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Quando nel 2012 abbiamo organizzato – assieme al team di OpenKnowledge ed Emanuele Quintarelli – il Social Business Forum: http://www.socialbusinessforum.com portando in Italia speaker internazionali ai massimi vertici su questi temi (John Hagel, Steve Denning, Ray Wang, solo per citarne alcuni) e attirato con un unico evento oltre 1200 persone nell’arco di due giorni realizzando il più grande evento sul Social Business in Europa, abbiamo voluto dargli un claim, una frase he racchiudesse il tema chiave delle due giornate, un fil rouge che tenesse insieme tutti i pezzi.

Abbiamo scelto di usare “From Social To Business”. 

In un recente mio articolo ho già sottolineato alcuni temi legati cambiamento della industry del Social Business e del Digital che in questi ultimi mesi hanno preso sempre più piede affermandosi in maniera consistente: http://www.sociallearning.it/dal-parlare-al-fare-il-social-in-azione

Un report di IBM intitolato proprio “The Business of Social Business” (maggiori informazioni qui: http://www-935.ibm.com/services/us/gbs/thoughtleadership/ibv-social-business.html ) parla proprio di questo: quale ROI dietro le iniziative di Social Business e di Digital Transformation? A cosa serve accumulare fan? Come posso applicare gli strumenti digitali all’ecosistema della mia azienda massimizzando il risultato prodotto dalla catena del valore? Come metto al centro le persone dei miei processi?

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Alcuni dati di contesto generale che vengono sottolineati dal report.

  • Un elevato numero di aziende dimostrano che gli investimenti nell’ambito del social business stanno crescendo e cresceranno ancora di più nei prossimi anni. Delle 1100 aziende intervistate nel report di IBM il 46% ha aumentato i propri investimenti nel ramo del social business nel 2012. Il 62% indica che farà crescere notevolmente questo investimento nell’arco dei prossimi tre anni. 
  • La maggior parte dell’investimento e delle azioni di Social Business e di applicazione delle Digital Technologies è ancora – purtroppo – legato ad azioni verso l’esterno dell’azienda. E’ – infatti – ben il 67% delle aziende che applica questi principi nell’ambito del marketing e nell’ambito del customer care: si passerà dal 38% di quest’anno al 54% dei prossimi due anni.
  • Stesso discorso per il settore delle vendite che salirà dal 46% di oggi al 60% nei prossimi due anni. 
  • A fronte di questi dati emerge un’altro aspetto assolutamente significativo: i 2/3 delle organizzazioni sono assolutamente impreparate a sostenere questo cambiamento dal punto di vita culturale e organizzativo

Creare esperienze di valore con (e tra) i consumatori
Ormai tutte le aziende hanno compreso l’importanza di interagire con clienti, consumatori e persone all’interno degli spazi social e dei canali informali presenti in rete. Il 60% delle aziende lo sta facendo e il 78% pensa di farlo nei prossimi due anni. Un numero sempre più consistente – il 55% – sta poi portando ad un altro livello questo tipo di interazione stimolando recensioni e revisioni di prodotti e servizi da parte dei consumatori.

La costruzione di community è poi un altro versante molto interessante: le community dei consumatori, per sempre un numero crescente di aziende, stanno diventando la parte integrante dei processi aziendali e organizzativi. Ma le semplici aperture di canali non servono a nulla: il meccanismo e i principi alla base del Social Business son più simili a un albero da coltivare che non a un interuttore acceso/spento.
Nel report vengono identificati 4 punti chiave attorno a cui le aziende devono lavorare:

  1. Un processo di governance molto ben definito che supervisioni le operation della community
  2. Il recruiting, training e lo sviluppo di figure professionali adeguate che si occupino di fare i community manager: come sappiamo una community senza community manager non ha senso né può esistere
  3. Lo sviluppo di una massa critica di partecipanti per fare in modo che il valore della community sia generabile, significativo e applicabile.
  4. L’abilità di reagire in retta alle sfide poste dai consumatori e dalle aziende nel momento in cui si presentano nuove opportunità di business, in una frase: fare in modo che queste community siano connesse alla dimensione organizzativa e non semplicemente fini a se stesse. 
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Migliorare l’efficacia, la produttività degli spazi di lavoro
Sebbene l’esterno dell’azienda sia la parte maggiormente stressata e maggiormente soggetta a sperimentazioni e a investimenti non dobbiamo dimenticare – come per altro già sottolineato in altri recenti articoli la parte all’interno dell’impresa che può sicuramente svilupparsi altrettanto bene.

Nel report si evidenziano tre modalità fondamentali di utilizzare il Social Business all’interno dell’organizzazione:

  • Aumentare la visibilità, la trasparenza e la condivisione di conoscenza
  • Trovare e costruire expertise
  • Collaborare con l’esterno dell’organizzazione
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Infine, viene sottolineata l’importanza degli strumenti social per migliorare la possibilità di fare innovazione partecipata e di offrire un vero servizio ai consumatori e ai clienti. In che modo ? Costruendo – per esempio – community dedicate all’innovazione a alla collaborazione tra consumatori, clienti e dipendenti.

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Ma come possono le aziende integrare il social all’interno delle loro organizzazioni?
In primo luogo l’analisi va fatta per capire in che modo sia possibile evolvere i processi interni già in atto attraverso il social.
In secondo luogo è necessario capire come gestire i rischi di un approccio che va in questa direzione.
In terzo luogo il change management rimane sicuramente un punto fondamentale da smarcare e sui cui riflettere moltissimo. Il Social Business, in questo senso, richiede l’applicazione dei classici principi del change management per fare in modo che possa avere significativi impatti sul modo di percepire l’organizzazione e su come si possono modificare e influenzare cultura e performance.

Tutto il resto altrimenti – come già sottolineato a più riprese e visto nei post precedenti – rimane solo una bella filosofia.

Il report conclude poi con alcuni suggerimenti che penso sia interessante riportare:

First, develop social methods and tools to create consistent and valued customer experiences. Ask yourself, “What approaches is my organization using to listen to and engage with customers?” Another question to ask: “How do my marketing, sales and customer service functions coordinate around social initiatives?”

Second, embed social capabilities to drive workforce produc- tivity and effectiveness. To help stimulate your thinking, consider, “What areas of opportunity exist within our organiza- tion to improve collaboration through social initiatives?” Also: “How could we use social approaches to better connect with key stakeholders outside the organization?”

Third, use social approaches to accelerate innovation. Consider, “How can improved generation of ideas have the most impact across our organization?” Ask: “How could we better involve individuals outside the organization in our innovation efforts?”

Ogni tecnologia, per complessa, generica, speciale o particolare che sia, passa attraverso due cicli fondamentali. Il primo è quello di adozione (ben sintetizzato dai lavori di Rogers et alii – http://en.wikipedia.org/wiki/Technology_adoption_lifecycle ) e l’altro è quello legato all’hype: alle fasi – cioè – che uno strumento o una tecnologia particolare vivono durante la loro adozione (per riferimenti si veda, tra gli altri: http://en.wikipedia.org/wiki/Hype_cycle ).

Perché parlare di cicli di adozioni delle tecnologie qui? Il motivo è semplice.
Perché anche il social business va considerato come una tecnologia. Il mio recente articolo dedicato alla morte del Social Media Marketing – http://www.sociallearning.it/il-social-media-marketing-e-morto puntava proprio a sottolineare, tra i tanti, temi di questo tipo. In che stadio di maturità, di adozione e di hype ci troviamo rispetto al Social Business? In che modo sta cambiando il mercato? Quale sarà il futuro?

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Un recente post di Dion Hinchliffe ( http://www.zdnet.com/the-leading-indicators-of-social-business-maturity-in-2012-7000008162/ ) affronta proprio questa tematica legata all’adozione delle tecnologie social all’interno delle imprese e a come si stia muovendo il mercato in questo senso.

Alcune delle riflessioni di Dion che penso sia utile riportare:

  • 2/3 delle aziende (secondo il report di AIIM) stanno utilizzando le tecnologie social all’interno dei processi di marketing e delle relative funzioni. Chi con integrazioni complete (solo il 9%), chi con maggiore fatica e ancora in modo non completo.
  • Circa l‘80% delle aziende impiega – in qualche forma o in qualche misura – gli strumenti social 
  • Secondo uno studio di Stanford dedicato ai Social Media – http://www.gsb.stanford.edu/cldr/research/surveys/social.html – sono circa il 60% le aziende che usano questi strumenti per coinvolgere i consumatori. Fa riflettere comunque come molte di queste 49% (la maggior parte) le utilizzino in direzione del Social ADV visto come uno degli usi ancora primari e predominanti. Si possono ricollegare qui le riflessioni fatte in tema di Social Media Marketing e di come spesso questi processi siano ancorati ancora a logiche di comunicazione e di pubblicità tradizionale.
  • Il 27% delle aziende hanno – al loro interno – qualcuno che si occupa esplicitamente di Social Media e che segue questi canali, a testimonianza di un cambiamento significativo anche nel modo di lavorare
  • Aggiungo io anche un interessante serie di dati dell’ultimo report di Nielsen sul tema (Q3 late 2012 – http://blog.nielsen.com/nielsenwire/social/2012/ ) che ci fornisce una serie di utili e stimolanti informazioni relative al consumo mediale degli utenti e soprattutto – trend ancora in forte sviluppo – rispetto all’uso da mobile di tali piattaforme e al crescente mercato (anche se ormai è di fatto consolidato) delle App.

Personalmente mi trovo abbastanza d’accordo con alcune delle deduzioni con cui Dion chiude il suo post: molte delle organizzazioni hanno iniziato a sperimentare a prendere seriamente l’uso dei social media, ma si tratta – ancora e purtroppo – per moltissimi della punta di un iceberg che deve ancora completamente essere esplorato e compreso. Per molte realtà aziendali, e l’Italia è sicuramente ricca di situazioni di questo tipo, l’esplorazione e l’impiego dei social media all’interno dei processi è ancora in fase di studio e di riflessione: a un livello embrionale. Interessanti iniziative molto spesso si scontrano con problematiche e vincoli culturali, strutturali e di sviluppo.

Emanuele Quintarelli in un ottimo e recente post dedicato a come il Social può incontrare e migliorare i processi aziendali – http://www.socialenterprise.it/en/index.php/2012/12/02/socialmeetsprocesses/ – sottolinea alcuni di questi punti riprendendo anche il recente report AIIM dedicato al tema (per approfondire ne consiglio la lettura http://www.aiim.org/Research-and-Publications/Research/Industry-Watch/Social-Processes-2012 )

In questo senso ecco alcuni dati interessanti e meritevoli di riflessione che emergono dalla lettura del report di AIIM:

  • Nel 50% delle organizzazioni, i dipendenti sono incoraggiati all’uso dei social media, metà di questi però non hanno a disposizione guidelines, policy o governance sull’uso di questi strumenti. In questo senso mi permetto di aggiungere anche che a fronte di aziende che invece hanno a disposizione questi strumenti esistono comunque dei problemi del loro impiego. Strategie che non sono collegate all’organizzazione e processi di governance e di Policy che non riescono a trovare spazio perché le aziende sono ancora troppo strutturate o troppo legate a vecchie logiche consolidate che mal si adattano al mutato contesto.
  • Il 100% delle organizzazioni, nel giro di al massimo un paio di anni, utilizzerà i social media in campagne B2C per il coinvolgimento dei propri clienti. 
  • Il 64% delle organizzazioni che usano i social media non hanno processi integrati di business. Questo significa un po’ quello su cui già riflettevamo parlando di social media marketing e del futuro del social business. Il grosso del lavoro da fare – ad oggi – va in questa direzione.
  • Quasi metà (si parla del 47%) delle organizzazioni non hanno strategie di creazione o gestione dei contenuti sui social media. In questo caso il dato fa estremamente riflettere e sottolinea ancora una volta un trend che abbiamo accennato. I social media sono visti ancora come moda e come strumento che non necessità di una strategia concreta legata a dei seri obiettivi di business. Errore molto grosso considerando che il connettere una strategia di comunicazione sui social agli obiettivi è il primo step per qualunque azione si rispetti.

Alcune riflessioni interessanti a livello di implementazione di questi strumenti all’interno dei processi di business possono poi essere fatte guardando questo grafico che mostra quali funzioni aziendali solitamente sono più o meno propense nel foraggiare iniziative legate ai social media. Da notare come i valori siano molto sbilanciati verso l’esterno dell’azienda. Le funzioni interne dei vari dipartimenti aziendali sembrano tardare ulteriormente a comprendere l’innovazione e il cambiamento di scenario che è avvenuto negli ultimi anni.

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In questo senso è interessante capire anche come vengono utilizzati alcuni degli approcci legati ai social media. Come sapete mi sono occupato molto spesso di Social Media Monitoring e Brand Reputation online. Ma quante sono le aziende che si muovono in questo senso?

Questo grafico sotto riportato mostra molto bene il tipo di trend contro il quale ci si deve confrontare. Diciamo che in questo settore si delineano tre tendenze principali in ordine di difficoltà e di impatto crescente:

  • Livello 1 – Le aziende che non fanno Social Media Monitoring e Listening e che ancora, per mancanza di consapevolezza, non ascoltano quello che la rete dice di loro
  • Livello 2 – Le aziende che hanno avviato azioni di Social Media Monitoring e Listening per comprendere il sentiment e le iniziative che vengono fatte in rete. Qui chiaramente si aprono delle riflessioni per comprendere come questo viene fatto e a che livello
  • Livello 3 – Le aziende che hanno implementato un completo processo di gestione dei canali e che hanno in atto strategie per trasformare l’ascolto in qualcosa di concreto e in azioni puntuali di coinvolgimento degli utenti all’interno dei processi aziendali e organizzativi. Si tratta di realtà più complesse che hanno raggiunto uno stadio di maturità chiaramente più complesso ed elevato
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Dal mio punto di vista credo che il Social Business in Italia sia ancora molto immaturo. Sotto molti punti di vista molte delle aziende del nostro paese non hanno ancora maturato una consapevolezza chiara sulla direzione in cui andare: sia verso l’esterno sia verso l’interno. Il Social Media Marketing è visto ancora come frontiera innovativa del marketing senza che vi sia una reale connessione con i processi di business. Sempre più spazio viene dato a piccoli progetti che non impattano in modo significativo sulla relazione che le aziende stabiliscono con clienti, fornitori, partner, e con l’intero ecosistema aziendale (all’interno e all’esterno).

Le riflessioni in questa direzione rimangono ferme allo stadio di belle sperimentazioni (quando positivo) e di “nulla di fatto” (quando negativo).

In un momento economico e di mercato in cui il mondo e gli addetti al settore si trovano già nella curva discendente dell’hype e si muovono verso il plateau di produttività dell’implementazione, nel nostro paese i limiti e le sensazioni sono ancora quelle legate al picco di discussioni e di argomentazioni che foraggiano questi temi. Il rischio è quello che tutto il castello di carte crolli improvvisamente.

Il tempo dell’innovare credo sia finito. Ora arriva quello del fare.

Ma fare cosa? E da dove cominciare?

  • Iniziare con il settare degli obiettivi di business, le strategie social sono un di cui. La prima domanda da farsi è: che cosa voglio ottenere? Che cosa mi serve? Di cosa ho bisogno? E di cosa hanno bisogno i miei consumatori? In questo senso sceglierò poi se andare verso iniziative di idea management, intranet collaborative, socializzazione più ampia dei processi (HR per esempio) o via dicendo…
  • Come integrare i processi? La sfida forse più grande, vincere le resistenze le problematiche e strutturare soluzioni ad hoc per le esigenze delle organizzazioni, bisogna capire dove questi strumenti possono entrare per migliorare le logiche che sono già presenti all’interno delle organizzazioni
  • Chiedersi se tutto questo serva davvero: il Social è uno strumento non la soluzione definitiva a tutte le problematiche e a tutte le domande di un’azienda. Potrebbe essere più o meno efficace di altre strategie, potrebbe essere più o meno adatto a un determinato contesto o in un determinato momento della storia dell’organizzazione a cui ci stiamo riferendo. Non è una panacea, non è nemmeno una bacchetta magica: si tratta di uno strumento al pari di tanti altri strumenti.
  • Sperimentare a un livello di consapevolezza maggiore. Per quando molti siano ancora indietro rispetto all’adozione delle soluzioni e delle strategie social all’interno dell’azienda è bene che questi processi vengano da subito inseriti in una strategia più ampia di cambiamento dell’interno ambiente di lavoro.

Di recente ho avuto modo di leggere il report (dello scorso Luglio – http://www.mckinsey.com/insights/mgi/research/technology_and_innovation/the_s… ) di McKinsey sullo stato dell’arte delle social technologies e sul valore che queste possono avere nel promuovere lo sviluppo delle organizzazioni.

La questione che mi sono posto – stimolato anche dalle ottime riflessioni di Emanuele Quintarelli ( http://www.socialenterprise.it/index.php/2012/08/13/sbloccare-il-potenziale-d… ) è quale possa essere – in Italia e nel mondo – il mercato e il livello di sviluppo, ad oggi, del social business.

Ma andiamo con ordine: cerchiamo come prima cosa di riassumere alcuni dei dati e delle considerazioni salienti del report realizzato da McKinsey:

  • Il livello di adozione e i tempi di penetrazione delle tecnologie social è incredibile: come ben mostrato nessuno strumento è riuscito a raggiungere i livelli dei social newtork e nessun media è riuscito a raggiungere – in cosi’ poco tempo – la stessa massa critica di questi strumenti. I tempi di diffusione e il potenziale che questi strumenti hanno nell’essere adottati non è assolutamente un fattore da sottovalutare in termini di impiego nelle organizzazioni. Tuttavia è bene riflettere come solo parte dell’intero potenziale della social communication è stato “sbloccato”. Molta è ancora la strada da fare e molte sono le riflessioni da maturare in questa direzione.
  • La capacità che questi strumenti hanno di massimizzare il valore scambiato e di facilitare i processi di collaborazione, comunicazione e innovazione è molto alta. In questo senso è possibile riflettere sugli impatti che strumenti social hanno avuto – e stanno tutt’ora avendo – sul nostro modo di comunicare, di relazionarci e di gestire le informazioni.
  • Esiste un potenziale economico che va da 900 miliardi a 1.3 trilioni di dollari che deve essere sbloccato e valorizzato. Il tutto è basato su alcune stime derivanti da una serie di survey che McKinsey ha portato avanti. La riflessione da fare in questo senso è legata sicuramente al ROI del social business e all’importanza che stanno assumendo nuovi strumenti per la misurazione di nuovi fenomeni.
  • Le tecnologie social – laddove correttamente implementate – possono aiutare le aziende a divenire dei network complessi basati sullo scambio di valore. In questo senso sono sin grado di massimizzare le capacità delle aziende di collaborare, di fare rete e di costruire nuovi modelli competitivi.
  • Il miglioramento della semplice comunicazione e dello scambio di informazioni (all’interno e all’esterno delle aziende) sarebbe in grado di aumentare del 25/30% la produttività dei knowledge worker
  • Le social technologies possono giocare un ruolo molto importante e fondamentale nel visualizzare i flussi di scambi informali e nel “cristallizzare” le conoscenza, le interazioni e le informazioni che sono presenti – molto spesso – solo a livello individuale.

In questo senso è molto interessante vedere anche le funzioni aziendali su cui possono impattare le social technologies e a quale livello possono contribuire per promuovere lo sviluppo dell’organizzazione:

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Come ben visibile dallo schema riportato si tratta di ambiti anche molto diversi ma sulle quali questi approcci possono essere estremamente interessanti su più livelli portando vantaggi notevoli.

Un’altra riflessione interessante in questo senso risulta essere quella legata alle modalità di lavoro. Lo spostamento che il nostro modo di comunicare sta avendo nei confronti delle tecnologie social fa riflettere:

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Celebre in questo senso è il caso di qualche anno fa di Luis Suarezhttp://www.wired.com/wiredenterprise/2012/01/luis-suarez/ – in questa stessa direzione sembra stiano maturando sempre maggiori consapevolezze. Nell’uso cioè di sistemi maggiormente dinamici, snelli e in grado di gestire carichi di informazioni sicuramente maggiore rispetto alla semplice email.

Alcune riflessioni personali a margine di quello che abbiamo visto (chiaramente si tratta di un’estrema sintesi di alcuni punti che sono emersi dal report e che vi consiglio assolutamente di leggere):

  • Il mercato è cambiato: sono sempre di più le aziende che avvertono quello che è il messaggio sotteso alle grandi storie di successo dei big brand internazionali: non possiamo più decidere se diventare o meno un social business. Dobbiamo semplicemente scegliere il modo migliore e più veloce per farlo. A proposito di casi di successo legati al social business e all’evoluzione del mercato ne ho parlato già qui: http://www.sociallearning.it/social-enterprise-le-migliori-storie-di-succe
  • Il cambiamento è trasversale e impatta tutte le aziende. Le riflessioni maturate in questi anni ci fanno considerare il processo di trasformazione verso un social business come un qualcosa di trasversale a tutte le unit di un’organizzazione e a tutte le industry in cui un’azienda è posizionata. Non esistono scenari migliori o più adatti di altri in cui applicare queste logiche. Anche se il report di McKinsey sottolinea alcune aziende favorite rispetto ad altre, in particolar modo quelle:
    • che impiegano un alto numero di knowledge workers
    • che fanno affidamento su una forte coesione con l’immagine del brand e che basano molta della loro interazione con i consumatori su questo
    • che hanno un’esperienza (come ad esempio un servizio) o un prodotto da offrire ai propri consumatori
  • Le strategie sui social media “verso l’esterno” sono insufficienti: le aziende e i consulenti cominciano a rendersi conto dell’incapacità di semplici strategie di social media marketing e della difficoltà di approcci one shot. Nulla risulta più efficace di un approccio integrato, maturo, valido sia per l’interno sia per l’esterno dell’azienda. In sostanza è tempo di evolvere le strategie di coinvolgimento dei clienti e dei consumatori in approcci più maturi che permettano alle organizzazioni di svilupparsi e di andare nella direzione di dinamiche che arricchiscano tanto i dipendenti quanti i clienti finali in un ecosistema aziendale armonico.
  • Le aziende cominciano ad essere più consapevoli :le richieste di so
    luzioni aumentano e non è più possibile fare come in passato. Le aziende cominciano a maturare consapevolezza rispetto a queste dinamiche e risulta importante proporre soluzioni nuove più mature e in grado di integrare veramente differenti approcci portando del concreto valore aggiunto.
  • Sono necessarie nuove competenze e nuovi strumenti. Esattamente come per vedere nuove cose bisogna avere nuovi occhi e rinnovarsi (similmente a quanto ricordava Proust) è necessario che le organizzazioni si muovano verso modelli a competenze ibride, dove l’integrazione di diversi punti di vista puo’ solo rappresentare ricchezza e consentire la lettura di nuovi e vecchi fenomeni.

Come ben mostra questo grafico nello specifico degli IT manager:

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E voi? Siete pronti a diventare un social business? Cosa ne pensate?

Emanuele Scotti, Rosario Sica, Emanuele Quintarelli

“Markets are conversations”
Cluetrain Manifesto, March 1999

Collaborative mechanisms are radically changing the way in which markets function and the way in which organizations create value. Consumer behaviour is becoming ever more conditioned by the reputation of companies among consumers and influence among peers, often leaving businesses themselves out of the conversation. How does marketing, advertising or CRM re-establish itself in the new millennium?

The method previously relied upon to organize work – born during the manufacturing industry era in order to segment and control industrial production, a method which has reached the present day almost intact – appears inadequate and clumsy in managing the need for reactivity, innovation and agility in today’s organizations. How can we regain efficiency and speed? How can we free the great potential of intelligence, creativity and energy that is exploding onto the business network but which is still trapped in the bureaucracy of modern organizations? These questions go beyond popular phenomena or trends and critically examine business and management practices and convictions in today’s society.

This is a reflection that dates far back and that has re-emerged over recent years in a devastating manner, taking the name of Social Business. Social Business is how a business operates in the era of interconnectivity. Social Business is a new way of organizing work and relationships with a business ecosystem.

Management disciplines have developed great capacities to make stable and repetitive processes efficient over time. Businesses are now being asked to be more agile, to continually redefine themselves, to provide a relevance to service and customer experience, and more. This makes those capacities no longer sufficient and, in some cases, even dangerous.

In this context, the emerging models of Social Business, both inside and outside an organization, are starting to show their value.

If we really want to create something entirely new, we need to start looking around in a new way, otherwise we will continue to behave as we always have. To create new things, we need to look at creating a newer version of ourselves. Let’s consider another period of great transformation, that of the transition from the medieval era to the modern day. The person who best represents this change is Christopher Columbus. Discovering America is in itself an intriguing story for those who study innovation. When we look at great moments of change, we often risk making the mistake of seeing things in a linear manner: some have thought that to do a certain thing, you need to plan the journey and then you will arrive at the destination. However, when you are on the journey of change it is nothing like this. It wasn’t like this in 1492. The story behind the discovery of America is full of errors; Christopher Columbus was convinced up until his death that he had shown the way to the West Indies and not that he had discovered a new continent. It took twenty years to correct this mistake. In order for people to understand that an unknown continent had indeed been discovered, Western Europeans had to change their own opinions and create new maps.

In times of great change things like this happen: you discover things which you never expected to discover. And in turn your convictions, identity, and cognitive processes change.

So why this introduction? Because today we find ourselves in a time very similar to the end of the medieval era, a time of great confusion. And for those of us who work in the world of organizations, it’s easy to see that in all of this confusion, traditional values and managerial models are heavily involved.

The first point to consider is that we need to change some of our convictions. The current management models for our companies no longer work. We have made management a science; we have tried to transform people into machines; we have divided work tasks into segments, taking significance away from the things we do whilst we work; we have depersonalized things in order to try to control the work place; we have tried to standardize work to guarantee the possibility of repeating services without unforeseen events.

This type of organization worked well when the theme of the business was repetition. It becomes a model that works far less well when the nature of the business is knowledge-based, striving for constant innovation, within an intangible environment.

We don’t have the organization and the appropriate technology for the era that we are living in.

Just as at the time of Christopher Columbus, even we need new maps, especially because it is very difficult to manage things that we are not capable of seeing. These new maps are obliged to work with a technological infrastructure that has only been created in the last few years – the Web, more specifically, Social Media – which is interesting not only in itself, but also for the social behaviour it allows.

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The dynamic that emerges by collaborating with other people online can be represented by a curve showing increasing marginal returns (Fig. 1): the overall growth corresponds to overall input. If we learn to harness the power of patrimonial intelligence and the energy of group work the value that is generated grows exponentially. For a long time we have been used to performance curves which in general have decreasing marginal returns, such as the typical curve of experience. (Fig. 2)

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This comparison is very interesting, as it opens up possibilities for us of radical innovation which we don’t even know how to see using our current cognitive processes. We are in a time of great changes, but we think of change in an old way, as something linear, where we have to say where we should go, what the expected ROI is, what the benchmark of reference is, and what the plan of action is in order to reach the goal. But we will never get anywhere if we do not change our way of observing things. We could discover, for example, that – as happens on the internet – if organisations also moved their attention from codifying content (archiving documents, procedures, rules) to protecting connections they would have improved efficiency spaces in front of them. Controlling communication flows among individuals is becoming more important today than controlling the content of the communication itself.

This adjustment must be made quickly, because the world is moving faster than ever. As the Queen of Hearts says in Alice in Wonderland, we must run, but we must run just to stay in the same place. There are emerging countries that are running much more than us; the phenomena that we have already mentioned are creating markets with different rules. The customer is now social (“social customer”) and much more efficient in making the most of the information on companies and products than the companies are themselves. The same thing is happening in some way within companies, with the birth and self-organization of communities and spontaneous networks favoured by technologies, often operating consistently with the organization’s project, but sometimes not.

This tendency has grown from a new generation of young people, who bring with them a completely different culture from that of the organisations that we have created. In this generation, there are completely new
concepts of belonging, of boundaries, of mine and yours, and of collaboration. Businesses must therefore act and act fast. Many of them are already doing so, while others are trying.

Many of them are aware that they have lost control of their own brand, which is passing into the hands of the people who are online – people who discuss their experiences, leave comments, and give criticism in more far-reaching, and more appreciated ways than traditional communication initiatives and campaigns. As Chris Anderson says, we are no longer what we say we are but what Google says we are. The voice of the consumer has gradually become more important in the creation of the image and the reputation of the brand.

A lot needs to be done to create an organisation and infrastructure which are more in line with today’s economy and social context.

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First and foremost, we must create infrastructures of emerging collaboration, i.e. infrastructures which have increasing returns. People have to be able to build trust and resources, they have to be able to organize themselves, they have to be able to solve their problems collaboratively (Fig. 3). This must be done through the integration of two worlds: that of traditional organization (which nevertheless remains necessary for defining responsibilities, plans and tasks) and that of new forms of organization and the emerging collaborative network, which are necessary for dealing with unforeseen circumstances. There is also a lot to be done on the external front – engaging with the client (fig 4).

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We need to talk to clients. We need to stop shouting; we have to listen and understand how they use products and what they want. Companies can carry out “social marketing” activities, letting enthusiastic clients “infect” others. They can use social networks to generate sales, and provide customer care and innovation together with clients. There are also plenty of examples of this.

We have to look at innovation from a new perspective, a less linear, less planned and exploratory perspective (Fig. 5). Networks are much more efficient at this than hierarchically organised groups, because when we explore something new we need to believe it, we need to have different points of view, we need to organize ourselves each time in line with the task at hand, and networks are much more efficient at this. Today is no longer about evangelization; that was the case years ago, when we started our project and launched the Enterprise 2.0 Forum in 2008. Today this has become mainstream. So what kind of company do we imagine? It’s an open, emerging and collaborative organisation, in which we need to talk to people outside the company with feedback flows precisely because we are organised inside the company with similar flows. The organisation can therefore do social media marketing, innovation/crowdsourcing, collaborative support with clients, and more.

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We need courage, energy and faith in order to make this journey. But above all, we need to wear the right glasses, and look at new phenomena with new eyes. Only at that point will we discover that we have reached a new land of opportunities.

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  1. Chaos is simplicity that we cannot  see yet
  2. Organisations are conversations
  3. Entropy is born from trying to use new tools to do old things, or from using old tools to do new things
  4. E-mail has been overtaken by more open and emerging exchange platforms. Organizations should abolish their internal use of e-mail
  5. When faced with ever more complex and inter-connected problems, decision-making architecture – represented by modern business and governance models anchored in a hierarchical command-control principle – shows all its inadequacy
  6. The road must be the culture of risk: new perspectives do not open up without risks
  7. Clients know the products much better than the companies that produce them
  8. Those who work expect in some way to be able to participate in the organizational project; malaise is generated by the impossibility of this participation
  9. In order to see new phenomena we need to build new tools of analysis and measurement
  10. Organisations are living organisms. Even before generating products they generate and transform knowledge
  11. The ability to generate and transform knowledge makes organizations emerge or decline in the knowledge economy
  12. Knowledge is generated and transformed in conversations among employees, among clients and between clients and employees
  13. Conversations go beyond walls and roles and favour relationships of trust that are difficult to condition
  14. The weak point of knowledge management is the management
  15. Collaboration is the challenge for modern organizations. We have only just begun to deal with this; the management tools currently available are inadequate for the purpose, as they were born in another era and for opposite objectives.
  16. Collaboration does not (only) mean coordination, planning, and role management. Collaboration means putting collective intelligence to good use
  17. Today we need to come together, create stories and common meanings, involve personal feelings, find ways to engage with people
  18. Organizations that are inflexible risk extinction
  19. High-performance organizations have disorganization and weak links as their strong point
  20. There is much more intelligence in our organizations than management is willing to recognize
  21. The intelligence in organizations today is trapped in procedures, customs and roles
  22. It is difficult to direct a conversation; it is easier to feed it or silence it for good
  23. An economic crisis is also a crisis of management models and work organization models
  24. Today, man’s great works are born from conversations, and often they don’t need governance
  25. The knowledge of organizations today lies more in connections than in company databases
  26. Teamwork, integration, collaboration: organizations are cramming themselves full of concepts that are ever further from their own practices
  27. The market today has a faster and more articulate intelligence than the intelligence of organizations
  28. Organizations react to stimuli in their market with a speed that is inversely
    proportional to their size
  29. HR’s plans hide the fear of freeing the energy and intelligence found within the organization
  30. Clients, like employees, are looking for a contact and a dialogue but instead find rubber walls with high-sounding names: call centres, customer care, direct lines
  31. Consultants strengthen the status quo: they try to bring complexity to the pre-established order but by doing this they increase entropy as they simply move the disorder to another level
  32. Disruptive innovation does not occur in  R&D departments: it occurs by mixing points of view and knowledge in new and open connections
  33. One-way intranets are useless; Social Intranets can today become the nervous system that allows an organism to feel and act as a unit: they allow the exchange of stimuli, the accumulation of memory, the formation of identity and the coordination of actions
  34. Today there is a need to come together: to connect the dots (vision) but also to connect people and create autopoietic (self-creation) systems
  35. Reputation is the key
  36. Centre and outskirts are concepts of the last century. Online, centrality is a function of authority and visibility
  37. Listen, listen, listen: it’s the client who tells you who you are
  38. In the knowledge economy you don’t have to know everything but you do have to be well connected
  39. From the knowledge economy to the gift economy…
  40. The business process emerges bottom up, learns constantly and adapts itself according to feedback from employees and clients
  41. Think in a new way: abandon slideshows and restructure work spaces.
  42. Listening to conversations is not enough. We need to draw meaning from them and direct change
  43. Your employees come first. Without their involvement your Marketing department will never be able to engage customers
  44. Consulting firms are not needed to build new organisations.
  45. Ideas from clients, employees and suppliers are just as good as those from management
  46. Social Business is not a new technology, it’s a new type of company
  47. Looking at the market through the eyes of the product and socio-demographic segments has lost its value. Let’s seek out passions, needs, tribes
  48. A company is centred on the client when it is able to look at itself from the outside, knocking down barriers both internally and externally
  49. Bottom-up innovation does not mean carrying out everything that the clients ask for. It means understanding the problem that the clients want solved and helping them to solve it
  50. Socializing processes does not mean creating new silos, even if they are social. It means breaking down traditional and social silos.
  51. Only working for a wage never makes the difference. People today are looking for a common mission
  52. Opening a Facebook page is easy. Opening the doors of a company and welcoming clients is difficult
  53. Companies hardly ever know what the client wants because they have always been afraid to listen
  54. Communities of people are not created and managed. Communities attract members and are cultivated by them
  55. The new management model is closer to cultivating a community than to leading a flock
  56. Change starts from the early adopters, but sustainable change reaches everyone else
  57. Customer service is the new marketing
  58. The only way to balance the excess of information in which we are drowning is by adding more information that acts as a filter
  59. A group of kids has created more innovation in the last 15 years than IBM, Microsoft and Oracle put together

Social Business Manifesto is proudly written by OpenKnowledge team. Learn more on – http://socialbusinessmanifesto.com/

Sarà in edicola nei prossimi giorni il numero di Giugno di Harvard Business Review: prestigiosa rivista internazionale di altissimo livello. In allegato a questo numero un manifesto un po’ particolare, dedicato al Social Business che ho contribuito a scrivere nei giorni scorsi con alcuni miei colleghi.

I partecipanti alla 5a edizione del Social Business Forum saranno inoltre omaggiati con una copia gratuita – http://www.socialbusinessforum.com/?lang=it

Ma che cos’è esattamente il Social Business?
Come scrive correttamente Emanuele Quintarelli:

Un’organizzazione che ha messo in campo le strategie, le tecnologie ed i processi atti a coinvolgere sistematicamente tutti gli individui che compongono il proprio ecosistema (dipendenti, clienti, partner, fornitori) nella massimizzazione del valore scambiato

Questa definizione sottolinea che:

  • Viene a perdere importanza la separazione storica e manichea tra dentro dell’azienda e fuori dell’azienda, avente come corollario un ruolo privilegiato per quelle idee e quelle decisioni che dall’organizzazione vanno verso il mercato (inside-out) rispetto al flusso inverso che dal mercato trasferisce indicazioni verso l’azienda (outside-in)
  • Gli attori che acquisiscono il ruolo di co-decision maker e di agenti del cambiamento dell’azienda non sono più i manager, ma neanche i soli clienti (come prescritto invece dal Social CRM). Oltre che dai manager, l’evoluzione organizzativa può essere guidata indistintamente dai clienti, dai dipendenti, dai partner e dai fornitori. Tutte queste categorie passano dal ruolo di comprimari a quello di co-protagonisti
  • Il processo di scambio tra interno ed esterno viene reso possibile da un approccio di coinvolgimento non di comunicazione. Coinvolgere significa accogliere una pluralità di esigenze nell’informare il percorso di crescita e cambiamento organizzativo
  • Il motivo ultimo di esistenza dell’organizzazione non è più la sola generazione di valore a beneficio degli stakeholder tradizionali dell’impresa, ma lo scambio di valore tra l’azienda e l’intero ecosistema. E’ come se improvvisamente il gruppo degli stakeholder si fosse ampliato e l’ecosistema fosse entrato in l’azienda. E’ opportuno notare come questo scambio miri ad amplificare, in un’ottica di network e proprio grazie all’ecosistema, il valore generato per i vecchi stakeholder. Il Social Business è quindi un efficientamento del concetto storico di impresa rispetto alle nuove dinamiche del mercato ed ai nuovi comportamenti del consumatore.

In estrema sintesi allora, un Social Business è un’azienda che decide consapevolmente di porsi in una relazione osmotica con il proprio ambiente e che è capace di ricalibrare costantemente se stessa rispetto agli stimoli intercettati:

Fig-6
  1. Il caos è una semplicità che non siamo ancora riusciti a vedere
  2. Le organizzazioni sono conversazioni
  3. L’entropia nasce dal cercare di usare strumenti nuovi per fare cose vecchie, o dall’usare strumenti vecchi per fare cose nuove
  4. La mail è superata da piattaforme di scambio più aperte ed emergenti. Le organizzazioni dovrebbero abolire l’utilizzo della mail al proprio interno
  5. Davanti a problemi sempre più complessi e interconnessi, l’architettura decisionale rappresentata dai modelli di impresa e di governance contemporanei – ancorati ad un principio di tipo gerarchico e di comando-controllo – mostra tutta la sua inadeguatezza
  6. La strada deve essere la cultura del rischio: senza rischi non si aprono nuove prospettive
  7. I clienti conoscono i prodotti molto più delle imprese che li producono
  8. Chi lavora si aspetta in qualche modo di poter partecipare al progetto organizzativo; il malessere è frutto dell’impossibilità di questa partecipazione
  9. Per vedere fenomeni nuovi bisogna costruire strumenti nuovi di analisi e misurazione
  10. Le organizzazioni sono organismi viventi. Prima ancora di generare prodotti generano e trasformano conoscenza
  11. Questa capacità di generare e trasformare conoscenza le fa emergere o declinare nell’economia della conoscenza
  12. La conoscenza viene generata e trasformata nelle conversazioni tra dipendenti, tra clienti e tra clienti e dipendenti
  13. Le conversazioni superano i muri e i ruoli e privilegiano relazioni di fiducia difficili da condizionare
  14. Il punto debole del knowledge management è il management
  15. La collaborazione è la sfida delle organizzazioni contemporanee. Abbiamo solo iniziato ad occuparcene; gli strumenti di gestione e di management attualmente disponibili sono inadeguati allo scopo in quanto nati in un’altra epoca e per obiettivi opposti
  16. Collaborazione non significa (solo) coordinamento, pianificazione, gestione dei ruoli. Collaborazione significa mettere a frutto l’intelligenza collettiva
  17. Oggi abbiamo bisogno di unire, di creare storie e significati comuni, di coinvolgere le sensibilità personali, di trovare l’ingaggio delle persone
  18. Le organizzazioni troppo ordinate rischiano l’estinzione
  19. Le organizzazioni ad alta performance hanno come punti di forza la disorganizzazione e i legami deboli
  20. Nelle nostre organizzazioni c’è molta più intelligenza di quella che il management è disposto a riconoscere
  21. L’intelligenza presente nelle organizzazioni rimane oggi intrappolata nelle procedure, nei riti, nei ruoli
  22. È difficile guidare una conversazione, è più facile alimentarla o farla tacere per sempre
  23. Una crisi economica è anche una crisi di modelli di management e di organizzazione del lavoro
  24. Oggi grandi opere dell’uomo nascono dalle conversazioni, e spesso non hanno bisogno di manager
  25. Il sapere delle organizzazioni oggi sta più nelle connessioni che nei data base aziendali
  26. Teamwork, integrazione, collaborazione: le organizzazioni si riempiono la bocca dei concetti più lontani dalla propria pratica
  27. Il mercato ha oggi una intelligenza più rapida e articolata di quella delle organizzazioni
  28. Le organizzazioni reagiscono agli stimoli del loro mercato con una velocità inversamente proporzionale alla propria dimensione
  29. I piani della Direzione Personale servono a coprire la paura di liberare l’energia e l’intelligenza presenti all’interno dell’organizzazione
  30. I clienti, come i dipendenti, cercano un contatto e un dialogo ma trovano muri di gomma con titoli altisonanti: call center, customer care, direct line
  31. I consulenti rafforzano lo status quo: cercano di riportare la complessità all’ordine
    prestabilito ma così facendo aumentano solo l’entropia poiché spostano il disordine ad un altro livello
  32. L’innovazione disruptive non avviene nei dipartimenti di Ricerca e Sviluppo: avviene mescolando punti di vista e saperi in connessioni nuove e aperte
  33. Le Intranet a senso unico sono inutili; le Social Intranet oggi possono diventare il sistema nervoso che permette a un organismo
    di sentire e di agire come un’unità: permette lo scambio degli stimoli, l’accumularsi della memoria, il formarsi dell’identità, il coordinamento delle azioni
  34. Oggi c’è bisogno di unire: collegare i punti (vision) ma anche collegare le persone e creare sistemi autopoietici
  35. Reputation: è tutto qui
  36. Centro e periferia sono concetti del secolo scorso: nella rete la centralità è funzione dell’autorevolezza e della visibilità
  37. Ascoltare, ascoltare, ascoltare: è il cliente che ti dice chi sei
  38. Nell’economia della conoscenza puoi non sapere tutto ma devi essere ben connesso
  39. Dall’economia della conoscenza all’economia del dono…
  40. Il processo di business emerge dal basso, apprende continuamente, si adatta a partire dai feedback di dipendenti e clienti
  41. Per pensare in un modo nuovo: abbandoniamo le slide e ristrutturiamo gli spazi di lavoro
  42. Ascoltare le conversazioni non basta. Bisogna estrarne senso e guidare il cambiamento
  43. I tuoi dipendenti vengono prima. Senza il loro coinvolgimento il tuo Marketing non sarà mai capace di coinvolgere
  44. Per costruire nuove organizzazioni non c’è bisogno di società di consulenza
  45. Le idee di clienti, dipendenti e fornitori sono buone quanto quelle del management
  46. Il Social Business non è una nuova tecnologia, è una nuova azienda
  47. Guardare al mercato tramite lenti del prodotto e segmenti sociodemografici ha perso di valore. Andiamo a caccia di passioni, bisogni, tribù
  48. Un’azienda è centrata sul cliente quando riesce a guardarsi da fuori, abbattendo le barriere sia all’interno che all’esterno
  49. Innovazione dal basso non significa realizzare tutto quello che i clienti chiedono. Innovazione dal basso significa capire qual è il problema che i clienti vogliono sia risolto e aiutarli nel risolverlo
  50. Socializzare i processi non significa creare altri silos, seppure sociali. Socializzare i processi significa abbattere i silos tradizionali e sociali
  51. Lavorare per uno stipendio non fa mai la differenza. Le persone oggi cercano una missione comune
  52. Aprire una pagina Facebook è facile. Aprire le porte dell’azienda ed accogliere i clienti è difficile
  53. Le aziende non sanno quasi mai cosa il cliente desidera perché hanno sempre avuto paura di ascoltare
  54. Le community di persone non si creano e non si gestiscono. Le community si attraggono e si coltivano
  55. Il nuovo management è più vicino alla coltivazione di una community che alla guida di un gregge
  56. Il cambiamento parte dagli early adopters, ma il cambiamento sostenibile arriva a tutti gli altri
  57. Il servizio al cliente è il nuovo marketing
  58. L’unico modo per bilanciare l’eccesso di informazione da cui siamo sommersi è aggiungere ulteriore informazione che agisca da filtro
  59. Ha fatto più innovazione negli ultimi 15 anni un gruppo di ragazzini che IBM, Microsoft e Oracle messi insieme.
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Oggi ho avuto modo di partecipare – ancora una volta – alla serie di fantastici incontri organizzati dai ragazzi dello Young Digital Lab ( http://www.youngdigitallab.com ). Ormai con loro da oltre un anno e mezzo posso dire che il progetto, nato come una semplice idea un po’ pazza è diventato una splendida realtà che attrae appassionati, professionisti e persone di altissimo livello (e simpatia, che non guasta mai come sappiamo) che discutono con competenza dei social media.

Personalmente in questa due giorni ho avuto modo di fare tre interventi verticali di approfondimento. Il primo dedicato al Social Media Listening (come sapete uno dei miei “cavalli di battaglia”) e gli altri due dedicati al Social Business e alla Gamification (grazie al quale sono anche riuscito ad aggiornare alcuni dati interessanti e casi studio su cui non tornavo da tempo.
Apro anche una piccola parentesi per annunciarvi che, settimana prossima, questo blog ospiterà una sorpresa assai gradita a tutti coloro che si occupano di Gamification e che intendono saperne di più sul fenomeno che – da ormai un anno a questa parte – è diventato non solo uno dei cardini di questo blog, ma una vera e propria industry di tutto rispetto e rilievo.

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Ma veniamo al dunque.
Cercherò in questo intervento di riassumere alcuni dei concetti visti in aula e di dettagliare le tre diverse presentazioni.

Social Media Listening

L’ascolto attivo sui social media è un assett fondamentale di ogni strategia. Come sappiamo è il punto di partenza per divenire un Social Business e per potersi relazionare in modo trasparente ed efficace con il Social Customer che è molto più consapevole, reattivo ed esigente rispetto al passato. Se è vero – come è vero – che ormai tutti siamo dei social customer è altrettanto vero che i brand di oggi devono adottare strategie nuove e meccaniche differenti per poter entrare in relazione con tutti noi.
Questo video interessante di questa università americana mostra anche come il social media listening stia diventando tanto importante da entrare all’interno delle istruzioni accademiche.

Quest’altro video mostra altresì il punto di arrivo dell’ascolto. Sappiamo infatti che si tratta di uno step di un processo non di un momento di arrivo puntuale di un percorso.
Il video mostra – in modo promozionale – l’engagement console di Radian6 (piattaforma leader al mondo per il monitoraggio delle conversazioni online). Sappiamo che l’ascolto è il punto di partenza ma quello di arrivo deve essere il social business è per poterci arrivare disporre di strumenti di coinvolgimento è fondamentale per poter ingaggiare in modo efficace ed efficiente i propri consumatori.

Infine, come mostra questo video – dall’eccellente fattura, realizzato da Salesforce.com – l’essere o non essere social non è più una scelta consentita.
Dobbiamo solo decidere in quale modo essere social.

Social Business

Il secondo speech che ho tenuto è stato dedicato al Social Business, in occasione anche del Social Business Forum 2012 che – come sapete – stiamo organizzando come OpenKnowledge.
Anche in questo caso mi piace condividere un video della CEO di Burberry che sottolinea l’importanza di essere social.
Come si evidenzia molto bene nel video: non abbiamo più scelta per affrontare il mondo di oggi, dobbiamo essere delle social enterprise. E’ questo l’unico modo per far fronte ai cambiamenti in atto e per non esserne travolti miseramente.

La cosa interessante è anche notare da questo video di HP l’importanza di mantenere lo spirito del garage e della startup all’interno dei processi di social business.

Non dimentichiamoci, poi, che in oriente la parola crisi – come la crisi che stiamo vivendo proprio in questi giorni – contiene in sé anche la parola opportunità.
Il Social Business è l’opportunità da cogliere durante la crisi per fare davvero la differenza.

Enterprise Gamification

Mi sono infine occupato di parlare di Gamification come strategia per migliorar e l’ingaggio e il coinvolgimento degli utenti all’interno delle community.
Credo che – in questo senso – particolarmente interessanti siano alcuni casi studio di aziende che hanno saputo utilizzare i social media e i principi della gamification per migliorare vuoi i processi produttivi, vuoi la ricerca e sviluppo, vuoi il marketing o – ancora – facilitare i processi di apprendimento.

 

Ad esempio Nitro per Jive (nota suite di Collaboration per la creazione di intranet e community, considerata da Gartner leader nell’ambito delle tecnologie social, prevede la possibilità di inserire le dinamiche e le meccaniche tipiche dei giochi all’interno del tool in modo da migliorare la partecipazione degli utenti iscritti.
Come mostrato in questo video:

Nitro for Jive gives users a set of missions to complete, each of which exposes them to a critical piece of functionality within the Jive platform. Users earn points and unlock badges for using and mastering these pieces of functionality, and “level up” when they hit key milestones. Social elements like high score tables, newsfeeds, and the ability to display and share your status, drive friendly competition and collaboration among the user base.

Un altro esempio molto interessante è quello di Nitro per Slaesforce, molto ben dimostrato in questo video.

Nitro for Salesforce adds a persistent toolbar to the Salesforce interface, from
which employees can view their statistics, achievements, status, recent activity, and competitive elements. Users can interact with Nitro for Salesforce via the standard web application, but Nitro data can also be viewed via tablets and phones, and on large displays in sales centers.

Altro esempio interessante è quello di Rypple che vedete mostrato in questo video molto carino:

Today’s workplace requires a new approach to performance management. Rypple is a web- based social performance management platform that helps companies improve performance through social goals, continuous feedback and meaningful recognition.

Nei prossimi giorni parlerò ancora di gamification in modo approfondito fornendo alcuni spunti di discussioni estremamente interessanti in vista del Social Business Forum 2012.
Nel frattempo non posso non ringraziare i ragazzi dello YDL per la passione e per il lavoro che mettono in quello che fanno e – come sempre – anche questa volta ci siamo divertiti parecchio!

In questa sede abbiamo più volte parlato della Gamification: intesa, molto brevemente – come l’applicazione dei concetti tratti dal mondo ludico e videoludico al business per generare miglior coinvolgimento e rafforzare la relazione tra clienti, dipendenti, consumatori finali e, più in generale intero ecosistema aziendale.

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Oggi vorrei spendere qualche parola in più per mostrare come questo concetto, all’apparenza poco strutturato e molto semplice, in realtà nasconda qualche insidia e di come sia necessario portare la Gamification verso uno scenario più maturo, più consapevole, meno sperimentale e maggiormente legato agli obiettivi di business che intendiamo perseguire all’interno di una più ampia strategia organizzativa.

Prima di tutto vorrei cominciare con il segnalare questo video di Sebastian Deterding che parla e approfondisce il tema della Gamification da un’ottica maggiormente consapevole e da “addetti ai lavori” al contrario di quello che spesso si legge e si trova – purtroppo – in giro.

E qui – a titolo di completezza e per potersi soffermare al meglio sui punti chiave è possibile trovare le slide complete (154!) dell’intervento svolto:

Credo che questo speech permetta di identificare alcuni punti molto interessanti di quello che ci serve per costruire il nostro discorso:

  • In primo luogo la Gamification non è una bolla, non è un trend campato per aria ma si tratta di un’industria estremamente avanzata e importante che sta assumendo dimensioni sempre maggiori e sempre più interesanti. In sostanza sta diventando un fenomeno che non è più possibile sottovalutare.
  • Come mostrato all’inizio è possibili “gamificare” qualunque cosa, dalla rasatura di un prato sino a sistemi estremamente più complessi.
  • Nei processi di Gamification di oggi – o perlomeno nella maggior parte di essi – mancano tre grossi ingredienti fondamentali necessari a permettere uno scatto qualitativo di un certo tipo:
    • Meaning: il significato di quello che facciamo è sempre importante. Essere consapevoli di quello che si sta facendo, essere centrali e importanti in un processo di apprendimento così come all’interno del lavoro che si sta portando avanti. E’ questo che impedisce l’alienazione, rende l’essere umano consapevole e permette l’evoluzione e il pieno apprezzamento di ciò che si sta facendo. Su questo punto è anche la stessa Jane McGonigal, di cui più volte abbiamo parlato, a insistere quando parla di Gameful Design.
    • Mastery: diventare abili, crescere ed evolversi. Come nei processi di apprendiemnto la gratificazione è data dai feedback che permettono di comprendere se si stia o meno procedendo sulla strada e nella direzione corretta.
    • Autonomy: la resilienza, l’autonomia, la capacità di essere presenti e di permanere in uno stato di Flow sono la chiave per esperienze autoteliche ottimali. Essere autonomi e consapevoli di esserlo porta a un livello sempre crescente di empowerment.

In sostanza la Gamification dovrebbe assumere un senso più ampio che vada al di là dei semplici sistemi di badge e riconoscimenti estrinseci ed essere legata a concreti e specifici obiettivi di business. Obiettivi di business che a loro volta devono essere presi in seria considerazione rispetto agli obiettivi, alle esigenze e alle aspettative delle persone e delle comunità di cui queste persone fanno parte.
In questo caso la metodologia di lavoro è sempre quella del Co-Design: della realizzazione cioè di strategie condivise, partecipate, interattive, in cui utenti finali e designer (nel senso più ampio del termine) collaborano nella creazione di un prodotto che sia soddisfacente per entrambi.

A tal proposito riporto anche le slide di Stefano Mizzella che ha avuto modo di parlare di questi stessi argomenti qualche settimana fa alla Digital Accademia.
Ecco le slide:

Perchè quindi la Gamification dovrebbe evolvere verso uno scenario – maggiormente complesso – di Social Business Design?
Perchè è necessario che sia vista come uno strumento che si inserisce in un contesto molto più ampio, attraverso cui le aziende possono migliorare i processi al loro interno, evolvendosi verso schemi maggiormente coerenti, solidi e adattivi, facilitando la partecipazione all’innovazione e alla creazione di nuove idee e migliorando la relazione con i loro clienti finali.

Come espresso nelle slide viste e negli speech presentati il gioco diviene un vettore fondamentale per innestare meccanismi collaborativi, innovativi e formativi. Il gioco può decretare o meno il successo di un’applicazione e consentire di coinvolgere maggiormente una community aggregando e rafforzandone i legami interni.

E’ necessario quindi vedere la Gamification come un mezzo verso la costruzione di un ecosistema organizzativo più resiliente, innovativo, partecipato e aperto.
E’ necessario – oggi più che mai – considerare la Gamification come un driver fondamentale per l’innovazione e per la collaborazione e porla al centro dei propri strumenti di evoluzione.
E necessario – infine – legare il tutto a un senso e a un desiderio più ampi, di coinvolgimento, di proattività, del sentirsi parte di un qualcosa che abbia un reale riscontro su quello che si sta facendo.

Senza queste considerazione e questa consapevolezza alla base penso che sia non solo poco utile, ma addirittura uno sterile contesto di sperimentazione che non fa altro che far perdere del tempo.