Di recente mi è capitato tra le mani l’ottimo libro di Steven Berlin Johnson – Emergence: The connected lives of Ants, Brains, Cities and Software. (http://www.amazon.com/exec/obidos/ASIN/0684868768/stevenberlinj-20). Non è un testo recentissimo ma mi ha spinto a fare nuove riflessioni circa le modalità con cui organizziamo la nostra conoscenza e con cui apprendiamo. Il libro spiega molto bene il concetto di emergenza che Wikipedia definisce come:
Il comportamento emergente è la situazione nella quale un sistema esibisce proprietà inspiegabili sulla base delle leggi che governano le sue componenti. Esso scaturisce da interazioni non-lineari tra le componenti stesse.
Quantunque sia più facilmente riscontrabile in sistemi di organismi viventi o di individui sociali oppure ancora in sistemi economici, diversamente da una credenza oggi diffusa l’emergenza si manifesta anche in contesti molto più elementari, come ad esempio la fisica delle particelle e la fisica atomica.Essa può essere definita anche come il processo di formazione di schemi complessi a partire da regole più semplici, e una esemplificazione può ottenersi osservando il il gioco della vita di Horton Conway, nel quale poche semplici regole fissate per pochi individui di base possono condurre a evoluzioni assai complesse.
Per avere un esempio pratico di quello che stiamo dicendo è sufficiente pensare alle formiche. Prese singolarmente sono tutt’altro che animali intelligenti e sono in grado di sopravvivere solo pochi giorni se sono separate dalla colonia, tuttavia – nel loro complesso – sono in grado di costruire capolavori architettonici senza l’ausilio di nessun coordinamento centrale e nessun tipo di intelligenza che le governi, a meno che non si voglia considerare intelligenza la semplice traccia feromonica che si portano dietro. Allo stesso modo una jam session funziona in maniera molto simile: la musica che nasce – sempre nuova, innovativa, e inaspettata – è frutto dall’interazione locale dei membri che non rispondono a nessun coordinamento centrale, ma semplicemente si limitano a seguire la musica e – come le formiche – a imparare dai feedback che provengono dai propri compagni.
Lo stesso discorso fatto sulle formiche e sulla musica possiamo applicarlo all’innovazione e al modo in cui si propaga la conoscenza. La lezione che abbiamo imparato dal Web 2.0 è che le masse possono essere molto più intelligenti dei singoli. Gli strumenti tecnologici diventano dei contesti abilitanti che favoriscono l’emergere di un’intelligenza che non risiede nei singoli ma è collocata direttamente nelle reti e nelle relazioni tra i soggetti.
E’ forse un concetto un po’ forte ma penso che gli esempi a sostegno di questa tesi siano moltissimi: se pensiamo al modo in cui funziona il cervello umano e ai tentativi che nel corso degli anni da Cartesio a Edelman sono stati fatti per descriverlo e per comprendere in che modo si formi il pensiero realizziamo immediatamente che la nostra intelligenza si muove secondo logiche assolutamente identiche a quelle dei termitai. I nostri neuroni non sono intelligenti presi singolarmente: è l’interazione tra loro, l’apertura di nuove connessioni che fa emergere un pensiero e un’idea del tutto nuova.
In un video al TED Johnson spiega molto bene questo concetto:
Comprendere le reti, come queste si sviluppano, da dove originano è, quindi, la vera sfida di questo millennio e può aiutarci a fare un passo in più verso la comprensione della conoscenza e dei nostri meccanismi di apprendimento.
Sugata Mitra, con il suo esperimento Hole in the Wall avanza l’ipotesi che l’apprendimento stesso possa essere un fenomeno emergente che origina dall’interazione locale di più persone.
Anche lui in un interessante video al TED spiega come attraverso un semplice PC collegato in rete e messo per le strade dell’India sia riuscito – senza nessun tipo di training specifico – a veicolare apprendimenti ai bambini più piccoli. La sua ricerca è ambiziosa ma merita sicuramente di essere tenuta d’occhio come una delle frontiere più interessanti per il prossimo futuro.
Le riflessioni che si possono fare sono molte e interessanti. La formazione dal canto suo non può certo dirsi completamente esterna a questo fenomeno e – anzi – dovrebbe saggiamnete interpretare i fenomeni in atto e regolarsi di conseguenza. Volendo provare a spingersi un po’ oltre si potrebbe ipotizzare addirittura un ulteriore livello di cambiamento rispetto a quelli che identifica Domenico Lipari nel suo Logiche di Azione formativa nelle organizzazioni.
Il terzo livello – che è quello del prossimo futuro – potrebbe essere, appunto, basato su un tipo di apprendimento emergente, sociale e strettamente legato alla collaborazione e all’intelligenza della massa. La conoscenza di dove trovare le risorse che ci servono è la cosa più importante per chi intende apprendere veramente. La rete assume, quindi, una dimensione cruciale e unica.
Nei prossimi post approfondiremo il concetto facendo riferimento agli interessantissimi lavori di George Siemens.