Una delle teorie psicologiche che ritengo più interessanti nella storia del pensiero moderno è la Flow Theory, nata in anni di ricerche di Mihaly Csíkszentmihályi dedicate alle comprensione di cosa renda davvero la vita degna di essere vissuta e al come fare per ottenere esperienze davvero significative che rendano felici le persone.
Ma che cosa è esattamente lo stato di “flusso”? Come sottolinea anche Ingilleri (1996):
Tre sono gli elementi fondamentali delle situazioni di flusso di coscienza: un grande investimento di attenzione sulla situazione in atto; una sensazione di benessere e di soddisfazione personale; la presenza di un impegno a cui corrispondono capacità personali adeguate.
Possiamo brevemente riassumere il flow come un processo in cui l’individuo sperimenta un diffuso senso di auto-efficacia e di soddisfazione che derivano dall’essere coinvolto in un compito che rappresenta un bilanciamento ideale e assoluto tra le proprie competenze e la difficoltà imposta dall’ambiente esterno. Dando un’occhiata all’immagine riportata e provando a fare qualche esempio possiamo mettere in evidenza come all’opposto dello stato di Flow vi sia l’apatia, rappresentata da attività che impegnano poco la persona dal punto di vista delle sue risorse personali. Un tipico esempio di attività collocabile all’interno di quest’area è il semplice guardare la TV. Viceversa attività troppo impegnative rispetto alle competenze della persona possono portare a situazioni in cui si sperimenta un forse senso di ansia, preoccupazione e difficoltà di riuscita.
Csíkszentmihályi individua poi nove dimensioni fondamentali che si sperimentano durante lo stato di Flow:
- equilibrio dinamico tra sfida e capacità
- integrazione tra azione e riflessione, azione e consapevolezza
- obiettivi chiari
- concentrazione totale sul compito
- paradosso del controllo
- feed-back inequivocabili
- perdita della coscienza di sé (no-ego)
- perdita del senso del tempo
- esperienza autotelica
L’ultima dimensione risulta abbastanza importante perchè fa riflettere su come il Flow non abbia come limite ultimo un qualcosa da raggiungere ma sia il semplice fluire dell’esperienza che ha senso in se stessa e si auto-mantiene.
In un video del TED di qualche anno fa lo studioso ungherese spiega molto bene in che modo il vivere esperienze di Flow sia in grado di migliorare la vita delle persone:
E nelle altre culture?
Una delle cose che amo maggiormente della cultura orientale è la sua capacità di trasmettere concetti di complessità come quelli che abbiamo visto attraverso concetti molto semplici, molto spesso poetici e altisonanti. Credo, inoltre, sia estremamente interessante sottolineare come due modalità di pensiero cosi’ differenti tra loro arrivino alle medesime conclusioni, come dice un vecchio adagio: «prendi la comprensione dell’oriente e la scienza dell’occidente, e poi cerca».
Muga-mushin (????????????) is a compound term of muga and mushin. Muga literally means no-self (derived from the Sanskrit an??tman) and Mushin no-mind (also from the Sanskrit a-citta). What is negated is the empirical body-mind as an ontologicalexistence. Muga and mushin point to the same thing, the state of egolessness, but from different perspectives. Muga refers to the negation of the physical state, mushin to the mental state of empirical
To understand better mushin one needs to understand acitta, or simply its Sanskrit-root citta. Citta is not easily rendered into English. As is the case with so many other Sanskrit terms, there does not seem to be a precise equivalent for it in English. Previous translations have proposed a variety of renderings, such as ‘mind-stuff’, ‘thinking-principle’, and similar compound words. In many instances, citta seems to convey consciousness, mind, intellect or psychic mass that orders and illuminates sensations coming from without—can serve as a mirror for objects, without the senses interposing between it and its object. Thus the non-initiate is incapable of gaining freedom, because his mind, instead of being stable (still, non-fluctuating) is constantly violated by the activity of the senses, by the subconscious, and by the ‘thrust for life’.
The concept of Mushin/Acitta has been traveling throughout the ages undergoing series of contextual simplifications by different philosophical and empirical systems evolving from one to another. It has arrived to the present days still embellished in the colors of mystery. Disregarding the cascade of reductionistic efforts that were meant to make the Mushin/Acitta concept more accessible to the non-initiate, the attainment of Mushin/Acitta inescapably goes through the harsh path of self-perpetuated long practice and interiorization.