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L’Intelligenza Artificiale Agentica non rappresenta semplicemente il prossimo passo nell’automazione: costituisce una trasformazione profonda nel modo in cui le organizzazioni operano. Secondo il blueprint Agentic Enterprise 2028 di Deloitte, ci stiamo muovendo verso un modello in cui gli agenti intelligenti non si limitano a supportare il lavoro umano, ma agiscono in autonomia per percepire il contesto, prendere decisioni ed eseguire attività lungo i flussi di lavoro.

Questa evoluzione non è speculativa né lontana nel tempo: il suo orizzonte di trasformazione è stimato in tre a cinque anni. Le organizzazioni che iniziano a prepararsi oggi non solo ridurranno gli attriti operativi, ma potranno liberare nuove forme di contributo umano e creare valore strategico inedito.

In questo contesto, autonomia non significa sostituire le persone, ma ridefinire il significato stesso del lavoro umano.

Perché ora: le forze che spingono verso l’autonomia

Il report individua tre driver principali che rendono urgente l’adozione dell’autonomia:

  1. Competizione accelerata – le aziende devono rispondere più rapidamente e operare con maggiore efficienza.
  2. Evoluzione normativa – crescono le richieste di accountability, trasparenza e gestione del rischio.
  3. Maturità tecnologica – i sistemi di IA possono oggi pianificare, adattarsi e coordinare, non solo classificare o predire.

In breve, l’autonomia non è più solo uno strumento per incrementare la produttività: è un mezzo per costruire resilienza in ambienti incerti.

La Scala dell’Autonomia

Per comprendere questa evoluzione, il report introduce la metafora della “scala dell’autonomia”. Si parte da sistemi che assistono e consigliano, fino ad arrivare ad agenti capaci di coordinare processi complessi e, infine, di migliorare sé stessi.

Ciò che cambia in modo particolarmente significativo è il ruolo umano a ogni stadio: con l’aumentare dell’autonomia, le persone si spostano gradualmente dall’eseguire compiti, a supervisionare come i compiti vengono svolti, fino a definire obiettivi e intenti strategici.

Il valore umano non scompare: si sposta verso il giudizio, l’interpretazione, i confini etici e la capacità di comprendere ciò che conta nel contesto.

Progettare un Modello Operativo Agentico

Uno dei messaggi più chiari del report è che l’autonomia non può essere un’aggiunta estemporanea: richiede una riprogettazione coordinata a più livelli dell’organizzazione. Sei elementi risultano essenziali:

  1. Strategia chiara – non ogni flusso di lavoro necessita di un agente; il lavoro deve trarre reale beneficio.
  2. Governance affidabile – le regole devono essere esplicite, verificabili e adattive.
  3. Fondazione dati solida – agenti intelligenti agiscono solo quanto i dati che ricevono sono ricchi, aggiornati e integrati.
  4. Architettura tecnologica interoperabile – sistemi che comunicano tra loro, non strumenti isolati.
  5. Sviluppo della workforce – le persone devono essere preparate a nuovi ruoli, non semplicemente “riallocate”.
  6. Modello di cambiamento dinamico – l’organizzazione deve imparare mentre si trasforma.

Non si tratta di un aggiornamento tecnico: è una vera e propria riconfigurazione organizzativa.

Misurare il Progresso: Return-on-Autonomy

Per assicurare che l’autonomia generi valore, il report propone il concetto di RoA – Return-on-Autonomy.
Non si tratta solo di efficienza, ma di considerare:

  • Velocità di decisione
  • Riduzione dei tempi di ciclo
  • Diminuzione degli errori e dei rifacimenti
  • Qualità dei risultati
  • Soddisfazione e fiducia degli utenti degli agenti

Il valore non risiede solo nelle azioni degli agenti, ma nel modo in cui l’impresa evolve di conseguenza.

Un Percorso Graduale, Non un Balzo

Il viaggio verso l’impresa agentica è progressivo:

  1. Iniziare con piccoli scenari pilota, dove valore e vincoli sono chiari.
  2. Espandere l’autonomia a sequenze di azioni, non solo a singoli compiti.
  3. Progettare processi e sistemi fin dall’inizio per lavorare con e attraverso gli agenti.

Ogni passo costruisce le basi per il successivo: l’autonomia ha effetto cumulativo.

Verso il Lavoro Umano-Agentico

La transizione verso l’impresa agentica non significa semplicemente aggiungere intelligenza ai flussi esistenti. Come sottolinea il report Work, Reworked, “agentic AI isn’t just a powerful new tool — it requires us to reimagine how work gets done.”

Questo è il punto di svolta: le organizzazioni devono decidere se l’autonomia diventa un livello aggiuntivo sui processi legacy o il catalizzatore di una riprogettazione profonda del valore.

Senza un redesign, l’autonomia scala solo inefficienza. Per realizzarne il pieno potenziale, le organizzazioni devono spostarsi:

  • dal cambiamento guidato dalla tecnologia alla trasformazione centrata sull’uomo
  • da ruoli basati sui compiti a design del lavoro basato sui risultati
  • dalla crescita dipendente dal personale alla performance scalabile attraverso l’orchestrazione
  • dall’inerzia culturale alla prontezza organizzativa come capacità strategica

L’autonomia non è una destinazione: è il modello operativo che permette a esseri umani e agenti AI di operare come un sistema unico.

Le organizzazioni che guideranno questa transizione saranno quelle che riprogetteranno il lavoro dall’inizio, creando ambienti dove gli agenti digitali gestiscono complessità e scala, mentre le persone recuperano tempo, attenzione e spazio cognitivo per ciò che richiede vero giudizio, creatività e finalità.

Il futuro delle performance aziendali non è uomo contro macchina, né uomo al servizio della macchina. È lavoro guidato dall’umano, abilitato dagli agenti, ancorato ai risultati.

Chi agisce ora, con decisione e intenzione, non solo opererà più efficacemente: plasmerà un sistema di lavoro più adattivo, resiliente e significativo, dove l’autonomia diventa la base di una nuova forma di potenziale umano.

“Le domande come ‘che cos’è l’intelligenza artificiale?’ o ‘è possibile?’ non hanno più senso. Ciò che conta ora sono le questioni aperte sulla sua natura e il suo impatto.”
Daniel C. Dennett

Una nuova svolta antropologica

L’Intelligenza Artificiale (AI) non rappresenta semplicemente un’evoluzione tecnologica: è la più profonda provocazione antropologica che l’umanità abbia mai affrontato. Come sottolinea Dennett, non ha più senso chiedersi se l’AI sia possibile; la vera domanda è come essa stia cambiando la nostra condizione umana.
L’AI sta già ridefinendo non solo i meccanismi del lavoro, ma anche i dispositivi interpretativi attraverso i quali costruiamo senso, comunichiamo significati, comprendiamo il mondo. Una trasformazione che richiama la profonda connessione fra tecnologia e cognizione umana studiata da Doreen Kimura, che ha mostrato la relazione fra le aree cerebrali deputate ai movimenti fini e quelle del linguaggio, evidenziando come l’evoluzione della manipolazione tecnica sia legata a quella della capacità di articolare concetti complessi.

Non è un caso, allora, che i Large Language Models (LLM) rappresentino ben più di un salto tecnico: essi riscrivono il modo in cui generiamo, manipoliamo e condividiamo significato. Il linguaggio da dispositivo interpretativo si fa sintetico, generativo, artificiale—sfidando i confini tra naturale e artificiale.
Lo stesso accade con le immagini: la fotografia, un tempo specchio del reale, ora genera mondi mai esistiti. La catena referenziale della verità si spezza, aprendo a nuove ambiguità, creatività—e rischi.
L’AI ci obbliga dunque a ripensare le frontiere fra naturale e artificiale, conoscenza e calcolo, delega e responsabilità. Come afferma Manuel Castells, non c’è rivoluzione tecnologica senza rivoluzione culturale.

Come restare rilevanti in questo scenario? Come rafforzare le competenze umane distintive quando le macchine ci superano nei compiti che consideravamo unici? La sfida che si pone a HR, formatori, leader non è tecnica, ma culturale.

Serve uno sguardo integrato, che intrecci dimensioni storiche, filosofiche, sociologiche, cognitive, per orientare la trasformazione del lavoro e delle organizzazioni.


Il continuum evolutivo della tecnica

L’AI non è una rottura improvvisa nella storia umana. Come osservava Ernst Mach nel 1905, l’uomo è spinto da una naturale inclinazione a riprodurre ciò che comprende—una tendenza che attraversa ogni epoca.

Dal mito di Prometeo ai calcolatori di Pascal, dagli automi greci ai sistemi AI odierni: è questo impulso a imitare e riprodurre il reale a generare evoluzione tecnologica. L’AI ne è l’espressione più radicale.
Per Arnold Gehlen, l’uomo è un essere biologicamente incompleto, che esternalizza funzioni vitali in strumenti e ambienti. La tecnologia non è un accessorio: è estensione funzionale dell’umano. L’AI è oggi la più avanzata protesi epistemologica, che ridefinisce percezione, decisione, apprendimento.

Il Test di Turing (1950) ha spostato la questione dal meccanico all’identitario: se una macchina si comporta come un uomo, dov’è il confine della coscienza? Penrose, Churchland, Barr & Feigenbaum, Edelman hanno spinto più a fondo il dibattito, intrecciando filosofia, neuroscienze, cibernetica.
Le macchine Darwin III e Nomad di Edelman hanno mostrato come l’apprendimento possa emergere dall’adattamento, non dalla programmazione. Allo stesso modo, gli agenti intelligenti descritti da Giuseppe Riva rivelano l’AI come nuovo attore cognitivo nello spazio umano.

L’AI riflette così le nostre aspirazioni, contraddizioni, paure. È prisma della tensione evolutiva fra conoscenza e calcolo, intuizione e automatismo, creatività e replica.

Riflessività e resistenza: vantaggi cognitivi umani

Per questo il ruolo umano nella governance dell’AI deve cambiare. Come scrive Donald Schön, i professionisti efficaci agiscono in “zone indeterminate” — spazi di incertezza e conflitto. Qui conta la reflection-in-action: la capacità di percepire, interrogare, modificare in corso d’opera.

Per le organizzazioni ciò significa trattare l’adozione dell’AI come processo adattivo continuo, non come progetto tecnico finito. Serve chiedersi: quali effetti imprevisti produce? Come cambiano dinamiche di team, potere, competenze?
La reflection-on-action amplia questo lavoro: rileggere pratiche, assunzioni, risultati; promuovere cultura del feedback, policy trasparenti, apprendimento permanente.

Essenziale anche il concetto di Olivier Houdé di “imparare a resistere“. Nell’era degli LLM, resistere alla risposta immediata e intuitiva diventa competenza cruciale. L’output dell’AI può sembrare autorevole—ma richiede verifica, controllo delle fonti, giudizio critico.

Questa resistenza cognitiva tutela l’unicità umana: creatività, empatia, etica, analisi critica. Senza di essa rischiamo di ridurci a validatori passivi di decisioni algoritmiche.


Dall’Human-in-the-Loop all’Human-on-the-Loop

Serve allora un salto di paradigma: da “human-in-the-loop” a “human-on-the-loop”.
L’”in-the-loop” confina l’umano a supervisore di emergenza, ruolo reattivo e marginale. L’”on-the-loop” vede l’umano come progettista, stratega, governatore del sistema:

  • Definizione di scopo e limiti;
  • Progettazione di architetture etiche e trasparenti;
  • Interpretazione dei risultati nel contesto socio-culturale;
  • Controllo ultimo e potere di disattivazione.

HR ha qui ruolo cruciale: l’AI impatta reclutamento, formazione, collaborazione, valutazione, cultura. Il compito è garantire che essa amplifichi—non impoverisca—potenziale, diversità, autonomia umana.


Implicazioni organizzative: strategia, competenze, etica

  1. Strategia: integrazione AI richiede adattamento culturale e strutturale, non solo tecnico.
  2. Competenze: l’OCSE avverte sul divario di skill. Urgente riqualificazione diffusa.
  3. Governance: come indicano Deloitte e McKinsey, le aziende sono impreparate alla gestione dei rischi AI. Servono policy robuste.
  4. Cultura: l’AI ridefinisce l’identità organizzativa. HR deve gestire paure, resistenze, promuovere adozione consapevole.
  5. Etica: come nota Kurzweil, se le macchine imitano l’uomo, la posta etica si alza. L’agenzia umana responsabile resta insostituibile.

Verso un nuovo umanesimo digitale

L’AI ci impone di rinnovare competenze umanistiche: metacognizione, etica, riflessività, resistenza. Non sono lussi—sono competenze di sopravvivenza.

Come scriveva Antoine de Saint-Exupéry:

“La tecnologia non allontana l’uomo dai grandi problemi della natura: lo costringe a studiarli più a fondo.”

Dobbiamo accogliere questa sfida.


Letture consigliate e riferimenti bibliografici

  • Accoto, C. (2017). Il mondo dato: Cinque brevi lezioni di filosofia digitale. Egea.
  • Accoto, C. (2023). Il pianeta latente: L’intelligenza delle piattaforme come nuovo ordine del mondo. Egea.
  • Besana, S. (2021). The Future of Work: AI, People, and Organizational Change. Hoepli.
  • Castells, M. (1996). The rise of the network society. Blackwell.
  • Churchland, P. M. (1984). Matter and consciousness: A contemporary introduction to the philosophy of mind. MIT Press.
  • Deloitte. (2024–2025). Human Capital Trends 2024–2025. Deloitte Insights.
  • Dennett, D. C. (1996). Kinds of minds: Toward an understanding of consciousness. Basic Books.
  • Edelman, G. M. (1987). Neural Darwinism: The theory of neuronal group selection. Basic Books.
  • Feigenbaum, E. A., & Barr, A. (1981). The handbook of artificial intelligence (Vol. 1). Heuristech Press.
  • Gehlen, A. (1980). Man in the age of technology. Columbia University Press.
  • Houdé, O. (2019). The psychology of intelligence. Routledge.
  • Kurzweil, R. (1999). The age of spiritual machines: When computers exceed human intelligence. Penguin Books.
  • Mach, E. (1905). The analysis of sensations (C. M. Williams, Trans.). Dover Publications.
  • McKinsey & Company. (2023). The state of AI in 2023: Generative AI’s breakout year. McKinsey Global Survey.
  • OECD. (2023). Skills Outlook 2023: Skills for a resilient green and digital transition. OECD Publishing.
  • Penrose, R. (1989). The emperor’s new mind: Concerning computers, minds, and the laws of physics. Oxford University Press.
  • Riva, G. (2004). The psychology of cyberspace: The impact of the Internet on self and society. Ios Press.
  • Saint-Exupéry, A. de. (2000). Wind, sand and stars (L. Galantière, Trans.). Mariner Books. (Original work published 1939)
  • Schön, D. A. (1983). The reflective practitioner: How professionals think in action. Basic Books.
  • Turing, A. M. (1950). Computing machinery and intelligence. Mind, 59(236), 433–460.

La National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine ha pubblicato un report approfondito intitolato Artificial Intelligence and the Future of Work. Questo studio analizza l’impatto dell’AI sulla produttività, sulle dinamiche del lavoro, sull’istruzione e sulle politiche pubbliche. Qui sotto esploriamo i punti chiave del report, arricchendoli con dati e insight per offrire un quadro chiaro e concreto dell’influenza attuale e futura dell’AI.


Scoperta 1: L’AI è una tecnologia generalista in rapida evoluzione

“AI is a general-purpose technology that has recently undergone significant rapid progress. Still, there is a great deal of uncertainty about its future course, suggesting that wide error bands and a range of contingencies should be considered.”

  • Il mercato globale dell’AI crescerà da 136,6 miliardi di dollari nel 2022 a 1,81 trilioni entro il 2030, con un CAGR del 37,3%.
  • I modelli di linguaggio di grandi dimensioni (LLM) hanno visto un’espansione esponenziale, passando da 40GB (GPT-2, 2019) a 45TB (GPT-4, 2023).
  • Gli investimenti in ricerca e sviluppo sull’AI hanno raggiunto 91,9 miliardi di dollari nel 2022, con un aumento del 19,6% rispetto all’anno precedente.

Scoperta 2: I sistemi di AI oggi sono ancora imperfetti

“AI systems today remain imperfect in multiple ways. For example, LLMs can ‘hallucinate’ incorrect answers to questions, exhibit biased behavior, and fail to reason correctly to reach conclusions from given facts.”

  • Tasso di errore: L’AI ha un margine di errore del 15-20%, specialmente in settori critici come sanità e diritto.
  • Bias nei modelli: Uno studio MIT ha rivelato che il riconoscimento facciale ha un tasso di errore 34,7% più alto per persone con pelle scura rispetto a quelle con pelle chiara.
  • Cybersecurity: Gli attacchi phishing basati su AI sono aumentati del 126% anno su anno.

Scoperta 3: L’AI continuerà ad avanzare, ma la sua traiettoria è incerta

“Significant further advances in AI technology are highly likely, but experts do not agree on the exact details and timing of likely advances.”

  • Incertezza sulle tempistiche: Il 47% degli esperti prevede l’AI a livello umano entro il 2040, mentre il 25% pensa che non arriverà prima del 2075.
  • Potenza computazionale: La capacità di calcolo per l’addestramento AI è raddoppiata ogni 3,4 mesi dal 2012, superando la legge di Moore.
  • Adozione aziendale: Il 77% delle aziende sta esplorando l’AI, ma solo il 23% l’ha completamente integrata nei processi aziendali.

Scoperta 4: Il potenziale dell’AI per la produttività è significativo ma disomogeneo

“AI offers the promise of significant improvements in productivity, but achieving these benefits will require complementary investments in skills and organizational processes.”

  • Aumento della produttività: L’AI potrebbe far crescere il PIL globale del 7% all’anno entro il 2030.
  • Differenze settoriali: L’AI potrebbe migliorare la produttività del 25% in IT e software, ma solo del 5-10% in sanità e manifattura.
  • Automazione del lavoro: Il 60% dei lavori attuali ha almeno il 30% delle attività automatizzabili.

Scoperta 5: L’impatto dell’AI sull’occupazione dipenderà da molteplici fattori

“The labor market consequences of AI deployment will depend both on the rate at which AI’s capabilities evolve and on demographic, social, institutional, and political forces.”

  • Perdita di posti di lavoro: Secondo McKinsey, l’AI potrebbe sostituire 400 milioni di posti di lavoro entro il 2030, ma crearne tra 550-600 milioni di nuovi.
  • Demografia e lavoro: Il calo della popolazione attiva nei paesi avanzati potrebbe compensare le perdite occupazionali dovute all’AI.
  • Disuguaglianza salariale: Il top 10% degli stipendi ha visto una crescita del 14% grazie all’AI, mentre i salari dei lavoratori meno qualificati sono rimasti stagnanti.

Scoperta 6: Il ruolo dell’AI nell’istruzione e nella formazione professionale è in crescita

“AI will have significant implications for education at all levels, from primary to continuing workforce education.”

  • Apprendimento personalizzato: Le piattaforme educative AI-driven hanno aumentato i tassi di ritenzione degli studenti del 12-18%.
  • Necessità di riqualificazione: 1,1 miliardi di lavoratori dovranno essere riqualificati nei prossimi dieci anni.
  • Investimenti in formazione aziendale: Le aziende hanno speso 366 miliardi di dollari in programmi di upskilling nel 2022, con un incremento del 32% rispetto al 2019.

Scoperta 7: Servono misurazioni migliori per monitorare l’impatto dell’AI sul lavoro

“Better measurement of how and when AI advancements affect the workforce is needed.”

  • Monitoraggio dell’adozione AI: Solo il 35% dei paesi ha statistiche ufficiali sull’impatto dell’AI sul lavoro.
  • Lacune nei dati pubblici: Il 42% dei policymaker denuncia una mancanza di metriche affidabili sull’occupazione AI.
  • Tendenze nel mercato del lavoro: Le offerte di lavoro legate all’AI su LinkedIn sono aumentate del 72% negli ultimi due anni.

Conclusione: Il Futuro del Lavoro non è preordinato

“It is impossible to predict exactly the nature of AI’s effects, but society can take steps to shape AI’s impact through policy, education, and ethical guidelines.”

  • I policymaker devono bilanciare innovazione e regolamentazione, garantendo che i benefici dell’AI siano distribuiti equamente.
  • Le aziende devono investire in strategie di lavoro aumentato dall’AI, privilegiando la collaborazione uomo-macchina rispetto alla pura automazione.
  • I lavoratori devono puntare su apprendimento continuo e adattabilità, sfruttando i nuovi strumenti AI per restare competitivi.

L’impatto dell’AI sul lavoro è complesso e articolato. Solo con scelte consapevoli e strategie mirate possiamo garantire che l’AI contribuisca a un futuro del lavoro più produttivo, equo e innovativo.

Il nuovo report di Deloitte sullo stato dell’Intelligenza Artificiale Generativa è stato pubblicato. Alcune indicazioni risultano interessante per l’analisi dei fenomeni organizzativi:

  • Il ritmo dell’adozione della GenAI varia significativamente tra settori e regioni, influenzato da fattori come infrastrutture tecnologiche e apertura culturale.
  • Solo il 28% delle aziende ha integrato la GenAI nelle funzioni principali, evidenziando un divario tra prontezza tecnologica e preparazione della forza lavoro.
  • Le principali aspettative delle organizzazioni riguardo alla GenAI includono riduzione dei costi (74%), personalizzazione per i clienti (56%) e accelerazione dell’innovazione (48%).
  • Solo il 39% delle iniziative avanzate di GenAI raggiunge o supera le aspettative di ROI, spesso a causa di costi elevati e disallineamenti strategici.
  • Le preoccupazioni etiche e normative, come bias e privacy dei dati, rimangono barriere critiche all’adozione su larga scala.
  • La resistenza culturale e la paura di perdere posti di lavoro ostacolano il progresso; un forte supporto della leadership è essenziale per superare queste sfide.
  • Problemi tecnici e vincoli economici potrebbero rallentare l’implementazione della GenAI, richiedendo una pianificazione strategica e investimenti mirati.

L’AI presenta notevoli variazioni tra settori, regioni e dimensioni organizzative. Fattori come la prontezza tecnologica, l’apertura culturale e gli ambienti normativi giocano un ruolo cruciale nell’influenzare la velocità e la portata dell’implementazione.

Ad esempio: i settori guidati dalla tecnologia, come l’informatica e i servizi finanziari, sono in prima linea, dimostrando capacità avanzate e strategie di integrazione. Al contrario, settori come la produzione e la sanità spesso arrancano a causa di vincoli infrastrutturali e requisiti di conformità stringenti.

Questo ritmo irregolare pone una doppia sfida. I primi utilizzatori ottengono un vantaggio competitivo sfruttando la GenAI per ottimizzare le operazioni, migliorare l’esperienza del cliente e stimolare l’innovazione.

Al contrario, i ritardatari rischiano di cadere in un ciclo di obsolescenza tecnologica, rendendo sempre più difficile recuperare terreno. Le organizzazioni devono valutare le loro circostanze uniche e sviluppare strategie su misura per navigare in questo contesto dinamico. Come osservato da un leader del settore:

“Il ritmo di adozione della GenAI dipende tanto dalla mentalità quanto dall’infrastruttura. Le aziende che abbracciano il cambiamento prospereranno; quelle che lo resistono faticheranno.”

A che punto siamo con l’adozione nella forza lavoro?

Le implicazioni della GenAI per la forza lavoro sono profonde, prefigurando un cambiamento paradigmatico nei ruoli, nelle competenze e nelle strutture occupazionali. I dati del rapporto evidenziano alcune tendenze chiave:

  • Il 62% delle organizzazioni ha avviato programmi di aggiornamento delle competenze.
  • Solo il 28% ha integrato la GenAI nelle funzioni lavorative principali, rivelando un notevole divario tra prontezza e implementazione.

Questo divario evidenzia una barriera critica: il disallineamento tra progresso tecnologico e preparazione umana. I dipendenti spesso vedono la GenAI attraverso una lente di incertezza, percependola come un fattore dirompente piuttosto che un abilitatore. Questa percezione è aggravata da una comunicazione inadeguata sui benefici della GenAI e dalla mancanza di opportunità per riqualificarsi e adattarsi ai nuovi ruoli.

Colmare questa lacuna richiede un approccio multifaceted, tra cui iniziative di formazione robuste adattate a diversi livelli di competenza, un dialogo trasparente sull’impatto della tecnologia e la creazione di ruoli ibridi che combinino l’expertise umana con le capacità dell’IA.

Quali benefici puntano a raggiungere le iniziative di GenAI?

Le organizzazioni mirano a una gamma di benefici attraverso le iniziative di GenAI, guidate dal potenziale per l’automazione, l’innovazione e l’insight strategico. Secondo il rapporto, il 74% degli intervistati identifica la riduzione dei costi e l’ottimizzazione dei processi come obiettivi principali. Inoltre, il 56% utilizza la GenAI per esperienze personalizzate dei clienti, sfruttando strumenti come chatbot, motori di raccomandazione e analisi del sentiment, mentre il 48% sfrutta la GenAI per l’innovazione e il prototyping rapido.

Esempi specifici di benefici includono l’automazione di compiti ripetitivi come l’inserimento dati e l’analisi di base, il miglioramento dell’engagement del cliente attraverso la personalizzazione in tempo reale e l’abilitazione di un’ideazione del prodotto più rapida e accurata per ridurre il time-to-market. Nonostante questi vantaggi, realizzare il pieno potenziale della GenAI richiede una visione coesa che allinei gli investimenti tecnologici agli obiettivi organizzativi, una collaborazione interdipartimentale per integrare senza soluzione di continuità le iniziative di IA e valutazioni regolari delle performance per affinare le strategie.

Le iniziative avanzate di GenAI soddisfano le aspettative di ROI?

Il ritorno sull’investimento (ROI) rimane un parametro critico per valutare il successo delle iniziative di GenAI. Il rapporto rivela un panorama misto, in cui solo il 39% delle implementazioni avanzate soddisfa o supera le aspettative di ROI.

I principali fattori che influenzano il ROI includono elevati investimenti iniziali in infrastrutture, acquisizione di talenti e integrazione di sistemi, che spesso ritardano la realizzazione del ROI. Inoltre, i gap di competenze e il disallineamento tra gli obiettivi della GenAI e i più ampi obiettivi organizzativi possono ridurre il valore percepito di queste iniziative.

Le organizzazioni che raggiungono risultati forti in termini di ROI condividono tratti comuni, come la definizione chiara degli obiettivi con risultati misurabili, la collaborazione interfunzionale per allineare le iniziative di IA alle strategie aziendali più ampie e il monitoraggio continuo e l’adattamento delle performance della GenAI.

Cosa potrebbe rallentare l’adozione della GenAI?

Sebbene il potenziale della GenAI sia innegabile, diversi ostacoli potrebbero ostacolare la sua diffusione su larga scala:

  • Preoccupazioni Regolatorie ed Etiche: Le normative sulla privacy dei dati e la sicurezza stanno diventando sempre più stringenti. Le preoccupazioni riguardanti il bias algoritmico e la trasparenza richiedono quadri di governance solidi.
  • Resistenza Culturale: La resistenza al cambiamento all’interno delle organizzazioni, spesso derivante dalla paura della perdita di posti di lavoro, può rallentare i progressi. Il supporto dei leader è cruciale per superare l’inerzia culturale.
  • Limitazioni Tecniche: Nonostante i progressi, persistono sfide come la comprensione contestuale e l’integrazione con sistemi legacy. Problemi nella generazione di output accurati per compiti complessi possono erodere la fiducia nelle soluzioni di IA.
  • Vincoli Economici: Le pressioni di bilancio, soprattutto in contesti con risorse limitate, potrebbero ritardare le implementazioni di GenAI. Le richieste di investimento concorrenti costringono le organizzazioni a dare priorità ad altre iniziative.

Affrontare questi ostacoli richiede di promuovere una cultura dell’innovazione per incoraggiare la sperimentazione, investire in iniziative di aggiornamento delle competenze per colmare il divario di talento e collaborare con gli enti regolatori per navigare efficacemente nelle sfide di conformità.

In un precedente articolo ho tracciato alcune linee guida rispetto all’introduzione dell’Intelligenza Artificiale all’interno dei contesti HR. All’interno di questo pezzo vorrei provare ad approfondire maggiormente il tema, in modo da delineare alcuni possibili use case per i professionisti del mondo HR. Gli use case presentati sono solo un’ipotesi circa alcune delle possibili applicazioni dell’AI in contesti HR. Va da sé che gli scenari possano essere molto più ampi.

«Le domande come “che cos’è la vita?” o “la vita è possibile?” non sono più questioni interessanti perché hanno avuto soluzione. La questione dell’intelligenza artificiale è la medesima, vi sono moltissime domande, questioni non risolte riguardo ad essa, ma non ha più senso porre invece la domanda se essa sia possibile»
(Daniel C. Dennett)

Partiamo da alcune evidenze: il fenomeno è assolutamente pervasivo le direzioni HR delle differenti aziende hanno visioni abbastanza allineate. Alcuni dati secondo Gartner:

  • il 76% dei responsabili HR concorda sul fatto che resterà indietro nel successo organizzativo se non adotterà e implementerà la GenAI entro 12-24 mesi.
  • Gli obiettivi più comuni per l’utilizzo della GenAI nelle HR sono il miglioramento dell’efficienza (77%), il miglioramento dell’esperienza dei dipendenti (52%) e il potenziamento del processo decisionale (43%).
  • I responsabili HR hanno preoccupazioni in merito alla privacy e alla sicurezza dei dati (77%), alla parzialità e alla discriminazione (53%) e ai problemi di conformità alle disposizioni di legge (41%).

È, quindi, un tema di forte rilevanza che richiede un interesse specifico da parte di tutti i professionisti HR. Vediamo alcuni casi d’uso applicativi che possono rappresentare un punto di svolta interessante per gli HR di tutto il mondo.


Gestione e acquisizioni dei talenti

Tra i principali benefici ritroviamo un maggiore coinvolgimento dei candidati e la possibilità di attirare e selezionare profili maggiormente in linea con l’esigenza aziendale, efficientando l’intero processo di selezione. Più nel dettaglio alcune possibili applicazioni sono:

  • Supporto nella definizione del sito web aziendale e del portale “career” per attrarre candidati.
  • Personalizzazione del testo delle campagne di recruiting.
  • Creazione e contestualizzazione degli annunci di lavoro.
  • Sintesi e trascrizione delle interviste svolte ai candidati.
  • Creazione e contestualizzazione delle lettere di offerta.
  • Creazione e personalizzazione di contenuti per il processo di onboarding.


HR Services

Un’altra dimensione che potrebbe fortemente beneficiare dal processo è quella di servizi a supporto della popolazione aziendale. Il vantaggio si traduce in maggiore produttività, migliore circolazione della conoscenza, incremento della soddisfazione e dell’engagement dei dipendenti. Più nel dettaglio:

  • Assistente virtuale HR. Per aiutare i dipendenti a risolvere i problemi HR in modo rapido e semplice
  • Riepilogo dei contenuti e delle delle richieste di servizio. A supporto anche degli agenti HR.
  • Riepilogo dei contenuti degli articoli della knowledge base (KB) per i dipendenti. Aiuta i dipendenti a trovare le informazioni di cui hanno bisogno in modo più rapido e facile.
  • Creazione di articoli della KB basati sui gap espressi dagli utenti e manifestati nelle Q&A più frequenti.
  • Aggiornamento delle risposte del personale di supporto HR.
  • Classificazione di email/documenti.


Learning

Anche la dimensione di apprendimento e di costruzione di contenuti per la formazione non è esente dall’impatto dell’HR e – anzi – può beneficiare notevolmente dalla capacità di generare contenuti innovativi e ingaggianti con costi molto bassi. Questo può portare benefici anche in termini di scalabilità, efficienza e uniformità del contenuto. Più nel dettaglio:

  • Adattamento dei contenuti di apprendimento esistenti e aggiornamento dei contenuti.
  • Sviluppo e creazione di nuovi contenuti.
  • Sintesi/riassunto del materiale per l’apprendimento.
  • Creazione di nuove immagini e animazioni.  
  • Generazione di domande per quiz/valutazioni.
  • Elaborazione dei risultati di valutazione e semplificazione – attraverso automazione – del processo di valutazione.


Talent & Skill

Altra dimensione che può essere arricchita dall’AI è quella che riguarda Talenti e Competenze. Nello specifico possiamo impiegare l’AI per migliorare l’employee experience delle nostre persone e per definire percorsi di carriera maggiormente in linea con le loro competenze e ambizioni. Attraverso l’accesso immediato e l’elaborazione di un numero sempre maggiore di dati siamo in grado di fornire risposte immediate e prevedere percorsi di carriera e di formazione davvero in linea con i desiderata e i bisogni dell’utente.

Più nel dettaglio:

  • Miglioramento del feedback sulle prestazioni, attraverso l’inclusione di maggiori dati e informazioni sulla performance della persona.
  • Suggerimento di obiettivi, risultati chiave e goal sulla base di strategia, prestazioni passate e altri documenti.
  • Riepilogo del feedback sulle prestazioni con la creazione di dashboard aumentate da una mole di dati molto maggiore rispetto al passato.
  • Allineamento delle competenze proposte per il lavoro specifico.
  • Raccomandazioni di carriera basate su una maggiore – e migliore – profilazione.
  • Lettura e analisi delle competenze specifiche.
  • Employee Voice: supporto nella definizione di survey e della creazione di dashboard per l’ascolto attivo del personale aziendale.
  • Workforce Planning: nella definizione e nel supporto a una migliore pianificazione in linea con le competenze espresse dal singolo.


E la dimensione umana?

Esiste un’altra dimensione da prendere in considerazione, e da non sottovalutare, il tema dell’AI, e della sua introduzione all’interno del mondo organizzativo, porta con sé – inevitabilmente – profonde rivoluzioni dei modelli di lavoro e della cultura organizzativa.

Come professionisti del mondo HR dobbiamo, quindi, essere parte attiva all’interno della rivoluzione, anche se i casi d’uso riguardano altri dipartimenti o funzioni dell’azienda.

Nello specifico, io credo, su almeno 5 dimensioni specifiche:

  1. Strategia di implementazione. L’AI ha profondi risvolti etici, sociali, culturali e organizzativi. Al tavolo di implementazione dell’AI all’interno dell’azienda, non possono mancare attori HR.
  2. Modello di governance. Per lo stesso motivo di cui sopra, è necessario che l’HR, come altre funzioni aziendali rilevanti siano coinvolte e partecipi del processo guidando e orchestrando il cambiamento in essere.
  3. Inclusion & Diversity. Come sappiamo l’AI può essere estremamente biased, ragionando su basi statistiche e predittive e reiterando modelli dominanti esistenti, non sempre funzionali. È necessario un controllo umano per garantire sia la correttezza dell’output, sia il suo allineamento con le policy di inclusione e diversity dell’azienda.
  4. Adoption & Change Management. Come per la trasformazione digitale, l’introduzione dell’AI all’interno del contesto di lavoro porta, inevitabilmente, a una modifica delle modalità di lavoro. È necessario che l’HR guidi il cambiamento supportando processo di cambiamento culturale e adozione.
  5. Learning. Come ogni tecnologia deve essere appresa, come appresi devono essere i nostri modi di relazionarci ad essa.

È una sfida che non possiamo sottovalutare, ma – ancora più importante – dobbiamo indirizzare come protagonisti del cambiamento.

Infine, molto importante risulta sottolineare la capacità di muoversi in uno scenario altamente mutevole che impone un range di sfide completamente nuove. Come afferma anche Kurzweil

«if a machine can prove indistinguishable from a human, we should award it the respect we would to a human – we should accept that it has a mind » (Kurzweil, 2012: p. 266). 

È bene comunque sottolineare che questo complesso lavoro deve essere fatto in modo attivo, partecipato e

«quest’area di competenza dev’essere costruita sperimentando ed elaborando artefatti e scenari che considerino dunque le peculiarità del contesto digitale. Solo operando in questo modo il formatore ha l’opportunità di andare oltre la semplice integrazione delle nuove possibilità nei quadri operativi del passato» (Cattaneo & Rivoltella, 2010: p. 33).

Nei contesti organizzativi, le emozioni sono spesso state gestite in modo erroneo e considerate come qualcosa di contrario alle procedure definite e alla produttività. Tuttavia, esse possiedono il potenziale per diventare un prezioso alleato nel migliorare i processi aziendali e nel favorire l’interesse e il coinvolgimento profondo delle nostre persone e dei dipendenti.

Il rapido ritmo del mercato e le disruption economiche costringono, oggi più che mai, le aziende a subire trasformazioni sempre più rapide e frequenti. Nell’economia dell’esperienza e del significato, la trasformazione non è più un evento che si verifica una volta ogni decennio, ma piuttosto un processo continuo di affinamento.

Ecco alcune tendenze chiave nell’ambito dell’area HR, Human Capital e People e Organization che le imprese stanno fronteggiando e che devono essere affrontate:

  1. Il digitale è diventato indispensabile. È fondamentale garantire che tutti i dipendenti comprendano ed utilizzino efficacemente gli strumenti digitali (alfabetizzazione digitale o digital literacy). Ciò permette alla forza lavoro di portare a termine i compiti, favorisce l’inclusione e incoraggia la collaborazione tra diversi dipartimenti. E’ un aspetto fondamentale nelle organizzazioni di oggi.
  2. Sia i leader sia i lavoratori delle organizzazioni in trasformazione affrontano percorsi / momenti emotivi (positivi o negativi). Sfruttare le emozioni positive e favorire un senso di purpose e direzione sono essenziali per il successo delle principali trasformazioni.
  3. Il lavoro ibrido è diventato la norma. I dipendenti ora si aspettano maggiore flessibilità e integrazione da parte delle loro organizzazioni. Riconsiderare gli spazi fisici è imperativo e trovare il giusto equilibrio tra autonomia e una potenziale sensazione di abbandono è cruciale.
  4. L’area delle risorse umane deve sempre più abbracciare scenari basati sui dati (essere data driven) e utilizzare tecnologie collaborative che migliorano complessivamente l’esperienza dei dipendenti. Piattaforme come Microsoft Viva possono supportare questa trasformazione. L’analisi dei dati funge da bussola per le decisioni strategiche del top management e dei professionisti delle risorse umane.
  5. Con uno squilibrio delle competenze del 39% a livello nazionale in Italia, sono necessari nuovi modelli di apprendimento. Sono richiesti leader di trasformazione capaci di guidare il cambiamento, creare esperienze trasformative e favorire uno stato di flow nelle esperienze quotidiane dei dipendenti. Una sfida tutt’altro che semplice.

Come sottolinea anche Jacob Morgan nella prefazione di “Future of Work” di Stefano Besana:

Organizations have had to change more in the past 20 months than in the past 20 years.

Secondo diverse ricerche condotte dalla Oxford Said Business School e Gallup:

  • Quasi il 70% delle aziende presenti nella lista Forbes 2000 ha pianificato di aumentare le spese per la trasformazione dal 5% al 20% nei prossimi tre anni.
  • Più dell’80% dei dirigenti senior ha preso parte a diverse trasformazioni importanti negli ultimi cinque anni.
  • Più del 70% dei dipendenti è non coinvolto e disingaggiato, di cui il 17% attivamente disingaggiato, il che significa che rema contro la mission aziendale in modo attivo.

Le organizzazioni che incorporano e integrano strategicamente emozioni positive nelle loro strategie aziendali presentano una probabilità di successo quasi tripla rispetto alle altre.

Un concetto affascinante proveniente dal campo della psicologia offre preziose intuizioni quando si affrontano tali preoccupazioni. In particolare, Fred Luthans ha teorizzato il concetto di capitale psicologico positivo, che riveste una rilevanza significativa.

Il capitale psicologico comprende le riserve psicologiche positive che gli individui possiedono e possono coltivare per affrontare efficacemente le sfide e promuovere il loro benessere a livello profondo e completo. Questo costrutto comprende quattro componenti fondamentali:

  • Autoefficacia: la convinzione che un individuo ha riguardo alla propria capacità di svolgere compiti e superare ostacoli. E’ legato al famoso concetto di Albert Bandura di agency.
  • Ottimismo: mantenere una mentalità positiva e anticipare esiti favorevoli, anche di fronte all’avversità.
  • Speranza: impegnarsi nel fissare obiettivi, formulare strategie e mantenere la motivazione necessaria per raggiungere tali obiettivi.
  • Resilienza: la capacità di riprendersi dagli ostacoli in modo attivo e migliorativo, adattarsi alle circostanze mutevoli e mantenere l’equilibrio psicologico ed emotivo.

Ancora una volta, la ricerca empirica fornisce un’evidenza significativa a sostegno del ruolo fondamentale delle emozioni positive nei processi di aumento dell’efficacia e coinvolgimento delle organizzazioni. I dati presentati di seguito confermano ulteriormente questa affermazione:

  • Si osserva un notevole aumento del 135% nella capacità delle organizzazioni di scalare con successo i percorsi di cambiamento e nell’autonomia quando vengono attivamente stabiliti e coltivati nuovi metodi di lavoro.
  • In particolare, si registra un impressionante incremento del 145% nell’innovazione mediante la promozione di una struttura organizzativa in rete che favorisce la collaborazione tra gruppi diversi ed elimina i compartimenti stagni ed i silos organizzativi.
  • Inoltre, si ottiene un notevole miglioramento del 130% nella focalizzazione sull’apprendimento e nelle competenze adattive attraverso l’implementazione di metodologie di collaborazione raffinate.

Negli ultimi mesi, come parte della mia tesi di dottorato, ho lavorato con Andrea Gaggioli e Flavia Cristofolini nello sviluppo di alcune direttrici di ricerca che possono aiutare le organizzazioni a riflettere sul ruolo delle emozioni in contesti specifici. Rappresenta l’inizio di un lavoro fruttuoso, a mio parere, che può essere svolto nell’introduzione di questi concetti nel mondo del lavoro.

Nell’ambito dei contesti organizzativi, sono numerosi gli stimoli che possono essere adottati per coltivare emozioni positive. È importante notare che questi format non sono esaustivi e possono essere perseguiti contemporaneamente, in quanto possiedono caratteristiche distinte.

Di seguito alcuni esempi di quanto può essere fatto sul tema:

  1. Sviluppo di competenze emotive e alfabetizzazione sulle emozioni. La competenza emotiva favorisce l’empowerment affrontando le supposizioni sulle emozioni, utilizzando metafore coinvolgenti per simulazioni dialogiche e sostenendo l’empatia all’interno dell’organizzazione, la comunicazione responsabile e l’equità. Un’adeguata competenza emotiva è essenziale in tal senso.
  2. L’ascolto profondo rappresenta un approccio pedagogico che enfatizza l’importanza dell’ascolto autentico, utilizzando una metafora coinvolgente e facilitando opportunità per esercitarsi nell’interazione attenta sia nelle conversazioni positive sia in quelle impegnative. Questa pratica culmina nell’integrazione di concetti etici e nell’instaurazione di connessioni con i valori organizzativi.
  3. La gestione delle emozioni difficili educa i partecipanti riguardo alle supposizioni sottostanti sulla gestione delle emozioni e li responsabilizza a realizzare cambiamenti trasformativi. Questo programma completo copre una vasta gamma di argomenti, tra cui strategie efficaci e inefficaci, applicazioni nella vita reale, simulazioni coinvolgenti, considerazioni etiche e allineamento del benessere emotivo individuale con i valori organizzativi.
  4. La costruzione del Capitale Psicologico Positivo inizia con una valutazione che misura i livelli attuali dei partecipanti nelle quattro dimensioni del capitale psicologico. Si approfondiscono quindi le strategie per potenziare tali dimensioni, dotando le persone delle conoscenze e degli strumenti necessari per coltivare e mantenere un capitale psicologico positivo. I partecipanti sviluppano attivamente piani d’azione per applicare queste strategie in modo efficace.
  5. Il potenziamento dei “Punti di Forza che Funzionano” utilizza strumenti multimediali, supporti visivi ed esperienze virtuali per facilitare un ambiente di apprendimento coinvolgente focalizzato sull’esplorazione delle sei virtù e delle ventiquattro forze. I partecipanti si impegnano in attività volte a identificare e sfruttare i propri punti di forza personali, collaborano in contesti di gruppo e ricevono una guida personalizzata individuale. La narrazione gioca un ruolo significativo durante il workshop, fungendo da potente strumento per ispirare un cambiamento trasformativo.
  6. Guidare con Scopo”, dedicato ai team leader e alle persone che devono costruire un purpose all’interno dell’organizzazione. Si utilizza strumenti multimediali e una metafora coinvolgente per favorire la comprensione del proposito, dei valori personali e aziendali e del proposito del leadership da parte dei partecipanti. Viene presentato uno studio di caso accattivante sulla mappa etica per migliorare la loro comprensione e applicazione di questi concetti.

Come abbiamo esplorato, esistono diverse approcci per affrontare il ruolo che le emozioni – positive e non – giocano all’interno dell’azienda. Tuttavia, vale la pena sottolineare che le nostre immagini mentali, il nostro linguaggio e le nostre metafore devono anch’esse richiedere una trasformazione e assumere nuove dimensioni.

Come afferma Zhang Ruimin, CEO di Haier:

We move away from being something like an empire (with the traditional closed pyramid) to being more like a rainforest (with an open networked platform). Every empire will eventually collapse. A rainforest, on the other hand, can be sustained.

Chi segue questo spazio sa che, oltre al digitale, uno dei temi a me più cari è quello che riguarda i nuovi modelli di lavoro e le modalità attraverso le quali è possibile disegnare un’impresa differente, maggiormente collaborativa, resiliente e capace di adattarsi ai cambiamenti che il mercato impone.
L’anno 2020, con la pandemia da Covid-19, è stato – in questo senso – maestro e ci ha mostrato in modo evidente quanto inadatte e inefficaci fossero le nostre organizzazioni ad attraversare scenari inediti. Ha rappresentato, a conti fatti, anche un’importante occasione per riflettere sul futuro che vogliamo disegnare.

E’ per questo che il volume edito da Hoepli Milano e che ho scritto in questo periodo: Future of Work: le Persone al Centro, costruire il lavoro e la società del futuro rappresenta un punto saldo di partenza per tutti quei professionisti e per quelle imprese che intendano seriamente mettersi in discussione e prendere in mano la direzione dei propri modelli organizzativi.
Il libro offre casi, spunti, riflessioni teoriche ed esempi pratici attraverso i quali ripensare quello che facciamo quotidianamente.

Come scrive Jacob Morgan nella postfazione del volume:

Che cos’è il futuro del lavoro? 

Questa è una domanda che mi viene spesso posta durante le conferenze, gli eventi, e anche online, dalla mia community.
Nessuno può predire il futuro, ma la verità è che, questa, è una domanda sbagliata.
Chiedersi “che cosa è il futuro del lavoro” dimostra un atteggiamento passivo; assume che il futuro sia un qualcosa che accade e che non ci sia niente che possiamo fare per modificarlo. Tutto quello che è in nostro potere è attendere e subire l’impatto del cambiamento. È un’attitudine sbagliata verso il ciò che deve arrivare: non dobbiamo pensarlo in questo modo. Il futuro è qualcosa che immaginiamo, costruiamo e definiamo noi stessi, come protagonisti del cambiamento: dobbiamo cambiare il nostro punto di vista, dobbiamo riformulare la domanda. È tempo di chiedersi: “quale futuro del lavoro vuoi vedere realizzato?” e pensare a cosa puoi fare per vederlo accadere.
Cambiare il modo in cui pensiamo al futuro del lavoro ci mette al posto di guida e rende ognuno di noi un protagonista attivo della narrazione. 
Le persone che prenderanno posizione e si spenderanno in prima persona per il futuro del lavoro giocheranno un ruolo chiave nella trasformazione e nel cambiare il mondo in cui viviamo. 

Quindi domandiamoci: qual è il futuro del lavoro che vogliamo vedere realizzato? 

È ora di renderlo reale. 

Il libro vanta preziosi contributi da parte di esperti di settore e di personalità di spicco nel mondo del lavoro. Oltre a rendermi molto orgoglioso, sono convinto possano rappresentare una efficace bussola per navigare il futuro del lavoro e il mondo delle nostre organizzazioni.

Tra i principali contributi che troverete all’interno del volume:

  • Carlo Bozzoli, CIO di ENEL Group, che ha curato la prefazione del volume
  • Jacob Morgan, autore di best seller e speaker di fama internazionale, che ha curato la postfazione del volume
  • Carlo Chiattelli, economista e Associate Partner EY
  • Alessandro Antonini, Senior Manager di EY
  • Manuela Cantoia, Professore di Psicologia Generale presso l’Università eCampus
  • Andrea Gaggioli, Professore di Psicologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore
  • Cosimo Accoto, MIT research affiliate e autore di “il mondo ex machina” e “il mondo dato”
  • Luigi Centenaro, autore del Personal Branding Canvas, consulente e autore di diversi volumi sul tema del personal branding
  • Paolo De Caro, Senior Manager di EY e responsabile del centro di innovazione e sviluppo (Brain)

Il volume si articola in diversi capitoli che comprendono analisi specifiche, casi d’uso ed esempi pratici per comprendere in che modo il mondo del lavoro sia cambiato e si modificherà nel prossimo – immediato – futuro.

Di seguito l’elenco dei capitoli:

  • Capitolo 1 – Resilienza, trasformazione e il futuro del lavoro
  • Capitolo 2 – Casi d’uso, modalità di approccio e contesti operativi per il lavoro del futuro
  • Capitolo 3 – Errori e ostacoli che impediscono la trasformazione delle organizzazioni
  • Capitolo 4 – Una roadmap per costruire organizzazioni resilienti
  • Capitolo 5 – Progettare e costruire il Future of Work: creare esperienze trasformative e Positive Innovation Network
  • Capitolo 6 – Automazione e intelligenza artificiale nel futuro del lavoro
  • Capitolo 7 – Skill e competenze: il ruolo delle persone
  • Capitolo 8 – Verso un ripensamento dei modelli educativi e di formazione
  • Capitolo 9 – Purposeful Organization e il ruolo della leadership nella trasformazione
  • Capitolo 10 – Agile, Holacracy e nuovi modelli di organizzazione
  • Capitolo 11 – Costruire valore per l’intero ecosistema

Il mondo che costruiamo – e che costruiremo – passerà dalla nostra capacità di organizzarci secondo comunità e modelli relazionali.

Come si legge nel volume:

In un’analisi famosa relativa alla natura della comprensione scientifica dei fenomeni, il fisico quantistico Werner Heisenberg ha avuto occasione di sottolineare come capire significhi in un’ultima istanza saper individuare il legame che riconduce fenomeni diversi allo stesso insieme coerente. La vera comprensione della realtà sa superare la complessità superficiale dei fenomeni e mettere in evidenza la struttura coerente che sta dietro di essi. 

Il futuro della società e del senso delle organizzazioni e del lavoro di ognuno di noi passa per le parole, visionarie e illuminate di Adriano Olivetti, che nella sua azienda e il territorio del Canavese sono diventati poi laboratorio e ispirazione per molte realtà nel mondo.
È facile riconoscere nelle sue parole quei concetti propri di collaborazione, di innovazione partecipata, ma anche di smart cities, di green valley, di sostenibilità dell’innovazione e del modo di lavorare delle persone, dei digital district periferic, ma che sono poi centri di eccellenza della nuova e futura società dell’informazione. Scrive Olivetti: “Comunità, io nome lo dice, e il programma lo afferma, è un movimento che tende a unire, non a dividere, tende a collaborare, desiderare, insegnare, mira a costruire […].
Tecnica e cultura conducono verso il decentramento, verso la federazione di piccole città dalla vita intensa, ove sia armonia, pace, silenzio, lontano dallo stato attuale delle metropoli sovraffollate come dall’isolamento e dallo sgomento dell’uomo solo.”

Non vi resta che procurarvene una copia e poi proseguire la discussione su questo spazio o sui miei canali social: fatemi sapere cosa ne pensate!

Per chi volesse acquistarlo: https://amzn.to/3mlIfwO