Archives For November 30, 1999

“Le domande come ‘che cos’è l’intelligenza artificiale?’ o ‘è possibile?’ non hanno più senso. Ciò che conta ora sono le questioni aperte sulla sua natura e il suo impatto.”
Daniel C. Dennett

Una nuova svolta antropologica

L’Intelligenza Artificiale (AI) non rappresenta semplicemente un’evoluzione tecnologica: è la più profonda provocazione antropologica che l’umanità abbia mai affrontato. Come sottolinea Dennett, non ha più senso chiedersi se l’AI sia possibile; la vera domanda è come essa stia cambiando la nostra condizione umana.
L’AI sta già ridefinendo non solo i meccanismi del lavoro, ma anche i dispositivi interpretativi attraverso i quali costruiamo senso, comunichiamo significati, comprendiamo il mondo. Una trasformazione che richiama la profonda connessione fra tecnologia e cognizione umana studiata da Doreen Kimura, che ha mostrato la relazione fra le aree cerebrali deputate ai movimenti fini e quelle del linguaggio, evidenziando come l’evoluzione della manipolazione tecnica sia legata a quella della capacità di articolare concetti complessi.

Non è un caso, allora, che i Large Language Models (LLM) rappresentino ben più di un salto tecnico: essi riscrivono il modo in cui generiamo, manipoliamo e condividiamo significato. Il linguaggio da dispositivo interpretativo si fa sintetico, generativo, artificiale—sfidando i confini tra naturale e artificiale.
Lo stesso accade con le immagini: la fotografia, un tempo specchio del reale, ora genera mondi mai esistiti. La catena referenziale della verità si spezza, aprendo a nuove ambiguità, creatività—e rischi.
L’AI ci obbliga dunque a ripensare le frontiere fra naturale e artificiale, conoscenza e calcolo, delega e responsabilità. Come afferma Manuel Castells, non c’è rivoluzione tecnologica senza rivoluzione culturale.

Come restare rilevanti in questo scenario? Come rafforzare le competenze umane distintive quando le macchine ci superano nei compiti che consideravamo unici? La sfida che si pone a HR, formatori, leader non è tecnica, ma culturale.

Serve uno sguardo integrato, che intrecci dimensioni storiche, filosofiche, sociologiche, cognitive, per orientare la trasformazione del lavoro e delle organizzazioni.


Il continuum evolutivo della tecnica

L’AI non è una rottura improvvisa nella storia umana. Come osservava Ernst Mach nel 1905, l’uomo è spinto da una naturale inclinazione a riprodurre ciò che comprende—una tendenza che attraversa ogni epoca.

Dal mito di Prometeo ai calcolatori di Pascal, dagli automi greci ai sistemi AI odierni: è questo impulso a imitare e riprodurre il reale a generare evoluzione tecnologica. L’AI ne è l’espressione più radicale.
Per Arnold Gehlen, l’uomo è un essere biologicamente incompleto, che esternalizza funzioni vitali in strumenti e ambienti. La tecnologia non è un accessorio: è estensione funzionale dell’umano. L’AI è oggi la più avanzata protesi epistemologica, che ridefinisce percezione, decisione, apprendimento.

Il Test di Turing (1950) ha spostato la questione dal meccanico all’identitario: se una macchina si comporta come un uomo, dov’è il confine della coscienza? Penrose, Churchland, Barr & Feigenbaum, Edelman hanno spinto più a fondo il dibattito, intrecciando filosofia, neuroscienze, cibernetica.
Le macchine Darwin III e Nomad di Edelman hanno mostrato come l’apprendimento possa emergere dall’adattamento, non dalla programmazione. Allo stesso modo, gli agenti intelligenti descritti da Giuseppe Riva rivelano l’AI come nuovo attore cognitivo nello spazio umano.

L’AI riflette così le nostre aspirazioni, contraddizioni, paure. È prisma della tensione evolutiva fra conoscenza e calcolo, intuizione e automatismo, creatività e replica.

Riflessività e resistenza: vantaggi cognitivi umani

Per questo il ruolo umano nella governance dell’AI deve cambiare. Come scrive Donald Schön, i professionisti efficaci agiscono in “zone indeterminate” — spazi di incertezza e conflitto. Qui conta la reflection-in-action: la capacità di percepire, interrogare, modificare in corso d’opera.

Per le organizzazioni ciò significa trattare l’adozione dell’AI come processo adattivo continuo, non come progetto tecnico finito. Serve chiedersi: quali effetti imprevisti produce? Come cambiano dinamiche di team, potere, competenze?
La reflection-on-action amplia questo lavoro: rileggere pratiche, assunzioni, risultati; promuovere cultura del feedback, policy trasparenti, apprendimento permanente.

Essenziale anche il concetto di Olivier Houdé di “imparare a resistere“. Nell’era degli LLM, resistere alla risposta immediata e intuitiva diventa competenza cruciale. L’output dell’AI può sembrare autorevole—ma richiede verifica, controllo delle fonti, giudizio critico.

Questa resistenza cognitiva tutela l’unicità umana: creatività, empatia, etica, analisi critica. Senza di essa rischiamo di ridurci a validatori passivi di decisioni algoritmiche.


Dall’Human-in-the-Loop all’Human-on-the-Loop

Serve allora un salto di paradigma: da “human-in-the-loop” a “human-on-the-loop”.
L’”in-the-loop” confina l’umano a supervisore di emergenza, ruolo reattivo e marginale. L’”on-the-loop” vede l’umano come progettista, stratega, governatore del sistema:

  • Definizione di scopo e limiti;
  • Progettazione di architetture etiche e trasparenti;
  • Interpretazione dei risultati nel contesto socio-culturale;
  • Controllo ultimo e potere di disattivazione.

HR ha qui ruolo cruciale: l’AI impatta reclutamento, formazione, collaborazione, valutazione, cultura. Il compito è garantire che essa amplifichi—non impoverisca—potenziale, diversità, autonomia umana.


Implicazioni organizzative: strategia, competenze, etica

  1. Strategia: integrazione AI richiede adattamento culturale e strutturale, non solo tecnico.
  2. Competenze: l’OCSE avverte sul divario di skill. Urgente riqualificazione diffusa.
  3. Governance: come indicano Deloitte e McKinsey, le aziende sono impreparate alla gestione dei rischi AI. Servono policy robuste.
  4. Cultura: l’AI ridefinisce l’identità organizzativa. HR deve gestire paure, resistenze, promuovere adozione consapevole.
  5. Etica: come nota Kurzweil, se le macchine imitano l’uomo, la posta etica si alza. L’agenzia umana responsabile resta insostituibile.

Verso un nuovo umanesimo digitale

L’AI ci impone di rinnovare competenze umanistiche: metacognizione, etica, riflessività, resistenza. Non sono lussi—sono competenze di sopravvivenza.

Come scriveva Antoine de Saint-Exupéry:

“La tecnologia non allontana l’uomo dai grandi problemi della natura: lo costringe a studiarli più a fondo.”

Dobbiamo accogliere questa sfida.


Letture consigliate e riferimenti bibliografici

  • Accoto, C. (2017). Il mondo dato: Cinque brevi lezioni di filosofia digitale. Egea.
  • Accoto, C. (2023). Il pianeta latente: L’intelligenza delle piattaforme come nuovo ordine del mondo. Egea.
  • Besana, S. (2021). The Future of Work: AI, People, and Organizational Change. Hoepli.
  • Castells, M. (1996). The rise of the network society. Blackwell.
  • Churchland, P. M. (1984). Matter and consciousness: A contemporary introduction to the philosophy of mind. MIT Press.
  • Deloitte. (2024–2025). Human Capital Trends 2024–2025. Deloitte Insights.
  • Dennett, D. C. (1996). Kinds of minds: Toward an understanding of consciousness. Basic Books.
  • Edelman, G. M. (1987). Neural Darwinism: The theory of neuronal group selection. Basic Books.
  • Feigenbaum, E. A., & Barr, A. (1981). The handbook of artificial intelligence (Vol. 1). Heuristech Press.
  • Gehlen, A. (1980). Man in the age of technology. Columbia University Press.
  • Houdé, O. (2019). The psychology of intelligence. Routledge.
  • Kurzweil, R. (1999). The age of spiritual machines: When computers exceed human intelligence. Penguin Books.
  • Mach, E. (1905). The analysis of sensations (C. M. Williams, Trans.). Dover Publications.
  • McKinsey & Company. (2023). The state of AI in 2023: Generative AI’s breakout year. McKinsey Global Survey.
  • OECD. (2023). Skills Outlook 2023: Skills for a resilient green and digital transition. OECD Publishing.
  • Penrose, R. (1989). The emperor’s new mind: Concerning computers, minds, and the laws of physics. Oxford University Press.
  • Riva, G. (2004). The psychology of cyberspace: The impact of the Internet on self and society. Ios Press.
  • Saint-Exupéry, A. de. (2000). Wind, sand and stars (L. Galantière, Trans.). Mariner Books. (Original work published 1939)
  • Schön, D. A. (1983). The reflective practitioner: How professionals think in action. Basic Books.
  • Turing, A. M. (1950). Computing machinery and intelligence. Mind, 59(236), 433–460.

Nei contesti organizzativi, le emozioni sono spesso state gestite in modo erroneo e considerate come qualcosa di contrario alle procedure definite e alla produttività. Tuttavia, esse possiedono il potenziale per diventare un prezioso alleato nel migliorare i processi aziendali e nel favorire l’interesse e il coinvolgimento profondo delle nostre persone e dei dipendenti.

Il rapido ritmo del mercato e le disruption economiche costringono, oggi più che mai, le aziende a subire trasformazioni sempre più rapide e frequenti. Nell’economia dell’esperienza e del significato, la trasformazione non è più un evento che si verifica una volta ogni decennio, ma piuttosto un processo continuo di affinamento.

Ecco alcune tendenze chiave nell’ambito dell’area HR, Human Capital e People e Organization che le imprese stanno fronteggiando e che devono essere affrontate:

  1. Il digitale è diventato indispensabile. È fondamentale garantire che tutti i dipendenti comprendano ed utilizzino efficacemente gli strumenti digitali (alfabetizzazione digitale o digital literacy). Ciò permette alla forza lavoro di portare a termine i compiti, favorisce l’inclusione e incoraggia la collaborazione tra diversi dipartimenti. E’ un aspetto fondamentale nelle organizzazioni di oggi.
  2. Sia i leader sia i lavoratori delle organizzazioni in trasformazione affrontano percorsi / momenti emotivi (positivi o negativi). Sfruttare le emozioni positive e favorire un senso di purpose e direzione sono essenziali per il successo delle principali trasformazioni.
  3. Il lavoro ibrido è diventato la norma. I dipendenti ora si aspettano maggiore flessibilità e integrazione da parte delle loro organizzazioni. Riconsiderare gli spazi fisici è imperativo e trovare il giusto equilibrio tra autonomia e una potenziale sensazione di abbandono è cruciale.
  4. L’area delle risorse umane deve sempre più abbracciare scenari basati sui dati (essere data driven) e utilizzare tecnologie collaborative che migliorano complessivamente l’esperienza dei dipendenti. Piattaforme come Microsoft Viva possono supportare questa trasformazione. L’analisi dei dati funge da bussola per le decisioni strategiche del top management e dei professionisti delle risorse umane.
  5. Con uno squilibrio delle competenze del 39% a livello nazionale in Italia, sono necessari nuovi modelli di apprendimento. Sono richiesti leader di trasformazione capaci di guidare il cambiamento, creare esperienze trasformative e favorire uno stato di flow nelle esperienze quotidiane dei dipendenti. Una sfida tutt’altro che semplice.

Come sottolinea anche Jacob Morgan nella prefazione di “Future of Work” di Stefano Besana:

Organizations have had to change more in the past 20 months than in the past 20 years.

Secondo diverse ricerche condotte dalla Oxford Said Business School e Gallup:

  • Quasi il 70% delle aziende presenti nella lista Forbes 2000 ha pianificato di aumentare le spese per la trasformazione dal 5% al 20% nei prossimi tre anni.
  • Più dell’80% dei dirigenti senior ha preso parte a diverse trasformazioni importanti negli ultimi cinque anni.
  • Più del 70% dei dipendenti è non coinvolto e disingaggiato, di cui il 17% attivamente disingaggiato, il che significa che rema contro la mission aziendale in modo attivo.

Le organizzazioni che incorporano e integrano strategicamente emozioni positive nelle loro strategie aziendali presentano una probabilità di successo quasi tripla rispetto alle altre.

Un concetto affascinante proveniente dal campo della psicologia offre preziose intuizioni quando si affrontano tali preoccupazioni. In particolare, Fred Luthans ha teorizzato il concetto di capitale psicologico positivo, che riveste una rilevanza significativa.

Il capitale psicologico comprende le riserve psicologiche positive che gli individui possiedono e possono coltivare per affrontare efficacemente le sfide e promuovere il loro benessere a livello profondo e completo. Questo costrutto comprende quattro componenti fondamentali:

  • Autoefficacia: la convinzione che un individuo ha riguardo alla propria capacità di svolgere compiti e superare ostacoli. E’ legato al famoso concetto di Albert Bandura di agency.
  • Ottimismo: mantenere una mentalità positiva e anticipare esiti favorevoli, anche di fronte all’avversità.
  • Speranza: impegnarsi nel fissare obiettivi, formulare strategie e mantenere la motivazione necessaria per raggiungere tali obiettivi.
  • Resilienza: la capacità di riprendersi dagli ostacoli in modo attivo e migliorativo, adattarsi alle circostanze mutevoli e mantenere l’equilibrio psicologico ed emotivo.

Ancora una volta, la ricerca empirica fornisce un’evidenza significativa a sostegno del ruolo fondamentale delle emozioni positive nei processi di aumento dell’efficacia e coinvolgimento delle organizzazioni. I dati presentati di seguito confermano ulteriormente questa affermazione:

  • Si osserva un notevole aumento del 135% nella capacità delle organizzazioni di scalare con successo i percorsi di cambiamento e nell’autonomia quando vengono attivamente stabiliti e coltivati nuovi metodi di lavoro.
  • In particolare, si registra un impressionante incremento del 145% nell’innovazione mediante la promozione di una struttura organizzativa in rete che favorisce la collaborazione tra gruppi diversi ed elimina i compartimenti stagni ed i silos organizzativi.
  • Inoltre, si ottiene un notevole miglioramento del 130% nella focalizzazione sull’apprendimento e nelle competenze adattive attraverso l’implementazione di metodologie di collaborazione raffinate.

Negli ultimi mesi, come parte della mia tesi di dottorato, ho lavorato con Andrea Gaggioli e Flavia Cristofolini nello sviluppo di alcune direttrici di ricerca che possono aiutare le organizzazioni a riflettere sul ruolo delle emozioni in contesti specifici. Rappresenta l’inizio di un lavoro fruttuoso, a mio parere, che può essere svolto nell’introduzione di questi concetti nel mondo del lavoro.

Nell’ambito dei contesti organizzativi, sono numerosi gli stimoli che possono essere adottati per coltivare emozioni positive. È importante notare che questi format non sono esaustivi e possono essere perseguiti contemporaneamente, in quanto possiedono caratteristiche distinte.

Di seguito alcuni esempi di quanto può essere fatto sul tema:

  1. Sviluppo di competenze emotive e alfabetizzazione sulle emozioni. La competenza emotiva favorisce l’empowerment affrontando le supposizioni sulle emozioni, utilizzando metafore coinvolgenti per simulazioni dialogiche e sostenendo l’empatia all’interno dell’organizzazione, la comunicazione responsabile e l’equità. Un’adeguata competenza emotiva è essenziale in tal senso.
  2. L’ascolto profondo rappresenta un approccio pedagogico che enfatizza l’importanza dell’ascolto autentico, utilizzando una metafora coinvolgente e facilitando opportunità per esercitarsi nell’interazione attenta sia nelle conversazioni positive sia in quelle impegnative. Questa pratica culmina nell’integrazione di concetti etici e nell’instaurazione di connessioni con i valori organizzativi.
  3. La gestione delle emozioni difficili educa i partecipanti riguardo alle supposizioni sottostanti sulla gestione delle emozioni e li responsabilizza a realizzare cambiamenti trasformativi. Questo programma completo copre una vasta gamma di argomenti, tra cui strategie efficaci e inefficaci, applicazioni nella vita reale, simulazioni coinvolgenti, considerazioni etiche e allineamento del benessere emotivo individuale con i valori organizzativi.
  4. La costruzione del Capitale Psicologico Positivo inizia con una valutazione che misura i livelli attuali dei partecipanti nelle quattro dimensioni del capitale psicologico. Si approfondiscono quindi le strategie per potenziare tali dimensioni, dotando le persone delle conoscenze e degli strumenti necessari per coltivare e mantenere un capitale psicologico positivo. I partecipanti sviluppano attivamente piani d’azione per applicare queste strategie in modo efficace.
  5. Il potenziamento dei “Punti di Forza che Funzionano” utilizza strumenti multimediali, supporti visivi ed esperienze virtuali per facilitare un ambiente di apprendimento coinvolgente focalizzato sull’esplorazione delle sei virtù e delle ventiquattro forze. I partecipanti si impegnano in attività volte a identificare e sfruttare i propri punti di forza personali, collaborano in contesti di gruppo e ricevono una guida personalizzata individuale. La narrazione gioca un ruolo significativo durante il workshop, fungendo da potente strumento per ispirare un cambiamento trasformativo.
  6. Guidare con Scopo”, dedicato ai team leader e alle persone che devono costruire un purpose all’interno dell’organizzazione. Si utilizza strumenti multimediali e una metafora coinvolgente per favorire la comprensione del proposito, dei valori personali e aziendali e del proposito del leadership da parte dei partecipanti. Viene presentato uno studio di caso accattivante sulla mappa etica per migliorare la loro comprensione e applicazione di questi concetti.

Come abbiamo esplorato, esistono diverse approcci per affrontare il ruolo che le emozioni – positive e non – giocano all’interno dell’azienda. Tuttavia, vale la pena sottolineare che le nostre immagini mentali, il nostro linguaggio e le nostre metafore devono anch’esse richiedere una trasformazione e assumere nuove dimensioni.

Come afferma Zhang Ruimin, CEO di Haier:

We move away from being something like an empire (with the traditional closed pyramid) to being more like a rainforest (with an open networked platform). Every empire will eventually collapse. A rainforest, on the other hand, can be sustained.

Chi segue questo spazio sa che, oltre al digitale, uno dei temi a me più cari è quello che riguarda i nuovi modelli di lavoro e le modalità attraverso le quali è possibile disegnare un’impresa differente, maggiormente collaborativa, resiliente e capace di adattarsi ai cambiamenti che il mercato impone.
L’anno 2020, con la pandemia da Covid-19, è stato – in questo senso – maestro e ci ha mostrato in modo evidente quanto inadatte e inefficaci fossero le nostre organizzazioni ad attraversare scenari inediti. Ha rappresentato, a conti fatti, anche un’importante occasione per riflettere sul futuro che vogliamo disegnare.

E’ per questo che il volume edito da Hoepli Milano e che ho scritto in questo periodo: Future of Work: le Persone al Centro, costruire il lavoro e la società del futuro rappresenta un punto saldo di partenza per tutti quei professionisti e per quelle imprese che intendano seriamente mettersi in discussione e prendere in mano la direzione dei propri modelli organizzativi.
Il libro offre casi, spunti, riflessioni teoriche ed esempi pratici attraverso i quali ripensare quello che facciamo quotidianamente.

Come scrive Jacob Morgan nella postfazione del volume:

Che cos’è il futuro del lavoro? 

Questa è una domanda che mi viene spesso posta durante le conferenze, gli eventi, e anche online, dalla mia community.
Nessuno può predire il futuro, ma la verità è che, questa, è una domanda sbagliata.
Chiedersi “che cosa è il futuro del lavoro” dimostra un atteggiamento passivo; assume che il futuro sia un qualcosa che accade e che non ci sia niente che possiamo fare per modificarlo. Tutto quello che è in nostro potere è attendere e subire l’impatto del cambiamento. È un’attitudine sbagliata verso il ciò che deve arrivare: non dobbiamo pensarlo in questo modo. Il futuro è qualcosa che immaginiamo, costruiamo e definiamo noi stessi, come protagonisti del cambiamento: dobbiamo cambiare il nostro punto di vista, dobbiamo riformulare la domanda. È tempo di chiedersi: “quale futuro del lavoro vuoi vedere realizzato?” e pensare a cosa puoi fare per vederlo accadere.
Cambiare il modo in cui pensiamo al futuro del lavoro ci mette al posto di guida e rende ognuno di noi un protagonista attivo della narrazione. 
Le persone che prenderanno posizione e si spenderanno in prima persona per il futuro del lavoro giocheranno un ruolo chiave nella trasformazione e nel cambiare il mondo in cui viviamo. 

Quindi domandiamoci: qual è il futuro del lavoro che vogliamo vedere realizzato? 

È ora di renderlo reale. 

Il libro vanta preziosi contributi da parte di esperti di settore e di personalità di spicco nel mondo del lavoro. Oltre a rendermi molto orgoglioso, sono convinto possano rappresentare una efficace bussola per navigare il futuro del lavoro e il mondo delle nostre organizzazioni.

Tra i principali contributi che troverete all’interno del volume:

  • Carlo Bozzoli, CIO di ENEL Group, che ha curato la prefazione del volume
  • Jacob Morgan, autore di best seller e speaker di fama internazionale, che ha curato la postfazione del volume
  • Carlo Chiattelli, economista e Associate Partner EY
  • Alessandro Antonini, Senior Manager di EY
  • Manuela Cantoia, Professore di Psicologia Generale presso l’Università eCampus
  • Andrea Gaggioli, Professore di Psicologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore
  • Cosimo Accoto, MIT research affiliate e autore di “il mondo ex machina” e “il mondo dato”
  • Luigi Centenaro, autore del Personal Branding Canvas, consulente e autore di diversi volumi sul tema del personal branding
  • Paolo De Caro, Senior Manager di EY e responsabile del centro di innovazione e sviluppo (Brain)

Il volume si articola in diversi capitoli che comprendono analisi specifiche, casi d’uso ed esempi pratici per comprendere in che modo il mondo del lavoro sia cambiato e si modificherà nel prossimo – immediato – futuro.

Di seguito l’elenco dei capitoli:

  • Capitolo 1 – Resilienza, trasformazione e il futuro del lavoro
  • Capitolo 2 – Casi d’uso, modalità di approccio e contesti operativi per il lavoro del futuro
  • Capitolo 3 – Errori e ostacoli che impediscono la trasformazione delle organizzazioni
  • Capitolo 4 – Una roadmap per costruire organizzazioni resilienti
  • Capitolo 5 – Progettare e costruire il Future of Work: creare esperienze trasformative e Positive Innovation Network
  • Capitolo 6 – Automazione e intelligenza artificiale nel futuro del lavoro
  • Capitolo 7 – Skill e competenze: il ruolo delle persone
  • Capitolo 8 – Verso un ripensamento dei modelli educativi e di formazione
  • Capitolo 9 – Purposeful Organization e il ruolo della leadership nella trasformazione
  • Capitolo 10 – Agile, Holacracy e nuovi modelli di organizzazione
  • Capitolo 11 – Costruire valore per l’intero ecosistema

Il mondo che costruiamo – e che costruiremo – passerà dalla nostra capacità di organizzarci secondo comunità e modelli relazionali.

Come si legge nel volume:

In un’analisi famosa relativa alla natura della comprensione scientifica dei fenomeni, il fisico quantistico Werner Heisenberg ha avuto occasione di sottolineare come capire significhi in un’ultima istanza saper individuare il legame che riconduce fenomeni diversi allo stesso insieme coerente. La vera comprensione della realtà sa superare la complessità superficiale dei fenomeni e mettere in evidenza la struttura coerente che sta dietro di essi. 

Il futuro della società e del senso delle organizzazioni e del lavoro di ognuno di noi passa per le parole, visionarie e illuminate di Adriano Olivetti, che nella sua azienda e il territorio del Canavese sono diventati poi laboratorio e ispirazione per molte realtà nel mondo.
È facile riconoscere nelle sue parole quei concetti propri di collaborazione, di innovazione partecipata, ma anche di smart cities, di green valley, di sostenibilità dell’innovazione e del modo di lavorare delle persone, dei digital district periferic, ma che sono poi centri di eccellenza della nuova e futura società dell’informazione. Scrive Olivetti: “Comunità, io nome lo dice, e il programma lo afferma, è un movimento che tende a unire, non a dividere, tende a collaborare, desiderare, insegnare, mira a costruire […].
Tecnica e cultura conducono verso il decentramento, verso la federazione di piccole città dalla vita intensa, ove sia armonia, pace, silenzio, lontano dallo stato attuale delle metropoli sovraffollate come dall’isolamento e dallo sgomento dell’uomo solo.”

Non vi resta che procurarvene una copia e poi proseguire la discussione su questo spazio o sui miei canali social: fatemi sapere cosa ne pensate!

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