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In occasione del Social Business Forum 2012 ( http://www.socialbusinessforum.com/?lang=it ) – che ho avuto il piacere di contribuire ad organizzare – Oracle ha realizzato una serie di video interviste con alcuni dei più grandi guru mondiali in ambito di Social Business e di Organizzazione partecipata.
In queste brevi interviste – che ho voluto raccogliere  in un unico post vengono affrontati temi molto interessanti per chi si occupa di consulenza organizzativa.

Dal Social Business alla resilienza organizzativa, dalla Gamification ai trend maggiormente significativi della collaborazione. Riflessioni sull’organizzazione del futuro e sull’utilizzo (efficace ed efficiente) dei social media nell’organizzazione.
Credo che queste brevi pillole possano servire sia ad un pubblico “immaturo” che si avvicina per le prime volte a questi temi, sia ad un utenza esperta che intende avere alcuni spunti di riflessione dai quali partire per maturare nuove strategie e nuovi processi

Di seguito riporto le video interviste che sono state realizzate.

John Hagel, Co-Chairman of the Center for the Edge at Deloitte & Touche (See Measuring the forces of long-term change – The 2009 Shift Index), provides strategic insights on how companies will succeed in the 21st century. 

L’intervento di Hagel risulta interessante per riflettere soprattutto perché sottolinea l’importanza delle metriche facendo riferimento allo Shift Index e avanza alcune delle teorie che sono presentate nel suo libro. Il fatto che le organizzazioni debbano muovere da un approccio push ad uno pull, creandopoattaforme scalabili che permettano di valorizzare le risorse delle organizzazioni nel tempo e nell’occasione giusta.

Il secondo intervento è di Steve Denning che propone un nuovo modo di fare management di fare organizzazione. Chiama questo modo Radical Management che riguarda il mettere al centro del business e dell’organizzazione del futuro le persone e i consumatori. Questo richiede un cambiamento radicale appunto che rappresenti una netta evolzione rispetto al sistema sociale economico e politico in cui abbiamo vissuto fino ad adesso

According to Steve Denning, in a phase change from old to a creative, collaborative, knowledge economy, the answer is hidden in a whole new business ecosystem that puts the individual (both the employee and the customer) at the center of the organization. He calls this new paradigm Radical Management and in the video interview he articulates the huge challenges and amazing rewards our enterprises are facing during this inevitable transition.

In this second video interview from the Social Business Forum, Christian Finn (Senior Director, WebCenter Product Management at Oracle) shared his vision regarding the social business journey by covering both the barriers preventing companies from gaining maximum result derived by people participation and provided valuable first-hand recommendations on how to overcome such hurdles.

Christian Finn sottolinea invece dal punto di vista di Oracle. Parlando di Social Business è sciuramente importante evitare di cadere nell’hype e nel cavalacare semplicemente una parola. Recentemente mi è capitato di avere una discussione su Twitter con alcune persone che sostenevano che il Social Business non fosse altro che una nuova etichetta per vendere cose vecchie. Il social business è in realtà un modo completamente nuovo di concepire il consumatore e l’organizzazione basato su nuovi approcci, nuove strategie, nuove tecnologie.

In questo senso anche Esteban Kolsky nel suo breve contributo ci aiuta a inquadrare meglio gli scenari e le carretterstiche del Social CRM analizzando come sia possibile dai dati e dalle informazioni a processi e azioni concrete.

In his interview for the Social Business Thought-Leaders, Esteban discusses how to turn social media hype in business gains by touching upon some of the hottest topics organizations face when approaching social support:
– How to go from social media monitoring to actionable insights
– How Social CRM should be best positioned in regard to traditional CRM
– The importance of integrating social data to transactional data

More than simply adding badges, points and leaderboards to existing processes, enterprise gamification should be holistically embedded into employee and customer experience to stimulate specific behaviors. 
Listen to Ray Wang’s video-interview to learn more about the dynamics that are shaping the future of collaboration and how gamification can help organizations attain new levels of engagement

Infine, ma non per questo meno importante Ray Wang, guru mondiale della Gamification, che abbiamo anche avuto modo di intervistare in questa stessa sede prima del Forum, sottolinea le modalità attraverso cui la collaborazione può cambiare le organizzazioni.

Negli ultimi due anni (da quando ho avviato questo blog) mi sono occupato di seguire da vicino i fenomeni del Social Business e di provare a riflettere criticamente su ciò che sta alla base di questo fenomeno tanto importante.
In questo tempo molte sono state le evoluzioni e i progressi che sono stati fatti, non solo dal punto di vista tecnologico ma anche – e soprattutto – da quello sociale e culturale.

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In questa sede vorrei mostrarvi alcuni casi di successo internazionale che sono stati presentati da Salesforce e dalla collaborazione di questo software con alcuni dei più grandi brand a livello mondiale.
Brand che – molto più di altri – hanno saputo mettersi in gioco e provare a scommettere – con successo – sulle logiche e sui paradigmi del social evolvendo la loro organizzazione verso modelli più efficaci, più resilienti e maggiormente in grado di rispondere alle sfide e alle sollecitazioni che il mercato propone (oggi più che mai).

La prima di queste storie è quella di Burberry.

 

Come spiega la CEO Angela Arendth la missione di Burberry è stata quella di creare una social enteprise di essere completamente connessi con clienti, consumatori, partner e più in generale – come ci insegna il Social Business – con l’intero ecosistema aziendale esteso.
Credo che sia molto interessante analizzare questa storia. Un brand come Burberry – apparentemente e superficialmente – non dovrebbe avere la necessità di evolversi verso questo tipo di scenari e, invece, quello che sottolinea la Arendth in questo video è proprio la necessità di evolvere verso un social business per non essere in crisi, per riuscire a sopravvivere sul medio e sul lungo termine. Non si tratta più ormai di una scelta ma di una strada da intraprendere con forza e decisione.

La seconda storia è quella di HP. 

Come si vede dal video le barriere e i silos tradizionali sono stati abbattuti. Per poter rispondere al Social Customer, alle mutate necessità del mercato è stato necessario rivedere i processi interni per essere in grado di rispondere in modo più efficace a quello che i consumatori stavano chiedendo.
In questo senso credo che siano molto interessante la riflessioni sullo spirito del garage e su come sia stato possibile mantenere l’attitudine al problem solving e alla creatività pur con l’aumento delle dimensioni della società.

La terza storia è quella di CommBank

Ciò che è veramente importante cogliere in questa storia è il processo di ascolto e di Social CRM. L’ascolto delle conversazioni dei clienti come assett fondamentale da considerare per proporsi sul mercato oggi. Assistenza, Customer Care ma anche Servizio al Cliente possono essere enormemente arricchiti dall’ascolto delle conversazioni e dall’apertura di un canale di dialogo trasparente e sociale con i propri consumatori.

La quarta storia è quella di Kimberly Clarck

Anche in questo caso si parla di ascolto attivo e del processo di monitoraggio delle conversazioni dei clienti e dei consumatori come uno dei punti fondamentali per evolvere verso il business del futuro.
In questo senso il video con l’intervista al CEO mette ben in evidenza uno dei punti fondamentali (anche se non chiaramente l’unico) del monitoring e dell’ascolto delle conversazioni, quello legato alla ricerca di qualità e alla ricerca di mercato.
Le vecchie e complesse ricerche che un tempo erano demandate ai focus group o a sedute in presenza oggi possono essere facilmente evolute verso approcci di questo tipo.
Mai come oggi avere il polso della situazione sul proprio prodotto è stato così semplice e al tempo stesso così conversaizoni statisticamente significativo.
Le conversazioni in rete per i brand di tutto il mondo rappresentano la vera sostanza che li compone. E tracciare queste conversazioni è utile non solo per capire in che modo siamo visti dai nostri stessi clienti ma anche versi quali strade strade possiamo evolvere per andare nella direzione condivisa. Questo significa trasformarsi in un social business, in una social enterprise. Mettere al centro del business la massimizzazione del valore scambiato all’interno di tutto l’ecosistema aziendale, che si parli degli stakeholder o degli utenti finali.

La quinta storia è quella di NBC

La cosa interessante che sottolinea questa storia di successo è la possibilità di intendere i social media non solo verso l’esterno dell’impresa. Ma anche e soprattutto come mezzi di collaborazione per rafforzare l’efficienza e l’efficacia dei processi interni e del modus operandi di un’organizzazione.

La sesta storia è quella di O2

Anche in questo caso a emergere veramente è l’integrazione tra interno ed esterno dell’organizzazione e la possibilità di usare questi strumenti per abbattere le tradizionali barriere ed evolvere verso modelli più fluidi che mettano al centro le esigenze del consumatore.

Le settima e ultima storia è quella di Comcast

Comcast ha saputo comprendere – come pochi altri – l’importanza che l’ascolto e i social media possono avere nella gestione delle problematiche dei clienti e nell’evadere le loro richieste in tempi assolutamente record. Spostando il loro Comcast Care interamente su Twitter riescono a dare in un paio di minuti risposta a qualunque richiesta arrivi loro, arricchendo l’esperienza di dialogo con i clienti e massimizzando l’efficacia dei processi interni.

Nota a margine

I video mostrati – di ottimo ed eccellente livello – sono video “inspirational”, non rappresentano né delle guide all’uso né dei modelli da replicare in toto. Come tutti i casi studio e di successo servono a far riflettere. Chi si occupa di questo
lavoro sa che ogni strategia sui social media, come anche ogni strategia di social business è sartoriale, misurata e costruita rispetto agli specifici obiettivi di business e rispetto alle esigenze e alle necessità di ogni singolo brand. 
Inoltre vorrei sottolineare che i video in oggetto sono stati girati in partnership con Salesforce per raccontare – appunto – l’efficacia dello strumento.
A conti fatti il mio approccio con questo tipo di soluzioni è sempre agnostico. Il che significa che esattamente come non esiste la ricetta magica che vada bene per tutti non esiste nemmeno il tool perfetto che sia in grado sempre di rispondere alle necessità che abbiamo.
Il tool come la strategia devono essere sempre considerati come strumenti da utilizzare in relazioni agli obiettivi di business e a quello che vogliamo ottenere, con un focus specifico anche sui limiti e sul “terreno” sul quale ci stiamo muovendo.

Emanuele Scotti, Rosario Sica, Emanuele Quintarelli

“Markets are conversations”
Cluetrain Manifesto, March 1999

Collaborative mechanisms are radically changing the way in which markets function and the way in which organizations create value. Consumer behaviour is becoming ever more conditioned by the reputation of companies among consumers and influence among peers, often leaving businesses themselves out of the conversation. How does marketing, advertising or CRM re-establish itself in the new millennium?

The method previously relied upon to organize work – born during the manufacturing industry era in order to segment and control industrial production, a method which has reached the present day almost intact – appears inadequate and clumsy in managing the need for reactivity, innovation and agility in today’s organizations. How can we regain efficiency and speed? How can we free the great potential of intelligence, creativity and energy that is exploding onto the business network but which is still trapped in the bureaucracy of modern organizations? These questions go beyond popular phenomena or trends and critically examine business and management practices and convictions in today’s society.

This is a reflection that dates far back and that has re-emerged over recent years in a devastating manner, taking the name of Social Business. Social Business is how a business operates in the era of interconnectivity. Social Business is a new way of organizing work and relationships with a business ecosystem.

Management disciplines have developed great capacities to make stable and repetitive processes efficient over time. Businesses are now being asked to be more agile, to continually redefine themselves, to provide a relevance to service and customer experience, and more. This makes those capacities no longer sufficient and, in some cases, even dangerous.

In this context, the emerging models of Social Business, both inside and outside an organization, are starting to show their value.

If we really want to create something entirely new, we need to start looking around in a new way, otherwise we will continue to behave as we always have. To create new things, we need to look at creating a newer version of ourselves. Let’s consider another period of great transformation, that of the transition from the medieval era to the modern day. The person who best represents this change is Christopher Columbus. Discovering America is in itself an intriguing story for those who study innovation. When we look at great moments of change, we often risk making the mistake of seeing things in a linear manner: some have thought that to do a certain thing, you need to plan the journey and then you will arrive at the destination. However, when you are on the journey of change it is nothing like this. It wasn’t like this in 1492. The story behind the discovery of America is full of errors; Christopher Columbus was convinced up until his death that he had shown the way to the West Indies and not that he had discovered a new continent. It took twenty years to correct this mistake. In order for people to understand that an unknown continent had indeed been discovered, Western Europeans had to change their own opinions and create new maps.

In times of great change things like this happen: you discover things which you never expected to discover. And in turn your convictions, identity, and cognitive processes change.

So why this introduction? Because today we find ourselves in a time very similar to the end of the medieval era, a time of great confusion. And for those of us who work in the world of organizations, it’s easy to see that in all of this confusion, traditional values and managerial models are heavily involved.

The first point to consider is that we need to change some of our convictions. The current management models for our companies no longer work. We have made management a science; we have tried to transform people into machines; we have divided work tasks into segments, taking significance away from the things we do whilst we work; we have depersonalized things in order to try to control the work place; we have tried to standardize work to guarantee the possibility of repeating services without unforeseen events.

This type of organization worked well when the theme of the business was repetition. It becomes a model that works far less well when the nature of the business is knowledge-based, striving for constant innovation, within an intangible environment.

We don’t have the organization and the appropriate technology for the era that we are living in.

Just as at the time of Christopher Columbus, even we need new maps, especially because it is very difficult to manage things that we are not capable of seeing. These new maps are obliged to work with a technological infrastructure that has only been created in the last few years – the Web, more specifically, Social Media – which is interesting not only in itself, but also for the social behaviour it allows.

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The dynamic that emerges by collaborating with other people online can be represented by a curve showing increasing marginal returns (Fig. 1): the overall growth corresponds to overall input. If we learn to harness the power of patrimonial intelligence and the energy of group work the value that is generated grows exponentially. For a long time we have been used to performance curves which in general have decreasing marginal returns, such as the typical curve of experience. (Fig. 2)

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This comparison is very interesting, as it opens up possibilities for us of radical innovation which we don’t even know how to see using our current cognitive processes. We are in a time of great changes, but we think of change in an old way, as something linear, where we have to say where we should go, what the expected ROI is, what the benchmark of reference is, and what the plan of action is in order to reach the goal. But we will never get anywhere if we do not change our way of observing things. We could discover, for example, that – as happens on the internet – if organisations also moved their attention from codifying content (archiving documents, procedures, rules) to protecting connections they would have improved efficiency spaces in front of them. Controlling communication flows among individuals is becoming more important today than controlling the content of the communication itself.

This adjustment must be made quickly, because the world is moving faster than ever. As the Queen of Hearts says in Alice in Wonderland, we must run, but we must run just to stay in the same place. There are emerging countries that are running much more than us; the phenomena that we have already mentioned are creating markets with different rules. The customer is now social (“social customer”) and much more efficient in making the most of the information on companies and products than the companies are themselves. The same thing is happening in some way within companies, with the birth and self-organization of communities and spontaneous networks favoured by technologies, often operating consistently with the organization’s project, but sometimes not.

This tendency has grown from a new generation of young people, who bring with them a completely different culture from that of the organisations that we have created. In this generation, there are completely new
concepts of belonging, of boundaries, of mine and yours, and of collaboration. Businesses must therefore act and act fast. Many of them are already doing so, while others are trying.

Many of them are aware that they have lost control of their own brand, which is passing into the hands of the people who are online – people who discuss their experiences, leave comments, and give criticism in more far-reaching, and more appreciated ways than traditional communication initiatives and campaigns. As Chris Anderson says, we are no longer what we say we are but what Google says we are. The voice of the consumer has gradually become more important in the creation of the image and the reputation of the brand.

A lot needs to be done to create an organisation and infrastructure which are more in line with today’s economy and social context.

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First and foremost, we must create infrastructures of emerging collaboration, i.e. infrastructures which have increasing returns. People have to be able to build trust and resources, they have to be able to organize themselves, they have to be able to solve their problems collaboratively (Fig. 3). This must be done through the integration of two worlds: that of traditional organization (which nevertheless remains necessary for defining responsibilities, plans and tasks) and that of new forms of organization and the emerging collaborative network, which are necessary for dealing with unforeseen circumstances. There is also a lot to be done on the external front – engaging with the client (fig 4).

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We need to talk to clients. We need to stop shouting; we have to listen and understand how they use products and what they want. Companies can carry out “social marketing” activities, letting enthusiastic clients “infect” others. They can use social networks to generate sales, and provide customer care and innovation together with clients. There are also plenty of examples of this.

We have to look at innovation from a new perspective, a less linear, less planned and exploratory perspective (Fig. 5). Networks are much more efficient at this than hierarchically organised groups, because when we explore something new we need to believe it, we need to have different points of view, we need to organize ourselves each time in line with the task at hand, and networks are much more efficient at this. Today is no longer about evangelization; that was the case years ago, when we started our project and launched the Enterprise 2.0 Forum in 2008. Today this has become mainstream. So what kind of company do we imagine? It’s an open, emerging and collaborative organisation, in which we need to talk to people outside the company with feedback flows precisely because we are organised inside the company with similar flows. The organisation can therefore do social media marketing, innovation/crowdsourcing, collaborative support with clients, and more.

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We need courage, energy and faith in order to make this journey. But above all, we need to wear the right glasses, and look at new phenomena with new eyes. Only at that point will we discover that we have reached a new land of opportunities.

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  1. Chaos is simplicity that we cannot  see yet
  2. Organisations are conversations
  3. Entropy is born from trying to use new tools to do old things, or from using old tools to do new things
  4. E-mail has been overtaken by more open and emerging exchange platforms. Organizations should abolish their internal use of e-mail
  5. When faced with ever more complex and inter-connected problems, decision-making architecture – represented by modern business and governance models anchored in a hierarchical command-control principle – shows all its inadequacy
  6. The road must be the culture of risk: new perspectives do not open up without risks
  7. Clients know the products much better than the companies that produce them
  8. Those who work expect in some way to be able to participate in the organizational project; malaise is generated by the impossibility of this participation
  9. In order to see new phenomena we need to build new tools of analysis and measurement
  10. Organisations are living organisms. Even before generating products they generate and transform knowledge
  11. The ability to generate and transform knowledge makes organizations emerge or decline in the knowledge economy
  12. Knowledge is generated and transformed in conversations among employees, among clients and between clients and employees
  13. Conversations go beyond walls and roles and favour relationships of trust that are difficult to condition
  14. The weak point of knowledge management is the management
  15. Collaboration is the challenge for modern organizations. We have only just begun to deal with this; the management tools currently available are inadequate for the purpose, as they were born in another era and for opposite objectives.
  16. Collaboration does not (only) mean coordination, planning, and role management. Collaboration means putting collective intelligence to good use
  17. Today we need to come together, create stories and common meanings, involve personal feelings, find ways to engage with people
  18. Organizations that are inflexible risk extinction
  19. High-performance organizations have disorganization and weak links as their strong point
  20. There is much more intelligence in our organizations than management is willing to recognize
  21. The intelligence in organizations today is trapped in procedures, customs and roles
  22. It is difficult to direct a conversation; it is easier to feed it or silence it for good
  23. An economic crisis is also a crisis of management models and work organization models
  24. Today, man’s great works are born from conversations, and often they don’t need governance
  25. The knowledge of organizations today lies more in connections than in company databases
  26. Teamwork, integration, collaboration: organizations are cramming themselves full of concepts that are ever further from their own practices
  27. The market today has a faster and more articulate intelligence than the intelligence of organizations
  28. Organizations react to stimuli in their market with a speed that is inversely
    proportional to their size
  29. HR’s plans hide the fear of freeing the energy and intelligence found within the organization
  30. Clients, like employees, are looking for a contact and a dialogue but instead find rubber walls with high-sounding names: call centres, customer care, direct lines
  31. Consultants strengthen the status quo: they try to bring complexity to the pre-established order but by doing this they increase entropy as they simply move the disorder to another level
  32. Disruptive innovation does not occur in  R&D departments: it occurs by mixing points of view and knowledge in new and open connections
  33. One-way intranets are useless; Social Intranets can today become the nervous system that allows an organism to feel and act as a unit: they allow the exchange of stimuli, the accumulation of memory, the formation of identity and the coordination of actions
  34. Today there is a need to come together: to connect the dots (vision) but also to connect people and create autopoietic (self-creation) systems
  35. Reputation is the key
  36. Centre and outskirts are concepts of the last century. Online, centrality is a function of authority and visibility
  37. Listen, listen, listen: it’s the client who tells you who you are
  38. In the knowledge economy you don’t have to know everything but you do have to be well connected
  39. From the knowledge economy to the gift economy…
  40. The business process emerges bottom up, learns constantly and adapts itself according to feedback from employees and clients
  41. Think in a new way: abandon slideshows and restructure work spaces.
  42. Listening to conversations is not enough. We need to draw meaning from them and direct change
  43. Your employees come first. Without their involvement your Marketing department will never be able to engage customers
  44. Consulting firms are not needed to build new organisations.
  45. Ideas from clients, employees and suppliers are just as good as those from management
  46. Social Business is not a new technology, it’s a new type of company
  47. Looking at the market through the eyes of the product and socio-demographic segments has lost its value. Let’s seek out passions, needs, tribes
  48. A company is centred on the client when it is able to look at itself from the outside, knocking down barriers both internally and externally
  49. Bottom-up innovation does not mean carrying out everything that the clients ask for. It means understanding the problem that the clients want solved and helping them to solve it
  50. Socializing processes does not mean creating new silos, even if they are social. It means breaking down traditional and social silos.
  51. Only working for a wage never makes the difference. People today are looking for a common mission
  52. Opening a Facebook page is easy. Opening the doors of a company and welcoming clients is difficult
  53. Companies hardly ever know what the client wants because they have always been afraid to listen
  54. Communities of people are not created and managed. Communities attract members and are cultivated by them
  55. The new management model is closer to cultivating a community than to leading a flock
  56. Change starts from the early adopters, but sustainable change reaches everyone else
  57. Customer service is the new marketing
  58. The only way to balance the excess of information in which we are drowning is by adding more information that acts as a filter
  59. A group of kids has created more innovation in the last 15 years than IBM, Microsoft and Oracle put together

Social Business Manifesto is proudly written by OpenKnowledge team. Learn more on – http://socialbusinessmanifesto.com/

Ho avuto modo – sempre in occasione del Social Business Forum 2012 ( http://www.socialbusinessforum.com/?lang=it ) di fare quattro chiacchiere con un amico e collega: Fabrizio Martire (@betone) e abbiamo assieme discusso di quali siano i punti fondamentali per cotruire uan presenza sociale consapevole dei brand online.

Chi è Fabrizio?

Fabrizio è co-founder di Gummy Industries, team che si occupa di strumenti collaborativi, branding, marketing e social media. È stato docente di web marketing e social network presso il master “Nuovi Media Nuove Persone” di Accademia Santa Giulia. Co-organizza “Pane Web e Salame” evento dedicato alle case history di comunicazione di successo. Condivide esperienze e casi studio sul blog virtualeco.org.

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Di recente hai provato a spiegare ai tuoi genitori (vedi video su Wired – http://tv.wired.it/tech/2012/04/02/come-spiegare-ai-tuoi-genitori-che-lavoro-… ) quale lavoro fai. Prima di tutto mi sento di ringraziarti a nome di tutta la categoria per essere finalmente riuscito a spiegare a tutti quello che facciamo. Mi aggancio a questo per farti quindi una domanda. Non pensi che questo sia parte del nostro problema maggiore con i clienti? Mi riferisco alla mancanza di consapevolezza circa le potenzialità che hanno i social media. Cosa ne pensi ? Sono pessimista?

No, non sei pessimista, sono assolutamente d’accordo: comunicare le potenzialità di un brand sui social non è mai semplice.
La comunicazione attraverso i social network richiede alle aziende uno sforzo maggiore, un impegno che poche hanno mai affrontato prima.
I canali di comunicazione tradizionale (uno a molti) permettono all’impresa di decidere cosa comunicare, come e quando. Scelto il migliore partner e decisa la creatività, il messaggio veicolato (per radio o tv) bombarda direttamente il target. Al contrario i social media portano il rapporto tra azienda e clienti a un livello successivo, un livello in cui la comunicazione non basta più, dove ciò che conta è il dialogo. Oggi le leve del “come”, “quando” e “cosa” sono in mano ai clienti e ai nostri prospect. La vera sfida, per noi, è proprio questa: far percepire al mercato le potenzialità di canali molti a molti, delle community, dello storytelling, del social crm e di molto altro ancora.

In passato – ma ancora oggi in realtà – mi sono occupato di Web Reputation e di Social Media Monitoring per alcuni grossi brand italiani e internazionali. Sono convinto – e così lo sono i miei colleghi in OpenKnowledge – che qualunque azione sui social media non possa prescindere dall’ascolto e dall’attento monitoraggio delle conversazioni online. Tu cosa ne pensi? L’ascolto in rete è uno step fondamentale?

L’ascolto, il monitoring delle conversazioni è il punto di partenza. Per le ragioni esposte prima le aziende devono aspettarsi consumatori attivi, che trovano naturale condividere pareri, idee, critiche su prodotti e servizi. Ascoltare è un valore davvero importante: non agevola solo la presenza di un brand online, aiuta a sviluppare nuovi prodotti, nuovi mercati, nuovi business. Quando oggi parliamo di social business ci riferiamo proprio a questo: a un’azienda che sa ascoltare, sa dialogare e cogliere le occasioni che i propri “fan” e “follower” offrono all’interno delle community.

A tua avviso quali sono le cose che non possono assolutamente mancare nella realizzazione di una Social Media Strategy e quali consigli ti senti di dare a chi volesse realizzarne una?

Dipende molto dalle dimensioni aziendali e del tipo di brand. Sono convinto che i piccoli (PMI) abbiano molto da guadagnare anche semplicemente impegnandosi a raccontare la loro storia, la qualità e l’unicità del proprio prodotto in modo naturale e senza filtri (ne ho parlato l’anno scorso al Social Business Forum ). Al contrario per aziende nazionali/internazionali che già da anni investono in pubblicità e marketing forse l’elemento davvero necessario prima di qualsiasi scelta è proprio l’ascolto è un buon assessment del brand sul digital.

Che rapporto c’è a tuo avviso tra la Social Media Strategy, la Governance a la Policy che un’azienda deve realizzare per potersi proporre come Social Business? Sono tre pilastri fondamentali tutti connessi? O li vedi piuttosto come step differenti?

Il social business è forse la somma di tutte le possibilità e i vantaggi che i nuovi media offrono. Questo, però, richiede un totale cambio di mentalità e una capacità di adattamento non indifferente. Social Media Strategy, la Governance a la Policy sono, come dici, i pilastri di un business di questo tipo ma per esperienza ho capito che è difficile approcciare un progetto proponendo subito tutto il “trittico” :) Credo sia meglio disegnare un percorso che mostri il punto d’arrivo ma che introduca uno alla volta i tre elementi.

Di cosa ti stai occupando di recente? Raccontaci anche del tuo progetto con Gummy Industries che stai lanciando proprio in questi giorni.

Gummy industries http://gummyindustries.com/ è un progetto che mi vede coinvolto in prima persona assieme a Alessandro – https://twitter.com/#!/alekone e Xenesys – http://blog.xenesys.it/. Le industrie gommose (ci serviva un nome che connotasse la nostra provenienza: le grande industria pesante bresciana e che ci distaccasse dalla formalità di un’azienda di comunicazione classica) sono state aperte per aiutare le aziende a entrare sui social media, a strutturare i loro business e a valorizzare i propri brand. Oggi mi occupo di tutte queste cose oltre che di organizzare Pane Web e Salame – http://panewebesalame.com/, un evento alla sua terza edizione, che in modo semplice e diretto, intende far discutere di social media e business. A proposito, il 20 Giugno sarai dei nostri? 

E infine – ma non meno importante – di cosa parlerai al Social Business Forum 2012?

Questa è la domanda più difficile di tutte dato che il social business forum è uno degli eventi più importanti in Italia preparare un talk all’altezza è una bella sfida! Vorrei proporre un talk che evidenzi le nuove tendenze: i nuovi social network e come alcune aziende si stanno muovendo.

Oggi ho avuto modo di partecipare – ancora una volta – alla serie di fantastici incontri organizzati dai ragazzi dello Young Digital Lab ( http://www.youngdigitallab.com ). Ormai con loro da oltre un anno e mezzo posso dire che il progetto, nato come una semplice idea un po’ pazza è diventato una splendida realtà che attrae appassionati, professionisti e persone di altissimo livello (e simpatia, che non guasta mai come sappiamo) che discutono con competenza dei social media.

Personalmente in questa due giorni ho avuto modo di fare tre interventi verticali di approfondimento. Il primo dedicato al Social Media Listening (come sapete uno dei miei “cavalli di battaglia”) e gli altri due dedicati al Social Business e alla Gamification (grazie al quale sono anche riuscito ad aggiornare alcuni dati interessanti e casi studio su cui non tornavo da tempo.
Apro anche una piccola parentesi per annunciarvi che, settimana prossima, questo blog ospiterà una sorpresa assai gradita a tutti coloro che si occupano di Gamification e che intendono saperne di più sul fenomeno che – da ormai un anno a questa parte – è diventato non solo uno dei cardini di questo blog, ma una vera e propria industry di tutto rispetto e rilievo.

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Ma veniamo al dunque.
Cercherò in questo intervento di riassumere alcuni dei concetti visti in aula e di dettagliare le tre diverse presentazioni.

Social Media Listening

L’ascolto attivo sui social media è un assett fondamentale di ogni strategia. Come sappiamo è il punto di partenza per divenire un Social Business e per potersi relazionare in modo trasparente ed efficace con il Social Customer che è molto più consapevole, reattivo ed esigente rispetto al passato. Se è vero – come è vero – che ormai tutti siamo dei social customer è altrettanto vero che i brand di oggi devono adottare strategie nuove e meccaniche differenti per poter entrare in relazione con tutti noi.
Questo video interessante di questa università americana mostra anche come il social media listening stia diventando tanto importante da entrare all’interno delle istruzioni accademiche.

Quest’altro video mostra altresì il punto di arrivo dell’ascolto. Sappiamo infatti che si tratta di uno step di un processo non di un momento di arrivo puntuale di un percorso.
Il video mostra – in modo promozionale – l’engagement console di Radian6 (piattaforma leader al mondo per il monitoraggio delle conversazioni online). Sappiamo che l’ascolto è il punto di partenza ma quello di arrivo deve essere il social business è per poterci arrivare disporre di strumenti di coinvolgimento è fondamentale per poter ingaggiare in modo efficace ed efficiente i propri consumatori.

Infine, come mostra questo video – dall’eccellente fattura, realizzato da Salesforce.com – l’essere o non essere social non è più una scelta consentita.
Dobbiamo solo decidere in quale modo essere social.

Social Business

Il secondo speech che ho tenuto è stato dedicato al Social Business, in occasione anche del Social Business Forum 2012 che – come sapete – stiamo organizzando come OpenKnowledge.
Anche in questo caso mi piace condividere un video della CEO di Burberry che sottolinea l’importanza di essere social.
Come si evidenzia molto bene nel video: non abbiamo più scelta per affrontare il mondo di oggi, dobbiamo essere delle social enterprise. E’ questo l’unico modo per far fronte ai cambiamenti in atto e per non esserne travolti miseramente.

La cosa interessante è anche notare da questo video di HP l’importanza di mantenere lo spirito del garage e della startup all’interno dei processi di social business.

Non dimentichiamoci, poi, che in oriente la parola crisi – come la crisi che stiamo vivendo proprio in questi giorni – contiene in sé anche la parola opportunità.
Il Social Business è l’opportunità da cogliere durante la crisi per fare davvero la differenza.

Enterprise Gamification

Mi sono infine occupato di parlare di Gamification come strategia per migliorar e l’ingaggio e il coinvolgimento degli utenti all’interno delle community.
Credo che – in questo senso – particolarmente interessanti siano alcuni casi studio di aziende che hanno saputo utilizzare i social media e i principi della gamification per migliorare vuoi i processi produttivi, vuoi la ricerca e sviluppo, vuoi il marketing o – ancora – facilitare i processi di apprendimento.

 

Ad esempio Nitro per Jive (nota suite di Collaboration per la creazione di intranet e community, considerata da Gartner leader nell’ambito delle tecnologie social, prevede la possibilità di inserire le dinamiche e le meccaniche tipiche dei giochi all’interno del tool in modo da migliorare la partecipazione degli utenti iscritti.
Come mostrato in questo video:

Nitro for Jive gives users a set of missions to complete, each of which exposes them to a critical piece of functionality within the Jive platform. Users earn points and unlock badges for using and mastering these pieces of functionality, and “level up” when they hit key milestones. Social elements like high score tables, newsfeeds, and the ability to display and share your status, drive friendly competition and collaboration among the user base.

Un altro esempio molto interessante è quello di Nitro per Slaesforce, molto ben dimostrato in questo video.

Nitro for Salesforce adds a persistent toolbar to the Salesforce interface, from
which employees can view their statistics, achievements, status, recent activity, and competitive elements. Users can interact with Nitro for Salesforce via the standard web application, but Nitro data can also be viewed via tablets and phones, and on large displays in sales centers.

Altro esempio interessante è quello di Rypple che vedete mostrato in questo video molto carino:

Today’s workplace requires a new approach to performance management. Rypple is a web- based social performance management platform that helps companies improve performance through social goals, continuous feedback and meaningful recognition.

Nei prossimi giorni parlerò ancora di gamification in modo approfondito fornendo alcuni spunti di discussioni estremamente interessanti in vista del Social Business Forum 2012.
Nel frattempo non posso non ringraziare i ragazzi dello YDL per la passione e per il lavoro che mettono in quello che fanno e – come sempre – anche questa volta ci siamo divertiti parecchio!

Storicamente – per quanto si possa usare questo termine quando si parla di social media – il calcolo del ROI (Return On Investment) è sempre stata una questione annosa e dibattuta in questo ambiente.
Ebbene esiste veramente un ROI dei Social Media? Esiste davvero un ritorno di investimento dei progetti che vengono portati avanti sui Social Media?

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Quando ho iniziato a riflettere su questi temi con l’idea di scrivere questo post mi è subito venuto in mente il famoso video di uno speech dell’anno scorso di Andrea Boaretto in cui si sostiene che il ROI dei Social Media sia “una stronzata galattica” (per chi non sapesse di cosa stiamo parlando qui c’è il video http://goo.gl/yQ1az ). E’ proprio così? Quanta verità c’è in quelle parole e in quelle riflessoni?

Ebbene credo che in quel video ci sia un fondo di verità e capisco l’indicazione sbagliata di considerare il ROI come unico strumento dell’efficacia di un qualcosa, soprattutto in ambito marketing. Tuttavia, parlando – e lavorando quotidianamente – nell’ambito del Social Business il ROI dell’applicazione dei Social Media a livello Enterprise mi pare tutt’altro che una stronzata galattica, anzi.

Se come sappiamo l’etichetta di Social Business si pone proprio a quelle aziende/organizzazioni che fanno della generazione di valore il loro core business, allora la dimensione del ROI assume un significato nuovo e differente, cessando di essere un’indicazione semplicemente legata a un investimento economico ed evolvendosi verso una dimensione maggiormente complessa.

Vi segnalo questa recente infografica sul tema che può darci un’idea dell’industry di cui stiamo parlando e dell’investimento economico che c’è dietro.

Social-media-roi

Come si vede sono dati estremamente interessanti che sottolineano la crescita di un’industria che ha mostrato ormai di essere assolutamente efficace e produttiva.

Vorrei, infine, concludere con alcune riflessioni che prendo in parte dalla mia espereienza personale e – in parte – da questo articolo su Mashable Business legato proprio a questi temi ( http://mashable.com/2011/11/15/social-media-roi-measure/ )

  • I progetti di Social Business – quando ben concepiti – con l’utente al centro del processo e con meccaniche di co-creazione che pongano la creazione del valore come focus di sviluppo hanno sempre un ROI, o per meglio dire, portano sempre a benefici all’interno dell’organizzazione rendendola più snella, efficace, reattiva e in grado di rispondere meglio alle sollecitazioni del mercato. Per maggiori informazioni su quello che stiamo dicendo consiglio di leggere questo post di Emanuele Quintarelli che racconta dei benefici dell’adozione di una strategia social all’interno di Lago SpA: http://www.socialenterprise.it/index.php/2009/04/05/da-enterprise-20-a-pmi-20…
  • Calcolare il ROI del Social Business e dei Social Media penso sia non sbagliato, ma abbastanza fuorviante, questo poiché è un indicatore unilaterale che non fornisce la dimensione chiara di tutti i vantaggi che sono ad esso correlati. Per farla più semplice credo che sia come parlare del ROI della formazione. Esistono in questi processi tutta una serie di benefici correlati – e a volte anche invisibili – che usando una sola lente di ingrandimento rischiano di perdersi.
  • La maturità di questa industry rende necessarie riflessioni e prese di posizioni molto più serie. Le aziende – soprattutto quelle maggiormente restie al cambiamento – devono rendersi conto che non è più possibile sottovalutare questi fenomeni né arroccarsi in modelli organizzativi vecchi e obsoleti che per quanto potessero funzionare nel passato sono presto destinati a fallire nell’immediato futuro.
  • I Social Media sono il mezzo e non il fine. Il fine è la creazione di valore per tutto l’ecosistema aziendale (clienti, partner, fornitori, etc.).
  • L’evoluzione dell’azienda non è possibile in unica direzione. Un Social Business come sappiamo è l’ultimo step del processo evolutivo che porta alla realizzazione di valore, quindi i processi interni e quelli esterni sono integrati in un continuum di esperienza in cui interno ed esterno dell’azienda non hanno più senso di esistere.
  • Le nostre organizzazioni, il nostro business, oggi più che mai ha bisogno di essere social, deve essere social. Non si tratta più di una scelta ma piuttosto di una necessità inevitabile per coloro che vogliono avere successo. Eccone alcune in un post di Jarche ragioni: http://www.jarche.com/2011/10/why-do-we-need-social-business/

E tanto per lasciarvi, come di consueto con un video di approfondimento:

photo credit jenteach123 on Flickr.com

Se pensiamo alle antiche culture e ai miti che hanno sostenuto gli aspetti più nobili della nostra umanità, ci accorgiamo ben presto che non possiamo fare a meno del racconto, delle storie, delle narrative, di quelle tradizioni trasmesse oralmente che sono state determinanti per la costruzione della coscienza umana.

Storytelling-quote

Applicate al mondo moderno queste considerazioni appaiono forse antiche, ma i principi che animano lo storytelling sono ancora assolutamente vivi. Pensiamo al ruolo che i Social Media stanno avendo, hanno avuto e avranno nella nostra vita quotidiana ( proprio nei giorni scorsi l’annuncio di Facebook Timeline – http://www.facebook.com/about/timeline ): l’importanza del raccontare e dell’ascoltare – soprattutto per le aziende diventa fondamentale.

La narrativa assume oggi i controni transmediali, pervasivi, complessi che Henry Jenkins ha bene messo in vista nel suo libro Cultura Convergente e all’interno del suo blog (qui la prima parte http://henryjenkins.org/2009/12/the_revenge_of_the_origami_uni.html e qui la seconda http://henryjenkins.org/2009/12/revenge_of_the_origami_unicorn.html) e diviene più complessa da anlizzare.

Le aziende – dal canto loro – hanno cominciato a usare le narrative e lo storytelling per il marketing e per rendere maggiormente coinvolgenti le storie legate al loro brand o ai loro prodotti.
Il raccontare storie ed esperienze è una modalità coinvolgente, empatica che – se il “prodotto narrativo” è ben realizzato – ha una presa molto forte su chi guarda.
Un esempio perfetto ed eccezionale di quanto stiamo dicendo ci arriva da Canon per la promozione della sua Canon EOS 7D:

Il video mostra chiaramente la storia di un fotografo naturalista impegnato alla ricerca di scatti sempre più creativi, dinamici e di effetto. Qui il brand e il prodotto appaiono solo superficialmente in secondo piano e rappresentano – ad una più attenta analisi – i veri protagonisti della storia.

Allo stesso modo ecco un video di Toshiba per la presentazione dei suoi laboratori di innovazione e del Quantum Computing:

Qui il discorso è differente perchè il brand in questione usa gli spazi partecipativi del web e il raccontare storie per condividere alcune delle proprie metodologie legate all’innovazione. Il video fa parte di una serie definita LABCast in cui Toshiba apre le porte dei suoi laboratori di innovazione per raccontare al pubblico cosa succede al loro interno e quali tecnologie vengono sviluppate.

Infine un video di Starbucks che mostra il rapporto tra brand e suoi dipendenti:

In che modo quindi queste  modalità influenzano la nstra percezione e ci coinvolgono? Credo che sia possibile identificare alcuni fattori principali del perchè siano così efficaci:

  • coinvolgimento
  • empatia
  • narrative
  • interesse decentralizzato

Va da sé che la sfida sta sempre nel realizzare anche prodotti di qualità all’altezza per i valori che si intendono trasmettere, Tutti e tre i documentari mostrati hanno una buona qualità dell’immagine, un ritmo scorrevole e non risultano noiosi da seguire.

A livello di formazione e apprendimento – e quindi indirettamente sul Social Learning – l’utilizzo delle narrative e dello storytelling è stato largamente impiegato. La funzione pedagogica delle storie è nota da tempo e il semplice raccontare e raccontarsi ha una funzione catartica.
L’applicazione di queste logiche dovrebbe essere quindi tenuta in seria considerazione da chi intende occuparsi di questo mondo.
Come ha sostenuto George Siemens nell’intervista fatta in occasione del Social Business Forum 2011, non si tratta i inventare qualcosa di nuovo, ma semmai di tornare con più naturalezza a modalità di comunicazione e di apprendimento che ci appartengono maggiormente:

Il Social Learning non è un nuovo trend. I modelli di apprendimento come quelli corporativi delle Gilde e dell’apprendistato hanno invocato molto tempo fa quello che noi oggi chiamiamo Social Learning. Andando ancora più indietro nel tempo, i primi filosofi si appoggiavano quasi esclusivamente al Social Learning, come ci ricordano molto bene le storie che ancora si raccontano su Socrate, Platone ed Aristotele. Ciò che c’è – oggi – di veramente innovativo è la scala sulla quale possiamo essere coinvolti in un processo di Social Learning. Le tecnologie basate sul web riducono moltissime delle barriere che i discenti erano costretti ad affrontare nel passato (tempo e geografia sono solo due delle molte possibili variabili). Con lo sviluppo dei social-network e strumenti come Skype, Google Talk, i device mobili, il livello e la scala rispetto alla quale possiamo essere “social” sono aumentati in modo consistente. In questo senso il “Social Learning” è un ritorno più naturale al nostro modo di apprendere e di interagire con gli altri.

Chiudo con una citazione di Walter Benjamin:

l’esperienza che passa di bocca in bocca è la fonte a cui hanno attinto tutti i narratori.