminato che crede fortemente nelle iniziative di trasformazione digitale e se ne fa portavoce in prima persona
  • Andare oltre il marketing. Le aziende più mature stanno usando il social per raggiungere obiettivi differenti dalla semplice promozione: l’87% lo impiega a fini di innovazione (per stimolare e coinvolgere masse di utenti nella creazione e nella definizione di prodotti e servizi nuovi); l’83% per gestire al meglio i talenti e il 60% integra il social business all’interno dei processi chiave dell’azienda rivendendoli in chiave digitale e collaborativa.

The idea is to infuse and integrate social tools into the entirety of what the organization does.
– Wendy Harman, director of management and situational awareness, American Red Cross

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L’importanza che il social business sta assumendo è in forte crescita e tutte le industry – in modo più o meno consistente – sono toccate dal fenomeno e – come si diceva poco sopra – il fenomeno di cui stiamo parlando è cross rispetto al settore di riferimento e non riguarda – come spesso si tende e si è portati a pensare – solo le organizzazioni del mondo B2C. E’ il 21% delle aziende del B2B a essere fortemente d’accordo (il 37% è d’accordo) che il social business possa rappresentare un ottimo asset sia per la crescita sia per la differenziazione dell’azienda sul mercato e all’interno di una strategia più ampia e vasta che coinvolge l’intero ecosistema aziendale.

Altro punto interessante – che ritorna rispetto al nostro lavoro della Social Collaboration Survey iniziato l’anno scorso – è il “cosa” misurare rispetto al “come” e al “quanto”.
Le organizzazioni più mature hanno infatti compreso da tempo l’importanza delle metriche di successo delle iniziative digitali. Non si fa quindi, tanto per fare, ma per raggiungere risultati precisi.
Le organizzazioni che sono maggiormente avanti nell’adozione di tecnologie e di approcci di questo tipo lo sanno bene e uniscono metriche di partecipazione e di engagement a metriche di business e maggiormente legate alla dimensione organizzativa.

Altro punto fondamentale dell’analisi riguarda l’intima connessione tra la maturità dell’approccio di social business e i risultati che si riescono a ottenere. Maggiore è la sensibilità, la prontezza organizzativa e maggiori sono le sperimentazioni in atto, tanto più alti sono i risultati che l’organizzazione è in grado di ottenere. Una versione moderna del “chi più spende meglio spende” insomma…
Le organizzazioni che quindi stanno lavorando su più dimensioni: innovazione, marketing, supporto al cliente, re-ingegnerizzazione dei processi, community, intranet, sono quelle che stanno avendo i ritorni maggiori in termini di investimento e in termini di partecipazione degli utenti. In che modo? E’ molto semplice. Le organizzazioni che adottano processi estesi si considerano fuori dalla fase di sperimentazione e riescono a raggiungere quel “plateu di produttività” che fa entrare una tecnologia o un nuovo approccio strategico all’interno di un’area differente rispetto a quella precedente abilitando nuovi modelli di lavoro e fornendo un servizio migliore a tutta la popolazione aziendale.

Il grafico sotto riportato esprime meglio di molte parole questo concetto:

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L’aspetto maggiormente interessante di questa ricerca del MIT sembra proprio essere quello di aver messo finalmente in luce – una volta per tutte e casomai ce ne fosse ancora bisogno – che gli strumenti social al servizio dell’azienda non sono solo i social media, ma che all’interno dell’impresa si apre un mondo che è altrettanto interessante e utile esplorare. Un mondo che genera – finalmente – un valore tangibile per l’organizzazione. Un mondo di cambiamento fatto dalle persone per le persone. Una rivoluzione silente ma non troppo che si sta affermando sul mercato e che coloro che hanno già saputo cogliere e “imbracciare” con coraggio.

E’ uscito da qualche giorno il nuovo e aggiornato report di Altimiter sullo stato dell’arte della Digital Transformation (se siete interessati a una lettura completa del report lo trovate in forma gratuita a questo indirizzo: http://www.altimetergroup.com/2014/07/the-2014-state-of-digital-transformation/), l’analisi risulta interessante perché consente di mettere molto bene a fuoco quelle che sono le tendenze principali del mercato e la direzione che le aziende hanno intrapreso ormai da qualche anno a questa parte.

Ben lontana dall’essere una semplice moda, la trasformazione che negli ultimi mesi e anni ha riguardato le imprese e le organizzazioni di tutte le industry, ha profondamente modificato processi e modalità di lavoro alle quali eravamo abituati, sia all’interno dell’impresa (dipendenti), sia all’esterno dell’organizzazione (consumatori, clienti…).

A fronte di uno scenario mutato e maggiormente evoluto rispetto all’anno precedente restano comunque ancora molti punti in sospeso e da definire, che riguardano le modalità attraverso le quali le aziende interagiscono e si relazionano rispetto a questo fenomeno. Non una novità quindi, ma un percorso in cui la strada da fare è ancora molta e lo spazio di apprendimento ancora ampio. Il cammino comincia dalla comprensione dei termini in gioco, se è vero che l’88% delle imprese intervistate ha in atto iniziative di digitalizzazione è solo il 25% ad avere una chiara comprensione dei canali digitali e dei flussi di definizione dei percorsi utente.

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Uno degli aspetti a mio avviso molto interessanti che emergono dall’analisi è che moltissimi strategist ed executive considerano la digitalizzazione dell’impresa come uno spostamento di risorse e budget nella dimensione tecnologica, ignorando molto spesso la parte di change management e maggiormente centrata sulle persone, sui loro bisogni e sulla loro esigenza.
Le implicazioni della digital transformation – come ben sappiamo – trascendono la mera dimensione tecnologica coinvolgendo l’organizzazione su dimensioni di: leadership. cambiamento culturale, cambiamento organizzativo, impatto sui processi e sui modelli di business e sull’operatività, oltreché sulla dimensione infrastrutturale. 
Si tratta di un nuovo modo di intendere l’impresa.

L’analisi si focalizza poi sul dare evidenza di quali siano le attività digitali considerate maggiormente strategiche dalle imprese di oggi.
Tra i soggetti intervistate emerge la chiara centralità dell’esperienza utente (tema di cui abbiamo già discusso in questa sede). La customer experience, il disegno di un flusso lineare che consenta ai consumatori di entrare in contatto in modo significativo con l’organizzazione è una priorità chiave per oltre l’80% delle aziende.

Seguono altre dimensioni legate maggiormente alle vendite e all’integrazione verso strategie multicanali.

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Guardando le statistiche emerge un punto fondamentale trasversale a tutte le industry e a tutte le aziende: nessuno sta guardando la parte interna dell’impresa. Il cammino di evoluzione verso una social enterprise sappiamo che passa (necessariamente e inevitabilmente)  anche da lì e sappiamo che deve necessariamente coinvolgere anche le funzioni interne, se è vero come è vero che le organizzazioni non possono essere social a metà, è altrettanto vero che la consapevolezza in questo settore (rispetto alle sfide, alle opportunità e agli ostacoli della trasformazione digitale) deve ancora crescere molto. 

Un ulteriore dato che sembra confermare questa tendenza riguarda i CoE (Centre of Excellence) in essere presso le aziende maggiormente mature dal punto di vista digitale.
Il 71% è focalizzato sui social media, il 63% sul mobile, il 59% sul search, il 56% sull’online display e il 49% sull’email marketing.
Tutte dimensioni – ancora una volta – focalizzate sull’esterno dell’azienda. Per ignoranza o difficoltà moltissimi sembrano non voler “prendere il toro per le corna”.

Un altro dato molto interessante emerge dalle figure professionali che accompagnano la trasformazione digitale e che si fanno promotori di questo tipo di iniziative.
E’ solo il 15% delle imprese ad avere un Chief Digital Officer, una figura professionale dedicata, cioè, che si faccia carico di intraprendere una trasformazione digitale dell’organizzazione. Il 54% delle iniziative digitali sono guidate da Chief Marketing officer e molte organizzazioni hanno tra gli sponsor direttamente il CEO (42%). Il CIO/CTO guida solo nel 29% dei casi.

Le problematiche della trasformazione sono però presenti e molto ben note a chi si occupa di questi temi:

  • La cultura organizzativa molto spesso rappresenta il vincolo principale: una mancata prontezza e corretta configurazione del cambiamento
  • Una mentalità troppo legata ad azioni tattiche e poco strategiche limitate nel tempo e non volte a un cambiamento organizzativo vero e proprio
  • Le barriere interne all’organizzazione e i silos di comunicazione tra i differenti dipartimenti
  • La mancanza di risorse
  • La mancata comprensione di quelli che sono gli obiettivi e i benefici (il ROI) delle iniziative

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Interessante notare come i dati d’oltreoceano confermano quelli della nostra Social Collaboration Survey dello scorso Novembre sul panorama italiano.
Temi come il cambio di cultura, lo sponsor dall’alto e il coinvolgimento dal basso, una strategia di introduzione ibrida, importanza del dato e della misurazione degli outcome, le risorse dedicate e staffate, sono cruciali per definire il successo delle iniziative e per decretare il cambiamento del modello verso uno di successo e non decretare il fallimento dell’impresa.

La strada è quindi molto ben tracciata e confermata non solo dai numeri di numerose ricerche e da esperienze progettuali ma anche da visioni strategiche molto ben definite che non lasciano molto spazio all’interpretazione ma che invitano a mettersi in gioco in prima persona e a fare.

Da un po’ di tempo a questa parte McKinsey sta scrivendo una serie di articoli sul tema digitale che analizzano come i processi e i fenomeni introdotti da questa rivoluzione stanno impattando e modificando il nostro modo di intendere e concepire le organizzazioni e i processi di business.

Una survey recente (che trovate qui: http://www.mckinsey.com/insights/business_technology/the_digital_tipping_point_mckinsey_global_survey_results) mette in luce la direzione verso la quale si stanno concentrando gli sforzi delle organizzazioni nella transizione verso il digitale. La ricerca appare altresì interessante perché mette in evidenza anche le barriere e le problematiche che le organizzazioni si trovano a dover fronteggiare prima di potersi considerare completamente “digitalizzate”.

Ciò che ormai è evidente e sotto gli occhi di tutti (tema da cui le organizzazioni non possono più prescindere) è che la digitalizzazione è un asset fondamentale del prossimo futuro e del presente. Nessun CEO si può più permettere di ignorare il fenomeno e nessuna organizzazione è esentata dalla rivoluzione e dai processi in atto.

Uno dei dati principali che emerge sottolinea con forza – ancora una volta e casomai ce ne fosse ancora bisogno – l’importanza della sponsorship e del ruolo del CEO in questa tipologia di iniziative. Anche il CIO gioca molto spesso un ruolo predominante sebbene le iniziative troppo guidate dall’IT non siano mai del tutto soddisfacenti ed efficaci avendo un focus troppo sbilanciato su una dimensione tecnologica e di mera integrazione tra sistemi. Il coinvolgimento dei livelli più alti dell’organizzazione appare quantomai fondamentale per traghettare l’organizzazione verso un nuovo futuro maggiormente innovativo e il cambiamento avviene difficilmente solamente dal basso.

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Le aspettative delle organizzazioni nei confronti del digitale si articolano in 4 dimensioni fondamentali (in ordine di importanza percepita):

  • Creare nuovo business e sbloccare nuove revenue generando profitti maggiori grazie a nuove modalità di offering o di lavoro differenti. In poche parole il digitale potrebbe aprire nuovi spazi commerciali o rivedere i modelli di business esistenti traghettando verso nuove dimensioni
  • Creare vantaggio competitivo e servendo meglio il mercato e dando risposte migliori alle richieste e alle sollecitazioni provenienti dall’esterno e dai clienti
  • Rimanere allineati e tenere il passo con i competitor evitando di perdere importante terreno competitivo e di rimanere al palo dell’innovazione
  • Tagliare i costi e aumentare i margini attraverso una maggiore efficienza del lavoro e una migliore produttività interna (processi più snelli e migliori)

Come si vede in modo abbastanza intuitivo le priorità riguardano prevalentemente l’esterno dell’organizzazione sottolineando come sull’interno la strada da fare sia ancora lunga e molte organizzazioni non abbiamo ancora maturato la piena consapevolezza di come per essere completamente digitale  servire meglio il cliente all’esterno si debba – necessariamente – socializzare i propri processi interni.

Da qualche tempo a questa parte ripetiamo come non si possa essere social/digital a metà, ma le organizzazioni sembrano ancora essere troppo focalizzate su dimensione di comunicazione, marketing e allineamento esterno, trascurando quello che accade al loro interno.

Anche lo spending del budget sulla dimensione digitale testimonia quanto stiamo dicendo con la maggior parte degli investimenti ancora concentrati su dimensioni esterne: engagement dei consumatori, big data e analytics avanzati, life-cycle management e via dicendo. La sifda è consistente perché molte realtà si stano completamente dimenticando di una dimensione molto importante del cambiamento e si stanno scontrando con ostacoli di un certo livello proprio per questo motivo.

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Il tema dei big data e dei sistemi avanzati di analytics risulta poi di importanza chiave per molti executive e livelli della C-Suite (a partire dai CEO) che ritengono saranno fondamentali nel prossimo mercato.

Tuttavia, le organizzazioni maggiormente mature hanno realizzato due passaggi di non banale importanza nel percorso evolutivo, hanno cioè capito:

  • che gli investimenti per quanto cospicui non sono sufficienti a coprire la transizione dell’intera organizzazione e che in termini di tempo. risorse, competenze devono essere fatti passi maggiori per garantirsi il successo e il reale ritorno di iniziative di questo tipo
  • Gli investimenti devono essere spostati: non solo dimensione IT ma un corretto bilanciamento tra strategie, tecnologia e cambiamento, non dimenticando di investire nelle persone e per le persone che rappresentano il nodo cruciale della questione

Emergono tuttavia ancora difficoltà legate alla reale percezione del valore, alla sensazione di urgenza nel dover fare le cose, alla mancanza di una struttura organizzativa adeguata per far fronte ai processi mutati, a leve di business strategiche non gestite correttamente, a difficoltà legate alla retention e all’individuazione di talenti e figure chiave all’interno dell’azienda che possano motivare e facilitare il cambiamento.
L’ingaggio dei dipendenti e del personale interno e la motivazione al cambiamento appare ancora una barriera molto forte.

Ancora una volta: non stiamo investendo a sufficienza nelle persone e non stiamo muovendoci in modo corretto per facilitare il cambiamento di mentalità e cultura aziendale.

Many executives also agree that digital talent remains a trouble area for their organizations. Only one-third of respondents say at least one in ten of their employees spends any
time working on digital projects. Of the challenges companies face in meeting their digital priorities, difficulty finding talent often tops the list. Roughly nine out of ten executives say their companies have some pressing need for digital talent in the next year—especially in analytics, which CIOs and chief technology officers cite even more frequently than average

Quali sono quindi i punti fissi da tenere per le organizzazioni che hanno seriamente intenzione di evolversi verso questi modelli?

Misurare il valore delle iniziative digitali, costruendo business case e roadmap a supporto pianificando investimenti e rimanendo sicuri che se raggiunti gli obiettivi i ritorni economici possono essere anche consistenti. Senza una chiara pianificazione risulta impossibile capire dove andare e con quale linea di tendenza muoversi.

Investire e credere nelle persone prima che nella tecnologia, abilitando talenti e favorendo la partecipazione di coloro che in azienda si mostrano maggiormente inclini al nuovo modo di lavorare.

Coinvolgere l’intera organizzazione nel cambiamento: processi interni, legami con l’esterno, tutta l’impresa viene toccata dal fenomeno e viene modificata dal nuovo modello imposto dal digitale, se si ragiono solo su uno spicchio della torta non solo si rischia di perdersi pezzi importanti ma si rischia di fallire completamente nel percorso di evoluzione e trasformazione.

E’ uscito di recente un report molto interessante di EY sul tema della multicanalità e di come le aziende di oggi debbano pensare sempre più in grande e sempre più in modo differenziato per distinguersi nel mercato e per attrarre un consumatore sempre più informato, attento e digitalizzato. (Se siete interessati al report e a una lettura più approfondita lo trovate qui: http://www.ey.com/GL/en/Services/Advisory/EY-consumers-on-board). Come abbiamo più volte visto in passato parlando di questi argomenti: il classico funnel (imbuto) del marketing in cui i consumatori in modo passivo fruivano e venivano intercettati dai contenuti che condividevamo come azienda, ha ormai perso qualunque tipo di credibilità e di valore.
Il customer journey, il viaggio – metaforico ma nemmeno troppo – che l’utente fa nel completare un percorso di acquisto di un bene o di un servizio segue logiche molto differenti e difficilmente ha un andamento lineare e programmatico come in passato.

Le regole del gioco sono cambiate per sempre. Oggi attrarre e trattenere un cliente è diventato un “gioco” davvero complesso che richiede nuove strategie, nuovi modelli, nuove competenze e risorse differenti rispetto al passato.

Vediamo però di analizzare insieme i passaggi fondamentali del report e quali dati emergono dall’analisi effettuata.

Per prima cosa emerge un dato significativo che riguarda la digitalizzazione e l’informatizzazione del consumatore e del cliente di oggi e che conferma quanto noto: l’esperienza utente, di qualunque tipo sia semplice sia più complessa passa ormai dal digitale, tutte le esperienze sono mediate da canali, strumenti e processi digitali. E’ una regola dalla quale non è possibile prescindere e che influenza e modifica profondamente le logiche alle quali eravamo abituati fino a qualche anno fa. I consumatori e i clienti della nostra azienda entrano in contatto con strumenti digitali nella fase pre, post e persino durante la vendita e l’acquisto di prodotti (sia in store sia offline)
Le persone usano questi canali per informarsi, orientare i propri comportamenti di acquisto o le proprie decisioni in termini di prodotti e servizi.
Le industry impattate dal fenomeno sono le più differenti e questo percorso di “trasformazione”, se paragonato al 2012 è in forte crescita in modo trasversale come mostrato dal grafico sotto-riportato.

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Un’altra indicazione interessante che emerge dal report è quella di tenere in forte considerazione e sotto stretta osservazione il fenomeno della collaborative / sharing economy. I consumatori e i clienti delle aziende si stanno sempre più organizzando per utilizzare questi servizi a fronte di quelli offerte dalle aziende. Si tratta di nuovi attori che entrano in modo prepotente nel mercato e obbligano a ripensare modelli di business e logiche tradizionali a cui eravamo abituati. Del fenomeno ne avevamo già parlato in un precedente post e il trend sembra essere sempre più attuale e confermato da un numero sempre più elevato di ricerche.

Vediamo insieme alcuni dati:

  • 3/9 delle categorie di shopping esaminate dall’analisi hanno visto nell’ultimo anno una forte riduzione dei consumi e degli acquisti in store che sono stati progressivamente soppiantanti da esperienze condotte interamente online, o iniziate online e terminate .
  • Le categorie che guidano in cima alla lista sono consumer electronics e vestiti/fashion che con il 39% degli acquisti condotti online guidano la classifica dei prodotti maggiormente “digital”
  • Auto, prestiti, assicurazioni e servizi bancari in generale sono al limite basso della classifica con solo il 10/14% del mercato online dimostrandosi ancora molto legati a logiche tradizionali e analogiche
  • La fidelizzazione e la gestione significativa della customer experience ha un peso specifico molto elevato. Le aziende che hanno il successo maggiore sono quelle che riescono a ottenere un obiettivo di questo tipo creando esperienze utente senza soluzione di continuità tra i vari mezzi e strumenti offerti dal digitale (e non solo).

How you reach the individual has evolved, because you’re able to reach them in a much more personal way through participation in the conversations that they’re having. Probably one of the biggest things is then being able to be a part of their lives by being a part of where they are, wherever they are. That speaks more to the technology and the devices that they use and moving toward becoming a multiplatform, multidevice business that, understands that if we want to engage with consumers, we have to do it on their terms.”

– Lisa Bacus, Executive Vice President and Global Chief Marketing Officer, Cigna Heathcare 

La ricerca mostra anche la distinzione tra tre tipologie di Digital Customer che rappresentano differenti utilizzi e differenti pesi attribuiti al digitale nell’esperienza degli utenti.

Anche in questo caso non siamo tutti uguali, ma dobbiamo considerare che l’ago della bilancia si sta fortemente spostando verso meccaniche e dinamiche sempre più pervasive e sempre più contestualizzate all’ambito social e digital.

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Altri dati interessanti che emergono dalla ricerca condotta:

  • Il 90% dei consumatori si fida delle raccomandazioni tra pari, mentre solo il 14% crede che l’advertising abbia ancora senso. Ancora una volta la pubblicità tradizionale mostra la sua completa e totale inefficacia e la sua incapacità di raggiungere, convincere e “convertire” il cliente generando un comportamento o un’azione specifica.
  • Il 34% dei blogger posta opinioni su prodotti o brand: il caso recente di #unamacchinaperudy di Rudy Bandiera qua in Italia è forse quanto di maggiormente significativo in termini di relazioni tra blogger e brand e sul potere di spostare l’informazione di certe personalità note in rete.
  • I social media rappresentano uno strumento fondamentale per rafforzare la relazione con i clienti e i consumatori e per amplificare i messaggi del brand scaldando la relazione e contribuendo a aumentare l’efficacia strategica dell’organizzazione. Non sono sicuramente l’unica realtà e una buona strategia è inclusiva e non esclusiva, significa che i social media sono uno dei canali e non IL canale unico di relazione. Possono migliorare la relazione ma non possono fare miracoli nella generazione di valore tra azienda dipendenti e clienti esterni.
  • Gli investimenti in questo settore stanno assumendo forme e pesi differenti: il 47% delle organizzazioni ha intenzione di investire nei prossimi anni nel mobile.
  • Il 66% delle organizzazioni ha intenzione di continuare e aumentare gli investimenti nei social media e nei social network in generale. 
  • Il 55% delle organizzazioni digitalmente più avanzate ha intenzione di investire in modo significativo sull’eCommerce, è “solo” il 33% delle organizzazioni meno mature a volerlo fare.
  • Il 69% delle organizzazioni vedono la customer experience come fondamentale per costruire il futuro dell’organizzazione specie tra i player più maturi è maturata la consapevolezza che senza passare da una esperienza utente significativa sia impossibile generare valore e differenziarsi nel mercato (digital ma non solo)
  • Il 66% delle leading organization sono convinte che la social collaboration l’abbattimento di barriere interne all’impresa sia chiave per raggiungere gli obiettivi aziendali
  • Solo il 12% delle imprese è in grado di trarre vantaggi e di usare in modo consapevole le enormi informazioni e i dati che derivano dalle properties digitali

Esiste in questo senso un grosso margine di miglioramento sia per connettere esterno ed interno dell’organizzazione che come sappiamo appaiono essere due mondi completamente antitetici, ma al tempo stesso gli unici che se messi in contatto e in dialogo sono in gradi di traghettare verso la reale trasformazione digitale dell’organizzazione e di portare le imprese verso un futuro migliore; sia verso l’impiego maggiormente ragionato di dati e ricerche.
Sono ancora poche le organizzazioni, come abbiamo visto, che sono in grado di ragionare su questi due aspetti, due pilastri che reggono le fondamenta dell’organizzazione del futuro e del nuovo modo di intendere l’impresa e di concepire il lavoro.

Il digitale mette in tavola nuove regole, nuove competenze, nuovi modelli organizzativi e di business che rappresentano sfide da cogliere per muoversi verso il prossimo futuro (che ormai è sempre più presente), bisogna solo rimboccarsi le maniche.