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Storicamente – per quanto si possa usare questo termine quando si parla di social media – il calcolo del ROI (Return On Investment) è sempre stata una questione annosa e dibattuta in questo ambiente.
Ebbene esiste veramente un ROI dei Social Media? Esiste davvero un ritorno di investimento dei progetti che vengono portati avanti sui Social Media?

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Quando ho iniziato a riflettere su questi temi con l’idea di scrivere questo post mi è subito venuto in mente il famoso video di uno speech dell’anno scorso di Andrea Boaretto in cui si sostiene che il ROI dei Social Media sia “una stronzata galattica” (per chi non sapesse di cosa stiamo parlando qui c’è il video http://goo.gl/yQ1az ). E’ proprio così? Quanta verità c’è in quelle parole e in quelle riflessoni?

Ebbene credo che in quel video ci sia un fondo di verità e capisco l’indicazione sbagliata di considerare il ROI come unico strumento dell’efficacia di un qualcosa, soprattutto in ambito marketing. Tuttavia, parlando – e lavorando quotidianamente – nell’ambito del Social Business il ROI dell’applicazione dei Social Media a livello Enterprise mi pare tutt’altro che una stronzata galattica, anzi.

Se come sappiamo l’etichetta di Social Business si pone proprio a quelle aziende/organizzazioni che fanno della generazione di valore il loro core business, allora la dimensione del ROI assume un significato nuovo e differente, cessando di essere un’indicazione semplicemente legata a un investimento economico ed evolvendosi verso una dimensione maggiormente complessa.

Vi segnalo questa recente infografica sul tema che può darci un’idea dell’industry di cui stiamo parlando e dell’investimento economico che c’è dietro.

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Come si vede sono dati estremamente interessanti che sottolineano la crescita di un’industria che ha mostrato ormai di essere assolutamente efficace e produttiva.

Vorrei, infine, concludere con alcune riflessioni che prendo in parte dalla mia espereienza personale e – in parte – da questo articolo su Mashable Business legato proprio a questi temi ( http://mashable.com/2011/11/15/social-media-roi-measure/ )

  • I progetti di Social Business – quando ben concepiti – con l’utente al centro del processo e con meccaniche di co-creazione che pongano la creazione del valore come focus di sviluppo hanno sempre un ROI, o per meglio dire, portano sempre a benefici all’interno dell’organizzazione rendendola più snella, efficace, reattiva e in grado di rispondere meglio alle sollecitazioni del mercato. Per maggiori informazioni su quello che stiamo dicendo consiglio di leggere questo post di Emanuele Quintarelli che racconta dei benefici dell’adozione di una strategia social all’interno di Lago SpA: http://www.socialenterprise.it/index.php/2009/04/05/da-enterprise-20-a-pmi-20…
  • Calcolare il ROI del Social Business e dei Social Media penso sia non sbagliato, ma abbastanza fuorviante, questo poiché è un indicatore unilaterale che non fornisce la dimensione chiara di tutti i vantaggi che sono ad esso correlati. Per farla più semplice credo che sia come parlare del ROI della formazione. Esistono in questi processi tutta una serie di benefici correlati – e a volte anche invisibili – che usando una sola lente di ingrandimento rischiano di perdersi.
  • La maturità di questa industry rende necessarie riflessioni e prese di posizioni molto più serie. Le aziende – soprattutto quelle maggiormente restie al cambiamento – devono rendersi conto che non è più possibile sottovalutare questi fenomeni né arroccarsi in modelli organizzativi vecchi e obsoleti che per quanto potessero funzionare nel passato sono presto destinati a fallire nell’immediato futuro.
  • I Social Media sono il mezzo e non il fine. Il fine è la creazione di valore per tutto l’ecosistema aziendale (clienti, partner, fornitori, etc.).
  • L’evoluzione dell’azienda non è possibile in unica direzione. Un Social Business come sappiamo è l’ultimo step del processo evolutivo che porta alla realizzazione di valore, quindi i processi interni e quelli esterni sono integrati in un continuum di esperienza in cui interno ed esterno dell’azienda non hanno più senso di esistere.
  • Le nostre organizzazioni, il nostro business, oggi più che mai ha bisogno di essere social, deve essere social. Non si tratta più di una scelta ma piuttosto di una necessità inevitabile per coloro che vogliono avere successo. Eccone alcune in un post di Jarche ragioni: http://www.jarche.com/2011/10/why-do-we-need-social-business/

E tanto per lasciarvi, come di consueto con un video di approfondimento:

photo credit jenteach123 on Flickr.com

Stavo leggendo un interessante post di Leandro Agròhttp://www.leeander.com/2011/10/16/progettare-gli-oggetti-della-prossima-inte… ) che racconta del suo onore di aver partecipato alla conferenza TEDx di Bologna nelle scorse settimane. Il video e lo speech mi hanno riportato a uno dei temi di cui mi ero interessato – solo a livello di studio e ricerca personali – qualche anno fa.
Il fatto di tornarci a distanza di qualche anno mi ha permesso di elaborare nuove idee e di pormi anche alcune domande sulla possibile integrazione di due mondi di cui mi sono (e mi sto) interessando e che paiono così differenti tra loro.

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Il video del suo speech è visibile qui:

Vi consiglio di dargli un’occhiata perché è veramente interessante.
Ma credo che per comprenderlo occorra fare un passo indietro cercando di esplicitare che cosa sia e come funzioni quella che viene definita Internet of Things o Internet degli Oggetti.
Wikipedia la definisce come:

In computing, the Internet of Things refers to a network of objects, such as household appliances. It is often a self-configuring wireless network. The concept of the internet of things is attributed to the original Auto-ID Center, founded in 1999 and based at the time in MIT.The idea is as simple as its application is difficult. If all cans, books, shoes or parts of cars are equipped with minuscule identifying devices, daily life on our planet will undergo a transformation. Things like running out of stock or wasted products will no longer exist as we will know exactly what is being consumed on the other side of the globe. Theft will be a thing of the past as we will know where a product is at all times. The same applies to parcels lost in the post.If all objects of daily life, from yogurt to an airplane, are equipped with radio tags, they can be identified and managed by computers in the same way humans can. The next generation of Internet applications (IPv6 protocol) would be able to identify more objects than IPv4, which is currently in use. This system would therefore be able to instantaneously identify any kind of object.The Internet of objects should encode 50 to 100,000 billion objects and follow the movement of those objects. Every human being is surrounded by 1,000 to 5,000 objects.Alcatel-Lucent touchatag service and Violet’s Mirror gadget provide a pragmatic consumer oriented approach to the Internet of Things by which anyone can easily link real world items to the online world using RFID tags (and QR Codes in case of touchatag).

Per capire ancora meglio consiglio anche di vedere questo video di David Orban realizzato qualche anno fa per chiarire proprio il legame tra internet degli oggetti e oggetti percettivi.

Come vedete si tratta di qualcosa di molto interessante e che merita una seria riflessione in proposito. Al di là dei principi legati strettamente alla IoT mi piacerebbe pensare a quale potrebbe essere una zona di confine, di sovrapposizione tra la Internet degli Oggetti e il Social Business.
Forse sto cercando di incrociare due ambiti che sono completamente differenti e che non meritano un accostamento nemmeno nella stessa frase, forse si tratta di un possibile trend che è interessante monitorare.
Mi piacerebbe più che giudicare la correttezza o meno delle idee, provare a mettere assieme alcune riflessioni.

La prima riflessione riguarda la centralità dei comportamenti umani e di quelli degli “oggetti” lo speech di Leandro ha ben messo in evidenza la centralità del comportamento.
Riflettere sul comportamento a livello organizzativo e sociale diviene determinate per comprendere assetti culturali di riferimento e modalità delle persone e dell’organizzazione di adattarsi all’ambiente esterno e di agire con esso.
La pragmatica della comunicazione umana, il testo cardine di Paul Watzlawick ha messo bene in evidenza come non sia possibile ridurre i comportamenti – umani e organizzativi – a semplici linearità di causa/effetto ma sia sempre necessario comprendere il contesto più ampio all’interno del quale sono collocati.
Se riflettiamo partendo da questo assioma diviene dunque importante conoscere il contesto in cui ci muoviamo, e di questo contesto fanno parte anche gli oggetti “intelligenti”.

George Siemens – nel riflettere sul Connettivismo e sul Social Learning – ha messo in luce passaggi simili considerando nel quadro generale della conoscenza e dell’apprendimento anche gli oggetti come punti fondamentali e nodi della rete di apprendimento ( ne avevamo parlato anche qui qualche mese fa: http://www.sociallearning.it/connected-knowledge-quando-la-conoscenza-e-la )

Ancora: nel proporre le tre leggi o i tre assiomi della prossima serie di oggetti intelligenti Leandro affronta il tema dello storytelling e dell’importanza del fatto che gli oggetti stessi siano portatori di esperienze. Un parallelo in questo caso può essere fatto con le organizzazioni come sistemi complessi, portatori di una cultura e di una filosofia proprie.
Alcune riflessioni sul tema erano già state condivise in questa sede in un post di qualche settimana fa: http://www.sociallearning.it/storytelling-social-business-e-social-learnin

Il design assume un’importanza chiave e cruciale nello sviluppo degli oggetti, design che però deve essere inteso nel senso più ampio di progettazione e ideazione di un prodotto, un servizio o un piano: design che deve essere considerato come il punto di partenza per la realizzazione di qualcosa di successo.
In questo senso Stefano Mizzella di recente mi ha ricordato i dieci principi del design di Dieter Ramshttp://ilmacminimalista.tumblr.com/post/575792006/dieter-rams-e-i-principi-de…

Infine, forse il punto più interessante, quello che maggiormente si lega al Social Business tradizionalmente inteso, ovvero: la socializzazione al centro: gli oggetti hanno la capacità di comunicare e di condividere la stessa rete delle persone.

Al di là di queste riflessioni mi piacerebbe considerare questo come un post aperto in cui riflettere sul possibile futuro della Internet degli Oggetti e del Social Business: forse il primo argomento rimane ancora troppo confinato in un orizzonte fantascientifico? Forse la situazione attuale impedisce di creare e di vedere un collegamento? Forse le due cose prenderanno forma e si concretizzerano nelle organizzazioni del futuro?

Mi piacerebbe poter avere delle opinioni sui temi di questo post.
A voi la parola.

photo credit by KRISS_ 

Con Stefano Mizzella (http://www.socialmediascape.org/) abbiamo parlato di Gamification e processi di Business allo scorso Young Digital Lab a Milano  (http://www.youngdigitallab.com/).
Ecco le slide della nostra presentazione:

Cerchiamo di mettere in luce alcuni dei punti fondamentali che sono stati fatti emergere.

  • La Gamification è un trend in forte crescita ma non deve essere considerata – come abbiamo già visto – come un approccio completo all’ambito del gaming. Ci sono molte zona d’ombra e il rischio è proprio che, cavalcando un trend, si vada nella direzione dell’errore e della confusione di aree specifiche. Ne abbiamo parlato anche qui – http://www.sociallearning.it/giochi-videogiochi-e-processi-di-business
  • Non bisogna confondere la Gamification con altri prodotti come i Serious Game che sono già presenti da tempo sul mercato e i cui impatti sono già ampiamente documentati in letteratura.
  • E’ bene non effettuare un’operazione riduzionistica e considerare le dimensioni ludiche come analizzabile solo alla luce di meccaniche e dinamiche (che la gamification definisce in modo contraddittorio rispetto ad altra letteratura consolidata). I prodotti ludici sono complessi e richiedono un’analisi a 360° che inizi dalle interfacce utilizzate e finisca nelle emozioni e nei risvolti etici, morali e culturali che un videogioco può suscitare.
  • Il fine ultimo deve essere spostato da un approccio basato sulla gamification a uno che veda come punto di arrivo l’essere umano e la generazione di emozioni positive, come illustrato nel modello del Gameful Design di Jane McGonigal.
  • Nel complesso le aziende possono trarre lezioni significative dall’applicazione di questi suggerimenti e generare profitti coinvolgendo in maniera molto più partecipativa clienti, dipendenti e – in generale – l’ecosistema aziendale.

Alcuni dei video e degli esempi che sono stati mostrati nello speech che possono aiutare a comprendere meglio i temi riassunti nei punti precedenti:

Plantville

Un serious game realizzato da Siemens che ha come scopo, oltre a intrattenere quello di fornire hints interessanti quello di scovare i migliori talenti che potrebbero essere assunti dall’azienda. Il gioco è supportato da una forte collaborazione tra l’azienda e le scuole superiori. Lo scopo dichiarato è quello di creare la nuova generazione di plant manager. Maggiori informazioni sono disponibili su un articolo comparso su Business Week – http://www.businessweek.com/technology/content/apr2011/tc2011044_943586.htm
Sito web ufficiale del gioco: http://www.plantville.com/

CityOne

Realizzato da IBM si colloca in una direzione simile a quello che abbiamo visto per Siemens ma è anche l’inizio dell’implementazione di alcune dinamiche di co-creation e open-innovation in cui i giocatori collaborano per risolvere problemi possibili di una città. Le idee maggiormente utili e funzionali sono quelle che sono in grado di applicare la tecnologia per risolvere i problemi concreti della loro città. Un Sim-City su scala globale con obiettivi chiari e concreti.
Sito web ufficiale dell’iniziativa: http://www-01.ibm.com/software/solutions/soa/innov8/cityone/index.html

Il motto sul quale si basa il gioco è la famosa frase di Albert Einstein: “We can’t solve problems by using the same kind of thinking we used when we created them.”

Superstruct

Realizzato dall’Institute for The Future di Jane Mc Gonigal, si pone in controtendenza rispetto ai prodotti visti prima. Qui l’obiettivo non è collegato ad alcuna azienda né alla promozione di qualcosa in particolare ma – piuttosto – alla creazione di una comunità di persone che collaborando generino idee significative per cambiare e migliorare il mondo in cui viviamo.
Qui si tratta di fornire alla persone un motivo per collaborare e costruire qualcosa assieme. Al gioco hanno partecipato oltre 8000 persone che hanno condiviso oltre 1000 storie.
Sito web ufficiale: http://archive.superstructgame.net/

Evoke

Sviluppato dal World Bank Institute con la collaborazione di Jane McGonigal e sempre dell’Institute for the Future si colloca nella direzione di Superstruct dove gli stimoli sono quelli dell'”epic meaning” e del voler salvare il mondo con le proprie idee e con la collaborazione di un dream team che condivide una impostazione di fondo.
Sito web ufficiale: http://www.urgentevoke.com/

 

Questi due giochi si pongono nella cornice dei cosiddetti Alternate Reality Games. Che sono, secondo quanto affermato dalla McGonigal:

Un dramma interattivo che si svolge sia online sia nel mondo reale e la cui azione si protrae per settimane o mesi; in esso decine, centinaia, migliaia di utenti connessi formano una rete sociale collaborativa, lavorando insieme alla soluzione di un problema o di un enigma che sarebbe impossibile da raggiungere da soli.

Parlando con amici, parenti o chiunque me lo domandi mi trovo sempre in difficoltà a definire esattamente quello di cui mi occupo e l’ambito di lavoro a cui appartengo. Cercherò di fare un po’ di chiarezza provando a introdurre il concetto di Social Business e di come questo cambiamento di paradigma possa avere effetti notevoli sulla modalità di considerare il proprio lavoro e i propri schemi organizzativi. Cominciamo con una definizione. Come si legge sul sito del Social Business Forum, l’evento organizzato da OpenKnowledge (http://www.open-knowledge.it) per il prossimo 8 giugno 2011 (http://www.socialbusinessforum.it/what-is-social-business/), un Social Business è:

“An organization that has put in place the strategies, technologies and processes to systematically engage all the individuals of its ecosystem (employees, customers, partners, suppliers) to maximize the co-created value”

Come si mette ben in evidenza ci sono alcuni punti sui quali è importante insistere per la comprensione del frame teorico che sta alla base di questo cambiamento di paradigma:

  • La separazione tradizionale, che tanto è stata utilizzata, e che ancora oggi è in vigore tra interno dell’azienda ed esterno dell’azienda non ha più significato di esistere. Oggi più che mai ciò che succede all’esterno della nostra azienda ha impatto sulla nostra reputazione e influenza i meccanismi e le dinamiche interne.
  • I processi di decision-making e change management non sono più in mano né ai consumatori né ai manager: ma riguardano tutti i livelli dell’ecosistema organizzativo, sia internamente sia esternamente, in un’ottica più sistemica, emergente e reticolare che organizzata e chiusa.
  • Lo scambio e la partecipazione tra interno ed esterno sono favorite dal coinvolgimento più che dalla comunicazione.
  • L’ultimo scopo del SB non è di generare valore per gli stakeholder ma di massimizzare il valore che è scambiato internamente ed esternamente attraverso una riorganizzazione che rende l’azienda più flessibile, dinamica e reattiva.

Emanuele Quintarelli nel suo blog Social Enterprise (http://www.socialenterprise.it/) propone una schematizzazione di questi processi che permette di comprendere – molto in sintesi – in che modo il Social Business possa essere considerato un processo adattivo basato su un continuo scambio di feedback e un continuo meccanismo di crescita reticolare.

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A questo punto ci si potrebbe domandare quali vantaggi si possono avere dall’adottare un approccio come questo. La risposta è molto semplice. Si guadagna in efficienza e in efficacia della propria impresa, si gestisce meglio il flusso di lavorio e di informazioni, si è appetibili, più reattivi al cambiamento, meno indeboliti dalle crisi economiche, decentralizzati, dinamici. In una parola l’organizzazione è un sistema vivo che reagisce (e agisce) rispetto a ciò che succede nell’ecosistema più ampio.
Sempre Quintarelli pone il Social Business all’interno di un modello più ampio che è riportato in tabella sotto e che ben fa comprendere a che livello ci si posiziona. Se pensate alla vostra organizzazione dove siete? A che livello di collaborazione, apertura verso l’esterno e condivisione siete? Come vi posizionate rispetto ai vostri clienti?
Avere la capacità – e la lungimiranza – di intuire le prospettive e gli sviluppi di questo approccio possono fare davvero la differenza tra un’organizzazione che avrà un roseo futuro e una che subirà il cambiamento.

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Comprendere questo scenario risulta interessante anche per analizzare più nel dettaglio il tema di questo blog: il Social Learning. Proprio come il SB il SL è un processo adattivo, emergente, connesso e di rete. Si tratta di due dimensioni – a mio avviso intimamente connesse – che si integrano e che richiedono l’una la presenza dell’altra. Il Social Business rappresenta il contesto ideale all’interno del quale è possibile parlare di apprendimenti emergenti e informali nella chiave sociale propria delle teorie alla base del Social Learning. Allo stesso modo il Social Business si basa su una serie di assunti informali e di apprendimenti non strutturati che sono propri del SL. Proprio al SBF2011 sarà presente George Siemens – guru internazionale su questi temi – che discuterà proprio di questo legame tra organizzazione adattiva e processi di apprendimento emergente.

 

Per capirne di più e per imparare veramente a muovere i primi passi in questo ambiente, il consiglio è – quindi – quello di non mancare l’appuntamento con il Social Business Forum del prossimo 8 Giugno 2011.
Vi lascio con qualche foto e il video del Keynote di apertura dell’edizione 2010 (ancora International Forum on Enterprise 2.0): trovate il pool di tutte le fotografie ufficiali su Flickr http://www.flickr.com/photos/socialbusinessforum
E per chi fosse interessato ad approfondire i temi (a vedere slide e video della precedente edizione) è ancora online il sito della vecchia edizione http://www.enterprise2forum.it/it

Ci vediamo li?