Archives For November 30, 1999

Uno dei trend dell’ultimo periodo – portato alla luce anche da prestigiose riviste e autorevoli centri internazionali – è quello che vede l’affermazione di una nuova figura aziendale. Definita CDO: Chief Digital Officer, in sostituzione, o meglio in integrazione, di quelle già note come il CMO (Chief Marketing Officer) o CIO (Chief Innovation Officer).
Ma chi è il Chief Digital Officer? Quali mansioni ha? Quale ruolo svolge in azienda e perché dovrebbe essere considerato cosi importante al giorno d’oggi?

Una definizione delle mansioni del CDO viene data da Perry Hewitt sul sito dell’Università di Harvard.
A proposito del ruolo del CDO si scrive come egli debba essere in grado di realizzare e di occuparsi di:

“comprehensive digital strategy to meet needs in communications, engagement, and transaction, as well as exploring ways that organizations transform through and for their digital constituencies.”

In sostanza la profonda trasformazione digitale e social che si sta (e che si è già in parte) affermando all’interno delle aziende richiede una rivisitazione dei ruoli classici e l’esigenza di elaborare nuove strategie di risposta nei confronti di un contesto che è mutato non solo dal punto di vista del mercato esterno all’azienda, ma anche – e soprattutto – verso l’interno, in cui, processi, strategie e culture devono lavorare in modo sincrono, massimizzando il valore co-creato all’interno di tutto l’ecosistema organizzativo (stakeholder, partner, clienti, dipendenti, fornitori…).

Ma perché questo ruolo è così importante per le organizzazioni di oggi?
Cerchiamo di identificare alcuni punti chiave:

  • La rapida diffusione dei social media ha avviato il processo di trasformazione del consumatore verso un nuovo modello: il Social Customer, un consumatore più informato, più esigente che si aspetta in tempo reale di avere risposta alle proprie richieste e di poter acquistare beni e servizi da qualunque posto in qualunque momento.
  • La diffusione – parallelamente – di device mobili (e il paradigma SoLoMo) ha accelerato ancora di più questo processo rendendolo ancora più evidente.
  • Negli ultimi 24 mesi la richiesta di CDO nella sola Europa è aumentata di tre volte. Negli stati uniti la medesima crescita si è vista nel medesimo  Questo ruolo che “siede alla destra” del CEO rappresenta un ruolo estremamente funzionale e strategico per la progettazione e la realizzazione di nuove strategie di comunicazione, di pianificazione e di ingaggio dei consumatori.
  • Non si tratta semplicemente di uno strategist o di un consulente che abbia un particolare acume legato ai social media ma di un vero e proprio senior manager (o executive) che sia in grado di prendere decisioni concrete – partendo da obiettivi di business ben specifici – in grado di influenzare la direzione della company.
  • Che sia solo una moda destinata a passare in breve tempo? La trasformazione alla quale stiamo assistendo non è passeggera, a differenza di altri trend degli anni passati (si veda per esempio la figura del Chief E-Commerce Officer) in questo caso – come testimoniato anche da questa intervista: http://www.russellreynolds.com/content/leadership-and-talent-rise-of-chief-digital-officer-CDO – i cambiamenti sono troppo evidenti e troppo avanzati perché si possa semplicemente parlare di fenomeno passeggero. Alcune statistiche (dell’anno scorso, ma comunque interessanti) sottolineano in modo massiccio i cambiamenti di cui stiamo parlando:

In March 2011, Apple announced it had sold its 100 millionth iPhone. As of July 2011, Google’s Android Operating System was on 130 million devices.
In July 2011, it was reported that the Apple Retail Store is handling 24 million app downloads per day, and the Android Market is handling 17 million app downloads a day.
As of September 2011, there were more than 800 million users on Facebook. On average, Facebook users install over 20 million apps every day. There are more than 350 million active users currently accessing Facebook through mobile devices
In April 2011, it was announced that more than 200 million people had signed up on Twitter, while, in September 2011, it was revealed that there were 100 million active monthly users.
In 2010, global revenue for the virtual goods industry was over $7 billion, according to Ted Sorom, CEO of Risty, a virtual currency platform.

Ray Wang e Esteban Kolsky sono tornati su questo tema nella loro recente presentazione al Social Business Forum 2013. Sottolineando alcuni aspetti fondamentali di interazione tra questi differenti livelli.

Nello specifico Ray Wang ( http://blog.softwareinsider.org/2013/03/06/trends-seven-priorities-in-the-shift-from-cmo-to-chief-digital-officer/ ) identifica anche 7 azioni e 7 priorità specifiche nell’evoluzione verso questo modello.

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Drive relevancy with context not content. Context trumps content as relevancy required to break channel fatigue.  Relevancy will improves engagement metrics.
Move mobile strategies from campaign to commerce. With engagement moving to mobile first around the world, campaigns without commerce will result in wasted marketing efforts. Point of sale must be part of the strategy as we shift to a world of matrix commerce.
Focus on conversion rate optimization. Conversion rate optimization takes center stage.  How catalysts are built to create the right offer should be tested, measured, and optimized.  This is the 8th C in the 9C’s of engagement.
Design for people to people interaction models. B2B and B2C are dead.  With context, individuals play different roles. This move to engagement and experience will require design thinking in crafting the P2P models of the future.
Use marketing automation to gain efficiencies. Repetitive processes should be rapidly automated and even given to the CIO for maintenance.  Scaling up with marketing automation is a key requirement for success.
Address big and small data. Social and mobile provide great signals that can be used to make the shift from data to information.  Finding patterns in the information helps marketers identify insights and then make the appropriate decisions.  Marketers should focus on the business outcomes not the data.
Expect more accountability in marketing budgets. With so much money flowing into marketing and digital efforts, expect a higher degree of scrutiny.  Marketers must be prepared to talk financial speak. Moving to digital will improve accountability and lead to data driven marketing that many have sought in the past.

In questo senso stiamo dunque parlando di una rivoluzione culturale, organizzativa e social che le aziende devono seriamente cominciare a intraprendere. Il valore che il social business e i digital media hanno creato negli ultimi anni è davvero notevole (basti pensare anche al report di McKinsey ormai dello scorso luglio in cui viene stimato il valore della “Social Economy”), al giorno d’oggi la sfida è quella cher riguarda il saper cogliere questo valore e questa sfida realizzando soluzioni integrate, che uniscano cioè componenti strategiche, manageriali, tecnologiche e di ingaggio per massimizzare le soluzioni messe in atto.

Saper strutturare una social business strategy è questo: connettere l’esterno con l’interno dell’organizzazione, abbattere i silos, fare accadere le cose e permettere alle persone di farle accadere, misurare i risultati di business, mettere al centro le persone e le loro esigenze, unire la capacità di visione a all’execution (fare o non fare non c’è provare)

Chi saprà realizzare questo mix di visone, strategia, competenza e capacità di esecuzione si conquisterà il mercato del prossimo – immediato – futuro.

Tempo libero, lavoro e processi produttivi sono stati spesso – e a ragione – considerati come concetti opposti e difficilmente conciliabili. Ma siamo proprio sicuri che sia così? Siamo sicuri che l’organizzazione del futuro possa davvero distinguere due momenti completamente differenti nella vita di ognuno di noi?

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Le riflessioni su questo tema ci portano a considerare alcuni post passati in cui abbiamo affrontato – per esempio – il ruolo della Gamification sui processi di business e di come il gioco e le dinamiche ludiche potessero essere utilizzate per migliorare i processi produttivi di un’azienda o la relazione con i propri clienti. Il tutto raccolto nell’aforisma che vede l’opposto del gioco non nel lavoro ma nella depressione (Maggiori informazioni: http://www.sociallearning.it/ancora-su-giochi-videogiochi-gamification-e-p).
O ancora si è riflettuto di come il vero lavoro non avvenga sul posto di lavoro e di come le persone siano più produttive in ambienti che ricalcano le loro abitazioni (basti pensare in questo senso alle sedi di lavoro di colossi come Facebook o Google) – http://www.sociallearning.it/come-mai-non-si-lavora-sul-posto-di-lavoro-wh

Ecco un bel video del TED sull’argomento:

Si tratta della storia di uno studio di designer che ogni 7 anni di lavoro chiude per un intero anno per dedicarsi a del tempo libero. Nel racconto si narra come il periodo di riposo “forzato” aiuta a riprendere con maggiore efficacia, con più serenità e rende l’intera organizzazione più efficiente, efficace e reattiva agli stimoli provenienti dall’esterno.
Ed ecco un altro video dei soliti due ingegneri di Google che raccontano il loro lavoro come un “hobby” in cui elementi di divertimento e ludici si mescolano agli impegni di tutti i giorni. Raggiungere il massimo della prestazione – per loro – è molto semplice: sono immersi in un ambiente stimolante, si confrontano con i massimi esperti al mondo, sanno di potersi svagare e rilassare in qualunque momento, si sentono a casa…

Sono dell’idea che le organizzazioni del domani e i processi di lavoro saranno strutturati in maniera sempre più simile a qunto visto nei video e sempre meno a come sono oggi.
Lo scoglio – inutile dirlo ormai – è sempre più culturale.

Chiudo con una bella citazione di Joseph Conrad:

Il lavoro non mi piace – non piace a nessuno – ma mi piace quello che c’è nel lavoro: la possibilità di trovare se stessi. La propria realtà – per se stesso, non per gli altri – ciò che nessun altro potrà mai conoscere.

In un interessante speech tenuto al TEDx di Tokyo nel 2011, Garr Reynolds, l’autore di Presentation Zen (http://www.presentationzen.com/presentationzen/2011/06/be-like-the-bamboo.html) ha illustrato a un’affascinata platea 10 lezioni che ha imparato dalla natura, nello specifico dalla pianta di bamboo.
Ecco il video del suo intervento:

Qui il summary preso dal suo blog ufficiale:

(1) Remember: What looks weak is strong
The body of  even the largest type of  bamboo is not large compared to the other much larger trees in the forest. But the plants endure cold winters and extremely hot summers and are some times the only trees left standing in the aftermath of a storm. Remember the words of a great Jedi Master: “Size matters not. Look at me. Judge me by my size do you?” We must be careful not to underestimate others or ourselves based only on old notions of what is weak and what is strong. You do not have to be big and imposing to be strong. You may not be from the biggest company or the product of the most famous school, but like the bamboo, stand tall, believe in your own strengths, and know that you are as strong as you need to be. Remember too that there is strength in the light, in openness and transparency. There is strength in kindness, compassion, and cooperation. (2) Bend but don’t break.
One of the most impressive things about the bamboo is how it sways with the breeze. This gentle swaying movement is a symbol of humility. The foundation of the bamboo is solid, yet it moves and sways harmoniously with the wind, never fighting against it. In time, even the strongest wind tires itself out, but the bamboo remains standing tall and still. A bend-but-don’t-break or go-with-the-natural-flow attitude is one of the secrets for success whether we’re talking about bamboo trees, answering tough questions in a Q&A session, or just dealing with the everyday vagaries of life.

 

(3) Be deeply rooted yet flexible
The bamboo is remarkable for its incredible flexibility. This flexibility is made possible in part due to the bamboo’s complex root structure which is said to make the ground around a bamboo forest very stable. Roots are important, yet in an increasingly mobile world many individuals and families do not take the time or effort to establish roots in their own communities. The challenge, then, for many of us is to remain the mobile, flexible, international travelers and busy professionals that we are while at the same time making the effort and taking the time to become involved and deeply rooted in the local community right outside our door.

 

(4) Slow down your busy mind
We have far more information available than ever before and most of us live at a very fast pace. Even if most of our work life is on-line, life itself can seem quite hectic, and at times chaotic. Often it is difficult to see the signal through all the noise. In this kind of environment, it seems all the more important to take the time to slow down, to calm your busy mind so that you may see things more clearly.

 

(5) Be always ready
As the great Aikido master Kensho Furuya says in Kodo: Ancient Ways, “The warrior, like bamboo, is ever ready for action.” In presentation or other professional activities too, through training and practice we can develop in our own way a state of being ever ready. Through study and practice we can at least do our best to be ready for any situation.

 

(6) Find wisdom in emptiness
It is said that in order to learn, the first step is to empty ourselves of our preconceived notions. One can not fill a cup which is already full. The hollow insides of the bamboo reminds us that we are often too full of ourselves and our own conclusions; we have no space for anything else. In order to receive knowledge and wisdom from both nature and people, we have to be open to that which is new and different. When you empty your mind of your prejudices and pride and fear, you become open to the possibilities.

 

(7) Commit yourself to growth & renewal
Bamboo are among the fastest-growing plants in the world. It does not matter who you are — or where you are — today, you have amazing potential for growth. We usually speak of Kaizen or continuous improvement that is more steady and incremental, where big leaps and bounds are not necessary. Yet even with a commitment to continuous learning and improvement, our growth — like the growth of the bamboo — can be quite remarkable when we look back at what or where we used to be. You may at times become discouraged and feel that you are not improving at all. Do not be discouraged by what you perceive as your lack of growth or improvement. If you have not given up, then you are growing, you just may not see it until much later. How fast or how slow is not our main concern, only that we’re moving forward.

 

(8) Express usefulness through simplicity
Aikido master Kensho Furuya says that “The bamboo in its simplicity expresses its usefulness. Man should do the same.” Indeed, we spend a lot of our time trying to show how smart we are, perhaps to convince others — and ourselves — that we are worthy of their attention and praise. Often we complicate the simple to impress and we fail to simplify the complex out of fear that others may know what we know. Life and work are complicated enough without our interjecting the superfluous. If we could lose our fear, perhaps we could be more creative and find simpler solutions to even complex problems that ultimately provide the greatest usefulness for our audiences, customers, patients, or students.

 

(9) Unleash your power to spring back
Bamboo is a symbol of good luck and one of the symbols of the New Year celebrations in Japan. The important image of snow-covered bamboo represents the ability to spring back after experiencing adversity. In winter the heavy snow bends the bamboo back and back until one day the snow becomes too heavy, begins to fall, and the bamboo snaps back up tall again, brushing aside all the snow. The bamboo endured the heavy burden of the snow, but in the end it had to power to spring back as if to say “I will not be defeated.”

 

(10) Smile, laugh, play
The Kanji (Chinese character) for smile or laugh is ??????. At the top of this character are two small symbols for bamboo (??? or take). It is said that bamboo has a strong association with laughter, perhaps because of the sound that the bamboo leaves make on a windy day. If you use your imagination I guess it does sound a bit like the forest laughing; it is a soothing sound. Bamboo itself also has a connection with playfulness as it has been used for generations in traditional Japanese kite making and in arts and crafts such as traditional doll making. We have known
intuitively for generations of the importance of smiling, laughing, and playing, now modern science shows evidence that these elements play a real and important role in one’s mental and physical health as well.

E le slide utilizzate:

Ma che cosa c’entra tutto questo con il Social Business? Con il Social Learning? Con i temi di questo blog e – più in generale – con l’organizzazione del futuro?
A mio avviso, c’entra – eccome.

Credo che la lezione di Garr non sia da applicarsi solamente alla nostra vita ma possa essere – senza troppo problemi – adattata anche al nostro modo di lavorare e, nello specifico, all’organizzazione del futuro.
Non è un caso che grandi scrittori e analisti organizzativi del presente e del passato (Capra, Schein, Bauman, Weick, Senge, Varela…) hanno tutti avvicinato le organizzazioni ai sistemi viventi notando – appunto – come le aziende maggiormente resilienti, innovative, adattive, in continua ridefinizione e in grado di sopravvivere meglio al mercato e alle difficoltà poste dall’esterno siano quelle che rispondono a quei concetti che Garr ha messo in evidenza.

Le organizzazioni del futuro sono quindi quelle in grado di reagire dinamicamente in modo anche imprevedibile, comportandosi come i sistemi viventi che per loro stessa natura sono in continua evoluzione e ridefinizione. Niente di nuovo sotto il sole per molti, ma credo che nel nostro paese questi concetti rimangano ancora molto aleatori e difficilmente applicabili, non per mancanza di inventiva o di voglia di fare ma credo più che altro per comprensione e cultura. Immersi in uno schema ancora rigidamente separatista che vede l’organizzazione come un qualcosa di completamente staccato dall’ecosistema in cui è immersa.
Non dimentichiamoci che tra i principi del Social Business ritornano proprio questi concetti.
Come Emanuele Quintarelli aveva scritto in un vecchio ma interessantissimo post sulla definizione di Social Business (http://www.socialenterprise.it/index.php/2010/11/18/verso-il-social-business/) ciò che viene a prendere di senso in questo nuovo modello è la tradizionale separazione manichea tra dentro e fuori l’organizzazione, un’azienda che è maggiormente reattiva e che si mette al servizio delle persone quindi, che segue il flusso. Esattamente come il bamboo.

Si tratta prima di tutto di ridefinire se stessi e cambiare le prorpie modalità e le proprie regole, si tratta, in una parola: di evolversi.

Per concludere, sempre rimanendo in tema di cultura orientale e giapponese nello specifico, forse non tutti sanno che la parola “Crisi” in Giappone è espressa con un ideogramma che ha la duplice valenza di “pericolo” e “opportunità”: forse una delle lezioni più interessanti per il mondo del lavoro del domani può arrivare proprio da un’umile pianta.

Un video molto bello del TED di Noreena Hertz fa riflettere sul ruolo che gli “esperti” – o i supposti tali – hanno nella nostra società.
Ecco il video:

Le riflessioni della Hertz sono assai interessanti perché permettono di affrontare un tema molto caldo: quale ruolo possono avere gli esperti all’interno dei processi di idea managment e di gestione della conoscenza? In che modo il loro ruolo può essere utile allo sviluppo di nuove idee e di nuove prospettive e quando la loro attività inibisce il pensiero e frena l’intelligenza della “folla”?
Porsi tali domande significa fare un passo successivo nei discorsi sul Social Learning e su ciò che caratterizza la nostra modalità di fare esperienza del mondo nel quale viviamo.
In questo senso risultano molto utili le riflessioni della Hertz quando ci aiutano a comprendere che gli esperti possono portare – molto spesso e quando si fa troppo affidamento su di loro – ad un vero e proprio indebolimento del pensiero e a un blocco nella generazione di nuove idee e di soluzioni creative ai problemi. E’ quindi necessario puntare alla generazione del dissenso creativo e controllato che sia in grado di permettere a tutti la libera espressione senza che le idee – anche apparentemente dissonanti – vengano ostacolate.

In un discorso come quello dell’apprendimento basato sul connettivismo il ruolo degli esperti risulta determinante, ma al tempo stesso non rappresenta l’unica visione alla quale attenersi. L’enorme massa critica che le nuove tecnologie (siano esse dedicate all’apprendimento, all’innovazione o alla comunicazione) mettono in gioco – io credo – serve proprio ad eliminare il rischio di assumere un unico punto di vista come chiave per leggere il resto dell’ambiente.

Queste riflessioni sono altrettanto valide all’interno della sfera legata ai social media: non bisogna mai dimenticare che anche gli influencer e gli esperti sono persone normale e – pertanto – soggette ai medesimi bias e medesimi tranelli cognitivi a cui sono sottoposte tutte le persone.
Sono dell’idea che la soluzione per ridurre al minimo questo tipo di errori sia la maturazione di una consapevolezza condivisa che porti a comprendere i propri limiti e al tentativo di superarli.
E’ solo in questo mondo che i nostri processi di decision making saranno in grado di essere davvero condotti in modo utile e riducendo al minimo i rischi di errore.

Un video interessante di Jason Fried al TED parla di come mai il lavoro non accada al lavoro. Del perchè cioè le persone non riescano a lavorare sul posto di lavoro (anche se questo è progettato apposta per quell’obiettivo) e del perchè preferiscano lavorare in posti come casa propria, affermando di essere maggiormente distratti al lavoro rispetto che nell’ambiente domestico.

L’approccio di Fried è sicuramente provocatorio e fuori dagli schemi – come abbastanza tipico degli speech del TED, ma credo che dia occasione per riflettere su alcuni punti interessanti che riguardano i nuovi modelli di lavoro che oggi divengono sempre più frequenti e necessari.
Egli sostiene che le distrazioni principali sul posto di lavoro vengano da quelli che lui definisce M&M = i manager e i meetings, ovvero i capi e le riunioni. I problemi verrebbero appunto dalle distrazioni che sono imposte (e non scelte) di questi due eventi spesso combinati che forzano nell’interruzione di ciò che si sta facendo. Fried sostiene che queste interruzioni involontarie siano molto più dannose sul posto di lavoro rispetto – per esempio – all’utilizzo dei Social Media che egli paragona alla pausa sigaretta, una distrazione volontaria che viene scelta da chi sta lavorando per rilassarsi e distrarsi. Louis Suarez, in un articolo interessante del suo blog approfondisce questi concetti e ipotizza un modello di lavoro senza le riunioni [ http://www.elsua.net/2010/12/03/why-work-doesnt-happen-at-work-a-world-without-meetings/ ]
A sostegno di questa ipotesi potremmo portare anche l’esempio della teoria del Flow e dell’esperienza ottimale, che come abbiamo visto più volte, richiede una concentrazione che non può essere interrotta.
Fried propone poi tre strategie per arrestare questo fenomeno e fare in modo che le persone lavorino veramente sul posto di lavoro:

  1. Pianificare momenti di silenzio sul posto di lavoro. Momenti in cui nessuno può interrompere gli altri mentre stanno lavorando. Per esempio: un giorno a settimana in cui non si può parlare, un pomeriggio, un giorno al mese e via dicendo.
  2. Promuovere il passaggio a tool passivi: l’utilizzo di IM anziché l’interruzione diretta, chat e software come Skype possono aiutare. Anziché l’interruzione verbale diretta questi strumenti di comunicazione permettono di scegliere il momento in cui si vuole essere interrotti, permettendo quindi al lavoratore di scegliere come gestire i flussi di lavoro in modo assolutamente autonomo.
  3. Se sei invitato a un meeting o lo stai programmando, semplicemente cancellalo.

Come vedete si tratta di consigli abbastanza distruptive che sono difficilmente conciliabili con le logiche del lavoro di oggi. Ma è proprio un radicale cambiamento di pensiero quello che propone Fried.
Su questo tema ho letto anche un interessante post del buon Mario Gastaldi sul suo interessante blog in cui proponeva altre soluzioni integrative e aiutava a contestualizzare il tutto in un’ottica maggiormente applicabile [ http://mariogastaldi.com/2010/12/06/work-doesnt-happen-at-work-how-do-you-care/ ]

  1. People work collaboratively because they communicate somehow. Focus should be much more on how and when, and with which goal in mind you plan a meeting. So managers should focus on their ability to organize meaningful meetings.
  2. People achieve results, together, because of the quality of relationships they have, and the sense they can make of what happens. There have to be circumstances in which people meet, reach common understanding, make sense of what they do, (or don’t do), and ties strengthen. Yes, all this happens when people spend time with colleagues and have focused conversations about work.
  3. While Jason does make a point when he laughs about managers banning the use of social media, (stupid rules he implies), at the same time he promotes other bans (no use of tools of communication tools that interrupt;  no-talk days). Stupid rules?
  4. Most of the work gets done collaboratively thanks to the informal flow of interactions that take place. So, to some extent, interruptions could be worthwhile. Let people decide when, and by whom they wish to be interrupted, as long as they accomplish what they are accountable for.
  5. Managers should grow people’s ability to make choices. It is much more valuable promoting a culture that allows people to choose to take part in meetings depending on priorities they are capable to set. Same goes for interruptions.
  6. I do value the idea of promoting asynchronous collaboration: it makes work flow faster and allows people to choose when to do what.
  7. Managers should focus on their own capability to choose if, when, how to plan meetings.
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Personalmente mi trovo d’accordo con Mario nella scelta di questi punti e credo che il lavoro ideale in cui manager e dipendenti siano contenti e soddisfatti allo stesso modo si possa ottenere con un giusto equilibrio tra tutti i fattori. I meeting e le interruzioni si possono difficilmente cancellare, ma il limitare all’essenziale, il semplificare, il rendere tutto più a misura d’uomo è sicuramente qualcosa che andrebbe incoraggiato, auspicato e applicato.
Mi piace con
cludere il tutto con un bel detto Zen che trovo particolarmente indicato.

Chi è maestro nell’arte del vivere distingue poco fra il suo lavoro e il suo tempo libero. Persegue semplicemente la sua visione d’eccellenza in qualunque cosa egli faccia lasciando agli altri decidere se sta lavorando o giocando.